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PUBBLICO IMPIEGO
Cass. civ., Sez. lavoro Ord., 5 febbraio 2019, n. 3314 - pubblicato l'8 febbraio 2019
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Studio Legale Riccio Libroia
Nocera Inferiore - Salerno
In tema di rapporti di lavoro, ai fini della qualificabilità come rapporto di pubblico impiego di un rapporto di lavoro prestato alle dipendenze di un ente pubblico non economico, rileva che il dipendente risulti effettivamente inserito nella organizzazione pubblicistica ed adibito ad un servizio rientrante nei fini istituzionali dell'ente pubblico, non rilevando in senso contrario l'assenza di un atto formale di nomina, né che si tratti di un rapporto a termine, e neppure che il rapporto sia affetto da nullità per violazione delle norme imperative sul divieto di nuove assunzioni.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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Nocera Inferiore - Salerno
In tema di rapporti di lavoro, ai fini della qualificabilità come rapporto di pubblico impiego di un rapporto di lavoro prestato alle dipendenze di un ente pubblico non economico, rileva che il dipendente risulti effettivamente inserito nella organizzazione pubblicistica ed adibito ad un servizio rientrante nei fini istituzionali dell'ente pubblico, non rilevando in senso contrario l'assenza di un atto formale di nomina, né che si tratti di un rapporto a termine, e neppure che il rapporto sia affetto da nullità per violazione delle norme imperative sul divieto di nuove assunzioni.
ASTENSIONE
Cass. civ., Sez. Unite, 28 gennaio 2019, n. 2301 - pubblicato il 1° febbraio 2019
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Studio Legale Riccio Libroia Nocera Inferiore - Salerno
In materia di astensione del magistrato per gravi ragioni di convenienza, non ogni rapporto di frequentazione con il difensore che assiste la parte nel processo penale importa per il giudice il dovere di astenersi, ma solo quello che si caratterizza per intensità e riconoscibilità tali da integrare le gravi ragioni di convenienza. Non rileva, pertanto, la frequentazione occasionale, episodica o casuale, né quella derivante dalla comunanza di ambiente di vita e di lavoro che non sia sintomatica di una coinvolgente contiguità; rileva, invece, lo stretto e risalente legame, suscettibile di intaccare, per il modo e l'intensità in cui si connota, la serenità e la capacità del giudice di essere imparziale, ovvero di ingenerare il sospetto che egli possa prendere una decisione ispirata a fini diversi da quelli istituzionali ed intesa, per ragioni private e personali, a favorire o danneggiare gli eventuali destinatari. Allo stesso modo, non integra le gravi ragioni di convenienza la semplice circostanza che il giudice abbia, o abbia avuto, con il difensore di una delle parti un rapporto di mera collaborazione, episodica e priva di ulteriori connotazioni, in vista di una pubblicazione scientifica o di un convegno di studi, ovvero che lo stesso condivida, o abbia condiviso, con modalità contenute e in via saltuaria, l'attività di docenza universitaria o post-universitaria, trattandosi di situazioni nelle quali non si configura il rischio di compromissione, all'esterno e all'interno, della imparzialità e della terzietà del giudice nell'esercizio della funzione giurisdizionale. (Nel caso concreto ha errato la Sezione disciplinare nel ritenere che il magistrato avrebbe dovuto astenersi in ragione dell'accertato sicuramente consolidato legale con il professore, giacché le gravi ragioni di convenienza vanno interpretate in base ad un canone di attualità e in concreto il professore aveva rinunciato all'incarico poco dopo l'emissione del decreto di citazione a giudizio dell'assistito.)
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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In materia di astensione del magistrato per gravi ragioni di convenienza, non ogni rapporto di frequentazione con il difensore che assiste la parte nel processo penale importa per il giudice il dovere di astenersi, ma solo quello che si caratterizza per intensità e riconoscibilità tali da integrare le gravi ragioni di convenienza. Non rileva, pertanto, la frequentazione occasionale, episodica o casuale, né quella derivante dalla comunanza di ambiente di vita e di lavoro che non sia sintomatica di una coinvolgente contiguità; rileva, invece, lo stretto e risalente legame, suscettibile di intaccare, per il modo e l'intensità in cui si connota, la serenità e la capacità del giudice di essere imparziale, ovvero di ingenerare il sospetto che egli possa prendere una decisione ispirata a fini diversi da quelli istituzionali ed intesa, per ragioni private e personali, a favorire o danneggiare gli eventuali destinatari. Allo stesso modo, non integra le gravi ragioni di convenienza la semplice circostanza che il giudice abbia, o abbia avuto, con il difensore di una delle parti un rapporto di mera collaborazione, episodica e priva di ulteriori connotazioni, in vista di una pubblicazione scientifica o di un convegno di studi, ovvero che lo stesso condivida, o abbia condiviso, con modalità contenute e in via saltuaria, l'attività di docenza universitaria o post-universitaria, trattandosi di situazioni nelle quali non si configura il rischio di compromissione, all'esterno e all'interno, della imparzialità e della terzietà del giudice nell'esercizio della funzione giurisdizionale. (Nel caso concreto ha errato la Sezione disciplinare nel ritenere che il magistrato avrebbe dovuto astenersi in ragione dell'accertato sicuramente consolidato legale con il professore, giacché le gravi ragioni di convenienza vanno interpretate in base ad un canone di attualità e in concreto il professore aveva rinunciato all'incarico poco dopo l'emissione del decreto di citazione a giudizio dell'assistito.)
SCIOPERO
Cass. civ., Sez. lavoro, 28 gennaio 2019, n. 2298 - pubblicato il 1° febbraio 2019
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Studio Legale Riccio Libroia Nocera Inferiore - Salerno
In ipotesi di astensione collettiva dalle prestazioni delle associazioni e degli organismi rappresentativi dei lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori, l'art. 4, comma 4, seconda parte, della legge 12 giugno 1990, n. 146, recante norme sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, deve essere interpretato nel senso che costituisce comportamento valutabile dalla Commissione di garanzia, ai fini dell'eventuale deliberazione della sanzione amministrativa pecuniaria prevista dalla disposizione richiamata, ogni condotta, attiva od omissiva, in violazione dei precetti desumibili dalla disciplina che regolamenta tale astensione collettiva, tra cui anche il comportamento omissivo attuato da detti soggetti in violazione del dovere di dissociarsi pubblicamente ed in modo inequivoco da forme di protesta che, inserendosi nella rivendicazione di categoria indetta dalle associazioni e dagli organismi rappresentativi, siano esercitate senza il rispetto delle misure dirette a consentire l'erogazione delle prestazioni indispensabili al fine di garantire nei servizi pubblici essenziali il godimento di diritti della persona costituzionalmente tutelati.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Studio Legale Riccio Libroia Nocera Inferiore - Salerno
In ipotesi di astensione collettiva dalle prestazioni delle associazioni e degli organismi rappresentativi dei lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori, l'art. 4, comma 4, seconda parte, della legge 12 giugno 1990, n. 146, recante norme sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, deve essere interpretato nel senso che costituisce comportamento valutabile dalla Commissione di garanzia, ai fini dell'eventuale deliberazione della sanzione amministrativa pecuniaria prevista dalla disposizione richiamata, ogni condotta, attiva od omissiva, in violazione dei precetti desumibili dalla disciplina che regolamenta tale astensione collettiva, tra cui anche il comportamento omissivo attuato da detti soggetti in violazione del dovere di dissociarsi pubblicamente ed in modo inequivoco da forme di protesta che, inserendosi nella rivendicazione di categoria indetta dalle associazioni e dagli organismi rappresentativi, siano esercitate senza il rispetto delle misure dirette a consentire l'erogazione delle prestazioni indispensabili al fine di garantire nei servizi pubblici essenziali il godimento di diritti della persona costituzionalmente tutelati.
TRATTAMENTO CARCERARIO
Cass. civ., Sez. III. Ord., 22 gennaio 2019, n. 1564 - pubblicato il 25 gennaio 2019
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Nocera Inferiore - Salerno
Ai fini della determinazione dello spazio individuale minimo intramurario, pari o superiore a tre metri quadrati da assicurare a ogni detenuto, affinché lo Stato non incorra nella violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti, stabilito dall'art. 3 della Convenzione dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, cosi come interpretato dalla conforme giurisprudenza della Corte EDU, dalla superficie lorda della cella devono essere detratte l'area destinata ai servizi igienici e quella occupata da strutture tendenzialmente fisse, tra cui il letto, individuale o a castello, nonché gli armadi che per la collocazione degli effetti personali assumono dimensione e pesantezza tale da non consentirne lo spostamento e da occupare uno spazio complessivo a detrimento di quello calpestabile. Non rilevano, nel computo, gli altri arredi che possono essere facilmente trasportati 0 che sono installati come pensili.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Nocera Inferiore - Salerno
Ai fini della determinazione dello spazio individuale minimo intramurario, pari o superiore a tre metri quadrati da assicurare a ogni detenuto, affinché lo Stato non incorra nella violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti, stabilito dall'art. 3 della Convenzione dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, cosi come interpretato dalla conforme giurisprudenza della Corte EDU, dalla superficie lorda della cella devono essere detratte l'area destinata ai servizi igienici e quella occupata da strutture tendenzialmente fisse, tra cui il letto, individuale o a castello, nonché gli armadi che per la collocazione degli effetti personali assumono dimensione e pesantezza tale da non consentirne lo spostamento e da occupare uno spazio complessivo a detrimento di quello calpestabile. Non rilevano, nel computo, gli altri arredi che possono essere facilmente trasportati 0 che sono installati come pensili.
COMPENSAZIONE ATECNICA
Cass. civ., Sez. lavoro, Ord., 21 gennaio 2019, n. 1513 - pubblicato il 21 gennaio 2019
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Nocera Inferiore - Salerno
In tema di estinzione delle obbligazioni, è configurabile la cosiddetta compensazione atecnica allorché i crediti abbiano origine da un unico rapporto, la cui identità non è esclusa dal fatto che uno di essi abbia natura risarcitoria derivando da inadempimento, nel qual caso la valutazione delle reciproche pretese comporta l'accertamento del dare e avere, senza che sia necessaria la proposizione di un'apposita domanda riconvenzionale o di un'apposita eccezione di compensazione, che postulano, invece, l'autonomia dei rapporti ai quali i crediti si riferiscono.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Nocera Inferiore - Salerno
In tema di estinzione delle obbligazioni, è configurabile la cosiddetta compensazione atecnica allorché i crediti abbiano origine da un unico rapporto, la cui identità non è esclusa dal fatto che uno di essi abbia natura risarcitoria derivando da inadempimento, nel qual caso la valutazione delle reciproche pretese comporta l'accertamento del dare e avere, senza che sia necessaria la proposizione di un'apposita domanda riconvenzionale o di un'apposita eccezione di compensazione, che postulano, invece, l'autonomia dei rapporti ai quali i crediti si riferiscono.
GIURISDIZIONE
Cass. civ., Sez. Unite, 21 dicembre 2018, n. 33211 - pubblicato il 7 gennaio 2019
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Nocera Inferiore - Salerno
In tema di giurisdizione, rispetto ad una domanda di risarcimento danni per la lesione della propria integrità psico-fisica proposta da un pubblico dipendente nei confronti dell'Amministrazione, la giurisdizione stessa è strettamente subordinata all'accertamento della natura giuridica dell'azione di responsabilità in concreto proposta: se è fatta valere la responsabilità contrattuale dell'ente datore di lavoro, la cognizione della domanda rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, nel caso di controversia avente per oggetto una questione relativa al periodo del rapporto antecedente al 30 giugno 1998; mentre, se è stata dedotta la responsabilità extracontrattuale, la giurisdizione spetta al giudice ordinario.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Nocera Inferiore - Salerno
In tema di giurisdizione, rispetto ad una domanda di risarcimento danni per la lesione della propria integrità psico-fisica proposta da un pubblico dipendente nei confronti dell'Amministrazione, la giurisdizione stessa è strettamente subordinata all'accertamento della natura giuridica dell'azione di responsabilità in concreto proposta: se è fatta valere la responsabilità contrattuale dell'ente datore di lavoro, la cognizione della domanda rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, nel caso di controversia avente per oggetto una questione relativa al periodo del rapporto antecedente al 30 giugno 1998; mentre, se è stata dedotta la responsabilità extracontrattuale, la giurisdizione spetta al giudice ordinario.
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ONERE DELLA PROVA
Cass. civ., Sez. III, Ord., 11 dicembre 2018, n. 31966 - pubblicato il 14 dicembre 2018
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Nocera Inferiore - Salerno
Avv. Gaetano Ricco - Avv. Eliana Libroia
Sul paziente che agisce per il risarcimento del danno grava l'onere di provare la relazione causale che intercorre tra l'evento di danno e l'azione o l'omissione, mentre grava sulla controparte, struttura sanitaria o medico, l'onere di dimostrare il sopravvenire di un evento imprevedibile ed inevitabile secondo l'ordinaria diligenza.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Nocera Inferiore - Salerno
Avv. Gaetano Ricco - Avv. Eliana Libroia
Sul paziente che agisce per il risarcimento del danno grava l'onere di provare la relazione causale che intercorre tra l'evento di danno e l'azione o l'omissione, mentre grava sulla controparte, struttura sanitaria o medico, l'onere di dimostrare il sopravvenire di un evento imprevedibile ed inevitabile secondo l'ordinaria diligenza.
DIFETTO DI MOTIVAZIONE
Cass. civ., Sez. lavoro, 5 dicembre 2018, n. 31485 - pubblicato il 12 dicembre 2018
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia Nocera Inferiore - Salerno
Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito. A questi, invero, spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando in tal modo liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia Nocera Inferiore - Salerno
Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito. A questi, invero, spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando in tal modo liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge.
CONDOMINIO
Cass. civ., Sez. II, Ord., 25 ottobre 2018, n. 27159 - pubblicato il 7 novembre 2018
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia Nocera Inferiore - Salerno
Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
L'atto di approvazione delle tabelle millesimali, al pari di quello di revisione delle stesse, non deve essere deliberato con il consenso unanime dei condomini, essendo a tal fine sufficiente la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136, comma 2, c.c. La sufficienza del consenso maggioritario per l'approvazione delle tabelle millesimali discende dal fatto che essa è meramente ricognitiva dei valori e dei criteri stabiliti dalla legge e, quindi, dell'esattezza delle operazioni tecniche di calcolo della proporzione tra la spesa ed il valore della quota o la misura dell'uso. Rivela invece natura contrattuale, e perciò impone il consenso unanime, la tabella da cui risulti espressamente che si sia inteso derogare al regime legale di ripartizione delle spese, ovvero approvare quella diversa convenzione di cui all'art. 1123, comma 1, c.c. La sostanza di una tale "diversa convenzione" è, pertanto, quella di una dichiarazione negoziale, espressione di autonomia privata, con cui i condomini programmano che la portata dei loro rispettivi diritti ed obblighi di partecipazione alla vita del condominio sia determinata in modo difforme da quanto previsto negli artt. 1118 c.c. e 68 disp. att. c.c.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia Nocera Inferiore - Salerno
Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
L'atto di approvazione delle tabelle millesimali, al pari di quello di revisione delle stesse, non deve essere deliberato con il consenso unanime dei condomini, essendo a tal fine sufficiente la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136, comma 2, c.c. La sufficienza del consenso maggioritario per l'approvazione delle tabelle millesimali discende dal fatto che essa è meramente ricognitiva dei valori e dei criteri stabiliti dalla legge e, quindi, dell'esattezza delle operazioni tecniche di calcolo della proporzione tra la spesa ed il valore della quota o la misura dell'uso. Rivela invece natura contrattuale, e perciò impone il consenso unanime, la tabella da cui risulti espressamente che si sia inteso derogare al regime legale di ripartizione delle spese, ovvero approvare quella diversa convenzione di cui all'art. 1123, comma 1, c.c. La sostanza di una tale "diversa convenzione" è, pertanto, quella di una dichiarazione negoziale, espressione di autonomia privata, con cui i condomini programmano che la portata dei loro rispettivi diritti ed obblighi di partecipazione alla vita del condominio sia determinata in modo difforme da quanto previsto negli artt. 1118 c.c. e 68 disp. att. c.c.
RISARCIMENTO DANNI
Cass. civ., Sez. III, 30 ottobre 2018, n. 27477 - pubblicato il 7 novembre 2018
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia Nocera Inferiore - Salerno
Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
In tema di risarcimento del danno, la liquidazione del danno da ritardato adempimento di un'obbligazione di valore, ove il debitore abbia pagato un acconto prima della quantificazione definitiva, deve avvenire: a) devalutando l'acconto ed il credito alla data dell'illecito; b) detraendo l'acconto dal credito; c) calcolando gli interessi compensativi individuando un saggio scelto in via equitativa, ed applicandolo prima sull'intero capitale, rivalutato anno per anno, per il periodo intercorso dalla data dell'illecito al pagamento dell'acconto, e poi sulla somma che residua dopo la detrazione dell'acconto, rivalutata annualmente, per il periodo che va da quel pagamento fino alla liquidazione definitiva.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia Nocera Inferiore - Salerno
Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
In tema di risarcimento del danno, la liquidazione del danno da ritardato adempimento di un'obbligazione di valore, ove il debitore abbia pagato un acconto prima della quantificazione definitiva, deve avvenire: a) devalutando l'acconto ed il credito alla data dell'illecito; b) detraendo l'acconto dal credito; c) calcolando gli interessi compensativi individuando un saggio scelto in via equitativa, ed applicandolo prima sull'intero capitale, rivalutato anno per anno, per il periodo intercorso dalla data dell'illecito al pagamento dell'acconto, e poi sulla somma che residua dopo la detrazione dell'acconto, rivalutata annualmente, per il periodo che va da quel pagamento fino alla liquidazione definitiva.
ORARIO DI LAVORO
Cass. civ., Sez. lavoro,Ord., 9 ottobre 2018, n. 24828 - pubblicato il 12 ottobre 2018
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Nocera Inferiore - Salerno
Studio Legale Riccio Libroia
La non contestata natura subordinata del rapporto di lavoro esclude qualsivoglia autonomia organizzativa del prestatore sulla base di una disposizione di risultato, giacché l'obbligazione a carico del prestatore di lavoro subordinato ex art. 2094 e ss. c.c. è di mezzi e non di risultato; in tal caso il corrispettivo dovuto, ossia la retribuzione spettante al lavoratore, va commisurato alla durata temporale della messa a disposizione delle energie lavorative. Ai fini della misurazione dell'orario di lavoro, la disposizione di cui all'art. 1, comma 2, lett. a), D.Lgs. n. 66 del 2003, attribuisce un espresso e alternativo rilievo non solo al tempo della prestazione effettiva, ma anche a quello della disponibilità del lavoratore e della sua presenza sui luoghi di lavoro, di talché va considerato come orario di lavoro l'arco temporale comunque trascorso dal lavoratore medesimo all'interno dell'azienda (ovvero nella specie all'esterno) nell'espletamento di attività prodromiche ed accessorie allo svolgimento, in senso stretto, delle mansioni affidategli, ove il datore di lavoro non provi che egli sia ivi libero di autodeterminarsi, ovvero non assoggettato al potere gerarchico.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Nocera Inferiore - Salerno
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La non contestata natura subordinata del rapporto di lavoro esclude qualsivoglia autonomia organizzativa del prestatore sulla base di una disposizione di risultato, giacché l'obbligazione a carico del prestatore di lavoro subordinato ex art. 2094 e ss. c.c. è di mezzi e non di risultato; in tal caso il corrispettivo dovuto, ossia la retribuzione spettante al lavoratore, va commisurato alla durata temporale della messa a disposizione delle energie lavorative. Ai fini della misurazione dell'orario di lavoro, la disposizione di cui all'art. 1, comma 2, lett. a), D.Lgs. n. 66 del 2003, attribuisce un espresso e alternativo rilievo non solo al tempo della prestazione effettiva, ma anche a quello della disponibilità del lavoratore e della sua presenza sui luoghi di lavoro, di talché va considerato come orario di lavoro l'arco temporale comunque trascorso dal lavoratore medesimo all'interno dell'azienda (ovvero nella specie all'esterno) nell'espletamento di attività prodromiche ed accessorie allo svolgimento, in senso stretto, delle mansioni affidategli, ove il datore di lavoro non provi che egli sia ivi libero di autodeterminarsi, ovvero non assoggettato al potere gerarchico.
RINVIO CIVILE
Cass. civ., Sez. III, Ord., 4 ottobre 2018, n. 24200 - pubblicato il 9 ottobre 2018
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Nocera Inferiore - Salerno
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In caso di ricorso per Cassazione avverso la sentenza del giudice del rinvio, fondato sulla deduzione della infedele esecuzione dei compiti affidatigli con la precedente pronuncia di annullamento, il sindacato della S.C. si risolve nel controllo dei poteri propri del suddetto giudice di rinvio, per effetto di tale affidamento e dell'osservanza dei relativi limiti, la cui estensione varia a seconda che l'annullamento stesso sia avvenuto per violazione di norme di diritto ovvero per vizi della motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, in quanto, nella prima ipotesi, egli è tenuto soltanto ad uniformarsi al principio di diritto enunciato nella sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l'accertamento e la valutazione dei fatti, già acquisiti al processo, mentre, nel secondo caso, la sentenza rescindente non limita il potere del giudice di rinvio all'esame dei soli punti indicati, da considerarsi come isolati dal restante materiale probatorio, ma conserva al giudice stesso tutte le facoltà che gli competevano originariamente quale giudice di merito, relative ai poteri di indagine e di valutazione della prova, nell'ambito dello specifico capo della sentenza di annullamento. In quest'ultima ipotesi, poi, il giudice di rinvio, nel rinnovare il giudizio, è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente od implicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, in sede di esame della coerenza del discorso giustificativo, evitando di fondare la decisione sugli stessi elementi del provvedimento annullato, ritenuti illogici, e con necessità, a seconda dei casi, di eliminare le contraddizioni e sopperire al difetti argomentativi riscontrati.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Nocera Inferiore - Salerno
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In caso di ricorso per Cassazione avverso la sentenza del giudice del rinvio, fondato sulla deduzione della infedele esecuzione dei compiti affidatigli con la precedente pronuncia di annullamento, il sindacato della S.C. si risolve nel controllo dei poteri propri del suddetto giudice di rinvio, per effetto di tale affidamento e dell'osservanza dei relativi limiti, la cui estensione varia a seconda che l'annullamento stesso sia avvenuto per violazione di norme di diritto ovvero per vizi della motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, in quanto, nella prima ipotesi, egli è tenuto soltanto ad uniformarsi al principio di diritto enunciato nella sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l'accertamento e la valutazione dei fatti, già acquisiti al processo, mentre, nel secondo caso, la sentenza rescindente non limita il potere del giudice di rinvio all'esame dei soli punti indicati, da considerarsi come isolati dal restante materiale probatorio, ma conserva al giudice stesso tutte le facoltà che gli competevano originariamente quale giudice di merito, relative ai poteri di indagine e di valutazione della prova, nell'ambito dello specifico capo della sentenza di annullamento. In quest'ultima ipotesi, poi, il giudice di rinvio, nel rinnovare il giudizio, è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente od implicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, in sede di esame della coerenza del discorso giustificativo, evitando di fondare la decisione sugli stessi elementi del provvedimento annullato, ritenuti illogici, e con necessità, a seconda dei casi, di eliminare le contraddizioni e sopperire al difetti argomentativi riscontrati.
CONSUMATORE
Corte giustizia Unione Europea, Sez. II, 13 settembre 2018
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Avv. Gaetano Riccio Nocera Inferiore - Salerno
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Ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali. Data la natura e l'importanza dell'interesse pubblico sul quale si basa la tutela assicurata ai consumatori, che si trovano in una situazione d'inferiorità rispetto ai professionisti, la direttiva 93/13 impone agli Stati membri, come risulta dal suo articolo 7, paragrafo 1, in combinato disposto con il ventiquattresimo considerando della medesima, di fornire mezzi adeguati ed efficaci "per far cessare l'inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e i consumatori". A tal fine, il giudice nazionale deve semplicemente disapplicare la clausola contrattuale abusiva affinché non produca effetti vincolanti nei confronti del consumatore, senza essere autorizzato a rivedere il contenuto della medesima.
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Avv. Gaetano Riccio Nocera Inferiore - Salerno
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Ai sensi dell'articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali. Data la natura e l'importanza dell'interesse pubblico sul quale si basa la tutela assicurata ai consumatori, che si trovano in una situazione d'inferiorità rispetto ai professionisti, la direttiva 93/13 impone agli Stati membri, come risulta dal suo articolo 7, paragrafo 1, in combinato disposto con il ventiquattresimo considerando della medesima, di fornire mezzi adeguati ed efficaci "per far cessare l'inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e i consumatori". A tal fine, il giudice nazionale deve semplicemente disapplicare la clausola contrattuale abusiva affinché non produca effetti vincolanti nei confronti del consumatore, senza essere autorizzato a rivedere il contenuto della medesima.
PUBBLICATO IL NUOVO ARTICOLO
DELL' AVV. ELIANA LIBROIA
E DELL' AVV. GAETANO RICCIO
Il valore della convivenza dei coniugi nel procedimento di delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio alla luce della più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione
AZIONE DI RESPONSABILITà
CONTRO GLI AMMINISTRATORI DI SOCIETà
Cass. civ., Sez. I, 5 settembre 2018, n. 21662 - pubblicato il 10 settembre 2018
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Studio Legale Riccio Libroia
In tema di prescrizione dell'azione di responsabilità promossa dai creditori sociali, ai sensi dell'art. 2394 c.c., il bilancio costituisce, per la sua specifica funzione, il documento informativo principale sulla situazione della società non solo nei riguardi dei soci, ma anche dei creditori e dei terzi in genere, onde un bilancio in attivo o in pareggio è idoneo ad offrire un'informazione rassicurante ed affidabile. Allorché, poi, nonostante la relazione dei sindaci al bilancio, in cui si evidenzi l'inadeguatezza della valutazione di alcune voci, l'assemblea deliberi comunque la distribuzione degli utili ai soci, ai sensi dell’art. 2433 c.c., senza obiezioni, in quella sede, da parte degli organi sociali di gestione e di controllo, l'idoneità, o no, di detta relazione sindacale ad integrare di per se l'elemento della oggettiva percepibilità per i creditori circa la falsità dei risultati attestati dal bilancio sociale rimane oggetto di un apprezzamento di fatto, riservato ai giudice del merito.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Studio Legale Riccio Libroia
In tema di prescrizione dell'azione di responsabilità promossa dai creditori sociali, ai sensi dell'art. 2394 c.c., il bilancio costituisce, per la sua specifica funzione, il documento informativo principale sulla situazione della società non solo nei riguardi dei soci, ma anche dei creditori e dei terzi in genere, onde un bilancio in attivo o in pareggio è idoneo ad offrire un'informazione rassicurante ed affidabile. Allorché, poi, nonostante la relazione dei sindaci al bilancio, in cui si evidenzi l'inadeguatezza della valutazione di alcune voci, l'assemblea deliberi comunque la distribuzione degli utili ai soci, ai sensi dell’art. 2433 c.c., senza obiezioni, in quella sede, da parte degli organi sociali di gestione e di controllo, l'idoneità, o no, di detta relazione sindacale ad integrare di per se l'elemento della oggettiva percepibilità per i creditori circa la falsità dei risultati attestati dal bilancio sociale rimane oggetto di un apprezzamento di fatto, riservato ai giudice del merito.
IMPOSSIBILITà SOPRAVVENUTA
Cass. civ., Sez. III, 10 luglio 2018, n. 18047 - pubblicato il 16 luglio 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione, con la conseguente possibilità di attivare i rimedi restitutori, ai sensi dell'art. 1463 cod. civ., può essere invocata da entrambe le parti del rapporto obbligatorio sinallagmatico, e cioè sia dalla parte la cui prestazione sia divenuta impossibile sia da quella la cui prestazione sia rimasta possibile. In particolare, l'impossibilità sopravvenuta della prestazione si ha non solo nel caso in cui sia divenuta impossibile l'esecuzione della prestazione del debitore, ma anche nel caso in cui sia divenuta impossibile l'utilizzazione della prestazione della controparte, quando tale impossibilità sia comunque non imputabile al creditore e il suo interesse a riceverla sia venuto meno, verificandosi in tal caso la sopravvenuta irrealizzabilità della finalità essenziale in cui consiste la causa concreta del contratto e la conseguente estinzione dell'obbligazione.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione, con la conseguente possibilità di attivare i rimedi restitutori, ai sensi dell'art. 1463 cod. civ., può essere invocata da entrambe le parti del rapporto obbligatorio sinallagmatico, e cioè sia dalla parte la cui prestazione sia divenuta impossibile sia da quella la cui prestazione sia rimasta possibile. In particolare, l'impossibilità sopravvenuta della prestazione si ha non solo nel caso in cui sia divenuta impossibile l'esecuzione della prestazione del debitore, ma anche nel caso in cui sia divenuta impossibile l'utilizzazione della prestazione della controparte, quando tale impossibilità sia comunque non imputabile al creditore e il suo interesse a riceverla sia venuto meno, verificandosi in tal caso la sopravvenuta irrealizzabilità della finalità essenziale in cui consiste la causa concreta del contratto e la conseguente estinzione dell'obbligazione.
OPPOSIZIONE AL DECRETO DI
LIQUIDAZIONE DEL COMPENSO
Cass. civ., Sez. II, Ord., 6 giugno 2018, n. 14484 - pubblicato l'11 giugno 2018
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Va censurata la pronuncia giudiziale che, decidendo sull'opposizione al decreto di liquidazione del compenso per l'opera di ausiliario prestata dal dottore commercialista nominato custode ed amministratore giudiziario di società sottoposta a sequestro preventivo nell'ambito di un procedimento penale, rigetti la stessa sul rilievo che l'espletata attività di custodia del bene sequestrato sia stata correttamente compensata sulla base degli usi locali, non trovando altrimenti base normativa l'applicazione delle tariffe professionali relative alla qualità di dottore commercialista del custode, esaminando, tuttavia, la questione sotto il profilo dell'affidamento della mera custodia del bene ed omettendo di argomentare anche in merito alla prestata attività di amministrazione, pur espressamente indicata nel provvedimento di nomina.
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Va censurata la pronuncia giudiziale che, decidendo sull'opposizione al decreto di liquidazione del compenso per l'opera di ausiliario prestata dal dottore commercialista nominato custode ed amministratore giudiziario di società sottoposta a sequestro preventivo nell'ambito di un procedimento penale, rigetti la stessa sul rilievo che l'espletata attività di custodia del bene sequestrato sia stata correttamente compensata sulla base degli usi locali, non trovando altrimenti base normativa l'applicazione delle tariffe professionali relative alla qualità di dottore commercialista del custode, esaminando, tuttavia, la questione sotto il profilo dell'affidamento della mera custodia del bene ed omettendo di argomentare anche in merito alla prestata attività di amministrazione, pur espressamente indicata nel provvedimento di nomina.
PERMESSI DI LAVORO
Cass. civ., Sez. VI Lavoro, Ord., 6 giugno 2018, n. 14468 - pubblicato l'11 giugno 2018
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La limitazione della computabilità dei permessi di cui all'art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992, in forza del richiamo operato dal successivo comma 4 all'art. 7, ultimo comma, della legge n. 1024 del 1971, opera soltanto nei casi in cui essi debbano cumularsi effettivamente con il congedo parentale ordinario - che può determinare una significativa sospensione della prestazione lavorativa - e con il congedo per malattia del figlio, per i quali compete un'indennità inferiore alla retribuzione normale (diversamente dall'indennità per i permessi ex lege n. 104 del 1992 commisurata all'intera retribuzione), risultando detta interpretazione idonea ad evitare che l'incidenza sulla retribuzione possa essere di aggravio della situazione del congiunti del portatore di handicap e disincentivare l'utilizzazione del permesso. (Va confermata la sentenza che ha ritenuto illegittima la decurtazione operata dal datore di lavoro dei giorni di permesso fruiti dal prestatore ex art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992 nel computo delle ferie.)
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La limitazione della computabilità dei permessi di cui all'art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992, in forza del richiamo operato dal successivo comma 4 all'art. 7, ultimo comma, della legge n. 1024 del 1971, opera soltanto nei casi in cui essi debbano cumularsi effettivamente con il congedo parentale ordinario - che può determinare una significativa sospensione della prestazione lavorativa - e con il congedo per malattia del figlio, per i quali compete un'indennità inferiore alla retribuzione normale (diversamente dall'indennità per i permessi ex lege n. 104 del 1992 commisurata all'intera retribuzione), risultando detta interpretazione idonea ad evitare che l'incidenza sulla retribuzione possa essere di aggravio della situazione del congiunti del portatore di handicap e disincentivare l'utilizzazione del permesso. (Va confermata la sentenza che ha ritenuto illegittima la decurtazione operata dal datore di lavoro dei giorni di permesso fruiti dal prestatore ex art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992 nel computo delle ferie.)
PERSONALE OSPEDALIERO
Cass. civ., Sez. VI, 29 maggio 2018, n. 13445 - pubblicato il 4 giugno 2018
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Il recepimento delle direttive comunitarie che hanno previsto un'adeguata remunerazione per la frequenza delle scuole di specializzazione (direttive non applicabili direttamente nell'ordinamento interno, in considerazione del loro carattere non dettagliato) è avvenuto con la legge 29 dicembre 1990, n. 428 e con il D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257 (che ha riconosciuto agli specializzandi una borsa di studio pari ad Euro 11.603,52 annui), e non in forza del nuovo ordinamento delle scuole di specializzazione di cui al D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 368. Quest'ultimo decreto, ha riorganizzato l'ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia, istituendo e disciplinando un vero e proprio contratto di formazione (inizialmente denominato "contratto di formazione lavoro" e successivamente "contratto di formazione specialistica") da stipulare, e rinnovare annualmente, tra Università (e Regioni) e medici specializzandi, con un meccanismo di retribuzione articolato in una quota fissa ed una quota variabile, in concreto periodicamente determinate da successivi decreti ministeriali. Tale contratto, non dà luogo ad un rapporto inquadrabile nell'ambito del lavoro subordinato, né è riconducibile alle ipotesi di para-subordinazione, non essendo ravvisabile una relazione sinallagmatica di scambio tra l'attività degli specializzandi e gli emolumenti previsti dalla legge, restando conseguentemente inapplicabili l'art. 36 Cost. ed il principio di adeguatezza della retribuzione ivi contenuto.
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Il recepimento delle direttive comunitarie che hanno previsto un'adeguata remunerazione per la frequenza delle scuole di specializzazione (direttive non applicabili direttamente nell'ordinamento interno, in considerazione del loro carattere non dettagliato) è avvenuto con la legge 29 dicembre 1990, n. 428 e con il D.Lgs. 8 agosto 1991, n. 257 (che ha riconosciuto agli specializzandi una borsa di studio pari ad Euro 11.603,52 annui), e non in forza del nuovo ordinamento delle scuole di specializzazione di cui al D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 368. Quest'ultimo decreto, ha riorganizzato l'ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia, istituendo e disciplinando un vero e proprio contratto di formazione (inizialmente denominato "contratto di formazione lavoro" e successivamente "contratto di formazione specialistica") da stipulare, e rinnovare annualmente, tra Università (e Regioni) e medici specializzandi, con un meccanismo di retribuzione articolato in una quota fissa ed una quota variabile, in concreto periodicamente determinate da successivi decreti ministeriali. Tale contratto, non dà luogo ad un rapporto inquadrabile nell'ambito del lavoro subordinato, né è riconducibile alle ipotesi di para-subordinazione, non essendo ravvisabile una relazione sinallagmatica di scambio tra l'attività degli specializzandi e gli emolumenti previsti dalla legge, restando conseguentemente inapplicabili l'art. 36 Cost. ed il principio di adeguatezza della retribuzione ivi contenuto.
CASE POPOLARI
Cass. civ., Sez. II, 28 maggio 2018, n. 13345 - pubblicato il 30 maggio 2018
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Il vincolo del prezzo massimo di cessione degli alloggi costruiti, ai sensi dell'art. 35 della legge n. 865 del 1971, sulla base di convenzioni per la cessione di aree in diritto di superficie, ovvero per la cessione del diritto di proprietà se stipulate, quest'ultime, precedentemente all'entrata in vigore della legge n. 179 del 1992, qualora non sia intervenuta la convenzione di rimozione, segue il bene, a titolo di onere reale, in tutti i successivi passaggi di proprietà, attesa la "ratio legis" di garantire la casa ai meno abbienti ed impedire operazioni speculative di rivendita; in tal caso, pertanto, la clausola negoziale contenente un prezzo difforme da quello vincolato è affetta da nullità parziale e sostituita di diritto, ex artt. 1419, comma 2, e 1339 c.c., con altra contemplante il prezzo massimo determinato in forza della originaria convenzione di cessione.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Il vincolo del prezzo massimo di cessione degli alloggi costruiti, ai sensi dell'art. 35 della legge n. 865 del 1971, sulla base di convenzioni per la cessione di aree in diritto di superficie, ovvero per la cessione del diritto di proprietà se stipulate, quest'ultime, precedentemente all'entrata in vigore della legge n. 179 del 1992, qualora non sia intervenuta la convenzione di rimozione, segue il bene, a titolo di onere reale, in tutti i successivi passaggi di proprietà, attesa la "ratio legis" di garantire la casa ai meno abbienti ed impedire operazioni speculative di rivendita; in tal caso, pertanto, la clausola negoziale contenente un prezzo difforme da quello vincolato è affetta da nullità parziale e sostituita di diritto, ex artt. 1419, comma 2, e 1339 c.c., con altra contemplante il prezzo massimo determinato in forza della originaria convenzione di cessione.
LICENZIAMENTO
Cass. civ., Sez. lavoro, 2 maggio 2018, n. 10435 - pubblicato il 7 maggio 2018
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Nell'ambito del rapporto di lavoro subordinato, ove il licenziamento sia dichiarato illegittimo ed il datore di lavoro sia condannato al risarcimento dei danni nella misura legale, l'ammontare di tale risarcimento copre tutti i pregiudizi economici conseguenti alla perdita del lavoro e della relativa retribuzione. Ciò non esclude la possibilità per il lavoratore di fornire la prova di ulteriori danni, ivi compreso il danno biologico, che siano conseguenza solo mediata ed indiretta del licenziamento. Questo, infatti, non è in re ipsa ma va dimostrato e, solo ove tale prova sia data dal lavoratore, il giudice può liquidare il danno equitativamente. Il lavoratore deve, pertanto, assolvere l'onere di provare il verificarsi di comportamenti datoriali cui sia da addebitare, in ragione della loro gravità, la lesione del decoro e dell'integrità psicofisica, che devono inoltre essere supportati dall'elemento soggettivo della colpa grave o del dolo dello stesso datore di lavoro.
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Nell'ambito del rapporto di lavoro subordinato, ove il licenziamento sia dichiarato illegittimo ed il datore di lavoro sia condannato al risarcimento dei danni nella misura legale, l'ammontare di tale risarcimento copre tutti i pregiudizi economici conseguenti alla perdita del lavoro e della relativa retribuzione. Ciò non esclude la possibilità per il lavoratore di fornire la prova di ulteriori danni, ivi compreso il danno biologico, che siano conseguenza solo mediata ed indiretta del licenziamento. Questo, infatti, non è in re ipsa ma va dimostrato e, solo ove tale prova sia data dal lavoratore, il giudice può liquidare il danno equitativamente. Il lavoratore deve, pertanto, assolvere l'onere di provare il verificarsi di comportamenti datoriali cui sia da addebitare, in ragione della loro gravità, la lesione del decoro e dell'integrità psicofisica, che devono inoltre essere supportati dall'elemento soggettivo della colpa grave o del dolo dello stesso datore di lavoro.
La riforma delle impugnazioni nel processo penale:
ecco cosa cambia
E' possibile leggere l'articolo scritto dall'Avv. Gaetano Riccio e dall'Avv. Eliana Libroia cliccando sul titolo in rosso.
RESPONSABILITA' PROFESSIONALE DEL SANITARIO
Cass. civ., Sez. III, 27 marzo 2018, n. 7516 - pubblicato il 3 aprile 2018
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
L'informazione dovuta dal medico al paziente circa la natura dell'intervento, i suoi rischi, i possibili benefici ad esso connessi, le possibili alternative terapeutiche, è coessenziale all'esercizio del diritto alla salute, giacché il titolare di questo non potrebbe compiere nessuna scelta consapevole, se non sapesse a quali conseguenze si esporrebbe adottando una terapia piuttosto che un'altra. Ne consegue che se il paziente sa perfettamente qual è l'intervento al quale deve essere sottoposto, nonché quali sono le conseguenze, i rischi e le alternative, un eventuale inadempimento, da parte del medico, dell'obbligo di informarlo è giuridicamente irrilevante, per l'inconcepibilità di un valido nesso di causa tra esso e le conseguenze dannose del vulnus alla libertà di autodeterminazione. Non informare il paziente, infatti, è una condotta colposa che intanto può produrre un danno giuridicamente rilevante, in quanto tale da impedire al paziente di autodeterminarsi in modo libero e consapevole.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
L'informazione dovuta dal medico al paziente circa la natura dell'intervento, i suoi rischi, i possibili benefici ad esso connessi, le possibili alternative terapeutiche, è coessenziale all'esercizio del diritto alla salute, giacché il titolare di questo non potrebbe compiere nessuna scelta consapevole, se non sapesse a quali conseguenze si esporrebbe adottando una terapia piuttosto che un'altra. Ne consegue che se il paziente sa perfettamente qual è l'intervento al quale deve essere sottoposto, nonché quali sono le conseguenze, i rischi e le alternative, un eventuale inadempimento, da parte del medico, dell'obbligo di informarlo è giuridicamente irrilevante, per l'inconcepibilità di un valido nesso di causa tra esso e le conseguenze dannose del vulnus alla libertà di autodeterminazione. Non informare il paziente, infatti, è una condotta colposa che intanto può produrre un danno giuridicamente rilevante, in quanto tale da impedire al paziente di autodeterminarsi in modo libero e consapevole.
OBBLIGAZIONI E CONTRATTI
Cass. civ., Sez. I, Ord., 22 marzo 2018, n. 7139 - pubblicato il 27 marzo 2018
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di società, il socio di una società di persone, ancorché illimitatamente responsabile, può validamente prestare fideiussione in favore della società, giacché questa, pur se sprovvista di personalità giuridica, costituisce un distinto centro di interessi e di imputazione di situazioni sostanziali e processuali, dotato di una propria autonomia e capacità rispetto ai soci stessi; la predetta garanzia rientra, infatti, tra quelle prestate per le obbligazioni altrui secondo l'art. 1936 c.c., non sovrapponendosi alla garanzia fissata "ex lege" dalle disposizioni sulla responsabilità illimitata e solidale, potendo invero sussistere altri interessi che ne giustificano l'ottenimento, alla stregua di garanzia ulteriore, in capo al creditore sociale (quali, ad esempio, l'interesse a che il socio resti obbligato anche dopo la sua uscita dalla società, o quello di potersi avvalere di uno strumento di garanzia autonomo, svincolato tra l'altro dal limite, sia pure destinato ad operare solo in fase di esecuzione, del "beneficium excussionis" di cui all'art. 2304 c.c.). In tale situazione, il socio che sia stato escusso quale fideiussore e, nella qualità, abbia provveduto al pagamento del debito sociale, è legittimato all'esercizio dell'azione di regresso ex art. 1950 c.c. contro la società.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di società, il socio di una società di persone, ancorché illimitatamente responsabile, può validamente prestare fideiussione in favore della società, giacché questa, pur se sprovvista di personalità giuridica, costituisce un distinto centro di interessi e di imputazione di situazioni sostanziali e processuali, dotato di una propria autonomia e capacità rispetto ai soci stessi; la predetta garanzia rientra, infatti, tra quelle prestate per le obbligazioni altrui secondo l'art. 1936 c.c., non sovrapponendosi alla garanzia fissata "ex lege" dalle disposizioni sulla responsabilità illimitata e solidale, potendo invero sussistere altri interessi che ne giustificano l'ottenimento, alla stregua di garanzia ulteriore, in capo al creditore sociale (quali, ad esempio, l'interesse a che il socio resti obbligato anche dopo la sua uscita dalla società, o quello di potersi avvalere di uno strumento di garanzia autonomo, svincolato tra l'altro dal limite, sia pure destinato ad operare solo in fase di esecuzione, del "beneficium excussionis" di cui all'art. 2304 c.c.). In tale situazione, il socio che sia stato escusso quale fideiussore e, nella qualità, abbia provveduto al pagamento del debito sociale, è legittimato all'esercizio dell'azione di regresso ex art. 1950 c.c. contro la società.
LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA
Cass. civ., Sez. lavoro, 20 marzo 2018, n. 6893 - pubblicato il 23 marzo 2018
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera
In merito all'impugnazione del licenziamento per giusta causa, inflitto al lavoratore che durante il periodo di congedo abbia svolto altra attività lavorativa, in violazione del divieto di legge, si rileva che al fine di stabilire in concreto l'esistenza di una giusta causa (che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro ed in particolare di quello fiduciario), occorre valutare, da un lato, la qualità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva del medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all'intensità dell'elemento intenzionale; dall'altro, la proporzionalità di tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell'elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera
In merito all'impugnazione del licenziamento per giusta causa, inflitto al lavoratore che durante il periodo di congedo abbia svolto altra attività lavorativa, in violazione del divieto di legge, si rileva che al fine di stabilire in concreto l'esistenza di una giusta causa (che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro ed in particolare di quello fiduciario), occorre valutare, da un lato, la qualità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva del medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all'intensità dell'elemento intenzionale; dall'altro, la proporzionalità di tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell'elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare.
INFORTUNI SUL LAVORO
Cass. civ., Sez. lavoro, 15 marzo 2018, n. 6410 - pubblicato il 21 marzo 2018
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Il datore di lavoro, quand'anche abbia affidato al dipendente il compito di vigilare sull'osservanza delle norme antinfortunistiche, non è esonerato da responsabilità, fatta eccezione per l'ipotesi limite, di una condotta abnorme ed esorbitante tenuta dal lavoratore. A carico della parte datoriale grava, pertanto, un obbligo contrattuale, del quale va, altresì, evidenziato il carattere "bifronte", ovvero verso lo Stato, responsabile del bene della salute dei lavoratori, indisponibile ex art. 32 Cost., e verso i singoli lavoratori.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Il datore di lavoro, quand'anche abbia affidato al dipendente il compito di vigilare sull'osservanza delle norme antinfortunistiche, non è esonerato da responsabilità, fatta eccezione per l'ipotesi limite, di una condotta abnorme ed esorbitante tenuta dal lavoratore. A carico della parte datoriale grava, pertanto, un obbligo contrattuale, del quale va, altresì, evidenziato il carattere "bifronte", ovvero verso lo Stato, responsabile del bene della salute dei lavoratori, indisponibile ex art. 32 Cost., e verso i singoli lavoratori.
IRAP
Cass. civ., Sez. VI, Ord., 14 marzo 2018, n. 6193 - pubblicato il 19 marzo 2013
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
L'utilizzo, da parte del medico, di due studi professionali, se rigorosamente giustificati da peculiari esigenze di convenzione, non è circostanza che possa far ritenere sussistente l'autonoma organizzazione ove tali studi costituiscano semplicemente due luoghi ove il professionista riceve i suoi pazienti e, quindi, solo uno strumento per il migliore (e più comodo per il pubblico) esercizio dell'attività professionale autonoma. Tuttavia, con l'utilizzo di tre studi propri, il contribuente impiega beni strumentali globalmente eccedenti, secondo l'id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile all'esercizio dell'attività, superando oggettivamente la soglia minima richiesta per l'esonero dalla imposizione fiscale ai fini dell'IRAP.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
L'utilizzo, da parte del medico, di due studi professionali, se rigorosamente giustificati da peculiari esigenze di convenzione, non è circostanza che possa far ritenere sussistente l'autonoma organizzazione ove tali studi costituiscano semplicemente due luoghi ove il professionista riceve i suoi pazienti e, quindi, solo uno strumento per il migliore (e più comodo per il pubblico) esercizio dell'attività professionale autonoma. Tuttavia, con l'utilizzo di tre studi propri, il contribuente impiega beni strumentali globalmente eccedenti, secondo l'id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile all'esercizio dell'attività, superando oggettivamente la soglia minima richiesta per l'esonero dalla imposizione fiscale ai fini dell'IRAP.
CASE POPOLARI ED ECONOMICHE
Cass. civ., Sez. III, 13 marzo 2018, n. 6008 - pubblicato il 19 marzo 2018
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In materia di edilizia residenziale pubblica, ai fini del diritto al subentro nell'assegnazione dell'alloggio non è sufficiente la convivenza con l'originario aspirante assegnatario al momento della morte, ma è altresì necessario essere inclusi nel nucleo familiare denunciato nella domanda. In tal senso, invero, pur configurandosi un diritto soggettivo al subentro da parte dei componenti del nucleo familiare dell'assegnatario, è necessaria la domanda al fine di consentire all'ente l'accertamento dell'esistenza dei presupposti e, quindi, l'apertura del procedimento amministrativo, previsto per il riscontro delle condizioni di riconoscimento del diritto.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In materia di edilizia residenziale pubblica, ai fini del diritto al subentro nell'assegnazione dell'alloggio non è sufficiente la convivenza con l'originario aspirante assegnatario al momento della morte, ma è altresì necessario essere inclusi nel nucleo familiare denunciato nella domanda. In tal senso, invero, pur configurandosi un diritto soggettivo al subentro da parte dei componenti del nucleo familiare dell'assegnatario, è necessaria la domanda al fine di consentire all'ente l'accertamento dell'esistenza dei presupposti e, quindi, l'apertura del procedimento amministrativo, previsto per il riscontro delle condizioni di riconoscimento del diritto.
MANTENIMENTO DEL FIGLIO
Cass. civ., Sez. VI, 5 marzo 2018, n. 5088 - pubblicato 12 marzo 2018
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Clicca qui per modificare. Il genitore, qualora domandi la modifica o la declaratoria di cessazione dell'obbligo di mantenimento, è tenuto a dimostrare tale circostanza, oppure che il mancato svolgimento di un'attività produttiva di reddito dipende da un atteggiamento di inerzia ovvero di rifiuto ingiustificato. Tuttavia, l'onere della prova ben può essere assolto mediante l'allegazione di circostanze di fatto da cui desumere in via presuntiva l'estinzione dell'obbligazione dedotta, tenendo presente che l'avanzare dell'età è un elemento che necessariamente concorre a conformare l'onus probandi, giacché con il raggiungimento di un'età nella quale il percorso formativo e di studi, nella normalità dei casi, è ampiamente concluso e la persona è da tempo inserita nella società, la conditone di persistente mancanza di autosufficienza economico reddituale, in mancanza di ragioni individuali specifiche (di salute, o dovute ad altre peculiari contingente personali, o oggettive quali le difficoltà di reperimento o di conservatone di un'occupazione) costituisce un indicatore forte d'inerzia colpevole (nella specie, la Corte ha ritenuto che andasse meglio valutato il fatto che il figlio, una volta ottenuto il titolo di avvocato, avesse continuato a operare nello studio legale del fratello).
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Clicca qui per modificare. Il genitore, qualora domandi la modifica o la declaratoria di cessazione dell'obbligo di mantenimento, è tenuto a dimostrare tale circostanza, oppure che il mancato svolgimento di un'attività produttiva di reddito dipende da un atteggiamento di inerzia ovvero di rifiuto ingiustificato. Tuttavia, l'onere della prova ben può essere assolto mediante l'allegazione di circostanze di fatto da cui desumere in via presuntiva l'estinzione dell'obbligazione dedotta, tenendo presente che l'avanzare dell'età è un elemento che necessariamente concorre a conformare l'onus probandi, giacché con il raggiungimento di un'età nella quale il percorso formativo e di studi, nella normalità dei casi, è ampiamente concluso e la persona è da tempo inserita nella società, la conditone di persistente mancanza di autosufficienza economico reddituale, in mancanza di ragioni individuali specifiche (di salute, o dovute ad altre peculiari contingente personali, o oggettive quali le difficoltà di reperimento o di conservatone di un'occupazione) costituisce un indicatore forte d'inerzia colpevole (nella specie, la Corte ha ritenuto che andasse meglio valutato il fatto che il figlio, una volta ottenuto il titolo di avvocato, avesse continuato a operare nello studio legale del fratello).
ESECUZIONE PENALE
Cass. pen., Sez. I, 13 febbraio 2018, n. 6990 - pubblicata il 6 marzo 2018
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di esecuzione, la sentenza di condanna passata in giudicato non può essere revocata, ai sensi dell'art. 673 cod. proc. pen., nell'ipotesi in cui, in assenza di innovazione legislativa ovvero di declaratoria di incostituzionalità, si verifichi un mutamento dell'interpretazione giurisprudenziale di una disposizione rimasta invariata, in quanto tale mutamento - anche se sancito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione - non determina alcun effetto abrogativo della disposizione interpretata (Sez. 1, n. 11076 del 15/11/2016 - dep. 08/03/2017, Bibo, Rv. 269759: fattispecie in cui era invocata la rideterminazione "in executivis" della pena, previa esclusione dell'aggravante D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 80, comma 2, in virtù dell'arresto giurisprudenziale relativo ai presupposti applicativi di tale disposizione, rappresentato dalla pronuncia delle Sezioni Unite Penali n. 36258 del 2012).
Inoltre, la Corte Costituzionale con la sentenza n. 230 del 2012 ha tenuto ben distinto il mutamento legislativo dal mutamento di indirizzo giurisprudenziale escludendo la possibilità di estendere il procedimento di revoca del giudicato in executivis ex art. 673 cod. proc. pen. per i casi di abolitio criminis all'ipotesi di overruling favorevole.
Fondato è, invece, la doglianza circa una sentenza di condanna a pena detentiva, in riforma della pronuncia assolutoria di primo grado, su appello della sola parte civile ed in violazione del D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 52. Detto articolo, invero, prevede per i reati attribuiti alla competenza del Giudice di pace solo pene pecuniarie, la pena della permanenza domiciliare e quella del lavoro di pubblica utilità, individuando dei criteri di conversione delle pene della reclusione e dell'arresto già previste per detti reati.
Osserva, invero, questa Corte che, trattandosi di appello per reati di competenza del Giudice di pace, la pena inflitta (della reclusione) appare illegale e che a ogni modo non risulta dagli atti (nè dal provvedimento impugnato, nè dalla sentenza) che si tratti di ipotesi di riforma consentita al Tribunale previo appello della persona offesa che aveva chiesto la citazione a giudizio dell'imputato (che ai sensi del D.Lgs. n. 274 del 2000, artt. 38 e 21 "può proporre impugnazione, anche agli effetti penali, contro la sentenza di proscioglimento del giudice di pace negli stessi casi in cui è ammessa l'impugnazione da parte del pubblico ministero", così rinviando all'art. 36 dello stesso decreto che prevede che "il pubblico ministero può proporre appello contro le sentenze di condanna del giudice di pace che applicano una pena diversa da quella pecuniaria" e che lo stesso "può proporre ricorso per cassazione contro le sentenze del giudice di pace").
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di esecuzione, la sentenza di condanna passata in giudicato non può essere revocata, ai sensi dell'art. 673 cod. proc. pen., nell'ipotesi in cui, in assenza di innovazione legislativa ovvero di declaratoria di incostituzionalità, si verifichi un mutamento dell'interpretazione giurisprudenziale di una disposizione rimasta invariata, in quanto tale mutamento - anche se sancito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione - non determina alcun effetto abrogativo della disposizione interpretata (Sez. 1, n. 11076 del 15/11/2016 - dep. 08/03/2017, Bibo, Rv. 269759: fattispecie in cui era invocata la rideterminazione "in executivis" della pena, previa esclusione dell'aggravante D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 80, comma 2, in virtù dell'arresto giurisprudenziale relativo ai presupposti applicativi di tale disposizione, rappresentato dalla pronuncia delle Sezioni Unite Penali n. 36258 del 2012).
Inoltre, la Corte Costituzionale con la sentenza n. 230 del 2012 ha tenuto ben distinto il mutamento legislativo dal mutamento di indirizzo giurisprudenziale escludendo la possibilità di estendere il procedimento di revoca del giudicato in executivis ex art. 673 cod. proc. pen. per i casi di abolitio criminis all'ipotesi di overruling favorevole.
Fondato è, invece, la doglianza circa una sentenza di condanna a pena detentiva, in riforma della pronuncia assolutoria di primo grado, su appello della sola parte civile ed in violazione del D.Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 52. Detto articolo, invero, prevede per i reati attribuiti alla competenza del Giudice di pace solo pene pecuniarie, la pena della permanenza domiciliare e quella del lavoro di pubblica utilità, individuando dei criteri di conversione delle pene della reclusione e dell'arresto già previste per detti reati.
Osserva, invero, questa Corte che, trattandosi di appello per reati di competenza del Giudice di pace, la pena inflitta (della reclusione) appare illegale e che a ogni modo non risulta dagli atti (nè dal provvedimento impugnato, nè dalla sentenza) che si tratti di ipotesi di riforma consentita al Tribunale previo appello della persona offesa che aveva chiesto la citazione a giudizio dell'imputato (che ai sensi del D.Lgs. n. 274 del 2000, artt. 38 e 21 "può proporre impugnazione, anche agli effetti penali, contro la sentenza di proscioglimento del giudice di pace negli stessi casi in cui è ammessa l'impugnazione da parte del pubblico ministero", così rinviando all'art. 36 dello stesso decreto che prevede che "il pubblico ministero può proporre appello contro le sentenze di condanna del giudice di pace che applicano una pena diversa da quella pecuniaria" e che lo stesso "può proporre ricorso per cassazione contro le sentenze del giudice di pace").
LA DISTINZIONE TRA IL RAPPORTO DI AGENZIA
ED IL RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO
Cass. civ., Sez. lavoro, 1° marzo 2018, n. 4884 - pubblicato il 6 marzo 2018
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
L'elemento distintivo tra il rapporto di agenzia e il rapporto di lavoro subordinato va individuato nella circostanza che il primo ha per oggetto lo svolgimento, in favore del preponente, di un'attività economica esercitata in forma imprenditoriale, con organizzazione di mezzi e assunzione del rischio da parte dell'agente, che si manifesta nell'autonoma scelta dei tempi e dei modi della stessa, pur nel rispetto, ex art. 1746 c.c., delle istruzioni ricevute dal preponente. Costituisce, invece, oggetto del rapporto di lavoro subordinato, la prestazione, in regime di subordinazione, di energie lavorative, il cui risultato rientra esclusivamente nella sfera giuridica dell'imprenditore, che sopporta il rischio dell'attività svolta. Elemento essenziale, e come tale indefettibile, del rapporto di lavoro subordinato, e criterio discretivo rispetto a quello di lavoro autonomo, è dato dalla soggezione personale del prestatore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro; in mancanza, ove tale elemento non sia agevolmente apprezzabile, è possibile fare riferimento, ai fini qualificatori, ad ulteriori elementi, aventi tuttavia carattere sussidiario e funzione meramente indiziaria.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
L'elemento distintivo tra il rapporto di agenzia e il rapporto di lavoro subordinato va individuato nella circostanza che il primo ha per oggetto lo svolgimento, in favore del preponente, di un'attività economica esercitata in forma imprenditoriale, con organizzazione di mezzi e assunzione del rischio da parte dell'agente, che si manifesta nell'autonoma scelta dei tempi e dei modi della stessa, pur nel rispetto, ex art. 1746 c.c., delle istruzioni ricevute dal preponente. Costituisce, invece, oggetto del rapporto di lavoro subordinato, la prestazione, in regime di subordinazione, di energie lavorative, il cui risultato rientra esclusivamente nella sfera giuridica dell'imprenditore, che sopporta il rischio dell'attività svolta. Elemento essenziale, e come tale indefettibile, del rapporto di lavoro subordinato, e criterio discretivo rispetto a quello di lavoro autonomo, è dato dalla soggezione personale del prestatore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro; in mancanza, ove tale elemento non sia agevolmente apprezzabile, è possibile fare riferimento, ai fini qualificatori, ad ulteriori elementi, aventi tuttavia carattere sussidiario e funzione meramente indiziaria.
contratti
Cass. civ., Sez. VI, Ordinanza, 12 febbraio 2018, n. 3307 - pubblicato il 15 febbraio 2018
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In materia di contratti conclusi mediante la sottoscrizione di moduli o formulari predisposti per disciplinare in modo uniforme determinati rapporti (nella specie, utenza telefonica), la clausola con cui si stabilisce una deroga alla competenza territoriale ha natura vessatoria e deve essere, ai sensi dell'art. 1341, comma 2, c.c., approvata espressamente per iscritto. Qualora la medesima risulti scarsamente o per nulla leggibile, sia perché il modello è in fotocopia sia perché i caratteri grafici sono eccessivamente piccoli, il contraente debole può esigere dalla controparte che gli venga fornito un modello contrattuale pienamente leggibile; ma, ove ciò non abbia fatto, non può lamentare in sede giudiziale di non aver rettamente compreso la portata della suddetta clausola derogatoria.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In materia di contratti conclusi mediante la sottoscrizione di moduli o formulari predisposti per disciplinare in modo uniforme determinati rapporti (nella specie, utenza telefonica), la clausola con cui si stabilisce una deroga alla competenza territoriale ha natura vessatoria e deve essere, ai sensi dell'art. 1341, comma 2, c.c., approvata espressamente per iscritto. Qualora la medesima risulti scarsamente o per nulla leggibile, sia perché il modello è in fotocopia sia perché i caratteri grafici sono eccessivamente piccoli, il contraente debole può esigere dalla controparte che gli venga fornito un modello contrattuale pienamente leggibile; ma, ove ciò non abbia fatto, non può lamentare in sede giudiziale di non aver rettamente compreso la portata della suddetta clausola derogatoria.
LEGITTIMITA' DEL CONTRATTO
Cass. civ., Sez. VI, Ordinanza, 5 febbraio 2018, n. 2774 - pubblicato il 6 febbraio 2018
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
Ai fini del riconoscimento della legittimità del contratto a tempo determinato, il rispetto della forma scritta, - prevista ad substantiam, onde insuscettibile di esser provata a mezzo testi - della clausola appositiva del termine presuppone l'avvenuta sottoscrizione del contratto stesso ad opera del lavoratore, ovviamente in momento antecedente o contestuale all'inizio del rapporto. Non è, quindi, sufficiente la consegna al predetto lavoratore del documento sottoscritto dal solo datore, poiché la consegna in questione, seppur seguita dall'espletamento di attività lavorativa, non è suscettibile di esprimere inequivocabilmente una accettazione della durata limitata del rapporto, ma, plausibilmente, la semplice volontà del lavoratore di esser parte di un contratto di lavoro.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
Ai fini del riconoscimento della legittimità del contratto a tempo determinato, il rispetto della forma scritta, - prevista ad substantiam, onde insuscettibile di esser provata a mezzo testi - della clausola appositiva del termine presuppone l'avvenuta sottoscrizione del contratto stesso ad opera del lavoratore, ovviamente in momento antecedente o contestuale all'inizio del rapporto. Non è, quindi, sufficiente la consegna al predetto lavoratore del documento sottoscritto dal solo datore, poiché la consegna in questione, seppur seguita dall'espletamento di attività lavorativa, non è suscettibile di esprimere inequivocabilmente una accettazione della durata limitata del rapporto, ma, plausibilmente, la semplice volontà del lavoratore di esser parte di un contratto di lavoro.
INFORTUNI SUL LAVORO
Cass. civ., Sez. lavoro, Ordinanza, 26 gennaio 2018, n. 2020 - pubblicato il 31 gennaio 2018
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di risarcimento del danno, il creditore che voglia ottenere, oltre il rimborso delle spese sostenute, anche i danni derivanti dalla perdita di chances che, come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, non costituisce una mera aspettativa di fatto ma una entità patrimoniale a sé stante, ha l'onere di provare, anche in via presuntiva o secondo un criterio di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato ed impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta. (Nel caso concreto, in relazione al negato risarcimento del danno patrimoniale subito dal prestatore pe responsabilità del datore di lavoro, non si è attenuta al suesposto principio la corte di merito nella parte in cui ha escluso il nesso causale tra l'infortunio subito dal lavoratore e la perdita delle maggiorazioni legale allo svolgimento del lavoro notturno, sul rilievo che l'infortunio non aveva comportato incompatibilità con l'espletamento del lavoro notturno e che l'organizzazione dell'attività lavorativa costituisce insindacabile prerogativa datoriale).
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di risarcimento del danno, il creditore che voglia ottenere, oltre il rimborso delle spese sostenute, anche i danni derivanti dalla perdita di chances che, come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, non costituisce una mera aspettativa di fatto ma una entità patrimoniale a sé stante, ha l'onere di provare, anche in via presuntiva o secondo un criterio di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato ed impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta. (Nel caso concreto, in relazione al negato risarcimento del danno patrimoniale subito dal prestatore pe responsabilità del datore di lavoro, non si è attenuta al suesposto principio la corte di merito nella parte in cui ha escluso il nesso causale tra l'infortunio subito dal lavoratore e la perdita delle maggiorazioni legale allo svolgimento del lavoro notturno, sul rilievo che l'infortunio non aveva comportato incompatibilità con l'espletamento del lavoro notturno e che l'organizzazione dell'attività lavorativa costituisce insindacabile prerogativa datoriale).
IL DECORO ARCHITETTONICO NEL CONDOMINIO
Cass. civ., Sez. VI, Ordinanza, 18 gennaio 2018, n. 1235 - pubblicato il 24 gennaio 2018
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Ai fini della tutela prevista dall'art. 1120 c.c. in materia di divieto di innovazioni sulle parti comuni dell'edificio condominiale, non occorre che il fabbricato, il cui decoro architettonico sia stato alterato dall'innovazione, abbia un particolare pregio artistico, né rileva che tale decoro sia stato già gravemente ed evidentemente compromesso da precedenti interventi sull'immobile, ma è sufficiente che vengano alterate, in modo visibile e significativo, la particolare struttura e la complessiva armonia che conferiscono al fabbricato una propria specifica identità. La tutela del decoro architettonico, ex art. 1120 c.c. attiene a tutto ciò che nell'edificio è visibile ed apprezzabile dall'esterno, posto che esso si riferisce alle linee essenziali del fabbricato, per cui il proprietario della singola unità immobiliare non può mai, senza autorizzazione del condominio, esercitare un'autonoma facoltà di modificare quelle parti esterne, a prescindere da ogni considerazione sulla proprietà del suolo su cui venga realizzata l'opera innovativa.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Ai fini della tutela prevista dall'art. 1120 c.c. in materia di divieto di innovazioni sulle parti comuni dell'edificio condominiale, non occorre che il fabbricato, il cui decoro architettonico sia stato alterato dall'innovazione, abbia un particolare pregio artistico, né rileva che tale decoro sia stato già gravemente ed evidentemente compromesso da precedenti interventi sull'immobile, ma è sufficiente che vengano alterate, in modo visibile e significativo, la particolare struttura e la complessiva armonia che conferiscono al fabbricato una propria specifica identità. La tutela del decoro architettonico, ex art. 1120 c.c. attiene a tutto ciò che nell'edificio è visibile ed apprezzabile dall'esterno, posto che esso si riferisce alle linee essenziali del fabbricato, per cui il proprietario della singola unità immobiliare non può mai, senza autorizzazione del condominio, esercitare un'autonoma facoltà di modificare quelle parti esterne, a prescindere da ogni considerazione sulla proprietà del suolo su cui venga realizzata l'opera innovativa.
LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA
Cass. civ., Sez. lav., 11 gennaio 2018, n. 509 - pubblicato il 18 gennaio 2018
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia Foro di Nocera Inferiore
Il d.lg. n. 151 del 2001, art. 32, comma 1, lett. b), nel prevedere - in attuazione della legge-delega n. 53 del 2000 - che il lavoratore possa astenersi dal lavoro nei primi otto anni di vita del figlio, percependo dall'ente previdenziale un'indennità commisurata ad una parte della retribuzione, configura un diritto potestativo che il padre -lavoratore può esercitare nei confronti del datore di lavoro, nonché dell'ente tenuto all'erogazione dell'indennità, onde garantire con la propria presenza il soddisfacimento dei bisogni affettivi del bambino e della sua esigenza di un pieno inserimento nella famiglia; pertanto, ove si accerti che il periodo di congedo viene invece utilizzato dal padre per svolgere una diversa attività lavorativa, si configura un abuso per sviamento dalla funzione propria del diritto, idoneo ad essere valutato dal giudice ai fini della sussistenza di una giusta causa di licenziamento, non assumendo rilievo che lo svolgimento di tale attività (nella specie, presso una pizzeria di proprietà della moglie) contribuisca ad una migliore organizzazione della famiglia.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia Foro di Nocera Inferiore
Il d.lg. n. 151 del 2001, art. 32, comma 1, lett. b), nel prevedere - in attuazione della legge-delega n. 53 del 2000 - che il lavoratore possa astenersi dal lavoro nei primi otto anni di vita del figlio, percependo dall'ente previdenziale un'indennità commisurata ad una parte della retribuzione, configura un diritto potestativo che il padre -lavoratore può esercitare nei confronti del datore di lavoro, nonché dell'ente tenuto all'erogazione dell'indennità, onde garantire con la propria presenza il soddisfacimento dei bisogni affettivi del bambino e della sua esigenza di un pieno inserimento nella famiglia; pertanto, ove si accerti che il periodo di congedo viene invece utilizzato dal padre per svolgere una diversa attività lavorativa, si configura un abuso per sviamento dalla funzione propria del diritto, idoneo ad essere valutato dal giudice ai fini della sussistenza di una giusta causa di licenziamento, non assumendo rilievo che lo svolgimento di tale attività (nella specie, presso una pizzeria di proprietà della moglie) contribuisca ad una migliore organizzazione della famiglia.
ASSEGNAZIONE DELLA CASA FAMILIARE
Cass. civ., Sez. I, 15 gennaio 2018, n. 772 - pubblicato il 18 gennaio 2018
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Intervenuto il provvedimento di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario della prole, il terzo successivo acquirente è tenuto, negli stessi limiti di durata nei quali è a lui opponibile il provvedimento stesso, a rispettare il godimento del coniuge del suo dante causa, nello stesso contenuto e nello stesso regime giuridico propri dell'assegnazione, quale vincolo di destinazione collegato all'interesse dei figli. Il terzo successivo acquirente dell'immobile non può opporre, a sostegno della domandi di condanna al rilascio dell'immobile, il solo decesso dell'ex coniuge divorziato, dante causa, poiché il diritto di abitazione, essendo un diritto di godimento sui generis, si estingue soltanto se vengono meno i presupposti che hanno determinato l'assegnazione o a seguito dell'accertamento di circostanze che hanno determinato che legittimano una revoca giudiziale.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Intervenuto il provvedimento di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario della prole, il terzo successivo acquirente è tenuto, negli stessi limiti di durata nei quali è a lui opponibile il provvedimento stesso, a rispettare il godimento del coniuge del suo dante causa, nello stesso contenuto e nello stesso regime giuridico propri dell'assegnazione, quale vincolo di destinazione collegato all'interesse dei figli. Il terzo successivo acquirente dell'immobile non può opporre, a sostegno della domandi di condanna al rilascio dell'immobile, il solo decesso dell'ex coniuge divorziato, dante causa, poiché il diritto di abitazione, essendo un diritto di godimento sui generis, si estingue soltanto se vengono meno i presupposti che hanno determinato l'assegnazione o a seguito dell'accertamento di circostanze che hanno determinato che legittimano una revoca giudiziale.
BLUE WHALE CHALLENGE
Cass. pen., Sez. V, 22 dicembre 2017, n. 57503 - pubblicato il 10 gennaio 2018
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Con l'ordinanza impugnata il Tribunale di Roma, in funzione di giudice del riesame, ha confermato il decreto di sequestro probatorio di un telefono cellulare e di materiale informatico di B.V., indagato per il reato di istigazione al suicidio ed adescamento di minori. La vicenda riguarda i rapporti intrattenuti dall'indagato con una minore nell'ambito della partecipazione di entrambi ad un "gioco" noto con il nome di "Blue Whale Challenge", nell'esecuzione del quale il B. ha inviato alla suddetta minore messaggi telefonici ritenuti integranti i reati in contestazione, tra cui uno in cui le intimava: "manda audio in cui dici ke sei mia schiava e della vita non ti importa niente e me la consegni". (...) Coglie invece nel segno l'obiezione del ricorrente in merito all'inconfigurabilità del delitto di cui all'art. 580 c.p., in riferimento ai fatti descritti dall'ordinanza. La disposizione citata, infatti, punisce l'istigazione al suicidio - e cioè a compiere un fatto che non costituisce reato - a condizione che la stessa venga accolta e il suicidio si verifichi o quantomeno il suicida, fallendo nel suo intento, si procuri una lesione grave o gravissima. L'ambito di tipicità disegnato del legislatore esclude, dunque, non solo la rilevanza penale dell'istigazione in quanto tale - contrariamente a quanto previsto in altre fattispecie, come ad esempio quelle previste dagli artt. 266, 302, 414, 414-bis o 415 c.p. - ma altresì dell'istigazione accolta cui non consegue la realizzazione di alcun tentativo di suicidio ed addirittura di quella seguita dall'esecuzione da parte della vittima del proposito suicida da cui derivino, però, solo delle lesioni lievi o lievissime. La soglia di rilevanza penale individuata dalla legge in corrispondenza della consumazione dell'evento meno grave impone quindi di escludere la punibilità del tentativo, dato che, per l'appunto, non è punibile neppure il più grave fatto dell'istigazione seguita da suicidio mancato da cui deriva una lesione lieve o lievissima. Erroneamente dunque il Tribunale ha ritenuto sussistere il fumus del delitto ipotizzato dal pubblico ministero, posto che il fatto, per come descritto nell'ordinanza, non integra la fattispecie contestata non essendosi verificato quantomeno un tentativo di suicidio con causazione di lesioni gravi o gravissime. Ciò peraltro non è sufficiente a determinare l'invocato annullamento del provvedimento impugnato, in quanto correttamente i giudici del riesame hanno ritenuto la condotta attribuita all'indagato astrattamente riconducibile anche alla fattispecie di adescamento di minorenni di cui all'art. 609 - undecies c.p., qualificazione sulla quale le obiezioni avanzate con il ricorso si rivelano invece generiche e meramente assertive.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Con l'ordinanza impugnata il Tribunale di Roma, in funzione di giudice del riesame, ha confermato il decreto di sequestro probatorio di un telefono cellulare e di materiale informatico di B.V., indagato per il reato di istigazione al suicidio ed adescamento di minori. La vicenda riguarda i rapporti intrattenuti dall'indagato con una minore nell'ambito della partecipazione di entrambi ad un "gioco" noto con il nome di "Blue Whale Challenge", nell'esecuzione del quale il B. ha inviato alla suddetta minore messaggi telefonici ritenuti integranti i reati in contestazione, tra cui uno in cui le intimava: "manda audio in cui dici ke sei mia schiava e della vita non ti importa niente e me la consegni". (...) Coglie invece nel segno l'obiezione del ricorrente in merito all'inconfigurabilità del delitto di cui all'art. 580 c.p., in riferimento ai fatti descritti dall'ordinanza. La disposizione citata, infatti, punisce l'istigazione al suicidio - e cioè a compiere un fatto che non costituisce reato - a condizione che la stessa venga accolta e il suicidio si verifichi o quantomeno il suicida, fallendo nel suo intento, si procuri una lesione grave o gravissima. L'ambito di tipicità disegnato del legislatore esclude, dunque, non solo la rilevanza penale dell'istigazione in quanto tale - contrariamente a quanto previsto in altre fattispecie, come ad esempio quelle previste dagli artt. 266, 302, 414, 414-bis o 415 c.p. - ma altresì dell'istigazione accolta cui non consegue la realizzazione di alcun tentativo di suicidio ed addirittura di quella seguita dall'esecuzione da parte della vittima del proposito suicida da cui derivino, però, solo delle lesioni lievi o lievissime. La soglia di rilevanza penale individuata dalla legge in corrispondenza della consumazione dell'evento meno grave impone quindi di escludere la punibilità del tentativo, dato che, per l'appunto, non è punibile neppure il più grave fatto dell'istigazione seguita da suicidio mancato da cui deriva una lesione lieve o lievissima. Erroneamente dunque il Tribunale ha ritenuto sussistere il fumus del delitto ipotizzato dal pubblico ministero, posto che il fatto, per come descritto nell'ordinanza, non integra la fattispecie contestata non essendosi verificato quantomeno un tentativo di suicidio con causazione di lesioni gravi o gravissime. Ciò peraltro non è sufficiente a determinare l'invocato annullamento del provvedimento impugnato, in quanto correttamente i giudici del riesame hanno ritenuto la condotta attribuita all'indagato astrattamente riconducibile anche alla fattispecie di adescamento di minorenni di cui all'art. 609 - undecies c.p., qualificazione sulla quale le obiezioni avanzate con il ricorso si rivelano invece generiche e meramente assertive.
REVOCA DELLA DONAZIONE
Cass. civ., Sez. II, 5 gennaio 2018, n. 169 - pubblicato il 10 gennaio 2018
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La revocazione della donazione è rimessa ad un'iniziativa del donante ovvero dei suoi eredi ed è assoggettata ad un breve termine di decadenza, palesandosi in tal modo come la perdita di efficacia della donazione sia ricollegata ad una specifica iniziativa individuale e che il ripensamento del donante debba intervenire in un tempo contenuto, laddove a contrario la fattispecie in esame opera di diritto, ed anche laddove il de cuius abbia potuto fruire di un termine anche ampio per procedere alla revoca del precedente testamento ed ad una eventuale nuova manifestazione di volontà (si pensi al caso in cui la sopravvenienza del figlio, successiva alla redazione del testamento, preceda di vari anni la morte del testatore).
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La revocazione della donazione è rimessa ad un'iniziativa del donante ovvero dei suoi eredi ed è assoggettata ad un breve termine di decadenza, palesandosi in tal modo come la perdita di efficacia della donazione sia ricollegata ad una specifica iniziativa individuale e che il ripensamento del donante debba intervenire in un tempo contenuto, laddove a contrario la fattispecie in esame opera di diritto, ed anche laddove il de cuius abbia potuto fruire di un termine anche ampio per procedere alla revoca del precedente testamento ed ad una eventuale nuova manifestazione di volontà (si pensi al caso in cui la sopravvenienza del figlio, successiva alla redazione del testamento, preceda di vari anni la morte del testatore).
ESAME DI ABILITAZIONE ALLA PROFESSIONE FORENSE
Cons. Stato, Sez. IV, 4 gennaio 2018, n. 42 - pubblicato il 9 gennaio 2018
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di esami per l'accesso alla professione di avvocato, il potere di valutazione esercitato dalle commissioni di esame è espressione di ampia e qualificata discrezionalità tecnica, il cui concreto esercizio può essere soggetto al sindacato di legittimità del Giudice Amministrativo solo se viziato da travisamento dei fatti, violazione delle regole di procedura, illogicità manifesta con riferimento ad ipotesi di erroneità o irragionevolezza riscontrabili ab externo e ictu oculi dalla sola lettura degli atti (Legge 31 dicembre 2012, n. 247).
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di esami per l'accesso alla professione di avvocato, il potere di valutazione esercitato dalle commissioni di esame è espressione di ampia e qualificata discrezionalità tecnica, il cui concreto esercizio può essere soggetto al sindacato di legittimità del Giudice Amministrativo solo se viziato da travisamento dei fatti, violazione delle regole di procedura, illogicità manifesta con riferimento ad ipotesi di erroneità o irragionevolezza riscontrabili ab externo e ictu oculi dalla sola lettura degli atti (Legge 31 dicembre 2012, n. 247).
Tribunale della libertà e giudizio di rinvio:
qual è il termine massimo per il deposito della motivazione dell’ordinanza?
Pubblicato l'articolo dell' Avv. Gaetano Riccio e dell' Avv. Eliana Libroia su Omnia Iustitiae. Clicca sul link per leggerlo gratuitamente.
VALUTAZIONE DELLE PROVE
Cass. civ. Sez. lavoro, 22 dicembre 2017, n. 30857 - pubblicato il 4 gennaio 2018
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia Nocera Inferiore - Salerno
In seno al ricorso per Cassazione la violazione dell'art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità non in riferimento all'apprezzamento delle risultanze probatorie operato dal giudice di merito ma solo sotto due profili: qualora il medesimo esercitando il suo potere discrezionale nella scelta e nella valutazione degli elementi probatori ometta di valutare le risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la decisività, salvo escluderne in concreto, motivando sul punto, la rilevanza, ovvero quando egli ponga alla base della decisione fatti che erroneamente ritenga notori o la sua scienza personale. In sostanza con il ricorso per cassazione non si può porre una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115, 116 c.p.c. per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest'ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d'ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece, a valutazione.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia Nocera Inferiore - Salerno
In seno al ricorso per Cassazione la violazione dell'art. 115 c.p.c. può essere dedotta come vizio di legittimità non in riferimento all'apprezzamento delle risultanze probatorie operato dal giudice di merito ma solo sotto due profili: qualora il medesimo esercitando il suo potere discrezionale nella scelta e nella valutazione degli elementi probatori ometta di valutare le risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la decisività, salvo escluderne in concreto, motivando sul punto, la rilevanza, ovvero quando egli ponga alla base della decisione fatti che erroneamente ritenga notori o la sua scienza personale. In sostanza con il ricorso per cassazione non si può porre una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115, 116 c.p.c. per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest'ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d'ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece, a valutazione.
CONDOTTA ANTISINDACALE
Cass. civ., Sez. Lavoro, 19 dicembre 2017, n. 30422 - pubblicato il 22 dicembre 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Al fine di integrare gli estremi della condotta antisindacale di cui all'art. 28 della legge n. 300 del 1970 (Statuto dei Lavoratori), è sufficiente che tale comportamento leda oggettivamente gli interessi collettivi di cui sono portatrici le organizzazioni sindacali, non essendo necessario (ma neppure sufficiente) uno specifico intento lesivo da parte del datore di lavoro né nel caso di condotte tipizzate perché consistenti nell'illegittimo diniego di prerogative sindacali (quali il diritto di assemblea, il diritto delle rappresentanze sindacali aziendali a locali idonei allo svolgimento delle loro funzioni, il diritto ai permessi sindacali), né nel caso di condotte non tipizzate ed in astratto lecite, ma in concreto oggettivamente idonee, nel risultato, a limitare la libertà sindacale. Ne deriva che ciò che il giudice deve accertare è l'obiettiva idoneità della condotta denunciata a produrre l'effetto che la disposizione citata intende impedire, ossia la lesione della libertà sindacale e del diritto di sciopero.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Al fine di integrare gli estremi della condotta antisindacale di cui all'art. 28 della legge n. 300 del 1970 (Statuto dei Lavoratori), è sufficiente che tale comportamento leda oggettivamente gli interessi collettivi di cui sono portatrici le organizzazioni sindacali, non essendo necessario (ma neppure sufficiente) uno specifico intento lesivo da parte del datore di lavoro né nel caso di condotte tipizzate perché consistenti nell'illegittimo diniego di prerogative sindacali (quali il diritto di assemblea, il diritto delle rappresentanze sindacali aziendali a locali idonei allo svolgimento delle loro funzioni, il diritto ai permessi sindacali), né nel caso di condotte non tipizzate ed in astratto lecite, ma in concreto oggettivamente idonee, nel risultato, a limitare la libertà sindacale. Ne deriva che ciò che il giudice deve accertare è l'obiettiva idoneità della condotta denunciata a produrre l'effetto che la disposizione citata intende impedire, ossia la lesione della libertà sindacale e del diritto di sciopero.
SUCCESSIONE TESTAMENTARIA
Cass. civ., Sez. VI, Ordinanza, 19 dicembre 2017, n. 30485 - pubblicato il 22 dicembre 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
L'incapacità naturale del testatore postula l'esistenza non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del de cuius, bensì la prova che, a cagione di una infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo in modo assoluto, al momento della redazione dell'atto, della coscienza dei propri atti o della capacità di autodeterminarsi. Peraltro, poiché lo stato di capacità costituisce la regola e quello di incapacità l'eccezione, spetta a colui che impugna il testamento dimostrare la dedotta incapacità, salvo che il testatore non risulti affetto da incapacità totale e permanente, nel qual caso grava, invece, su chi voglia avvalersene provarne la corrispondente redazione in un momento di lucido intervallo. (Nel caso concreto il giudice di merito, con motivazione frutto di logica e coerente argomentazione, ha ritenuto che la de cuius, ancorché affetta da alcune patologie, anche suscettibili di incidere sulle sue capacità psichiche, aveva conservato una capacità autodeterminarsi, o meglio che non vi era fosse del tutto priva, ed in maniera permanente, della capacita di intendere e di volere.)
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
L'incapacità naturale del testatore postula l'esistenza non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del de cuius, bensì la prova che, a cagione di una infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo in modo assoluto, al momento della redazione dell'atto, della coscienza dei propri atti o della capacità di autodeterminarsi. Peraltro, poiché lo stato di capacità costituisce la regola e quello di incapacità l'eccezione, spetta a colui che impugna il testamento dimostrare la dedotta incapacità, salvo che il testatore non risulti affetto da incapacità totale e permanente, nel qual caso grava, invece, su chi voglia avvalersene provarne la corrispondente redazione in un momento di lucido intervallo. (Nel caso concreto il giudice di merito, con motivazione frutto di logica e coerente argomentazione, ha ritenuto che la de cuius, ancorché affetta da alcune patologie, anche suscettibili di incidere sulle sue capacità psichiche, aveva conservato una capacità autodeterminarsi, o meglio che non vi era fosse del tutto priva, ed in maniera permanente, della capacita di intendere e di volere.)
FILIAZIONE
Corte cost., 18 dicembre 2017, n. 272 - pubblicato il 22 dicembre 2017
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia Foro di Nocera Inferiore
Il favor veritatis non costituisce un valore di rilevanza costituzionale assoluta da affermarsi comunque, atteso che l'art. 30 Cost. non ha attribuito un valore indefettibilmente preminente alla verità biologica rispetto a quella legale. Nel disporre, al quarto comma, che "la legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità", l'art. 30 Cost. ha demandato al legislatore ordinario il potere di privilegiare, nel rispetto degli altri valori di rango costituzionale, la paternità legale rispetto a quella naturale, nonché di fissare le condizioni e le modalità per far valere quest'ultima, così affidandogli anche la valutazione in via generale della soluzione più idonea per la realizzazione dell'interesse del figlio.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia Foro di Nocera Inferiore
Il favor veritatis non costituisce un valore di rilevanza costituzionale assoluta da affermarsi comunque, atteso che l'art. 30 Cost. non ha attribuito un valore indefettibilmente preminente alla verità biologica rispetto a quella legale. Nel disporre, al quarto comma, che "la legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità", l'art. 30 Cost. ha demandato al legislatore ordinario il potere di privilegiare, nel rispetto degli altri valori di rango costituzionale, la paternità legale rispetto a quella naturale, nonché di fissare le condizioni e le modalità per far valere quest'ultima, così affidandogli anche la valutazione in via generale della soluzione più idonea per la realizzazione dell'interesse del figlio.
FURTO TENTATO
Cass. pen., Sez. V, Sent., 1° dicembre 2017, n. 54311 - pubblicato il 16 dicembre 2017
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia - Foro di Nocera Inferiore
La sentenza impugnata riconosce espressamente la correttezza delle affermazioni della difesa dell'imputato, proposte con l'atto di appello, secondo il quale l'intera azione criminosa del S., volta ad impossessarsi delle bottiglie di champagne, era stata controllata e monitorata dall'addetto alla vigilanza del supermercato, R.V., che era intervenuto solo dopo che l'imputato aveva superato la barriera delle casse e dei dispositivi antitaccheggio, senza pagare la merce, prelevata dagli scaffali e occultata in una borsa.
La Corte territoriale, richiamando orientamenti giurisprudenziali superati, assume che la consumazione del delitto di furto si realizza nel momento in cui l'agente supera le casse senza dichiarare il prelievo della merce al fine di non pagarla.
Al contrario, secondo le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 52117 del 17/07/2014, Pg in proc. Prevete e altro, Rv. 261186, pronuncia, per vero, di poco successiva alla decisione impugnata), al cui insegnamento questo Collegio intende prestar continuità, nel caso di furto commesso in un supermercato, ai fini della qualificazione della condotta illecita come tentativo e non come reato consumato, non rileva il fatto che il soggetto che ha sottratto la merce dai banchi di vendita abbia oltrepassato o meno le casse. Anzi, nel caso di specie esaminato dalle Sezioni Unite il Tribunale aveva accertato "che i giudicabili, entrambi confessi, avevano prelevato dai banchi di esposizione del supermercato tre flaconi di profumo, caffè e biscotti; avevano lacerato le confezioni, rimuovendo la placchette antitaccheggio; avevano occultato la refurtiva, calandola dentro una borsa e sotto gli indumenti; avevano, quindi, superato la cassa, senza pagare la merce nascosta, ma esibendo altro prodotto (regolarmente pagato); ed erano usciti dal centro commerciale. All'esterno del fabbricato l'addetto alla sicurezza....., il quale si era avveduto in precedenza della azione furtiva, era al fine intervenuto, promovendo l'intervento della polizia giudiziaria che aveva tratto in arresto i due imputati".
In relazione a questa ipotesi, molto specifica e pressochè analoga al caso in esame, le S.U. hanno qualificato la condotta come tentativo di furto, in quanto "il monitoraggio dell'azione furtiva in essere, esercitato mediante appositi apparati di rilevazione automatica del movimento della merce ovvero attraverso la diretta osservazione da parte della persona offesa o dei dipendenti addetti alla sorveglianza, ovvero delle forze dell'ordine presenti nel locale ed il conseguente intervento difensivo in continenti, impediscono la consumazione del delitto di furto che resta allo stadio del tentativo, non avendo l'agente conseguito, neppure momentaneamente, l'autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza del soggetto passivo".
Non può parlarsi correttamente quindi di furto consumato quando la cosa mobile non è uscita definitivamente dalla sfera di vigilanza del soggetto passivo.
Non ha pregio, d'altra parte, l'ulteriore argomento addotto nella sentenza impugnata, secondo il quale, prima del passaggio alle casse, il sorvegliante, che pure aveva tenuto d'occhio l'intera azione del cliente, non avrebbe potuto intervenire, non avendo la piena e certa consapevolezza dell'impossessamento da parte dell'agente. A parte il fatto che la preordinazione criminosa dell'azione nella fattispecie era rivelata anche dall'avvenuta rimozione delle placche antitaccheggio, non sussiste alcun ostacolo giuridico che impedisca al personale di sorveglianza di intervenire a fronte di comportamenti scorretti della clientela (occultamento di merce e rimozione di dispositivi antitaccheggio), quand'anche si possa sostenere che essi non assurgono al livello di inequivoca idoneità che caratterizza il tentativo.
Ai sensi dell'art. 620 c.p.p., comma 1, come modificato dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, la Corte, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ritiene di poter rideterminare la pena sulla base delle statuizioni del giudice di merito e reputa conseguentemente superfluo il rinvio.
La pena per il furto tentato qui configurato nella condotta del S., così come accertata e descritta dal giudice di merito, può essere così rideterminata, riducendo di due terzi la pena irrogata dal Tribunale di Roma e confermata dalla Corte di appello di Roma, in mesi 1 e giorni 10 di reclusione ed in Euro 66,00 di multa.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia - Foro di Nocera Inferiore
La sentenza impugnata riconosce espressamente la correttezza delle affermazioni della difesa dell'imputato, proposte con l'atto di appello, secondo il quale l'intera azione criminosa del S., volta ad impossessarsi delle bottiglie di champagne, era stata controllata e monitorata dall'addetto alla vigilanza del supermercato, R.V., che era intervenuto solo dopo che l'imputato aveva superato la barriera delle casse e dei dispositivi antitaccheggio, senza pagare la merce, prelevata dagli scaffali e occultata in una borsa.
La Corte territoriale, richiamando orientamenti giurisprudenziali superati, assume che la consumazione del delitto di furto si realizza nel momento in cui l'agente supera le casse senza dichiarare il prelievo della merce al fine di non pagarla.
Al contrario, secondo le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 52117 del 17/07/2014, Pg in proc. Prevete e altro, Rv. 261186, pronuncia, per vero, di poco successiva alla decisione impugnata), al cui insegnamento questo Collegio intende prestar continuità, nel caso di furto commesso in un supermercato, ai fini della qualificazione della condotta illecita come tentativo e non come reato consumato, non rileva il fatto che il soggetto che ha sottratto la merce dai banchi di vendita abbia oltrepassato o meno le casse. Anzi, nel caso di specie esaminato dalle Sezioni Unite il Tribunale aveva accertato "che i giudicabili, entrambi confessi, avevano prelevato dai banchi di esposizione del supermercato tre flaconi di profumo, caffè e biscotti; avevano lacerato le confezioni, rimuovendo la placchette antitaccheggio; avevano occultato la refurtiva, calandola dentro una borsa e sotto gli indumenti; avevano, quindi, superato la cassa, senza pagare la merce nascosta, ma esibendo altro prodotto (regolarmente pagato); ed erano usciti dal centro commerciale. All'esterno del fabbricato l'addetto alla sicurezza....., il quale si era avveduto in precedenza della azione furtiva, era al fine intervenuto, promovendo l'intervento della polizia giudiziaria che aveva tratto in arresto i due imputati".
In relazione a questa ipotesi, molto specifica e pressochè analoga al caso in esame, le S.U. hanno qualificato la condotta come tentativo di furto, in quanto "il monitoraggio dell'azione furtiva in essere, esercitato mediante appositi apparati di rilevazione automatica del movimento della merce ovvero attraverso la diretta osservazione da parte della persona offesa o dei dipendenti addetti alla sorveglianza, ovvero delle forze dell'ordine presenti nel locale ed il conseguente intervento difensivo in continenti, impediscono la consumazione del delitto di furto che resta allo stadio del tentativo, non avendo l'agente conseguito, neppure momentaneamente, l'autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza del soggetto passivo".
Non può parlarsi correttamente quindi di furto consumato quando la cosa mobile non è uscita definitivamente dalla sfera di vigilanza del soggetto passivo.
Non ha pregio, d'altra parte, l'ulteriore argomento addotto nella sentenza impugnata, secondo il quale, prima del passaggio alle casse, il sorvegliante, che pure aveva tenuto d'occhio l'intera azione del cliente, non avrebbe potuto intervenire, non avendo la piena e certa consapevolezza dell'impossessamento da parte dell'agente. A parte il fatto che la preordinazione criminosa dell'azione nella fattispecie era rivelata anche dall'avvenuta rimozione delle placche antitaccheggio, non sussiste alcun ostacolo giuridico che impedisca al personale di sorveglianza di intervenire a fronte di comportamenti scorretti della clientela (occultamento di merce e rimozione di dispositivi antitaccheggio), quand'anche si possa sostenere che essi non assurgono al livello di inequivoca idoneità che caratterizza il tentativo.
Ai sensi dell'art. 620 c.p.p., comma 1, come modificato dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, la Corte, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, ritiene di poter rideterminare la pena sulla base delle statuizioni del giudice di merito e reputa conseguentemente superfluo il rinvio.
La pena per il furto tentato qui configurato nella condotta del S., così come accertata e descritta dal giudice di merito, può essere così rideterminata, riducendo di due terzi la pena irrogata dal Tribunale di Roma e confermata dalla Corte di appello di Roma, in mesi 1 e giorni 10 di reclusione ed in Euro 66,00 di multa.
INFORTUNI SUL LAVORO
Cass. civ., Sez. lavoro, 11 dicembre 2017, n. 29582 - pubblicato il 16 dicembre 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di sicurezza sul lavoro, con riferimento ai lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto o di prestazione d'opera, il dovere di sicurezza è riferibile, oltre che al datore di lavoro (di regola l'appaltatore, destinatario delle disposizioni antinfortunistiche), anche al committente, con conseguente possibilità, in caso di infortunio, di intrecci di responsabilità, coinvolgenti anche il committente medesimo. Tuttavia, va esclusa una applicazione automatica di tale principio, non potendo esigersi dal committente un controllo pressante, continuo e capillare sull’organizzazione e sull'andamento dei lavori. In questa prospettiva, per fondare la responsabilità del committente, non si deve prescindere da un attento esame della situazione fattuale, al fine di verificare quale sia stata, in concreto, l'effettiva incidenza della condotta del committente nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori ovvero per lo svolgimento del servizio. A tal fine, vanno considerati: la specificità dei lavori da eseguire e le caratteristiche del servizio da svolgersi; i criteri seguiti dal committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera; l'ingerenza del committente stesso nell'esecuzione dei lavori oggetto dell'appalto o del contratto di prestazione d'opera; la percepibilità agevole ed immediata da parte del committente di eventuali situazioni di pericolo.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di sicurezza sul lavoro, con riferimento ai lavori svolti in esecuzione di un contratto di appalto o di prestazione d'opera, il dovere di sicurezza è riferibile, oltre che al datore di lavoro (di regola l'appaltatore, destinatario delle disposizioni antinfortunistiche), anche al committente, con conseguente possibilità, in caso di infortunio, di intrecci di responsabilità, coinvolgenti anche il committente medesimo. Tuttavia, va esclusa una applicazione automatica di tale principio, non potendo esigersi dal committente un controllo pressante, continuo e capillare sull’organizzazione e sull'andamento dei lavori. In questa prospettiva, per fondare la responsabilità del committente, non si deve prescindere da un attento esame della situazione fattuale, al fine di verificare quale sia stata, in concreto, l'effettiva incidenza della condotta del committente nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori ovvero per lo svolgimento del servizio. A tal fine, vanno considerati: la specificità dei lavori da eseguire e le caratteristiche del servizio da svolgersi; i criteri seguiti dal committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera; l'ingerenza del committente stesso nell'esecuzione dei lavori oggetto dell'appalto o del contratto di prestazione d'opera; la percepibilità agevole ed immediata da parte del committente di eventuali situazioni di pericolo.
CONTO CORRENTE
Cass. civ., Sez. VI, Ordinanza, 4 dicembre 2017, n. 28945 - pubblicato il 7 dicembre 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Il correntista che agisce in giudizio per la restituzione di quanto indebitamente riscosso dalla banca ha l'onere di dimostrare, nella sua precisa entità, l'appostazione in conto di somme non dovute, successivamente oggetto di riscossione da parte dell'istituto di credito. In virtù dell'anzidetto principio, infatti, il correntista, ove non provveda a produrre gli estratti conto dall'inizio del rapporto, dando così integrale dimostrazione degli addebiti e delle rimesse che siano stati operati, non può pretendere l'azzeramento del saldo debitorio documentato dal primo degli estratti conto utilizzabili per la ricostruzione del rapporto di dare ed avere tra le parti, dovendo l'accertamento giudiziale prendere le mosse proprio da tale evidenza contabile.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Il correntista che agisce in giudizio per la restituzione di quanto indebitamente riscosso dalla banca ha l'onere di dimostrare, nella sua precisa entità, l'appostazione in conto di somme non dovute, successivamente oggetto di riscossione da parte dell'istituto di credito. In virtù dell'anzidetto principio, infatti, il correntista, ove non provveda a produrre gli estratti conto dall'inizio del rapporto, dando così integrale dimostrazione degli addebiti e delle rimesse che siano stati operati, non può pretendere l'azzeramento del saldo debitorio documentato dal primo degli estratti conto utilizzabili per la ricostruzione del rapporto di dare ed avere tra le parti, dovendo l'accertamento giudiziale prendere le mosse proprio da tale evidenza contabile.
CATASTO
Cass. civ., Sez. VI, Ordinanza, 4 dicembre 2017, n. 28933 - pubblicato il 7 dicembre 2017
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In tema di classamento di immobili, qualora l'attribuzione della rendita catastale avvenga a seguito della procedura disciplinata dall'art. 2, D.L. n. 16 del 1993, e dal D.M. n. 701 del 1994 (cosiddetta procedura DOCFA), l'obbligo di motivazione dell'avviso di classamento è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita solo se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall'Ufficio e la eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni classati; in caso contrario, la motivazione dovrà essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente sia per delimitare l'oggetto dell'eventuale contenzioso.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In tema di classamento di immobili, qualora l'attribuzione della rendita catastale avvenga a seguito della procedura disciplinata dall'art. 2, D.L. n. 16 del 1993, e dal D.M. n. 701 del 1994 (cosiddetta procedura DOCFA), l'obbligo di motivazione dell'avviso di classamento è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita solo se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall'Ufficio e la eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni classati; in caso contrario, la motivazione dovrà essere più approfondita e specificare le differenze riscontrate sia per consentire il pieno esercizio del diritto di difesa del contribuente sia per delimitare l'oggetto dell'eventuale contenzioso.
CONTRATTI BANCARI
Cass. civ., Sez. I, 22 novembre 2017, n. 27836 - pubblicato il 28 novembre 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In materia di disciplina della forma dei contratti bancari, l'art. 3, comma 3, della legge n. 154 del 1992 e, successivamente, l'art. 117, comma 2, del T.U.L.B. (D.Lgs. n. 385 del 1993), abilita la Banca d'Italia, su conforme delibera del CICR, a stabilire che "particolari contratti" possano essere stipulati in forma diversa da quella scritta, sicché quanto da queste Autorità stabilito circa la non necessità della forma scritta "in esecuzione di previsioni contenute in contratti redatti per iscritto" deve essere inteso nel senso che l'intento di agevolare "particolari modalità della contrattazione" non comporta, in un'equilibrata visione degli interessi in campo, una "radicale" soppressione della forma scritta, ma solo una relativa attenuazione della stessa che, in particolare, salvaguardi la necessaria indicazione, nel "contratto madre", delle condizioni economiche a cui sarà assoggettato il "contratto figlio".
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In materia di disciplina della forma dei contratti bancari, l'art. 3, comma 3, della legge n. 154 del 1992 e, successivamente, l'art. 117, comma 2, del T.U.L.B. (D.Lgs. n. 385 del 1993), abilita la Banca d'Italia, su conforme delibera del CICR, a stabilire che "particolari contratti" possano essere stipulati in forma diversa da quella scritta, sicché quanto da queste Autorità stabilito circa la non necessità della forma scritta "in esecuzione di previsioni contenute in contratti redatti per iscritto" deve essere inteso nel senso che l'intento di agevolare "particolari modalità della contrattazione" non comporta, in un'equilibrata visione degli interessi in campo, una "radicale" soppressione della forma scritta, ma solo una relativa attenuazione della stessa che, in particolare, salvaguardi la necessaria indicazione, nel "contratto madre", delle condizioni economiche a cui sarà assoggettato il "contratto figlio".
LOCAZIONI
Cass. civ., Sez. VI, Ordinanza, 10 novembre 2017, n. 26670 - pubblicato il 16 novembre 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
L'erede non convivente del conduttore di immobile adibito ad abitazione non gli succede nella detenzione qualificata e, poiché il titolo si estingue con la morte del titolare del rapporto (analogamente al caso di morte del titolare dei diritti di usufrutto, uso o abitazione), quegli è un detentore precario della "res locata" al "de cuius", sì che nei suoi confronti sono esperibili le azioni di rilascio per occupazione senza titolo e di responsabilità extracontrattuale.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
L'erede non convivente del conduttore di immobile adibito ad abitazione non gli succede nella detenzione qualificata e, poiché il titolo si estingue con la morte del titolare del rapporto (analogamente al caso di morte del titolare dei diritti di usufrutto, uso o abitazione), quegli è un detentore precario della "res locata" al "de cuius", sì che nei suoi confronti sono esperibili le azioni di rilascio per occupazione senza titolo e di responsabilità extracontrattuale.
PROVA PER PRESUNZIONI
Cass. civ., Sez. I, Ordinanza, 2 novembre 2017, n. 26061 - pubblicato il 7 novembre 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di prova per presunzioni, il procedimento che occorre necessariamente seguire ai fini della valutazione degli indizi si articola in un duplice apprezzamento costituito in primo luogo dalla valutazione analitica di ciascuno degli elementi indiziari, ai fini dell'eliminazione di quelli intrinsecamente privi di rilevanza e della conservazione di quelli che, presi singolarmente, rivestono i caratteri della precisione e della gravità, ossia presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria. Successivamente, occorre invece, procedere ad una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati, al fine di accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni indizi.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di prova per presunzioni, il procedimento che occorre necessariamente seguire ai fini della valutazione degli indizi si articola in un duplice apprezzamento costituito in primo luogo dalla valutazione analitica di ciascuno degli elementi indiziari, ai fini dell'eliminazione di quelli intrinsecamente privi di rilevanza e della conservazione di quelli che, presi singolarmente, rivestono i caratteri della precisione e della gravità, ossia presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria. Successivamente, occorre invece, procedere ad una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati, al fine di accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni indizi.
L'INTERVENTO SOSTITUTIVO DEL SINGOLO CONDOMINO
Cass. civ., Sez. II, 30 ottobre 2017, n. 25729 - pubblicato il 3 novembre 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di condominio, l'intervento sostitutivo del singolo condomino è ammesso nei casi in cui, in presenza di un'esigenza che richiede un urgente intervento, non dilazionabile nel tempo, non appaia ragionevolmente prevedibile investire dell'attività l'amministratore, senza porre in concreto pericolo il bene condominiale. Per contro, ove il condominio versi in una situazione di stasi patologica, cioè in una inerzia operativa stabilizzata, non è consentito al singolo condomino sostituirsi, salvo i suddetti casi urgenti, agli organi condominiali in via generalizzata.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di condominio, l'intervento sostitutivo del singolo condomino è ammesso nei casi in cui, in presenza di un'esigenza che richiede un urgente intervento, non dilazionabile nel tempo, non appaia ragionevolmente prevedibile investire dell'attività l'amministratore, senza porre in concreto pericolo il bene condominiale. Per contro, ove il condominio versi in una situazione di stasi patologica, cioè in una inerzia operativa stabilizzata, non è consentito al singolo condomino sostituirsi, salvo i suddetti casi urgenti, agli organi condominiali in via generalizzata.
SE LA MOGLIE E' ANZIANA E NON PUO' PIU' LAVORARE HA DIRITTO ALL' ASSEGNO DI DIVORZIO
Cass. civ., Sez. I, 19 ottobre 2017, n. 24805 - pubblicato il 30 ottobre 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
(...)
7. Con il primo motivo di ricorso la M. si duole del mancato accoglimento delle istanze probatorie intese a dimostrare l'esatto tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio, la sua posizione lavorativa nel corso del matrimonio, le circostanze che le impediscono di procurarsi mezzi economici adeguati, le attuali condizioni reddituali e patrimoniali del T.. La ricorrente ritiene che la mancata trascrizione delle conclusioni si sia tradotta in omesso esame di tali richieste istruttorie e in difetto di motivazione su punti rilevanti della controversia.
8. Il motivo è infondato perchè sovrappone una asserzione di mancato esame delle richieste istruttorie alla rilevata mancata trascrizione delle conclusioni nella sentenza di primo grado che i giudici dell'appello hanno considerato irrilevante per la constatata pronuncia del giudice di prima istanza sull'intero spettro delle domande proposte dalle parti.
9. Con il secondo motivo la ricorrente rileva che ha errato la Corte di appello laddove ha negato rilevanza alla violazione dell'art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 ritenendo che il giudice dell'appello deve comunque decidere anche in presenza di un tale vizio comportante la nullità. Ritiene infatti la ricorrente che in tal modo è stato violato il principio dell'assorbimento delle nullità in motivi di gravame secondo una linea interpretativa non condivisibile che impedisce il rilievo di tutte le nullità ad eccezione di quelle previste dall'art. 354.
10. Anche questo motivo deve ritenersi infondato perchè la decisione si base sul rilievo della inesistenza della pretesa nullità e solo in via meramente argomentativa ad abundantiam sull'eventuale obbligo di motivazione nel merito da parte del giudice di appello qualora fosse stata riscontrata l'ipotesi della violazione dell'art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4.
11. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta che la mancata ammissione dei mezzi di prova richiesti ha comportato una compressione del suo diritto di difesa e una omessa valutazione su fatti rilevanti e decisivi ai fini della quantificazione dell'assegno divorzile.
12. Con il quarto motivo la ricorrente censura la motivazione in quanto acriticamente recettiva delle conclusioni della C.T.U. 13. Con il quinto motivo di ricorso la M. censura la mancata ammissione dei capitoli di prova relativi alle nuove occupazioni lavorative del T.
14. I tre motivi che possono essere esaminati congiuntamente per la loro evidente connessione sono inammissibili perchè intesi sostanzialmente a una riedizione del giudizio di merito e comunque infondati perchè la Corte di appello è pervenuta alla sua decisione che presuppone l'inadeguatezza dei mezzi economici a disposizione della M. prendendo in considerazione la assenza di reddito della M., la sua condizione di sostanziale preclusione al mercato del lavoro, la relativa modestia del capitale disponibile per effetto dello scioglimento delle situazioni comproprietarie con il marito, la durata del matrimonio e l'apporto garantito nel suo corso non solo alla vita familiare e alla crescita dei figli ma anche alla attività economica del marito.
15. Con il primo motivo di ricorso incidentale il T. lamenta l'erronea rappresentazione della situazione economica delle parti.
16. Con il secondo motivo censura l'acritico recepimento delle conclusioni del C.T.U.
17. Con il terzo motivo censura la quantificazione operata dal C.T.U. dì redditi diversi che sono stati attribuiti alle parti.
18. Anche questi motivi possono essere esaminati congiuntamente e, oltre ad essere in gran parte inammissibili per la loro strumentalità a una riedizione del giudizio di merito, sono infondati nel loro nucleo centrale che si caratterizza per la censura di acritico recepimento della C.T.U. Censura da ritenersi infondata perchè la Corte di appello ha tratto da essa l'accertamento e la definizione di fatti che sostanzialmente le parti non contestano e che hanno portato i giudici dell'appello a ritenere con un giudizio sufficientemente e logicamente motivato che la M. dopo un matrimonio durato 35 anni (dalla sua celebrazione del (OMISSIS) alla separazione consensuale del (OMISSIS)) e dichiarato sciolto definitivamente, con la sentenza di divorzio del (OMISSIS), non è in possesso di mezzi adeguati ad affrontare la propria vita di donna ormai settantunenne e priva di redditi lavorativi. Quanto alla compatibilità dell'ammontare dell'assegno con le capacità economiche del T. la Corte di appello si è basata sull'accertamento peritale con una motivazione che non appare sindacabile in questa sede.
19. Entrambi i ricorsi vanno pertanto respinti con compensazione delle spese del giudizio.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
(...)
7. Con il primo motivo di ricorso la M. si duole del mancato accoglimento delle istanze probatorie intese a dimostrare l'esatto tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio, la sua posizione lavorativa nel corso del matrimonio, le circostanze che le impediscono di procurarsi mezzi economici adeguati, le attuali condizioni reddituali e patrimoniali del T.. La ricorrente ritiene che la mancata trascrizione delle conclusioni si sia tradotta in omesso esame di tali richieste istruttorie e in difetto di motivazione su punti rilevanti della controversia.
8. Il motivo è infondato perchè sovrappone una asserzione di mancato esame delle richieste istruttorie alla rilevata mancata trascrizione delle conclusioni nella sentenza di primo grado che i giudici dell'appello hanno considerato irrilevante per la constatata pronuncia del giudice di prima istanza sull'intero spettro delle domande proposte dalle parti.
9. Con il secondo motivo la ricorrente rileva che ha errato la Corte di appello laddove ha negato rilevanza alla violazione dell'art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 ritenendo che il giudice dell'appello deve comunque decidere anche in presenza di un tale vizio comportante la nullità. Ritiene infatti la ricorrente che in tal modo è stato violato il principio dell'assorbimento delle nullità in motivi di gravame secondo una linea interpretativa non condivisibile che impedisce il rilievo di tutte le nullità ad eccezione di quelle previste dall'art. 354.
10. Anche questo motivo deve ritenersi infondato perchè la decisione si base sul rilievo della inesistenza della pretesa nullità e solo in via meramente argomentativa ad abundantiam sull'eventuale obbligo di motivazione nel merito da parte del giudice di appello qualora fosse stata riscontrata l'ipotesi della violazione dell'art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4.
11. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta che la mancata ammissione dei mezzi di prova richiesti ha comportato una compressione del suo diritto di difesa e una omessa valutazione su fatti rilevanti e decisivi ai fini della quantificazione dell'assegno divorzile.
12. Con il quarto motivo la ricorrente censura la motivazione in quanto acriticamente recettiva delle conclusioni della C.T.U. 13. Con il quinto motivo di ricorso la M. censura la mancata ammissione dei capitoli di prova relativi alle nuove occupazioni lavorative del T.
14. I tre motivi che possono essere esaminati congiuntamente per la loro evidente connessione sono inammissibili perchè intesi sostanzialmente a una riedizione del giudizio di merito e comunque infondati perchè la Corte di appello è pervenuta alla sua decisione che presuppone l'inadeguatezza dei mezzi economici a disposizione della M. prendendo in considerazione la assenza di reddito della M., la sua condizione di sostanziale preclusione al mercato del lavoro, la relativa modestia del capitale disponibile per effetto dello scioglimento delle situazioni comproprietarie con il marito, la durata del matrimonio e l'apporto garantito nel suo corso non solo alla vita familiare e alla crescita dei figli ma anche alla attività economica del marito.
15. Con il primo motivo di ricorso incidentale il T. lamenta l'erronea rappresentazione della situazione economica delle parti.
16. Con il secondo motivo censura l'acritico recepimento delle conclusioni del C.T.U.
17. Con il terzo motivo censura la quantificazione operata dal C.T.U. dì redditi diversi che sono stati attribuiti alle parti.
18. Anche questi motivi possono essere esaminati congiuntamente e, oltre ad essere in gran parte inammissibili per la loro strumentalità a una riedizione del giudizio di merito, sono infondati nel loro nucleo centrale che si caratterizza per la censura di acritico recepimento della C.T.U. Censura da ritenersi infondata perchè la Corte di appello ha tratto da essa l'accertamento e la definizione di fatti che sostanzialmente le parti non contestano e che hanno portato i giudici dell'appello a ritenere con un giudizio sufficientemente e logicamente motivato che la M. dopo un matrimonio durato 35 anni (dalla sua celebrazione del (OMISSIS) alla separazione consensuale del (OMISSIS)) e dichiarato sciolto definitivamente, con la sentenza di divorzio del (OMISSIS), non è in possesso di mezzi adeguati ad affrontare la propria vita di donna ormai settantunenne e priva di redditi lavorativi. Quanto alla compatibilità dell'ammontare dell'assegno con le capacità economiche del T. la Corte di appello si è basata sull'accertamento peritale con una motivazione che non appare sindacabile in questa sede.
19. Entrambi i ricorsi vanno pertanto respinti con compensazione delle spese del giudizio.
L' AMMINISTRATORE HA LA FACOLTA' E NON L'OBBLIGO DI RICORRERE ALLA PROCEDURA MONITORIA PER ESIGERE I PAGAMENTI DELLE QUOTE DA PARTE DEI CONDOMINI MOROSI
Cass. civ., Sez. VI, Ordinanza, 20 ottobre 2017, n. 24920 - pubblicato il 25 ottobre 2017
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
L'amministratore ha, nei riguardi partecipanti al condominio, una rappresentanza volontaria, in mancanza di un ente giuridico con una rappresentanza organica, di talché i poteri di lui sono quelli di un comune mandatario, conferitigli, come stabilito dall'art. 1131 c.c., sia dal regolamento di condominio sia dalla assemblea condominiale. Nell'esercizio delle funzioni l'amministratore assume, dunque, le veste del mandatario ed è, pertanto, gravato dall'obbligo di eseguire il mandato conferitogli con la diligenza del buon padre di famiglia ex art. 1710 c.c. Di talché deve escludersi la responsabilità dell'anzidetto soggetto in relazione al tardivo pagamento di un premio di una polizza assicurativa dovuto all'assenza di fondi, qualora l'accertata mancanza di fondi nelle casse condominiali sia stata determinata dalla morosità dei condomini, più volte sollecitati anche per iscritto, avendo egli la facoltà e non l'obbligo di ricorrere alla procedura monitoria per esigere i pagamenti delle quote da parte dei condomini morosi.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
L'amministratore ha, nei riguardi partecipanti al condominio, una rappresentanza volontaria, in mancanza di un ente giuridico con una rappresentanza organica, di talché i poteri di lui sono quelli di un comune mandatario, conferitigli, come stabilito dall'art. 1131 c.c., sia dal regolamento di condominio sia dalla assemblea condominiale. Nell'esercizio delle funzioni l'amministratore assume, dunque, le veste del mandatario ed è, pertanto, gravato dall'obbligo di eseguire il mandato conferitogli con la diligenza del buon padre di famiglia ex art. 1710 c.c. Di talché deve escludersi la responsabilità dell'anzidetto soggetto in relazione al tardivo pagamento di un premio di una polizza assicurativa dovuto all'assenza di fondi, qualora l'accertata mancanza di fondi nelle casse condominiali sia stata determinata dalla morosità dei condomini, più volte sollecitati anche per iscritto, avendo egli la facoltà e non l'obbligo di ricorrere alla procedura monitoria per esigere i pagamenti delle quote da parte dei condomini morosi.
USURARIETA' SOPRAVVENUTA
Cass. civ., Sezioni Unite, sentenza 19 ottobre 2017, n. 24675 - pubblicato il 23 ottobre 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell'usura come determinata in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l'inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all'entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula; né la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di tale soglia, contraria al dovere di buona fede nell'esecuzione del contratto.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell'usura come determinata in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l'inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all'entrata in vigore della predetta legge, o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula; né la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di tale soglia, contraria al dovere di buona fede nell'esecuzione del contratto.
MISURE CAUTELARI PERSONALI
Cass. pen., Sez. II, 15 settembre 2017, n. 45316 - pubblicato il 16 ottobre 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
In tema di presupposti per l'applicazione delle misure cautelari personali, il requisito dell'attualità del pericolo di reiterazione del reato, introdotto nell'art. 274, lett. c), c.p.p. dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, non va equiparato all'imminenza del pericolo di commissione di un ulteriore reato, ma sta invece ad indicare la continuità del "periculum libertatis" nella sua dimensione temporale, che va apprezzata sulla base della vicinanza ai fatti in cui si è manifestata la potenzialità criminale dell'indagato, ovvero della presenza di elementi indicativi recenti, idonei a dar conto della effettività del pericolo di concretizzazione dei rischi che la misura cautelare è chiamata a realizzare.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
In tema di presupposti per l'applicazione delle misure cautelari personali, il requisito dell'attualità del pericolo di reiterazione del reato, introdotto nell'art. 274, lett. c), c.p.p. dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, non va equiparato all'imminenza del pericolo di commissione di un ulteriore reato, ma sta invece ad indicare la continuità del "periculum libertatis" nella sua dimensione temporale, che va apprezzata sulla base della vicinanza ai fatti in cui si è manifestata la potenzialità criminale dell'indagato, ovvero della presenza di elementi indicativi recenti, idonei a dar conto della effettività del pericolo di concretizzazione dei rischi che la misura cautelare è chiamata a realizzare.
QUAL E' LA PROVA DELL'AVVENUTA CONVOCAZIONE DELL'ASSEMBLEA CONDOMINIALE?
Cass. civ., Sez. II, 6 ottobre 2017, n. 23396 - pubblicato l'11 ottobre 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di condominio, con riguardo all'avviso di convocazione di assemblea ai sensi dell'art. 66 disp. att. c.c. (nel testo ratione temporis vigente), posto che detto avviso deve qualificarsi quale atto di natura privata (del tutto svincolato, in assenza di espresse previsioni di legge, dall'applicazione del regime giuridico delle notificazioni degli atti giudiziari) e in particolare quale atto unilaterale recettizio ai sensi dell'art. 1335 c.c., al fine di ritenere fornita la prova della decorrenza del termine dilatorio di cinque giorni antecedente l'adunanza di prima convocazione, condizionante la validità delle deliberazioni, è sufficiente e necessario che il condominio (sottoposto al relativo onere), in applicazione della presunzione dell'art. 1335 c.c., dimostri la data di pervenimento dell'avviso all'indirizzo del destinatario, salva la possibilità per questi di provare di essere stato, senza sua colpa, nella impossibilità di averne notizia. Tale momento, ove la convocazione ad assemblea di condominio sia stata inviata mediante lettera raccomandata (cui il testo dell'art. 66 disp. att. c.c. affianca, nel testo successivo alla riforma di cui alla legge n. 220 del 2012, altre modalità partecipative), e questa non sia non consegnata per l'assenza del condomino (o di altra persona abilitata a riceverla), coincide con il rilascio da parte dell'agente postale del relativo avviso di giacenza del plico presso l'ufficio postale, idoneo a consentire il ritiro del piego stesso, e non già con altri momenti successivi (quali il momento in cui la lettera sia stata effettivamente ritirata o in cui venga a compiersi la giacenza).
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di condominio, con riguardo all'avviso di convocazione di assemblea ai sensi dell'art. 66 disp. att. c.c. (nel testo ratione temporis vigente), posto che detto avviso deve qualificarsi quale atto di natura privata (del tutto svincolato, in assenza di espresse previsioni di legge, dall'applicazione del regime giuridico delle notificazioni degli atti giudiziari) e in particolare quale atto unilaterale recettizio ai sensi dell'art. 1335 c.c., al fine di ritenere fornita la prova della decorrenza del termine dilatorio di cinque giorni antecedente l'adunanza di prima convocazione, condizionante la validità delle deliberazioni, è sufficiente e necessario che il condominio (sottoposto al relativo onere), in applicazione della presunzione dell'art. 1335 c.c., dimostri la data di pervenimento dell'avviso all'indirizzo del destinatario, salva la possibilità per questi di provare di essere stato, senza sua colpa, nella impossibilità di averne notizia. Tale momento, ove la convocazione ad assemblea di condominio sia stata inviata mediante lettera raccomandata (cui il testo dell'art. 66 disp. att. c.c. affianca, nel testo successivo alla riforma di cui alla legge n. 220 del 2012, altre modalità partecipative), e questa non sia non consegnata per l'assenza del condomino (o di altra persona abilitata a riceverla), coincide con il rilascio da parte dell'agente postale del relativo avviso di giacenza del plico presso l'ufficio postale, idoneo a consentire il ritiro del piego stesso, e non già con altri momenti successivi (quali il momento in cui la lettera sia stata effettivamente ritirata o in cui venga a compiersi la giacenza).
INPS
Cass. civ., Sez. lavoro, 3 ottobre 2017, n. 23050 - pubblicato il 6 ottobre 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di responsabilità civile, nell'ipotesi in cui l'I.N.P.S. abbia fornito all'assicurato, mediante il rilascio di estratti-conto assicurativi, contenenti risultanze di archivio e pur se privi di sottoscrizione, una erronea indicazione (in eccesso) del numero dei contributi versati, solo apparentemente sufficienti a fruire di pensione di anzianità, il danno sofferto dall'interessato per la successiva interruzione del rapporto di lavoro per dimissioni e del versamento dei contributi, è riconducibile non già a responsabilità extracontrattuale, ma contrattuale, in quanto fondata sull'inadempimento dell'obbligo legale, gravante sugli enti pubblici dotati di poteri di indagine e certificazione, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede (applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all'art. 97 Cost.), di non frustrare la fiducia di soggetti titolari di interessi al conseguimento di beni essenziali della vita (quali quelli garantiti dall'art. 38 Cost.), fornendo informazioni errate o anche dichiaratamente approssimative, pur se contenute in documenti privi di valore certificativo.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di responsabilità civile, nell'ipotesi in cui l'I.N.P.S. abbia fornito all'assicurato, mediante il rilascio di estratti-conto assicurativi, contenenti risultanze di archivio e pur se privi di sottoscrizione, una erronea indicazione (in eccesso) del numero dei contributi versati, solo apparentemente sufficienti a fruire di pensione di anzianità, il danno sofferto dall'interessato per la successiva interruzione del rapporto di lavoro per dimissioni e del versamento dei contributi, è riconducibile non già a responsabilità extracontrattuale, ma contrattuale, in quanto fondata sull'inadempimento dell'obbligo legale, gravante sugli enti pubblici dotati di poteri di indagine e certificazione, anche per il tramite delle clausole generali di correttezza e buona fede (applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all'art. 97 Cost.), di non frustrare la fiducia di soggetti titolari di interessi al conseguimento di beni essenziali della vita (quali quelli garantiti dall'art. 38 Cost.), fornendo informazioni errate o anche dichiaratamente approssimative, pur se contenute in documenti privi di valore certificativo.
LE SEZIONI UNITE INTERVENGONO IN TEMA DI USURA
Cass. civ., Sez. Unite, 20 settembre 2017, n. 21854 - pubblicato il 26 settembre 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di disposizioni concernenti il Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell'usura, il Giudice dell'esecuzione, cui sia stato trasmesso il provvedimento del Pubblico Ministero che, sulla base dell'elenco fornito dal prefetto, dispone la "sospensione dei termini" di una procedura esecutiva a carico del soggetto che ha chiesto l'elargizione di cui all'art. 20 della L. 23 febbraio 1999, n. 44, non può sindacare né la valutazione con cui il Pubblico Ministero ha ritenuto sussistente il presupposto della provvidenza sospensiva, né l'idoneità della procedura esecutiva ad incidere sull'efficacia dell'elargizione richiesta dall'interessato. Spetta, invece, al Giudice dell'esecuzione sia il controllo della riconducibilità del provvedimento del Pubblico Ministero alla norma sopra citata, sia l'accertamento che esso riguarda uno o più processi esecutivi pendenti dinanzi al suo ufficio, sia la verifica che nel processo esecutivo in corso o da iniziare decorra un termine in ordine al quale il provvedimento di sospensione possa dispiegare i suoi effetti.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di disposizioni concernenti il Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell'usura, il Giudice dell'esecuzione, cui sia stato trasmesso il provvedimento del Pubblico Ministero che, sulla base dell'elenco fornito dal prefetto, dispone la "sospensione dei termini" di una procedura esecutiva a carico del soggetto che ha chiesto l'elargizione di cui all'art. 20 della L. 23 febbraio 1999, n. 44, non può sindacare né la valutazione con cui il Pubblico Ministero ha ritenuto sussistente il presupposto della provvidenza sospensiva, né l'idoneità della procedura esecutiva ad incidere sull'efficacia dell'elargizione richiesta dall'interessato. Spetta, invece, al Giudice dell'esecuzione sia il controllo della riconducibilità del provvedimento del Pubblico Ministero alla norma sopra citata, sia l'accertamento che esso riguarda uno o più processi esecutivi pendenti dinanzi al suo ufficio, sia la verifica che nel processo esecutivo in corso o da iniziare decorra un termine in ordine al quale il provvedimento di sospensione possa dispiegare i suoi effetti.
LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA
Cass. civ., Sez. lavoro, 19 settembre 2017, n. 21667 - pubblicato il 22 settembre 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Lo svolgimento di un'altra attività lavorativa da parte del dipendente assente per malattia è idoneo a giustificare il recesso del datore di lavoro per violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà ove tale attività esterna, prestata o meno a titolo oneroso, sia per sé sufficiente a far presumere l'inesistenza della malattia, dimostrando, quindi, una sua fraudolenta simulazione, ovvero quando, valutata in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, l'attività stessa possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio del lavoratore. Inoltre, l'espletamento di attività extra lavorativa durante il periodo di assenza per malattia costituisce illecito disciplinare non solo se da tale comportamento derivi un'effettiva impossibilità temporanea della ripresa del lavoro, ma anche quando la ripresa sia solo messa in pericolo dalla condotta imprudente, con una valutazione di idoneità che deve essere svolta necessariamente ex ante, rapportata al momento in cui il comportamento viene realizzato.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Lo svolgimento di un'altra attività lavorativa da parte del dipendente assente per malattia è idoneo a giustificare il recesso del datore di lavoro per violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà ove tale attività esterna, prestata o meno a titolo oneroso, sia per sé sufficiente a far presumere l'inesistenza della malattia, dimostrando, quindi, una sua fraudolenta simulazione, ovvero quando, valutata in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, l'attività stessa possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio del lavoratore. Inoltre, l'espletamento di attività extra lavorativa durante il periodo di assenza per malattia costituisce illecito disciplinare non solo se da tale comportamento derivi un'effettiva impossibilità temporanea della ripresa del lavoro, ma anche quando la ripresa sia solo messa in pericolo dalla condotta imprudente, con una valutazione di idoneità che deve essere svolta necessariamente ex ante, rapportata al momento in cui il comportamento viene realizzato.
PROPOSTA CONCILIATIVA
Cass. civ., Sez. Unite, 12 settembre 2017, n. 21109 - pubblicato il 19 settembre 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La produzione in giudizio della corrispondenza intercorsa tra i difensori, in violazione del disposto di cui all'art. 28 del Codice Deontologico Forense, non può ritenersi giustificata nell'ipotesi in cui abbia ad oggetto la proposta conciliativa ex art. 91, comma 1, c.p.c.. Detta norma, invero, fa riferimento ad una proposta conciliativa formulata da una delle parti, residuando al giudice al più il potere di sollecitare le stesse a conciliarsi, di talché non sussiste alcuna necessità di divulgare la corrispondenza intercorsa tra i difensori, in quanto la proposta in parola deve essere formulata in giudizio dalla parte che ne è autrice e l'eventuale rifiuto della controparte è insito nella mancanza di accettazione. Né la divulgazione in parola può essere necessaria al fine di dimostrare l'eventuale giustificazione del rifiuto della proposta conciliativa, in quanto tale giustificazione non può che riguardare la proposta risultante ufficialmente dagli atti e non eventuali diverse proposte o ipotesi avanzate nel corso delle trattative.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La produzione in giudizio della corrispondenza intercorsa tra i difensori, in violazione del disposto di cui all'art. 28 del Codice Deontologico Forense, non può ritenersi giustificata nell'ipotesi in cui abbia ad oggetto la proposta conciliativa ex art. 91, comma 1, c.p.c.. Detta norma, invero, fa riferimento ad una proposta conciliativa formulata da una delle parti, residuando al giudice al più il potere di sollecitare le stesse a conciliarsi, di talché non sussiste alcuna necessità di divulgare la corrispondenza intercorsa tra i difensori, in quanto la proposta in parola deve essere formulata in giudizio dalla parte che ne è autrice e l'eventuale rifiuto della controparte è insito nella mancanza di accettazione. Né la divulgazione in parola può essere necessaria al fine di dimostrare l'eventuale giustificazione del rifiuto della proposta conciliativa, in quanto tale giustificazione non può che riguardare la proposta risultante ufficialmente dagli atti e non eventuali diverse proposte o ipotesi avanzate nel corso delle trattative.
RIUNIONE E SEPARAZIONE DI CAUSE
Cass. civ., Sez. VI, Ordinanza, 5 settembre 2017, n. 20781 - pubblicato l'11 settembre 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Il provvedimento che dispone la prosecuzione del giudizio non è sovrapponibile a quello di separazione delle cause riunite, adottato ai sensi dell'art. 103, comma 2, c.p.c. o dell'art. 104, comma 2, c.p.c., in quanto non può sostenersi che il giudice, quando decide una o più delle domande cumulate, disponendo per le altre ulteriore istruttoria, esercita implicitamente il potere di separazione di cui agli artt. 103, comma 2 e 104, comma 2 c.p.c. I presupposti per l'applicazione dell'art. 277, comma 2, c.p.c e degli artt. 103, comma 2, e 104, comma 2, c.p.c., sono infatti diversi, poiché la separazione delle cause o delle domande può essere disposta solo se vi sia l'istanza di tutte le parti, ovvero (anche d'ufficio) quando la continuazione della loro riunione ritarderebbe o renderebbe più gravoso il processo, mentre per l'adozione della decisione su alcune soltanto delle domande cumulate è richiesto che la sollecita definizione della controversia sia di interesse apprezzabile per la parte che ne ha fatto istanza, la cui proposizione è, quindi, sempre necessaria.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Il provvedimento che dispone la prosecuzione del giudizio non è sovrapponibile a quello di separazione delle cause riunite, adottato ai sensi dell'art. 103, comma 2, c.p.c. o dell'art. 104, comma 2, c.p.c., in quanto non può sostenersi che il giudice, quando decide una o più delle domande cumulate, disponendo per le altre ulteriore istruttoria, esercita implicitamente il potere di separazione di cui agli artt. 103, comma 2 e 104, comma 2 c.p.c. I presupposti per l'applicazione dell'art. 277, comma 2, c.p.c e degli artt. 103, comma 2, e 104, comma 2, c.p.c., sono infatti diversi, poiché la separazione delle cause o delle domande può essere disposta solo se vi sia l'istanza di tutte le parti, ovvero (anche d'ufficio) quando la continuazione della loro riunione ritarderebbe o renderebbe più gravoso il processo, mentre per l'adozione della decisione su alcune soltanto delle domande cumulate è richiesto che la sollecita definizione della controversia sia di interesse apprezzabile per la parte che ne ha fatto istanza, la cui proposizione è, quindi, sempre necessaria.
ESECUZIONE DI PENE DETENTIVE
Cass. pen., Sez. VI, 3 luglio 2017, n. 32720 - pubblicato il 4 settembre 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso l'ordinanza con cui la Corte d'appello aveva dato esecuzione al mandato di arresto europeo spiccato dalle autorità giudiziarie francesi nei confronti di un soggetto italiano per i reati di furto e tentativo di furto in banda organizzata e associazione per delinquere, tutti commessi in Francia, la Corte di Cassazione – nel respingere la tesi difensiva secondo cui, per quanto qui di interesse, si era erroneamente ritenuta sussistente la "doppia incriminabilità" per il reato di associazione di malfattori punito dall'art. 450/1 del codice penale francese laddove esso non corrisponde alla fattispecie di cui all'art. 416 codice penale italiano - ha diversamente ritenuto legittimo l'accoglimento della richiesta di consegna del cittadino italiano avanzata dall'Autorità giudiziaria francese, osservando che le disposizioni di cui all'art. 8 della L. n. 69/2005 escludono il controllo della doppia incriminazione relativamente ad un ampio catalogo di reati soggetti alla consegna obbligatoria, quali definiti dalla legge dello Stato membro emittente, reati tra cui vi rientra la partecipazione a un'organizzazione criminale, categoria alla quale, pertengono sia la fattispecie dell'associazione di malfattori francese che quella italiana di cui all'art. 416 c.p.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Pronunciandosi su un ricorso proposto avverso l'ordinanza con cui la Corte d'appello aveva dato esecuzione al mandato di arresto europeo spiccato dalle autorità giudiziarie francesi nei confronti di un soggetto italiano per i reati di furto e tentativo di furto in banda organizzata e associazione per delinquere, tutti commessi in Francia, la Corte di Cassazione – nel respingere la tesi difensiva secondo cui, per quanto qui di interesse, si era erroneamente ritenuta sussistente la "doppia incriminabilità" per il reato di associazione di malfattori punito dall'art. 450/1 del codice penale francese laddove esso non corrisponde alla fattispecie di cui all'art. 416 codice penale italiano - ha diversamente ritenuto legittimo l'accoglimento della richiesta di consegna del cittadino italiano avanzata dall'Autorità giudiziaria francese, osservando che le disposizioni di cui all'art. 8 della L. n. 69/2005 escludono il controllo della doppia incriminazione relativamente ad un ampio catalogo di reati soggetti alla consegna obbligatoria, quali definiti dalla legge dello Stato membro emittente, reati tra cui vi rientra la partecipazione a un'organizzazione criminale, categoria alla quale, pertengono sia la fattispecie dell'associazione di malfattori francese che quella italiana di cui all'art. 416 c.p.
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DELL' AVV. GAETANO RICCIO E DELL' AVV. ELIANA LIBROIA
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MEDIAZIONE ATIPICA
Cass. civ., Sez. Unite, 2 agosto 2017, n. 19161 - pubblicato il 28 agosto 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di mediazione, è configurabile, accanto alla mediazione ordinaria, una mediazione negoziale cosiddetta atipica, fondata su un contratto a prestazioni corrispettive, con riguardo anche ad una soltanto delle parti interessate (c.d. mediazione unilaterale). Tale ipotesi ricorre nel caso in cui una parte, volendo concludere un singolo affare, incarichi altri di svolgere un'attività intesa alla ricerca di un persona interessata alla conclusione del medesimo affare a determinate, prestabilite condizioni, e proprio per il suo estrinsecarsi in attività di intermediazione, rientra nell'ambito di applicabilità della disposizione prevista dall'art. 2, comma 4 della L. 3 febbraio 1989, n. 39, che, per l'appunto, disciplina anche ipotesi atipiche di mediazione per il caso in cui oggetto dell'affare siano beni immobili o aziende. Ove oggetto dell'affare siano altre tipologie di beni, e segnata mente beni mobili, l'obbligo di iscrizione sussiste solo per chi svolga la detta attività in modo non occasionale e quindi professionale o continuativo. Ove ricorra tale ipotesi, anche per l'esercizio di questa attività è richiesta l'iscrizione nell'albo degli agenti di affari in mediazione di cui al menzionato art. 2 della citata L. 3 febbraio 1989 n. 39 (ora, a seguito dell'abrogazione del ruolo dei mediatori, la dichiarazione di inizio di attività alla Camera di commercio, ai sensi dell'art. 73 del D.Lgs. 26 marzo 2010, n. 59), ragion per cui il suo svolgimento in difetto di tale condizione esclude, ai sensi dell'art. 6 della stessa legge, il diritto alla provvigione.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di mediazione, è configurabile, accanto alla mediazione ordinaria, una mediazione negoziale cosiddetta atipica, fondata su un contratto a prestazioni corrispettive, con riguardo anche ad una soltanto delle parti interessate (c.d. mediazione unilaterale). Tale ipotesi ricorre nel caso in cui una parte, volendo concludere un singolo affare, incarichi altri di svolgere un'attività intesa alla ricerca di un persona interessata alla conclusione del medesimo affare a determinate, prestabilite condizioni, e proprio per il suo estrinsecarsi in attività di intermediazione, rientra nell'ambito di applicabilità della disposizione prevista dall'art. 2, comma 4 della L. 3 febbraio 1989, n. 39, che, per l'appunto, disciplina anche ipotesi atipiche di mediazione per il caso in cui oggetto dell'affare siano beni immobili o aziende. Ove oggetto dell'affare siano altre tipologie di beni, e segnata mente beni mobili, l'obbligo di iscrizione sussiste solo per chi svolga la detta attività in modo non occasionale e quindi professionale o continuativo. Ove ricorra tale ipotesi, anche per l'esercizio di questa attività è richiesta l'iscrizione nell'albo degli agenti di affari in mediazione di cui al menzionato art. 2 della citata L. 3 febbraio 1989 n. 39 (ora, a seguito dell'abrogazione del ruolo dei mediatori, la dichiarazione di inizio di attività alla Camera di commercio, ai sensi dell'art. 73 del D.Lgs. 26 marzo 2010, n. 59), ragion per cui il suo svolgimento in difetto di tale condizione esclude, ai sensi dell'art. 6 della stessa legge, il diritto alla provvigione.
PATTEGGIAMENTO SE DURANTE IL DIBATTIMENTO
EMERGE UN EVENTO DIVERSO
Corte cost., 17 luglio 2017, n. 206 - pubblicato il 31 luglio 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Va osservato che l'accesso al rito alternativo dopo l'inizio del dibattimento rimane comunque idoneo a produrre un'economia processuale, anche se attenuata, sia consentendo al giudice di verificare l'esistenza delle condizioni per l'applicazione della pena, senza alcuna ulteriore attività istruttoria, sia escludendo l'appello e, almeno tendenzialmente, anche il ricorso per cassazione. In ogni caso, le ragioni della deflazione processuale debbono recedere di fronte ai princìpi posti dagli artt. 3 e 24, secondo comma, Cost., perché ""l'esigenza della "corrispettività" fra riduzione di pena e deflazione processuale non può prendere il sopravvento sul principio di eguaglianza né tantomeno sul diritto di difesa" (sentenza n. 237 del 2012). Va inoltre aggiunto che il patteggiamento "è una forma di definizione pattizia del contenuto della sentenza, che non richiede particolari procedure e che pertanto, proprio per tali sue caratteristiche, si presta ad essere adottata in qualsiasi fase del procedimento, compreso il dibattimento" (sentenze n. 184 del 2014 e n. 265 del 1994; ordinanza n. 486 del 2002). Né può ritenersi che in seguito a una modificazione "fisiologica" dell'imputazione possa rimanere preclusa la facoltà di chiedere il patteggiamento perché l'imputato, non avendolo chiesto prima, si sarebbe assunto il rischio di tale evenienza. Infatti "non si può pretendere che l'imputato valuti la convenienza di un rito speciale tenendo conto anche dell'eventualità che, a seguito dei futuri sviluppi dell'istruzione dibattimentale, l'accusa a lui mossa subisca una trasformazione, la cui portata resta ancora del tutto imprecisata al momento della scadenza del termine utile per la formulazione della richiesta" (sentenza n. 273 del 2014). Inoltre, anche in rapporto alla contestazione dibattimentale "fisiologica" del fatto diverso è ravvisabile la ingiustificata disparità di trattamento - rilevata sia dalla sentenza n. 237 del 2012 che dalla sentenza n. 273 del 2014, con riguardo al giudizio abbreviato - rispetto al caso del recupero, da parte dell'imputato, della facoltà di accesso al patteggiamento per circostanze puramente "occasionali" che determinino la regressione del procedimento. Ciò si verifica, in particolare, allorché, in seguito alle nuove contestazioni, il reato rientra tra quelli per cui si procede con udienza preliminare, e questa non sia stata tenuta. In tale ipotesi infatti il giudice - ove la relativa eccezione sia sollevata nei prescritti termini di decadenza - deve disporre la trasmissione degli atti al pubblico ministero (artt. 516, comma 1-ter, e 521-bis cod. proc. pen.), con l'effetto di rimettere in termini l'imputato per la richiesta del rito alternativo. Viene infine in rilievo un ulteriore profilo di disparità di trattamento, messo in luce dallo stesso rimettente, posto che per effetto della pronuncia di illegittimità costituzionale dell'art. 516 cod. proc. pen., contenuta nella sentenza n. 273 del 2014, dopo una modificazione "fisiologica" dell'imputazione è riconosciuta all'imputato la facoltà di chiedere il giudizio abbreviato ma non anche quella di chiedere il patteggiamento. In conclusione, per il contrasto con gli artt. 24, secondo comma, e 3 Cost., l'art. 516 cod. proc. pen. va dichiarato costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento l'applicazione della pena a norma dell'art. 444 cod. proc. pen., relativamente al fatto diverso emerso nel corso dell'istruzione dibattimentale, che forma oggetto della nuova contestazione.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Va osservato che l'accesso al rito alternativo dopo l'inizio del dibattimento rimane comunque idoneo a produrre un'economia processuale, anche se attenuata, sia consentendo al giudice di verificare l'esistenza delle condizioni per l'applicazione della pena, senza alcuna ulteriore attività istruttoria, sia escludendo l'appello e, almeno tendenzialmente, anche il ricorso per cassazione. In ogni caso, le ragioni della deflazione processuale debbono recedere di fronte ai princìpi posti dagli artt. 3 e 24, secondo comma, Cost., perché ""l'esigenza della "corrispettività" fra riduzione di pena e deflazione processuale non può prendere il sopravvento sul principio di eguaglianza né tantomeno sul diritto di difesa" (sentenza n. 237 del 2012). Va inoltre aggiunto che il patteggiamento "è una forma di definizione pattizia del contenuto della sentenza, che non richiede particolari procedure e che pertanto, proprio per tali sue caratteristiche, si presta ad essere adottata in qualsiasi fase del procedimento, compreso il dibattimento" (sentenze n. 184 del 2014 e n. 265 del 1994; ordinanza n. 486 del 2002). Né può ritenersi che in seguito a una modificazione "fisiologica" dell'imputazione possa rimanere preclusa la facoltà di chiedere il patteggiamento perché l'imputato, non avendolo chiesto prima, si sarebbe assunto il rischio di tale evenienza. Infatti "non si può pretendere che l'imputato valuti la convenienza di un rito speciale tenendo conto anche dell'eventualità che, a seguito dei futuri sviluppi dell'istruzione dibattimentale, l'accusa a lui mossa subisca una trasformazione, la cui portata resta ancora del tutto imprecisata al momento della scadenza del termine utile per la formulazione della richiesta" (sentenza n. 273 del 2014). Inoltre, anche in rapporto alla contestazione dibattimentale "fisiologica" del fatto diverso è ravvisabile la ingiustificata disparità di trattamento - rilevata sia dalla sentenza n. 237 del 2012 che dalla sentenza n. 273 del 2014, con riguardo al giudizio abbreviato - rispetto al caso del recupero, da parte dell'imputato, della facoltà di accesso al patteggiamento per circostanze puramente "occasionali" che determinino la regressione del procedimento. Ciò si verifica, in particolare, allorché, in seguito alle nuove contestazioni, il reato rientra tra quelli per cui si procede con udienza preliminare, e questa non sia stata tenuta. In tale ipotesi infatti il giudice - ove la relativa eccezione sia sollevata nei prescritti termini di decadenza - deve disporre la trasmissione degli atti al pubblico ministero (artt. 516, comma 1-ter, e 521-bis cod. proc. pen.), con l'effetto di rimettere in termini l'imputato per la richiesta del rito alternativo. Viene infine in rilievo un ulteriore profilo di disparità di trattamento, messo in luce dallo stesso rimettente, posto che per effetto della pronuncia di illegittimità costituzionale dell'art. 516 cod. proc. pen., contenuta nella sentenza n. 273 del 2014, dopo una modificazione "fisiologica" dell'imputazione è riconosciuta all'imputato la facoltà di chiedere il giudizio abbreviato ma non anche quella di chiedere il patteggiamento. In conclusione, per il contrasto con gli artt. 24, secondo comma, e 3 Cost., l'art. 516 cod. proc. pen. va dichiarato costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento l'applicazione della pena a norma dell'art. 444 cod. proc. pen., relativamente al fatto diverso emerso nel corso dell'istruzione dibattimentale, che forma oggetto della nuova contestazione.
IL DOLO EVENTUALE NEL DELITTO DI FUGA
Cass. pen., Sez. IV, 4 luglio 2017, n. 32114 - pubblicato il 25 luglio 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La consapevolezza (dolo) del prevenuto di aver causato sinistri idonei a cagionare danno alle persone è stata adeguatamente e plausibilmente ricavata dai giudici di merito dalle dichiarazioni delle persone offese e dalla stessa dinamica degli incidenti, estremamente violenti, anche tenuto conto dei danni riportati dalla stessa Renault Clio condotta dall'imputato, tanto che un teste oculare ( M.) riferiva che la detta vettura era ripartita con difficoltà a causa dei danni riportati. In sostanza la gravità degli incidenti e dei danni causati, l'accertata sussistenza di lesioni in danno delle vittime, la fuga repentina del prevenuto in entrambi gli episodi, hanno indotto i giudici di merito a ritenere configurabile la consapevolezza da parte dell'imputato della necessità di prestare assistenza, quantomeno sotto il profilo del dolo eventuale. In tal senso si deve rammentare che nel reato di "fuga", previsto dall'art. 189 C.d.S., commi 6 e 7, il dolo deve investire non solo l'evento dell'incidente, ma anche il danno alle persone e, conseguentemente, la necessità del soccorso, che non costituisce una condizione di punibilità; tuttavia, la consapevolezza che la persona coinvolta nell'incidente ha bisogno di soccorso può sussistere anche sotto il profilo del dolo eventuale, che si configura normalmente in relazione all'elemento volitivo, ma che può attenere anche all'elemento intellettivo, quando l'agente consapevolmente rifiuti di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo comportamento costituisce reato, accettandone per ciò stesso l'esistenza (Sez. 4, n. 34134 del 13/07/2007, Agostinone, Rv. 23723901). Nella specie l'accertamento del dolo è stato correttamente compiuto in relazione alle circostanze concretamente rappresentate e percepite dall'agente al momento della condotta, in quanto univocamente indicative del verificarsi di incidenti idonei ad arrecare danno alle persone (Sez. 4, n. 16982 del 12/03/2013, Borselli, Rv. 25542901).Clicca qui per modificare.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La consapevolezza (dolo) del prevenuto di aver causato sinistri idonei a cagionare danno alle persone è stata adeguatamente e plausibilmente ricavata dai giudici di merito dalle dichiarazioni delle persone offese e dalla stessa dinamica degli incidenti, estremamente violenti, anche tenuto conto dei danni riportati dalla stessa Renault Clio condotta dall'imputato, tanto che un teste oculare ( M.) riferiva che la detta vettura era ripartita con difficoltà a causa dei danni riportati. In sostanza la gravità degli incidenti e dei danni causati, l'accertata sussistenza di lesioni in danno delle vittime, la fuga repentina del prevenuto in entrambi gli episodi, hanno indotto i giudici di merito a ritenere configurabile la consapevolezza da parte dell'imputato della necessità di prestare assistenza, quantomeno sotto il profilo del dolo eventuale. In tal senso si deve rammentare che nel reato di "fuga", previsto dall'art. 189 C.d.S., commi 6 e 7, il dolo deve investire non solo l'evento dell'incidente, ma anche il danno alle persone e, conseguentemente, la necessità del soccorso, che non costituisce una condizione di punibilità; tuttavia, la consapevolezza che la persona coinvolta nell'incidente ha bisogno di soccorso può sussistere anche sotto il profilo del dolo eventuale, che si configura normalmente in relazione all'elemento volitivo, ma che può attenere anche all'elemento intellettivo, quando l'agente consapevolmente rifiuti di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo comportamento costituisce reato, accettandone per ciò stesso l'esistenza (Sez. 4, n. 34134 del 13/07/2007, Agostinone, Rv. 23723901). Nella specie l'accertamento del dolo è stato correttamente compiuto in relazione alle circostanze concretamente rappresentate e percepite dall'agente al momento della condotta, in quanto univocamente indicative del verificarsi di incidenti idonei ad arrecare danno alle persone (Sez. 4, n. 16982 del 12/03/2013, Borselli, Rv. 25542901).Clicca qui per modificare.
RECIDIVA REITERATA
Corte cost., 17 luglio 2017, n. 205 - pubblicato il 20 luglio 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La recidiva reiterata riflette i due aspetti della colpevolezza e della pericolosità, ed è da ritenere che questi, pur essendo pertinenti al reato, non possano assumere, nel processo di individualizzazione della pena, una rilevanza tale da renderli comparativamente prevalenti rispetto al fatto oggettivo: il principio di offensività è chiamato ad operare non solo rispetto alla fattispecie base e alle circostanze, ma anche rispetto a tutti gli istituti che incidono sulla individualizzazione della pena e sulla sua determinazione finale. Se così non fosse, la rilevanza dell'offensività della fattispecie base potrebbe risultare "neutralizzata" da un processo di individualizzazione prevalentemente orientato sulla colpevolezza e sulla pericolosità.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La recidiva reiterata riflette i due aspetti della colpevolezza e della pericolosità, ed è da ritenere che questi, pur essendo pertinenti al reato, non possano assumere, nel processo di individualizzazione della pena, una rilevanza tale da renderli comparativamente prevalenti rispetto al fatto oggettivo: il principio di offensività è chiamato ad operare non solo rispetto alla fattispecie base e alle circostanze, ma anche rispetto a tutti gli istituti che incidono sulla individualizzazione della pena e sulla sua determinazione finale. Se così non fosse, la rilevanza dell'offensività della fattispecie base potrebbe risultare "neutralizzata" da un processo di individualizzazione prevalentemente orientato sulla colpevolezza e sulla pericolosità.
DANNO NON PATRIMONIALE
Cass. civ., Sez. III, 11 luglio 2017, n. 17058 - pubblicato il 18 luglio 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La sofferenza patita dal prossimo congiunto di persona ferita in modo non lieve costituisce un danno non patrimoniale risarcibile, il quale, consistendo in un moto dell'animo, difficilmente può essere provato in concreto con le prove cosiddette storiche, di talché deve farsi ricorso alle cosiddette prove critiche, prime tra tutte la prova presuntiva. Il ricorso alla prova presuntiva, tuttavia, non può ridursi ad un acritico automatismo, tale che provata l'esistenza della lesione personale deve dedursene automaticamente l'esistenza di un danno morale in capo ai prossimi congiunti della vittima primaria, dovendo essere pur sempre cercata anche d'ufficio, una volta che la parte abbia dedotto e provato i fatti noti che ne possono costituire il fondamento. La prova presuntiva, infatti, in null'altro consiste se non in un ragionamento logico-deduttivo che, sulla base di fatti noti, consente di risalire a fatti ignorati.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La sofferenza patita dal prossimo congiunto di persona ferita in modo non lieve costituisce un danno non patrimoniale risarcibile, il quale, consistendo in un moto dell'animo, difficilmente può essere provato in concreto con le prove cosiddette storiche, di talché deve farsi ricorso alle cosiddette prove critiche, prime tra tutte la prova presuntiva. Il ricorso alla prova presuntiva, tuttavia, non può ridursi ad un acritico automatismo, tale che provata l'esistenza della lesione personale deve dedursene automaticamente l'esistenza di un danno morale in capo ai prossimi congiunti della vittima primaria, dovendo essere pur sempre cercata anche d'ufficio, una volta che la parte abbia dedotto e provato i fatti noti che ne possono costituire il fondamento. La prova presuntiva, infatti, in null'altro consiste se non in un ragionamento logico-deduttivo che, sulla base di fatti noti, consente di risalire a fatti ignorati.
INFORTUNI SUL LAVORO
Cass. pen., Sez. IV, 23 giugno 2017, n. 31410 - pubblicata il 10 luglio 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La disciplina di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 26 è notoriamente destinata a regolamentare la gestione della prevenzione dei rischi c.d. interferenziali, vale a dire dei rischi che si verificano in conseguenza di un contatto potenzialmente pericoloso tra il personale del committente e quello dell'appaltatore o comunque tra il personale di imprese diverse che operano nella stessa sede aziendale con contratti differenti. La ratio della norma è quella di tutelare i lavoratori appartenenti ad imprese diverse che si trovino ad interferire le une con le altre per lo svolgimento di determinate attività lavorative e nel medesimo luogo di lavoro; ciò in funzione dell'effetto che tale rapporto crea, cioè l'interferenza tra organizzazioni, che può essere fonte di ulteriori rischi per i lavoratori di tutte le imprese coinvolte.
E' noto che in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ciascun datore di lavoro, sia il committente che l'appaltatore, è esclusivo responsabile della tutela dei propri dipendenti dai rischi che coinvolgano unicamente questi ultimi; la cooperazione tra committente ed appaltatore è imposta dalla norma in disamina soltanto per eliminare i rischi comuni ai lavoratori dipendenti di entrambe le parti (Sez. 4, n. 28197 del 21/05/2009, Valles e altri, Rv. 24469101). Inoltre, ai fini dell'operatività degli obblighi di coordinamento e cooperazione connessi ai contratti di appalto, dettati dal D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 26, occorre aver riguardo non alla qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra le imprese che cooperano tra loro - vale a dire contratto d'appalto o d'opera o di somministrazione - ma all'effetto che tale rapporto origina, vale a dire alla concreta interferenza tra le organizzazioni ad esse facenti capo, che può essere fonte di ulteriori rischi per l'incolumità dei lavoratori. Tale interferenza deve essere necessariamente intesa in senso funzionale, avendo riguardo alla coesistenza in un medesimo contesto di più organizzazioni, ciascuna delle quali facente capo a soggetti diversi (Sez. 4, n. 44792 del 17/06/2015, Mancini e altro, Rv. 26495701).
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La disciplina di cui al D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 26 è notoriamente destinata a regolamentare la gestione della prevenzione dei rischi c.d. interferenziali, vale a dire dei rischi che si verificano in conseguenza di un contatto potenzialmente pericoloso tra il personale del committente e quello dell'appaltatore o comunque tra il personale di imprese diverse che operano nella stessa sede aziendale con contratti differenti. La ratio della norma è quella di tutelare i lavoratori appartenenti ad imprese diverse che si trovino ad interferire le une con le altre per lo svolgimento di determinate attività lavorative e nel medesimo luogo di lavoro; ciò in funzione dell'effetto che tale rapporto crea, cioè l'interferenza tra organizzazioni, che può essere fonte di ulteriori rischi per i lavoratori di tutte le imprese coinvolte.
E' noto che in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, ciascun datore di lavoro, sia il committente che l'appaltatore, è esclusivo responsabile della tutela dei propri dipendenti dai rischi che coinvolgano unicamente questi ultimi; la cooperazione tra committente ed appaltatore è imposta dalla norma in disamina soltanto per eliminare i rischi comuni ai lavoratori dipendenti di entrambe le parti (Sez. 4, n. 28197 del 21/05/2009, Valles e altri, Rv. 24469101). Inoltre, ai fini dell'operatività degli obblighi di coordinamento e cooperazione connessi ai contratti di appalto, dettati dal D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 26, occorre aver riguardo non alla qualificazione civilistica attribuita al rapporto tra le imprese che cooperano tra loro - vale a dire contratto d'appalto o d'opera o di somministrazione - ma all'effetto che tale rapporto origina, vale a dire alla concreta interferenza tra le organizzazioni ad esse facenti capo, che può essere fonte di ulteriori rischi per l'incolumità dei lavoratori. Tale interferenza deve essere necessariamente intesa in senso funzionale, avendo riguardo alla coesistenza in un medesimo contesto di più organizzazioni, ciascuna delle quali facente capo a soggetti diversi (Sez. 4, n. 44792 del 17/06/2015, Mancini e altro, Rv. 26495701).
COMUNIONE E CONDOMINIO
Cass. civ., Sez. VI, Ord., 28 giugno 2017, n. 16260 - pubblicato il 5 luglio 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
L'uso della cosa comune da parte di ciascun condomino è sottoposto, secondo il disposto dell'art. 1102 c.c., a due fondamentali limitazioni, consistenti nel divieto di alterare la destinazione della cosa comune e nell'obbligo di consentirne un uso paritetico agli altri condomini. Simmetricamente, la norma in parola, intesa, altresì, ad assicurare al singolo partecipante, quanto all'esercizio concreto del suo diritto, le maggiori possibilità di godimento della cosa, legittima quest'ultimo, entro i limiti ora ricordati, a servirsi di essa anche per fini esclusivamente propri, traendone ogni possibile utilità, non potendosi intendere la nozione di "uso paritetico" in termini di assoluta identità di utilizzazione della "res", poichè una lettura in tal senso della norma "de qua", in una dimensione spaziale o temporale, comporterebbe il sostanziale divieto, per ciascun condomino, di fare, della cosa comune, qualsiasi uso particolare a proprio vantaggio. I rapporti condominiali, invero, sono informati al principio di solidarietà, il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione. Ne consegue che qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non possano fare un pari uso della cosa comune, la modifica apportata alla stessa dal condomino deve ritenersi legittima, dal momento che, in una materia in cui è prevista la massima espansione dell'uso, il limite al godimento di ciascuno dei condomini è dato dagli interessi altrui, i quali, pertanto, costituiscono impedimento alla modifica solo se sia ragionevole prevedere che i loro titolari possano volere accrescere il pari uso cui hanno diritto.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
L'uso della cosa comune da parte di ciascun condomino è sottoposto, secondo il disposto dell'art. 1102 c.c., a due fondamentali limitazioni, consistenti nel divieto di alterare la destinazione della cosa comune e nell'obbligo di consentirne un uso paritetico agli altri condomini. Simmetricamente, la norma in parola, intesa, altresì, ad assicurare al singolo partecipante, quanto all'esercizio concreto del suo diritto, le maggiori possibilità di godimento della cosa, legittima quest'ultimo, entro i limiti ora ricordati, a servirsi di essa anche per fini esclusivamente propri, traendone ogni possibile utilità, non potendosi intendere la nozione di "uso paritetico" in termini di assoluta identità di utilizzazione della "res", poichè una lettura in tal senso della norma "de qua", in una dimensione spaziale o temporale, comporterebbe il sostanziale divieto, per ciascun condomino, di fare, della cosa comune, qualsiasi uso particolare a proprio vantaggio. I rapporti condominiali, invero, sono informati al principio di solidarietà, il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione. Ne consegue che qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non possano fare un pari uso della cosa comune, la modifica apportata alla stessa dal condomino deve ritenersi legittima, dal momento che, in una materia in cui è prevista la massima espansione dell'uso, il limite al godimento di ciascuno dei condomini è dato dagli interessi altrui, i quali, pertanto, costituiscono impedimento alla modifica solo se sia ragionevole prevedere che i loro titolari possano volere accrescere il pari uso cui hanno diritto.
ACCERTAMENTO IMPOSTE SUL REDDITO
Cass. civ., Sez. VI, Ordinanza, 26 giugno 2017, n. 15899 - pubblicato il 29 giugno 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di accertamento delle imposte sul reddito, il riferimento al possesso di autovetture da parte del contribuente, contenuto nei cosiddetti redditometri, deve ritenersi esteso anche alle auto storiche, non rinvenendosi in dette disposizione alcuna precisazione o restrizione al riguardo e rappresentando tale circostanza un idoneo indice di capacità contributiva, dal quale possono correttamente desumersi elementi di valutazione nell'ambito dell'apprezzamento riservato al giudice del merito, come fatto al quale notoriamente si ricollegano spese a volte anche ingenti. Le predette autovetture, invero, formano oggetto di ricerca e collezionismo tra gli appassionati e la relativa manutenzione, secondo l'id quod plerumque accidit, comporta rilevanti costi, in ragione della necessità di riparazione e sostituzione dei componenti soggetti ad usura.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di accertamento delle imposte sul reddito, il riferimento al possesso di autovetture da parte del contribuente, contenuto nei cosiddetti redditometri, deve ritenersi esteso anche alle auto storiche, non rinvenendosi in dette disposizione alcuna precisazione o restrizione al riguardo e rappresentando tale circostanza un idoneo indice di capacità contributiva, dal quale possono correttamente desumersi elementi di valutazione nell'ambito dell'apprezzamento riservato al giudice del merito, come fatto al quale notoriamente si ricollegano spese a volte anche ingenti. Le predette autovetture, invero, formano oggetto di ricerca e collezionismo tra gli appassionati e la relativa manutenzione, secondo l'id quod plerumque accidit, comporta rilevanti costi, in ragione della necessità di riparazione e sostituzione dei componenti soggetti ad usura.
CONFISCA DELL'IMMOBILE
Cass. pen., Sez. I, 12 giugno 2017, n. 29174 - pubblicato il 27 giugno 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Secondo il costante orientamento di questa Corte (Sez. 3, n. 47473 del 02/10/2013 - dep. 29/11/2013, Corsano, Rv. 258078), l'adozione del procedimento de plano in base al combinato disposto dell'art. 676 c.p.p., art. 667 c.p.p., comma 4, si riferisce al caso in cui la confisca è stata disposta dal giudice dell'esecuzione e non al caso in cui al giudice dell'esecuzione si è chiesto di provvedere su una confisca già ordinata con sentenza. In tale ultimo caso, infatti, il giudice dell'esecuzione deve procedere a norma dell'art. 666 c.p.p., pronunciando decreto, nell'ipotesi di inammissibilità dell'istanza ai sensi del comma 2 dello stesso articolo, ovvero negli altri casi pronunciando ordinanza, ai sensi del comma 6, dello stesso articolo, nel contraddittorio delle parti.
La ragione è evidente: l'ordine di confisca contenuto in una sentenza irrevocabile di condanna fa stato "inter partes"; pertanto, quando il provvedimento risulta disposto illegittimamente sussistendo la causa impeditiva prevista dall'art. 240 c.p., comma 3, il soggetto estraneo al reato, e perciò rimasto estraneo al procedimento penale, al quale la cosa confiscata appartiene può chiedere di invalidare quel capo della sentenza ed ottenere la revoca della misura di sicurezza inflitta all'imputato condannato (Sez. 5, n. 15394 del 06/03/2014, Russo, Rv. 260218). Come hanno affermato le Sezioni Unite n. 9 del 1999, Bacherotti, con principio valido anche per i diritti reali di proprietà "la giurisprudenza di legittimità, sia penale che civile, è consolidata nel senso che nessuna forma di confisca può determinare l'estinzione dei diritti reali di garanzia costituiti sulla cosa, in puntuale sintonia col principio generale di giustizia distributiva per cui la misura sanzionatoria non può ritorcersi in ingiustificati sacrifici delle posizioni giuridiche soggettive di chi sia rimasto estraneo all'illecito". Nella citata sentenza sono state altresì precisate le coordinate entro cui nella situazione data deve muoversi il giudice dell'esecuzione "i terzi che vantino diritti reali hanno l'onere di provare i fatti costitutivi della pretesa fatta valere sulla cosa confiscata, essendo evidente che essi sono tenuti a fornire la dimostrazione di tutti gli elementi che concorrono ad integrare le condizioni di "appartenenza" e di "estraneità al reato", dalle quali dipende l'operatività della situazione impeditiva o limitativa del potere di confisca esercitato dallo Stato".
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Secondo il costante orientamento di questa Corte (Sez. 3, n. 47473 del 02/10/2013 - dep. 29/11/2013, Corsano, Rv. 258078), l'adozione del procedimento de plano in base al combinato disposto dell'art. 676 c.p.p., art. 667 c.p.p., comma 4, si riferisce al caso in cui la confisca è stata disposta dal giudice dell'esecuzione e non al caso in cui al giudice dell'esecuzione si è chiesto di provvedere su una confisca già ordinata con sentenza. In tale ultimo caso, infatti, il giudice dell'esecuzione deve procedere a norma dell'art. 666 c.p.p., pronunciando decreto, nell'ipotesi di inammissibilità dell'istanza ai sensi del comma 2 dello stesso articolo, ovvero negli altri casi pronunciando ordinanza, ai sensi del comma 6, dello stesso articolo, nel contraddittorio delle parti.
La ragione è evidente: l'ordine di confisca contenuto in una sentenza irrevocabile di condanna fa stato "inter partes"; pertanto, quando il provvedimento risulta disposto illegittimamente sussistendo la causa impeditiva prevista dall'art. 240 c.p., comma 3, il soggetto estraneo al reato, e perciò rimasto estraneo al procedimento penale, al quale la cosa confiscata appartiene può chiedere di invalidare quel capo della sentenza ed ottenere la revoca della misura di sicurezza inflitta all'imputato condannato (Sez. 5, n. 15394 del 06/03/2014, Russo, Rv. 260218). Come hanno affermato le Sezioni Unite n. 9 del 1999, Bacherotti, con principio valido anche per i diritti reali di proprietà "la giurisprudenza di legittimità, sia penale che civile, è consolidata nel senso che nessuna forma di confisca può determinare l'estinzione dei diritti reali di garanzia costituiti sulla cosa, in puntuale sintonia col principio generale di giustizia distributiva per cui la misura sanzionatoria non può ritorcersi in ingiustificati sacrifici delle posizioni giuridiche soggettive di chi sia rimasto estraneo all'illecito". Nella citata sentenza sono state altresì precisate le coordinate entro cui nella situazione data deve muoversi il giudice dell'esecuzione "i terzi che vantino diritti reali hanno l'onere di provare i fatti costitutivi della pretesa fatta valere sulla cosa confiscata, essendo evidente che essi sono tenuti a fornire la dimostrazione di tutti gli elementi che concorrono ad integrare le condizioni di "appartenenza" e di "estraneità al reato", dalle quali dipende l'operatività della situazione impeditiva o limitativa del potere di confisca esercitato dallo Stato".
LICENZIAMENTO DISCIPLINARE
Cass. civ., Sez. lavoro, 15 giugno 2017, n. 14862 pubblicato il 22 giugno 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
L'onere di pubblicità del cd. codice disciplinare, previsto dall'art. 7, comma 1, della legge n. 300 del 1970 (Statuto dei lavoratori), si applica al licenziamento disciplinare soltanto nei limiti in cui questo sia stato intimato per una delle specifiche ipotesi di comportamento illecito vietate e sanzionate con il provvedimento espulsivo da norme della contrattazione collettiva o da quelle validamente poste dal datore di lavoro (entrambe soggette all'obbligo della pubblicità per l'esigenza di tutelare il lavoratore contro il rischio di incorrere nel licenziamento per fatti da lui non preventivamente conosciuti come mancanze) e non anche quando, senza avvalersi di una di queste specifiche ipotesi, il datore di lavoro contesti un comportamento che, secondo quanto accertato in fatto dal giudice del merito, integri una violazione di una norma penale, o sia manifestamente contrario all'etica comune, ovvero concreti un grave o comunque notevole inadempimento dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro, quali sono gli obblighi di diligenza e di fedeltà prescritti dagli artt. 2104 e 2105 c.c., poiché in tali casi il potere di licenziamento deriva direttamente dalla legge.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
L'onere di pubblicità del cd. codice disciplinare, previsto dall'art. 7, comma 1, della legge n. 300 del 1970 (Statuto dei lavoratori), si applica al licenziamento disciplinare soltanto nei limiti in cui questo sia stato intimato per una delle specifiche ipotesi di comportamento illecito vietate e sanzionate con il provvedimento espulsivo da norme della contrattazione collettiva o da quelle validamente poste dal datore di lavoro (entrambe soggette all'obbligo della pubblicità per l'esigenza di tutelare il lavoratore contro il rischio di incorrere nel licenziamento per fatti da lui non preventivamente conosciuti come mancanze) e non anche quando, senza avvalersi di una di queste specifiche ipotesi, il datore di lavoro contesti un comportamento che, secondo quanto accertato in fatto dal giudice del merito, integri una violazione di una norma penale, o sia manifestamente contrario all'etica comune, ovvero concreti un grave o comunque notevole inadempimento dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro, quali sono gli obblighi di diligenza e di fedeltà prescritti dagli artt. 2104 e 2105 c.c., poiché in tali casi il potere di licenziamento deriva direttamente dalla legge.
STALKING
Cass. pen., Sez. V, 8 giugno 2017, n. 28623 - pubblicato il 20 giugno 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Va ribadito che, ai fini della rituale contestazione del delitto di cui all'art. 612-bis c.p. - che ha natura di reato abituale -, non si richiede che il capo di imputazione rechi la precisa indicazione del luogo e della data di ogni singolo episodio nel quale si sia concretato il compimento di atti persecutori, essendo sufficiente a consentire un'adeguata difesa la descrizione in sequenza dei comportamenti tenuti, la loro collocazione temporale di massima e gli effetti derivatine alla persona offesa (Sez. 5, n. 7544 del 25/10/2012 - dep. 15/02/2013, C., Rv. 255016).
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Va ribadito che, ai fini della rituale contestazione del delitto di cui all'art. 612-bis c.p. - che ha natura di reato abituale -, non si richiede che il capo di imputazione rechi la precisa indicazione del luogo e della data di ogni singolo episodio nel quale si sia concretato il compimento di atti persecutori, essendo sufficiente a consentire un'adeguata difesa la descrizione in sequenza dei comportamenti tenuti, la loro collocazione temporale di massima e gli effetti derivatine alla persona offesa (Sez. 5, n. 7544 del 25/10/2012 - dep. 15/02/2013, C., Rv. 255016).
HASHISh
Cass. pen., Sez. VI, 5 giugno 2017, n. 27787 - pubblicato il 16 giugno 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Con sentenza n. 2176/2016 la Corte di appello di Palermo, ha confermato la condanna inflitta dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Sciacca a C.A. e D.M.R. ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, per detenzione illecita di tre panetti di hashish pesanti circa 100 grammi ciascuno.
ei ricorsi congiunti di C. e di D.M. si chiede l'annullamento della sentenza per: a) vizio di motivazione circa la colpevolezza di D.M., che ha tenuto un comportamento meramente passivo inidoneo a contribuire allei realizzazione della condotta (come confermato dalle dichiarazioni della D.M. secondo cui la sostanza stupefacente sequestrata apparteneva soltanto a lei) e, in ogni caso, per mancanza di prova circa la destinazione della sostanza allo spaccio; b) violazione dell'art. 62-bis c.p. per il disconoscimento delle circostanza attenuanti generiche nonostante la giovane età e l'incensuratezza dei ricorrenti.
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La Corte di appello ha condiviso l'argomentazione del Giudice dell'udienza preliminare che ha rilevato che i due giovani (conviventi e legati sentimentalmente) sono stati arrestati perchè sorpresi assieme a bordo di un autobus di linea mentre la ragazza deteneva i tre panetti nella tasca di un giubbotto conservato dentro una sua borsa, evidenziando l'incongruenza della affermazione della D.M. di avere nascosto a Conti (che in passato aveva fatto uso di hashish e che in altra occasione era stato fermato con amici nel tentativo di disfarsi di hashish) l'acquisto dei tre panetti di hashish (peraltro, secondo la narrazione, avvenuto estemporaneamente e casualmente da giovani sconosciuti, allontanandosi dal convivente mentre entrambi si trovavano al mercato) pur essendo i due senza un lavoro stabile, non avendo la donna alcun motivo di nascondere un acquisto così impegnativo nella loro condizione di indigenza e risultando inverosimile che, consumatrice saltuaria, potesse da sola usare la droga, così dovendosene derivare che la stupefacente era destinato (almeno in parte) a uso non esclusivamente personale.
Su queste basi ha anche concluso che "il significativo quantitativo di stupefacente detenuto dagli imputati, del tutto ingiustificato rispetto alle modeste condizioni degli stessi (che rendono del tutto inverosimile che tale quantitativo fosse destinato esclusivamente a uso personale), costituisce indice univoco della destinazione almeno parziale dello stupefaceva ad uso non esclusivamente personale".
Il ricorso non sviluppa specifiche argomentazioni per confutare il ragionamento della Corte che ha applicato, senza incorrere in fallacie logiche, plausibili massime di esperienza, configurando la condotta di C. in termini di concorso per avere agevolato l'azione, garantendo con la sua presenza non casuale implicitamente collaborazione in caso di bisogno (Sez. 6, n. 9986 del 20/05/1998, Rv. 211587; Sez. 6, n. 1108 del 4/12/1996, dep. 1997, Rv. 206785), sicchè deve escludersi che la sua condotta possa qualificarsi come connivenza non punibile risolventesi in un comportamento solo passivo (Sez. 3, n. 41055 del 22/09/2015, Rv. 265167; Sez. 6, n. 47562 del 29/10/2013, Rv. 257465).
Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Il riconoscimento delle attenuanti generiche è un giudizio di fatto lasciato alla discrezionalità del giudice, che deve motivare nei soli limiti atti a fare emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l'adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato e alla personalità del reo (Sez. 6, n.41365 del 28/10/2010, Rv. 248737; Sez. 1, 46954 del 04/11/2004, Rv. 230591).
Nel caso in esame, la Corte d'Appello ha adeguatamente esplicitato di non avere ritenuto concedibili le circostanze attenuanti generiche per l'assenza di elementi positivi utilmente valutabili e considerata la consistente quantità di sostanza stupefacente detenuta.
Dalla dichiarazione di inammissibilità del ricorso deriva, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma che risulta congruo determinare in Euro 1500.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Con sentenza n. 2176/2016 la Corte di appello di Palermo, ha confermato la condanna inflitta dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Sciacca a C.A. e D.M.R. ex D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, per detenzione illecita di tre panetti di hashish pesanti circa 100 grammi ciascuno.
ei ricorsi congiunti di C. e di D.M. si chiede l'annullamento della sentenza per: a) vizio di motivazione circa la colpevolezza di D.M., che ha tenuto un comportamento meramente passivo inidoneo a contribuire allei realizzazione della condotta (come confermato dalle dichiarazioni della D.M. secondo cui la sostanza stupefacente sequestrata apparteneva soltanto a lei) e, in ogni caso, per mancanza di prova circa la destinazione della sostanza allo spaccio; b) violazione dell'art. 62-bis c.p. per il disconoscimento delle circostanza attenuanti generiche nonostante la giovane età e l'incensuratezza dei ricorrenti.
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La Corte di appello ha condiviso l'argomentazione del Giudice dell'udienza preliminare che ha rilevato che i due giovani (conviventi e legati sentimentalmente) sono stati arrestati perchè sorpresi assieme a bordo di un autobus di linea mentre la ragazza deteneva i tre panetti nella tasca di un giubbotto conservato dentro una sua borsa, evidenziando l'incongruenza della affermazione della D.M. di avere nascosto a Conti (che in passato aveva fatto uso di hashish e che in altra occasione era stato fermato con amici nel tentativo di disfarsi di hashish) l'acquisto dei tre panetti di hashish (peraltro, secondo la narrazione, avvenuto estemporaneamente e casualmente da giovani sconosciuti, allontanandosi dal convivente mentre entrambi si trovavano al mercato) pur essendo i due senza un lavoro stabile, non avendo la donna alcun motivo di nascondere un acquisto così impegnativo nella loro condizione di indigenza e risultando inverosimile che, consumatrice saltuaria, potesse da sola usare la droga, così dovendosene derivare che la stupefacente era destinato (almeno in parte) a uso non esclusivamente personale.
Su queste basi ha anche concluso che "il significativo quantitativo di stupefacente detenuto dagli imputati, del tutto ingiustificato rispetto alle modeste condizioni degli stessi (che rendono del tutto inverosimile che tale quantitativo fosse destinato esclusivamente a uso personale), costituisce indice univoco della destinazione almeno parziale dello stupefaceva ad uso non esclusivamente personale".
Il ricorso non sviluppa specifiche argomentazioni per confutare il ragionamento della Corte che ha applicato, senza incorrere in fallacie logiche, plausibili massime di esperienza, configurando la condotta di C. in termini di concorso per avere agevolato l'azione, garantendo con la sua presenza non casuale implicitamente collaborazione in caso di bisogno (Sez. 6, n. 9986 del 20/05/1998, Rv. 211587; Sez. 6, n. 1108 del 4/12/1996, dep. 1997, Rv. 206785), sicchè deve escludersi che la sua condotta possa qualificarsi come connivenza non punibile risolventesi in un comportamento solo passivo (Sez. 3, n. 41055 del 22/09/2015, Rv. 265167; Sez. 6, n. 47562 del 29/10/2013, Rv. 257465).
Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Il riconoscimento delle attenuanti generiche è un giudizio di fatto lasciato alla discrezionalità del giudice, che deve motivare nei soli limiti atti a fare emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l'adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato e alla personalità del reo (Sez. 6, n.41365 del 28/10/2010, Rv. 248737; Sez. 1, 46954 del 04/11/2004, Rv. 230591).
Nel caso in esame, la Corte d'Appello ha adeguatamente esplicitato di non avere ritenuto concedibili le circostanze attenuanti generiche per l'assenza di elementi positivi utilmente valutabili e considerata la consistente quantità di sostanza stupefacente detenuta.
Dalla dichiarazione di inammissibilità del ricorso deriva, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma che risulta congruo determinare in Euro 1500.
PENSIONI
Cass. civ., Sez. Unite, 9 giugno 2017, n. 14429 - pubblicato il 14 giugno 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In caso di ritardato pagamento degli emolumenti di natura retributiva, pensionistica ed assistenziale a favore dei dipendenti pubblici in attività di servizio o in quiescenza, gli accessori di legge sono calcolati sulle somme dovute al netto delle ritenute previdenziali, assistenziali ed erariali. L'individuazione della base di calcolo costituisce una tra le possibili modalità applicative del divieto di cumulo di interessi e rivalutazione per gli emolumenti di natura retributiva, pensionistica ed assistenziale per i soli dipendenti pubblici, in attività di servizio o in quiescenza, esteso ai pubblici dipendenti dall'art. 22, comma 36, della legge n. 724 del 1994. Ciò esclude che il calcolo della rivalutazione monetaria e degli interessi sulle somme dovute ai dipendenti delle pubbliche Amministrazioni, operato al netto e non al lordo del prelievo fiscale, possa configurare una ipotesi di eccesso di delega imputabile all'autorità amministrativa demandata dal legislatore a disciplinare un tale meccanismo di computo.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In caso di ritardato pagamento degli emolumenti di natura retributiva, pensionistica ed assistenziale a favore dei dipendenti pubblici in attività di servizio o in quiescenza, gli accessori di legge sono calcolati sulle somme dovute al netto delle ritenute previdenziali, assistenziali ed erariali. L'individuazione della base di calcolo costituisce una tra le possibili modalità applicative del divieto di cumulo di interessi e rivalutazione per gli emolumenti di natura retributiva, pensionistica ed assistenziale per i soli dipendenti pubblici, in attività di servizio o in quiescenza, esteso ai pubblici dipendenti dall'art. 22, comma 36, della legge n. 724 del 1994. Ciò esclude che il calcolo della rivalutazione monetaria e degli interessi sulle somme dovute ai dipendenti delle pubbliche Amministrazioni, operato al netto e non al lordo del prelievo fiscale, possa configurare una ipotesi di eccesso di delega imputabile all'autorità amministrativa demandata dal legislatore a disciplinare un tale meccanismo di computo.
ESAME AVVOCATO
Uff. indagini preliminari Nocera Inferiore, 27 febbraio 2017 - pubblicato il 9 giugno 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Nocera Inferiore, ufficio del giudice per le indagini preliminari, nella persona del dott. Luigi Levita, ha pronunciato ex art. 129 c.p.p. la presente
SENTENZA CON MOTIVAZIONE CONTESTUALE
nel procedimento a carico di:
XXX, nato a XXX il XXX
difeso di ufficio dall'avv. XXX
IMPUTATO
a) del reato p. e p. dall'art. 1 L. n. 475 del 1925 perché, quale candidato per il conseguimento dell'abilitazione all'esercizio della professione forense, presentava come proprio il parere motivato in materia di diritto civile che è opera di altri, in particolare alcuni tratti dell'elaborato risultano copiati dal sito internet www.wikipedia.it e dal sito internet www.leggioggi.it.
In Fisciano il 15.12.2015.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
A seguito di richiesta di emissione del decreto penale di condanna per i fatti di cui all'imputazione, ritiene il Tribunale che l'imputato vada mandato assolto ex art. 129 c.p.p. per insussistenza del fatto.
Il Pubblico Ministero ha contestato il delitto di cui all'art. 1, L. n. 475 del 1925, in quanto l'odierno imputato, quale candidato all'esame per il conseguimento dell'abilitazione all'esercizio della professione forense nell'anno 2015, avrebbe presentato come proprio il parere motivato in materia di diritto civile; in particolare, secondo la prospettazione accusatoria, una parte dell'elaborato risultava pedissequamente copiato da alcuni contenuti liberamente disponibili in Rete.
Nondimeno, con esclusivo riguardo a tale specifica vicenda, ritiene il Tribunale che la corrispondenza delle parole impiegate con quelle delle fonti pubblicate in Rete - ferma la negativa valutazione operata dalla Commissione esaminatrice - non realizzi l'impiego censurato dall'art. L. n. 475 del 1925 citato.
D'altronde, per "dissertazione" deve intendersi l'ampia, approfondita e dotta trattazione di un argomento; così come con "studio o lavoro" si indica l'esposizione articolata di un tema, frutto di un'elaborazione concettuale autonoma.
Se ne deduce, argomentando a contrario, che non appare corretto ricondurre al fatto tipico (dissertazione, studio o lavoro) mere ed elementari formule definitorie, di comune impiego nel mondo del diritto, ovvero citazioni pedisseque di massime giurisprudenziali (peraltro agevolmente ricavabili dai codici commentati, il cui uso è consentito in sede di esame di abilitazione).
La norma incriminatrice, come è noto, ha la finalità di tutelare l'interesse alla genuinità di un elaborato che deve essere esaminato dai componenti di una commissione incaricata della valutazione (Cass. Pen., Sez. III, 1 marzo 1979, n. 2139) assicurando che l'aspirante ad un titolo o ad un impiego sia realmente in possesso dei requisiti richiesti per conseguirlo e che il giudizio dell'autorità che procede alla relativa valutazione non sia fuorviato dall'accreditare come proprio il lavoro altrui (Cass. Pen., Sez. III, 6 novembre 1984, n. 9673); viene pertanto tutelata quella che è stata definita la "pubblica fede personale" (Cass. Pen., Sez. V, 4 settembre 1989, n. 626).
Ciò premesso, non va sottaciuto che in situazioni del genere l'interprete è chiamato a confrontarsi con la circostanza che, nell'ambito dell'esposizione e dell'argomentazione (non solo giuridica), ad elaborati a carattere scientifico ed innovativo si contrappongono anche elaborati di natura meramente compilativa (categoria alla quale sicuramente appartiene l'elaborato de quo).
Per l'effetto, ad orientare l'operatore ai fini della sussistenza della violazione sanzionata non è tanto il fatto che il testo non coincida con frasi o proposizioni di altri scritti provenienti da fonti esterne, quanto il fatto che esso non sia connotato da una elaborazione critica dei dati acquisiti, il cui confronto serva a verificarne l'attendibilità ed a trarre conclusioni che offrano un contributo scientifico autonomamente apprezzabile; la norma in argomento sanziona infatti la riproduzione grafica di un elaborato altrui che, a prescindere da modeste aggiunte, vada effettivamente a permeare l'impianto complessivo del testo, sì da escludere che esso sia la risultante di una riflessione personale dell'apparente autore.
Nel caso in esame, invece, è evidente che la surriferita copiatura non appare idonea ad inficiare la paternità del complessivo parere reso dall'odierno imputato, in quanto - pur depurando le parti asseritamente oggetto di copiatura, peraltro dall'estensione molto limitata, in raffronto alla totalità dell'elaborato - la complessiva esposizione costituisce indubbiamente il frutto dell'autonomo sforzo espositivo del candidato, che si è soffermato sulla problematica giuridica sottesa con proprio ragionamento, fornendo una ricostruzione personale del tema proposto.
In sostanza, la disamina complessiva dell'elaborato, sviluppato e strutturato in modo organico, priva di ogni rilevanza penale la corrispondenza della mera introduzione nozionistica all'articolo indicato in imputazione (sul tema, Cass. Pen., Sez. III, 12 maggio 2011, n. 18826), essendo stato già affermato come soltanto la complessiva mancanza di originalità del lavoro denoti l'integrazione del reato (Cass. Pen., Sez. VI, 21 giugno 2010, n. 32368, la quale ha riconosciuto l'esistenza del delitto nel caso di copiatura integrale del testo di una sentenza, pur puntualmente citata, nel corso della redazione di una prova concorsuale, dato che anche quell'operazione denota la mancanza di autonoma elaborazione logica del candidato; cfr. anche Cass. Pen., Sez. II, 10 dicembre 1984).
Ciò conduce all'emissione di sentenza assolutoria ex art. 129 c.p.p. perché il fatto non sussiste, il che esime il Tribunale dal compiere qualsivoglia valutazione sulla effettiva corrispondenza fra il materiale informatico reperito in Rete all'epoca dei fatti e la copia cartacea acclusa agli atti del fascicolo (sulla quale, invero, non potrebbe esprimersi un giudizio di equipollenza oltre ogni ragionevole dubbio, non essendo stato seguito alcun protocollo scientifico riconosciuto per l'acquisizione del dato informatico e la sua conseguente trasposizione cartacea).
P.Q.M.
Visto l'art. 129 c.p.p., assolve l'imputato dal reato ascritto perché il fatto non sussiste.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Nocera Inferiore, ufficio del giudice per le indagini preliminari, nella persona del dott. Luigi Levita, ha pronunciato ex art. 129 c.p.p. la presente
SENTENZA CON MOTIVAZIONE CONTESTUALE
nel procedimento a carico di:
XXX, nato a XXX il XXX
difeso di ufficio dall'avv. XXX
IMPUTATO
a) del reato p. e p. dall'art. 1 L. n. 475 del 1925 perché, quale candidato per il conseguimento dell'abilitazione all'esercizio della professione forense, presentava come proprio il parere motivato in materia di diritto civile che è opera di altri, in particolare alcuni tratti dell'elaborato risultano copiati dal sito internet www.wikipedia.it e dal sito internet www.leggioggi.it.
In Fisciano il 15.12.2015.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
A seguito di richiesta di emissione del decreto penale di condanna per i fatti di cui all'imputazione, ritiene il Tribunale che l'imputato vada mandato assolto ex art. 129 c.p.p. per insussistenza del fatto.
Il Pubblico Ministero ha contestato il delitto di cui all'art. 1, L. n. 475 del 1925, in quanto l'odierno imputato, quale candidato all'esame per il conseguimento dell'abilitazione all'esercizio della professione forense nell'anno 2015, avrebbe presentato come proprio il parere motivato in materia di diritto civile; in particolare, secondo la prospettazione accusatoria, una parte dell'elaborato risultava pedissequamente copiato da alcuni contenuti liberamente disponibili in Rete.
Nondimeno, con esclusivo riguardo a tale specifica vicenda, ritiene il Tribunale che la corrispondenza delle parole impiegate con quelle delle fonti pubblicate in Rete - ferma la negativa valutazione operata dalla Commissione esaminatrice - non realizzi l'impiego censurato dall'art. L. n. 475 del 1925 citato.
D'altronde, per "dissertazione" deve intendersi l'ampia, approfondita e dotta trattazione di un argomento; così come con "studio o lavoro" si indica l'esposizione articolata di un tema, frutto di un'elaborazione concettuale autonoma.
Se ne deduce, argomentando a contrario, che non appare corretto ricondurre al fatto tipico (dissertazione, studio o lavoro) mere ed elementari formule definitorie, di comune impiego nel mondo del diritto, ovvero citazioni pedisseque di massime giurisprudenziali (peraltro agevolmente ricavabili dai codici commentati, il cui uso è consentito in sede di esame di abilitazione).
La norma incriminatrice, come è noto, ha la finalità di tutelare l'interesse alla genuinità di un elaborato che deve essere esaminato dai componenti di una commissione incaricata della valutazione (Cass. Pen., Sez. III, 1 marzo 1979, n. 2139) assicurando che l'aspirante ad un titolo o ad un impiego sia realmente in possesso dei requisiti richiesti per conseguirlo e che il giudizio dell'autorità che procede alla relativa valutazione non sia fuorviato dall'accreditare come proprio il lavoro altrui (Cass. Pen., Sez. III, 6 novembre 1984, n. 9673); viene pertanto tutelata quella che è stata definita la "pubblica fede personale" (Cass. Pen., Sez. V, 4 settembre 1989, n. 626).
Ciò premesso, non va sottaciuto che in situazioni del genere l'interprete è chiamato a confrontarsi con la circostanza che, nell'ambito dell'esposizione e dell'argomentazione (non solo giuridica), ad elaborati a carattere scientifico ed innovativo si contrappongono anche elaborati di natura meramente compilativa (categoria alla quale sicuramente appartiene l'elaborato de quo).
Per l'effetto, ad orientare l'operatore ai fini della sussistenza della violazione sanzionata non è tanto il fatto che il testo non coincida con frasi o proposizioni di altri scritti provenienti da fonti esterne, quanto il fatto che esso non sia connotato da una elaborazione critica dei dati acquisiti, il cui confronto serva a verificarne l'attendibilità ed a trarre conclusioni che offrano un contributo scientifico autonomamente apprezzabile; la norma in argomento sanziona infatti la riproduzione grafica di un elaborato altrui che, a prescindere da modeste aggiunte, vada effettivamente a permeare l'impianto complessivo del testo, sì da escludere che esso sia la risultante di una riflessione personale dell'apparente autore.
Nel caso in esame, invece, è evidente che la surriferita copiatura non appare idonea ad inficiare la paternità del complessivo parere reso dall'odierno imputato, in quanto - pur depurando le parti asseritamente oggetto di copiatura, peraltro dall'estensione molto limitata, in raffronto alla totalità dell'elaborato - la complessiva esposizione costituisce indubbiamente il frutto dell'autonomo sforzo espositivo del candidato, che si è soffermato sulla problematica giuridica sottesa con proprio ragionamento, fornendo una ricostruzione personale del tema proposto.
In sostanza, la disamina complessiva dell'elaborato, sviluppato e strutturato in modo organico, priva di ogni rilevanza penale la corrispondenza della mera introduzione nozionistica all'articolo indicato in imputazione (sul tema, Cass. Pen., Sez. III, 12 maggio 2011, n. 18826), essendo stato già affermato come soltanto la complessiva mancanza di originalità del lavoro denoti l'integrazione del reato (Cass. Pen., Sez. VI, 21 giugno 2010, n. 32368, la quale ha riconosciuto l'esistenza del delitto nel caso di copiatura integrale del testo di una sentenza, pur puntualmente citata, nel corso della redazione di una prova concorsuale, dato che anche quell'operazione denota la mancanza di autonoma elaborazione logica del candidato; cfr. anche Cass. Pen., Sez. II, 10 dicembre 1984).
Ciò conduce all'emissione di sentenza assolutoria ex art. 129 c.p.p. perché il fatto non sussiste, il che esime il Tribunale dal compiere qualsivoglia valutazione sulla effettiva corrispondenza fra il materiale informatico reperito in Rete all'epoca dei fatti e la copia cartacea acclusa agli atti del fascicolo (sulla quale, invero, non potrebbe esprimersi un giudizio di equipollenza oltre ogni ragionevole dubbio, non essendo stato seguito alcun protocollo scientifico riconosciuto per l'acquisizione del dato informatico e la sua conseguente trasposizione cartacea).
P.Q.M.
Visto l'art. 129 c.p.p., assolve l'imputato dal reato ascritto perché il fatto non sussiste.
FALSITà IN ATTI
Cass. pen., Sez. V, 24 maggio 2017, n. 25948 - pubblicato il 7 giugno 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
In tema di falso in scrittura privata, a seguito dell'abrogazione dell'art. 485 c.p., e della nuova formulazione dell'art. 491 c.p., da parte del D.Lgs. n. 7 del 2016, la rilevanza penale dell'attività di falsificazione (ovvero di utilizzazione dell'atto falso), realizzata secondo le modalità previste dagli articoli che precedono il predetto art. 491, è circoscritta alle scritture private indicate da quest'ultimo (testamento olografo, cambiale e titoli di credito trasmissibili per girata o al portatore), sempre che il fine avuto di mira dall'agente sia quello di recare a sè o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
In tema di falso in scrittura privata, a seguito dell'abrogazione dell'art. 485 c.p., e della nuova formulazione dell'art. 491 c.p., da parte del D.Lgs. n. 7 del 2016, la rilevanza penale dell'attività di falsificazione (ovvero di utilizzazione dell'atto falso), realizzata secondo le modalità previste dagli articoli che precedono il predetto art. 491, è circoscritta alle scritture private indicate da quest'ultimo (testamento olografo, cambiale e titoli di credito trasmissibili per girata o al portatore), sempre che il fine avuto di mira dall'agente sia quello di recare a sè o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno.
legittimo impedimento
Cass. pen., Sez. II, 18 maggio 2017, n. 25772 - pubblicato il 6 giugno 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La mera circostanza della contemporaneità di altri impegni professionali non integra un legittimo impedimento. L'impegno professionale del difensore in altro procedimento costituisce legittimo impedimento rilevante quale assoluta impossibilità a comparire ex art. 420 -ter, comma 5, c.p.p. solo se il difensore prospetti l'impedimento appena venga a conoscenza della contemporaneità dei diversi impegni ed indichi specificatamente le ragioni per cui il suo intervento nel diverso procedimento è essenziale, rappresentando dunque l'assenza in quel procedimento di un codifensore che possa validamente difendere l'imputato; deve inoltre essere dimostrata l'impossibilità di avvalersi di un sostituto ai sensi dell'art. 102 c.p.p. sia nel processo a cui intende partecipare che in quello di cui chiede il rinvio.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La mera circostanza della contemporaneità di altri impegni professionali non integra un legittimo impedimento. L'impegno professionale del difensore in altro procedimento costituisce legittimo impedimento rilevante quale assoluta impossibilità a comparire ex art. 420 -ter, comma 5, c.p.p. solo se il difensore prospetti l'impedimento appena venga a conoscenza della contemporaneità dei diversi impegni ed indichi specificatamente le ragioni per cui il suo intervento nel diverso procedimento è essenziale, rappresentando dunque l'assenza in quel procedimento di un codifensore che possa validamente difendere l'imputato; deve inoltre essere dimostrata l'impossibilità di avvalersi di un sostituto ai sensi dell'art. 102 c.p.p. sia nel processo a cui intende partecipare che in quello di cui chiede il rinvio.
PROCEDURA AD EVIDENZA PUBBLICA
Cass. civ., Sez. Unite, 29 maggio 2017, n. 13454 - pubblicato il 5 giugno 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In materia di procedure ad evidenza pubblica, sono devolute alla giurisdizione amministrativa, tra le altre, le controversie concernenti il risarcimento del danno da responsabilità dell'Amministrazione per il mancato rispetto delle norme di correttezza, la cui violazione si concretizza quando siano venuti meno gli atti della fase pubblicistica attributiva degli effetti vantaggiosi, che avevano ingenerato affidamento di buona fede e in special modo l'eventuale esecuzione anticipata, però senza alcun seguito contrattuale. La responsabilità dell'Amministrazione, in particolare, sussiste qualora dopo avere indetto una gara di appalto e pronunciato l'aggiudicazione, ne disponga la revoca per carenza delle risorse finanziarie occorrenti (come nella specie). In tale ipotesi, infatti, la responsabilità risale alla mancanza di vigilanza e coordinamento sugli impegni economici assunti dall'Amministrazione all'avvio della procedura di evidenza pubblica, con conseguente emissione di atti sulla cui legittimità confida il soggetto aggiudicatario, soprattutto qualora proceda ad esecuzione anticipata su sollecitazione della parte pubblica.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In materia di procedure ad evidenza pubblica, sono devolute alla giurisdizione amministrativa, tra le altre, le controversie concernenti il risarcimento del danno da responsabilità dell'Amministrazione per il mancato rispetto delle norme di correttezza, la cui violazione si concretizza quando siano venuti meno gli atti della fase pubblicistica attributiva degli effetti vantaggiosi, che avevano ingenerato affidamento di buona fede e in special modo l'eventuale esecuzione anticipata, però senza alcun seguito contrattuale. La responsabilità dell'Amministrazione, in particolare, sussiste qualora dopo avere indetto una gara di appalto e pronunciato l'aggiudicazione, ne disponga la revoca per carenza delle risorse finanziarie occorrenti (come nella specie). In tale ipotesi, infatti, la responsabilità risale alla mancanza di vigilanza e coordinamento sugli impegni economici assunti dall'Amministrazione all'avvio della procedura di evidenza pubblica, con conseguente emissione di atti sulla cui legittimità confida il soggetto aggiudicatario, soprattutto qualora proceda ad esecuzione anticipata su sollecitazione della parte pubblica.
ESPROPRIAZIONE IMMOBILIARE
Cass. civ., Sez. III, 25 maggio 2017, n. 13163 - pubblicato il 30 maggio 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di espropriazione immobiliare, il progetto di distribuzione può prescindere dai crediti per i quali non siano stati prodotti i necessari documenti giustificativi entro il termine a tale scopo fissato, nell'ambito della potestà prevista dagli artt. 484, 175 e 152 c.p.c., dal giudice dell'esecuzione o dal professionista delegato. Peraltro, nel termine eventualmente fissato dal giudice dell'esecuzione per la produzione dei titoli posti a base dell'intervento, se titolato, devono essere prodotti gli originali degli stessi e, dunque, trattandosi di titoli giudiziali, va depositata la relativa copia del provvedimento regolarmente spedita in forma esecutiva ai sensi dell'art. 475 c.p.c., anche nell'ipotesi in cui sia stata in precedenza autorizzata la sostituzione di esso con una copia conforme ai sensi dell'art. 488, comma 2, c.p.c. E', infatti, preciso onere del creditore procedente o del creditore intervenuto titolato provvedere al deposito del titolo esecutivo fatto valere "in executivis" e detto titolo deve essere prodotto in originale agli atti della procedura esecutiva, per restare acquisito al fascicolo processuale, quanto meno nel momento in cui essa si conclude con il provvedimento di assegnazione delle somme dovute, salva la possibilità di restituzione (previa sostituzione con copia conforme) da parte dello stesso giudice dell'esecuzione, laddove sussistano giusti motivi, e cioè laddove il titolo stesso richieda ulteriore attività esecutiva.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di espropriazione immobiliare, il progetto di distribuzione può prescindere dai crediti per i quali non siano stati prodotti i necessari documenti giustificativi entro il termine a tale scopo fissato, nell'ambito della potestà prevista dagli artt. 484, 175 e 152 c.p.c., dal giudice dell'esecuzione o dal professionista delegato. Peraltro, nel termine eventualmente fissato dal giudice dell'esecuzione per la produzione dei titoli posti a base dell'intervento, se titolato, devono essere prodotti gli originali degli stessi e, dunque, trattandosi di titoli giudiziali, va depositata la relativa copia del provvedimento regolarmente spedita in forma esecutiva ai sensi dell'art. 475 c.p.c., anche nell'ipotesi in cui sia stata in precedenza autorizzata la sostituzione di esso con una copia conforme ai sensi dell'art. 488, comma 2, c.p.c. E', infatti, preciso onere del creditore procedente o del creditore intervenuto titolato provvedere al deposito del titolo esecutivo fatto valere "in executivis" e detto titolo deve essere prodotto in originale agli atti della procedura esecutiva, per restare acquisito al fascicolo processuale, quanto meno nel momento in cui essa si conclude con il provvedimento di assegnazione delle somme dovute, salva la possibilità di restituzione (previa sostituzione con copia conforme) da parte dello stesso giudice dell'esecuzione, laddove sussistano giusti motivi, e cioè laddove il titolo stesso richieda ulteriore attività esecutiva.
DIVORZIO
Cass. civ., Sez. VI, Ordinanza, 24 maggio 2017, n. 13120 - pubblicato il 29 maggio 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di matrimonio, ai fini della delibazione della sentenza ecclesiastica di annullamento del matrimonio, la "convivenza" tra coniugi non è necessariamente collegata ad un "buon matrimonio", fondato su solidarietà ed affetti, ma ad un matrimonio comunque celebrato, salvo che i coniugi si siano trovati in una condizione di totale estraneità, pur coabitando, senza alcun rapporto personale o sessuale.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di matrimonio, ai fini della delibazione della sentenza ecclesiastica di annullamento del matrimonio, la "convivenza" tra coniugi non è necessariamente collegata ad un "buon matrimonio", fondato su solidarietà ed affetti, ma ad un matrimonio comunque celebrato, salvo che i coniugi si siano trovati in una condizione di totale estraneità, pur coabitando, senza alcun rapporto personale o sessuale.
RAPPORTO IMPUTATO DIFENSORE
Cass. pen., Sez. VI, 11 maggio 2016, n. 23065 - pubblicato il 26 maggio 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Questa Corte ha già affermato il principio, che il Collegio intende ribadire, secondo cui la dichiarazione di avvenuta nomina del difensore di fiducia, effettuata dal soggetto in stato detentivo nelle forme previste dall'art. 123 cod. proc. pen., deve essere comunicata dal direttore dell'Istituto penitenziario soltanto all'Autorità giudiziaria, ma non anche al professionista designato, incombendo tale onere informativo esclusivamente all'imputato, con la conseguenza che il mancato intervento del fiduciario determinato dalla negligenza del nominante non può costituire causa di invalidità degli atti processuali (Sez. 1, n. 23611 del 04/04/2014, Perillo, Rv. 259646; Sez. 2, n. 7673 del 03/11/2015, Gjoshi, non mass.; Sez. 1, n. 18243 del 19/02/2015; Emmanuello, non mass.). Va precisato che l'autorità giudiziaria non aveva a sua volta alcun onere di comunicare al difensore di fiducia la nomina pervenuta dall'imputato: in effetti, tale obbligo non è previsto da alcuna norma e l'incombente di informare il difensore è proprio della sfera di autonomia gestionale dell'imputato (cfr. Sez. 6, n. 23114 del 07/06/2011, Palombella, Rv. 250511). Pertanto, risultando il ricorrente assistito dal difensore di fiducia nella pendenza del termine per proporre appello, non può ritenersi ricorra il caso fortuito o la forza maggiore per farsi luogo alla restituzione nel termine. Per completezza deve aggiungersi che, secondo la prospettazione del ricorrente, dal 29 dicembre 2015 (data della nomina) al 16 febbraio 2016 (data in cui il difensore avrebbe appreso casualmente della nomina fiduciaria) - quindi quasi per due mesi - il T. non si è attivato in alcun modo per contattare il difensore di fiducia, nè con telefonate, nè con lettere, nè chiedendo un colloquio in carcere con il legale. Basta ricordare che grava sull'imputato l'onere di vigilare sul corretto svolgimento dell'incarico conferito al difensore (Sez. 4, n. 11173 del 27/02/2014, Zanoni, Rv. 262087; Sez. 4, n. 20655 del 14/03/2012, Fenoli, Rv. 254072; Sez. 5, n. 43277 del 06/07/2011, Mangano, Rv. 251695; Sez. 2, n. 12922 del 09/03/2007, Rosati, Rv. 236389). Principio che è stato ribadito anche dalla Corte Europea per i diritti dell'uomo (Grande Camera, 18/10/2006, Hermi c. Italia, p. 96), avendo stabilito che non si può imputare allo Stato la responsabilità di tutte le lacune di un avvocato nominato d'ufficio o scelto dall'imputato, essendo previsto un obbligo di intervento solo se la lacuna dell'avvocato d'ufficio sia manifesta o venga portata a conoscenza delle autorità in qualsiasi altro modo. La stessa Corte ha di recente ribadito che la condotta della difesa è essenzialmente una questione tra l'imputato e il suo difensore, sia che questi sia stato nominato in base ad un programma di gratuito patrocinio sia che sia remunerato privatamente (Corte EDU, 01/09/2015, Giorgini c. Italia, p. 66). Nel caso in esame, viepiù va rilevato che l'imputato non ha mai portato all'attenzione delle autorità eventuali difficoltà che egli stava incontrato nella preparazione della sua difesa. n definitiva, il ricorso deve essere rigettato con le conseguenze di legge.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Questa Corte ha già affermato il principio, che il Collegio intende ribadire, secondo cui la dichiarazione di avvenuta nomina del difensore di fiducia, effettuata dal soggetto in stato detentivo nelle forme previste dall'art. 123 cod. proc. pen., deve essere comunicata dal direttore dell'Istituto penitenziario soltanto all'Autorità giudiziaria, ma non anche al professionista designato, incombendo tale onere informativo esclusivamente all'imputato, con la conseguenza che il mancato intervento del fiduciario determinato dalla negligenza del nominante non può costituire causa di invalidità degli atti processuali (Sez. 1, n. 23611 del 04/04/2014, Perillo, Rv. 259646; Sez. 2, n. 7673 del 03/11/2015, Gjoshi, non mass.; Sez. 1, n. 18243 del 19/02/2015; Emmanuello, non mass.). Va precisato che l'autorità giudiziaria non aveva a sua volta alcun onere di comunicare al difensore di fiducia la nomina pervenuta dall'imputato: in effetti, tale obbligo non è previsto da alcuna norma e l'incombente di informare il difensore è proprio della sfera di autonomia gestionale dell'imputato (cfr. Sez. 6, n. 23114 del 07/06/2011, Palombella, Rv. 250511). Pertanto, risultando il ricorrente assistito dal difensore di fiducia nella pendenza del termine per proporre appello, non può ritenersi ricorra il caso fortuito o la forza maggiore per farsi luogo alla restituzione nel termine. Per completezza deve aggiungersi che, secondo la prospettazione del ricorrente, dal 29 dicembre 2015 (data della nomina) al 16 febbraio 2016 (data in cui il difensore avrebbe appreso casualmente della nomina fiduciaria) - quindi quasi per due mesi - il T. non si è attivato in alcun modo per contattare il difensore di fiducia, nè con telefonate, nè con lettere, nè chiedendo un colloquio in carcere con il legale. Basta ricordare che grava sull'imputato l'onere di vigilare sul corretto svolgimento dell'incarico conferito al difensore (Sez. 4, n. 11173 del 27/02/2014, Zanoni, Rv. 262087; Sez. 4, n. 20655 del 14/03/2012, Fenoli, Rv. 254072; Sez. 5, n. 43277 del 06/07/2011, Mangano, Rv. 251695; Sez. 2, n. 12922 del 09/03/2007, Rosati, Rv. 236389). Principio che è stato ribadito anche dalla Corte Europea per i diritti dell'uomo (Grande Camera, 18/10/2006, Hermi c. Italia, p. 96), avendo stabilito che non si può imputare allo Stato la responsabilità di tutte le lacune di un avvocato nominato d'ufficio o scelto dall'imputato, essendo previsto un obbligo di intervento solo se la lacuna dell'avvocato d'ufficio sia manifesta o venga portata a conoscenza delle autorità in qualsiasi altro modo. La stessa Corte ha di recente ribadito che la condotta della difesa è essenzialmente una questione tra l'imputato e il suo difensore, sia che questi sia stato nominato in base ad un programma di gratuito patrocinio sia che sia remunerato privatamente (Corte EDU, 01/09/2015, Giorgini c. Italia, p. 66). Nel caso in esame, viepiù va rilevato che l'imputato non ha mai portato all'attenzione delle autorità eventuali difficoltà che egli stava incontrato nella preparazione della sua difesa. n definitiva, il ricorso deve essere rigettato con le conseguenze di legge.
STUPEFACENTI
Cass. pen., Sezione VI, 18 maggio 2017, n. 24863 - pubblicato il 25 maggio 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Le censure formulate nel primo motivo, attinenti alla configurabilità e sussistenza del reato di detenzione illecita di sostanza stupefacente, a norma dell'art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990, non evidenziano lacune o vizi logici nella motivazione della sentenza impugnata. Quest'ultima, in linea con quella di primo grado, ha ritenuto, innanzitutto, che il quantitativo di sostanza stupefacente rinvenuto nella disponibilità del ricorrente è rilevante, avendo ad oggetto l'equivalente di undici dosi medie giornaliere secondo le tabelle vigenti, per essere nella sostanza una percentuale di principio attivo pari al 57,2 %, e che è inoltre significativa la condotta del Ni. all'atto del controllo, consistita nella dispersione della sostanza sui tappetini e sul sedile della sua vettura alla vista degli agenti. I giudici di appello, inoltre, hanno motivatamente affermato l'irrilevanza sia dell'ammissione dello stato di tossicodipendenza, sia dell'allegazione di una congruente capacità finanziaria. Da un lato, infatti, si è rilevato che lo stato di tossicodipendenza è stato ammesso dal Ni. in relazione ad altro controllo, di molto successivo al fatto in contestazione (dal ricorso si evince che l'ammissione risale al 31 maggio 2013 e concerne un controllo in data 11 ottobre 2011, mentre il fatto in contestazione è avvenuto il 15 aprile 2011); si è anche aggiunto, in proposito, che il medesimo ricorrente, al momento del sequestro della cocaina, non solo non dichiarò di essere tossicodipendente, ma non evidenziava in alcun modo segni di tossicodipendenza. Dall'altro, si è osservato che l'asserita capacità finanziaria, derivante dalla gestione di un negozio di detersivi, è rimasta priva di indicazioni relative ai redditi percepiti, e che, anzi, il Ni. è gravato da numerosi precedenti penali, anche per reati contro il patrimonio, sicché è improbabile che egli viva abitualmente del solo frutto di attività lecite. Può quindi concludersi che la Corte d'appello fornisce una ricostruzione in ordine alla sussistenza del fatto attenta a tutti gli elementi acquisiti, contenente una puntuale risposta a ciascuna delle osservazioni della difesa, e formulata in termini non manifestamente irragionevoli o contraddittori anche nella prospettiva dell'affermazione della colpevolezza solo al di là del ragionevole dubbio.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Le censure formulate nel primo motivo, attinenti alla configurabilità e sussistenza del reato di detenzione illecita di sostanza stupefacente, a norma dell'art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990, non evidenziano lacune o vizi logici nella motivazione della sentenza impugnata. Quest'ultima, in linea con quella di primo grado, ha ritenuto, innanzitutto, che il quantitativo di sostanza stupefacente rinvenuto nella disponibilità del ricorrente è rilevante, avendo ad oggetto l'equivalente di undici dosi medie giornaliere secondo le tabelle vigenti, per essere nella sostanza una percentuale di principio attivo pari al 57,2 %, e che è inoltre significativa la condotta del Ni. all'atto del controllo, consistita nella dispersione della sostanza sui tappetini e sul sedile della sua vettura alla vista degli agenti. I giudici di appello, inoltre, hanno motivatamente affermato l'irrilevanza sia dell'ammissione dello stato di tossicodipendenza, sia dell'allegazione di una congruente capacità finanziaria. Da un lato, infatti, si è rilevato che lo stato di tossicodipendenza è stato ammesso dal Ni. in relazione ad altro controllo, di molto successivo al fatto in contestazione (dal ricorso si evince che l'ammissione risale al 31 maggio 2013 e concerne un controllo in data 11 ottobre 2011, mentre il fatto in contestazione è avvenuto il 15 aprile 2011); si è anche aggiunto, in proposito, che il medesimo ricorrente, al momento del sequestro della cocaina, non solo non dichiarò di essere tossicodipendente, ma non evidenziava in alcun modo segni di tossicodipendenza. Dall'altro, si è osservato che l'asserita capacità finanziaria, derivante dalla gestione di un negozio di detersivi, è rimasta priva di indicazioni relative ai redditi percepiti, e che, anzi, il Ni. è gravato da numerosi precedenti penali, anche per reati contro il patrimonio, sicché è improbabile che egli viva abitualmente del solo frutto di attività lecite. Può quindi concludersi che la Corte d'appello fornisce una ricostruzione in ordine alla sussistenza del fatto attenta a tutti gli elementi acquisiti, contenente una puntuale risposta a ciascuna delle osservazioni della difesa, e formulata in termini non manifestamente irragionevoli o contraddittori anche nella prospettiva dell'affermazione della colpevolezza solo al di là del ragionevole dubbio.
FILMARE RAPPORTI INTIMI
MEDIANTE STRUMENTI DI RIPRESA VISIVA
Cass. pen., Sez. V, 8 maggio 2017, n. 22221 - pubblicato il 22 maggio 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Questa Corte ha già avuto modo di affermare che "non integra il reato di interferenze illecite nella vita privata (art. 615-bis c.p.) la condotta di colui che, mediante l'uso di strumenti di ripresa visiva, provveda a filmare in casa propria rapporti intimi avvenuti con la convivente, in quanto l'interferenza illecita prevista e sanzionata dal predetto art. 615-bis c.p. è quella proveniente dal terzo estraneo alla vita privata, e non già quella del soggetto che invece sia ammesso, sia pure estemporaneamente, a farne parte; mentre è irrilevante l'oggetto della ripresa, considerato che il concetto di "vita privata" si riferisce a qualsiasi atto o vicenda della persona in luogo riservato" (Cass., Sez. 5, n. 1766/2008 del 28/11/2007, Radicella Chiaramonte, Rv 239098). I principi richiamati meritano ancora piena condivisione, atteso che la norma incriminatrice sanziona i soli comportamenti di interferenza posti in essere da chi, rispetto agli atti della vita privata che ne sono oggetto, risulti estraneo: ergo, chi partecipa, con l'assenso dell'offeso, alla scena in questione (sia essa domestica, intima, o comunque tale da non rendersi percepibile ad una generalità indeterminata di persone) non può essere soggetto attivo del reato. La conclusione ora illustrata appare coerente con l'indirizzo seguito dalla giurisprudenza di legittimità, in applicazione del citato art. 615-bis, anche in casi diversi: infatti, il delitto de quo è stato ravvisato nella condotta di chi, "con l'uso di una macchina fotografica, si procuri indebitamente immagini di ragazze, partecipanti al concorso di "Miss Italia", ritratte nude o seminude nel camerino appositamente adibito per consentire loro di cambiarsi d'abito, in quanto detto camerino rientra nei luoghi di privata dimora, intesi come luoghi che consentono una sia pur temporanea, esclusiva disponibilità dello spazio, nel quale sia temporaneamente garantita un'area di intimità e riservatezza" (Cass., Sez. 5, n. 36032 dell'11/06/2008, Mistraletti, Rv 241587); mentre, per converso, il medesimo reato "non è configurabile per il solo fatto che si adoperino strumenti di osservazione e ripresa a distanza, nel caso in cui tali strumenti siano finalizzati esclusivamente alla captazione di quanto avvenga in spazi che, pur di pertinenza di una privata abitazione, siano però, di fatto, non protetti dalla vista degli estranei" (Cass., Sez. 5, n. 44156 del 21/10/2008, Gottardi, Rv 241745). Va ulteriormente puntualizzato che non può intendersi decisivo, per escludere la rilevanza penale della condotta, che il fatto avvenga nell'abitazione di chi ne sia autore: quel che rileva è che il dominus soci non sia estraneo al momento di riservatezza captato, con la conseguenza che risponde del reato anche chi predispone una videocamera nel bagno di casa sua per carpire immagini di chi (convivente od ospite che sia) vi si trattenga per accudire alla propria persona; non ne risponde, invece, il padrone di casa che si fa la doccia insieme con il suddetto convivente od ospite, con il consenso di entrambi a condividere quella dimensione privata, e pur decida di riprendere la scena all'insaputa dell'altro. Ergo, il delitto deve ascriversi anche a chi predispone strumenti per registrare le telefonate che il coniuge effettui dall'apparecchio installato presso il comune domicilio (v. Cass., Sez. 5, n. 8762/2013 del 16/10/2012, S.), ovvero al titolare di uno studio professionale che occulti un cellulare nella toilette per spiare le impiegate, senza l'assenso del personale (v. Cass., Sez. 3, n. 27847 del 30/04/2015, R.): nei casi appena evidenziati, il soggetto attivo non poteva intendersi partecipe delle telefonate o dei contesti di intimità in questione.
Nè, infine, va conferita decisività alla particolare "privatezza" della scena ripresa: il discrimine tra l'interferenza e la condotta lecita non è dato dalla natura del momento di riservatezza violato, bensì - si ripete - dalla circostanza che il soggetto attivo vi sia o meno estraneo. Perciò, nella fattispecie concreta, il reato non sussiste non già perchè le immagini carpite (e certamente non divulgate) riguardavano rapporti sessuali, ma perchè l'avente diritto - la S. - aveva ammesso il D.M. a quella sfera di intimità: a identiche determinazioni sarebbe stato doveroso pervenire, dunque, laddove la donna fosse stata intenta a cucinare e l'imputato si fosse trovato normalmente al suo cospetto, con un telefonino nascosto ed utilizzato in funzione di videoripresa.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Questa Corte ha già avuto modo di affermare che "non integra il reato di interferenze illecite nella vita privata (art. 615-bis c.p.) la condotta di colui che, mediante l'uso di strumenti di ripresa visiva, provveda a filmare in casa propria rapporti intimi avvenuti con la convivente, in quanto l'interferenza illecita prevista e sanzionata dal predetto art. 615-bis c.p. è quella proveniente dal terzo estraneo alla vita privata, e non già quella del soggetto che invece sia ammesso, sia pure estemporaneamente, a farne parte; mentre è irrilevante l'oggetto della ripresa, considerato che il concetto di "vita privata" si riferisce a qualsiasi atto o vicenda della persona in luogo riservato" (Cass., Sez. 5, n. 1766/2008 del 28/11/2007, Radicella Chiaramonte, Rv 239098). I principi richiamati meritano ancora piena condivisione, atteso che la norma incriminatrice sanziona i soli comportamenti di interferenza posti in essere da chi, rispetto agli atti della vita privata che ne sono oggetto, risulti estraneo: ergo, chi partecipa, con l'assenso dell'offeso, alla scena in questione (sia essa domestica, intima, o comunque tale da non rendersi percepibile ad una generalità indeterminata di persone) non può essere soggetto attivo del reato. La conclusione ora illustrata appare coerente con l'indirizzo seguito dalla giurisprudenza di legittimità, in applicazione del citato art. 615-bis, anche in casi diversi: infatti, il delitto de quo è stato ravvisato nella condotta di chi, "con l'uso di una macchina fotografica, si procuri indebitamente immagini di ragazze, partecipanti al concorso di "Miss Italia", ritratte nude o seminude nel camerino appositamente adibito per consentire loro di cambiarsi d'abito, in quanto detto camerino rientra nei luoghi di privata dimora, intesi come luoghi che consentono una sia pur temporanea, esclusiva disponibilità dello spazio, nel quale sia temporaneamente garantita un'area di intimità e riservatezza" (Cass., Sez. 5, n. 36032 dell'11/06/2008, Mistraletti, Rv 241587); mentre, per converso, il medesimo reato "non è configurabile per il solo fatto che si adoperino strumenti di osservazione e ripresa a distanza, nel caso in cui tali strumenti siano finalizzati esclusivamente alla captazione di quanto avvenga in spazi che, pur di pertinenza di una privata abitazione, siano però, di fatto, non protetti dalla vista degli estranei" (Cass., Sez. 5, n. 44156 del 21/10/2008, Gottardi, Rv 241745). Va ulteriormente puntualizzato che non può intendersi decisivo, per escludere la rilevanza penale della condotta, che il fatto avvenga nell'abitazione di chi ne sia autore: quel che rileva è che il dominus soci non sia estraneo al momento di riservatezza captato, con la conseguenza che risponde del reato anche chi predispone una videocamera nel bagno di casa sua per carpire immagini di chi (convivente od ospite che sia) vi si trattenga per accudire alla propria persona; non ne risponde, invece, il padrone di casa che si fa la doccia insieme con il suddetto convivente od ospite, con il consenso di entrambi a condividere quella dimensione privata, e pur decida di riprendere la scena all'insaputa dell'altro. Ergo, il delitto deve ascriversi anche a chi predispone strumenti per registrare le telefonate che il coniuge effettui dall'apparecchio installato presso il comune domicilio (v. Cass., Sez. 5, n. 8762/2013 del 16/10/2012, S.), ovvero al titolare di uno studio professionale che occulti un cellulare nella toilette per spiare le impiegate, senza l'assenso del personale (v. Cass., Sez. 3, n. 27847 del 30/04/2015, R.): nei casi appena evidenziati, il soggetto attivo non poteva intendersi partecipe delle telefonate o dei contesti di intimità in questione.
Nè, infine, va conferita decisività alla particolare "privatezza" della scena ripresa: il discrimine tra l'interferenza e la condotta lecita non è dato dalla natura del momento di riservatezza violato, bensì - si ripete - dalla circostanza che il soggetto attivo vi sia o meno estraneo. Perciò, nella fattispecie concreta, il reato non sussiste non già perchè le immagini carpite (e certamente non divulgate) riguardavano rapporti sessuali, ma perchè l'avente diritto - la S. - aveva ammesso il D.M. a quella sfera di intimità: a identiche determinazioni sarebbe stato doveroso pervenire, dunque, laddove la donna fosse stata intenta a cucinare e l'imputato si fosse trovato normalmente al suo cospetto, con un telefonino nascosto ed utilizzato in funzione di videoripresa.
TRASPORTO PUBBLICO
Cass. civ., Sez. Unite, Ordinanza, 15 maggio 2017, n. 11983 - pubblicato il 19 maggio 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Sussiste la giurisdizione del giudice ordinario a conoscere dell'azione risarcitoria per danno erariale proposta nei confronti dell'amministratore unico e del dirigente della società che gestisce il trasporto pubblico su ferrovia ed anche mediante autolinee, totalmente partecipata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, giacché nella società di diritto privato a partecipazione pubblica, il pregiudizio patrimoniale arrecato dalla mala gestio dei suoi organi sociali di norma non integra il danno erariale, in quanto si risolve in un vulnus gravante in via diretta esclusivamente sul patrimonio della società, soggetta alle regole di diritto privato e dotata di autonoma e distinta personalità giuridica rispetto ai soci. La fisionomia dell'impresa ferroviaria delineata dal legislatore interno, in conformità al diritto dell'Unione, è, invero, contrassegnata dall'indipendenza e dall'autonomia, dall'apertura al libero mercato e dall'adozione del modello privatistico, che non ne consentono la riconducibilità all'ente pubblico o anche alla società in house. Né conducono a conclusioni diverse la natura di pubblico impiego del rapporto dei dipendenti dell'anzidetta società, o lo stanziamento di fondi pubblici già previsto ex art. 8, comma 6, D.Lgs. n. 422 del 1997 e successivamente reiterato, in quanto non contrastante con la natura privatistica della società.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Sussiste la giurisdizione del giudice ordinario a conoscere dell'azione risarcitoria per danno erariale proposta nei confronti dell'amministratore unico e del dirigente della società che gestisce il trasporto pubblico su ferrovia ed anche mediante autolinee, totalmente partecipata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, giacché nella società di diritto privato a partecipazione pubblica, il pregiudizio patrimoniale arrecato dalla mala gestio dei suoi organi sociali di norma non integra il danno erariale, in quanto si risolve in un vulnus gravante in via diretta esclusivamente sul patrimonio della società, soggetta alle regole di diritto privato e dotata di autonoma e distinta personalità giuridica rispetto ai soci. La fisionomia dell'impresa ferroviaria delineata dal legislatore interno, in conformità al diritto dell'Unione, è, invero, contrassegnata dall'indipendenza e dall'autonomia, dall'apertura al libero mercato e dall'adozione del modello privatistico, che non ne consentono la riconducibilità all'ente pubblico o anche alla società in house. Né conducono a conclusioni diverse la natura di pubblico impiego del rapporto dei dipendenti dell'anzidetta società, o lo stanziamento di fondi pubblici già previsto ex art. 8, comma 6, D.Lgs. n. 422 del 1997 e successivamente reiterato, in quanto non contrastante con la natura privatistica della società.
TRADUZIONI LEGALIZZATE
Lo Studio legale Riccio Libroia & Partners offre servizi specializzati professionali di traduzione giurate e legalizzate con Apostille di atti e documenti per uso privato e legale in lingua inglese e francese.
Lo Studio si avvale di uno staff composto da traduttori legali con esperienza pluriennale in molteplici settori: avvocati, commercialisti, fiscalisti, competenti per ogni tipo di traduzione nel settore legale, amministrativo, finanziario, fiscale, ecc.
I documenti inviatici dagli interessati saranno oggetto di una traduzione curata nei minimi dettagli prima di procedere alla necessaria asseverazione.
La traduzione giurata sarà poi consegnata in Procura della Repubblica, dove l’ufficio preposto apporrà il timbro denominato Apostille entro due giorni lavorativi.
La documentazione completa di giuramento e di timbro Apostille sarà, infine, immediatamente inviata in originale al destinatario mediante raccomandata con ricevuta A/R in tutta Italia.
I costi al vivo per una Traduzione Legalizzata son quelli della Traduzione Giurata: le Marche da Bollo da 16 euro (una ogni quattro facciate di documento più il Verbale di giuramento) e il costo della spedizione con Raccomandata con Ricevuta di Ritorno.
Maggiori informazioni su studiolegalericciolibroia.weebly.com/traduzioni-legalizzate.html
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CONDOMINIO
Cass. civ., Sez. VI, Ordinanza, 9 maggio 2017, n. 11375 - pubblicato il 16 maggio 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In materia condominiale l'art. 1137, comma 2, c.c. ammette, l'impugnazione della delibera assembleare soltanto da parte dell'assente, del dissenziente e dell'astenuto; pertanto, il condomino presente che abbia partecipato all'assemblea non può impugnare la deliberazione, se non è dissenziente (o non si sia astenuto) proprio in ordine alla deliberazione che impugna. Il dissenso dell'impugnante rispetto alla deliberazione deve essere provato ed incombe sullo stesso l'onere della relativa prova. Il verbale di un'assemblea condominiale ha natura di scrittura privata, per cui il valore di prova legale del verbale di assemblea condominiale, munito di sottoscrizione del presidente e del segretario, è limitato alla provenienza delle dichiarazioni dai sottoscrittori e non si estende al contenuto della scrittura, e, per impugnare la veridicità di quanto risulta dai verbale, non occorre che sia proposta querela di falso, potendosi, invece, far ricorso ad ogni mezzo di prova. Incombe, tuttavia, sul condomino che impugni la delibera assembleare l'onere di sovvertire la presunzione di verità di quanto risulta dal relativo verbale.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In materia condominiale l'art. 1137, comma 2, c.c. ammette, l'impugnazione della delibera assembleare soltanto da parte dell'assente, del dissenziente e dell'astenuto; pertanto, il condomino presente che abbia partecipato all'assemblea non può impugnare la deliberazione, se non è dissenziente (o non si sia astenuto) proprio in ordine alla deliberazione che impugna. Il dissenso dell'impugnante rispetto alla deliberazione deve essere provato ed incombe sullo stesso l'onere della relativa prova. Il verbale di un'assemblea condominiale ha natura di scrittura privata, per cui il valore di prova legale del verbale di assemblea condominiale, munito di sottoscrizione del presidente e del segretario, è limitato alla provenienza delle dichiarazioni dai sottoscrittori e non si estende al contenuto della scrittura, e, per impugnare la veridicità di quanto risulta dai verbale, non occorre che sia proposta querela di falso, potendosi, invece, far ricorso ad ogni mezzo di prova. Incombe, tuttavia, sul condomino che impugni la delibera assembleare l'onere di sovvertire la presunzione di verità di quanto risulta dal relativo verbale.
RAPINA IMPROPRIA
Cass. pen., Sez. II, 3 aprile 2017, n. 18741 - pubblicato il 15 maggio 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Nella rapina impropria, la violenza o la minaccia possono realizzarsi anche in luogo diverso da quello della sottrazione della cosa e in pregiudizio di persona diversa dal derubato, sicché, per la configurazione del reato, non è richiesta la contestualità temporale tra sottrazione e uso della violenza o minaccia, essendo sufficiente che tra le due diverse attività intercorra un arco temporale tale da non interrompere l'unitarietà dell'azione volta ad impedire al derubato di tornare in possesso delle cose sottratte o di assicurare al colpevole l'impunità. Di talché il delitto deve ritenersi configurabile allorquando la violenza o la minaccia intervengano quando sia ancora in atto non la sottrazione, bensì l'assicurazione dell'impossessamento della cosa, per fronteggiare la quale la reazione repressiva pubblica sia ancora in pieno svolgimento. Il requisito della immediatezza, richiesto dalla norma incriminatrice, pertanto, non deve essere inteso in senso rigorosamente letterale, ma deve essere posto in relazione allo scopo perseguito di assicurarsi il possesso della cosa sottratta ovvero l'impunità.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Nella rapina impropria, la violenza o la minaccia possono realizzarsi anche in luogo diverso da quello della sottrazione della cosa e in pregiudizio di persona diversa dal derubato, sicché, per la configurazione del reato, non è richiesta la contestualità temporale tra sottrazione e uso della violenza o minaccia, essendo sufficiente che tra le due diverse attività intercorra un arco temporale tale da non interrompere l'unitarietà dell'azione volta ad impedire al derubato di tornare in possesso delle cose sottratte o di assicurare al colpevole l'impunità. Di talché il delitto deve ritenersi configurabile allorquando la violenza o la minaccia intervengano quando sia ancora in atto non la sottrazione, bensì l'assicurazione dell'impossessamento della cosa, per fronteggiare la quale la reazione repressiva pubblica sia ancora in pieno svolgimento. Il requisito della immediatezza, richiesto dalla norma incriminatrice, pertanto, non deve essere inteso in senso rigorosamente letterale, ma deve essere posto in relazione allo scopo perseguito di assicurarsi il possesso della cosa sottratta ovvero l'impunità.
CONDOMINIO
Cass. civ., Sez. II, 8 maggio 2017, n. 11184 - pubblicato il 15 maggio 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di condominio, la natura del sottotetto di un edificio è, in primo luogo, determinata dai titoli e, solo in difetto di questi ultimi, può ritenersi comune, se esso risulti in concreto, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, oggettivamente destinato, anche solo potenzialmente, all'uso comune o all'esercizio di un servizio di interesse comune. Il sottotetto può considerarsi, invece, pertinenza dell'appartamento sito all'ultimo piano solo quando assolva alla esclusiva funzione di isolare e proteggere l'appartamento medesimo dal caldo, dal freddo e dall'umidità, tramite la creazione di una camera d'aria e non abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l'utilizzazione come vano autonomo.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di condominio, la natura del sottotetto di un edificio è, in primo luogo, determinata dai titoli e, solo in difetto di questi ultimi, può ritenersi comune, se esso risulti in concreto, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, oggettivamente destinato, anche solo potenzialmente, all'uso comune o all'esercizio di un servizio di interesse comune. Il sottotetto può considerarsi, invece, pertinenza dell'appartamento sito all'ultimo piano solo quando assolva alla esclusiva funzione di isolare e proteggere l'appartamento medesimo dal caldo, dal freddo e dall'umidità, tramite la creazione di una camera d'aria e non abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da consentirne l'utilizzazione come vano autonomo.
PROVA NUOVA INDISPENSABILE
Cass. civ., Sez. Unite, 4 maggio 2017, n. 10790 - pubblicato il 9 maggio 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Per prova nuova indispensabile di cui al testo dell'art. 345, comma 3, c.p.c., previgente rispetto alla novella di cui all'art. 54, comma 1, lett. b), del D.L. n. 83 del 2012, convertito in legge n. 134 del 2012, deve intendersi quella di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto non dimostrato o non sufficientemente dimostrato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Per prova nuova indispensabile di cui al testo dell'art. 345, comma 3, c.p.c., previgente rispetto alla novella di cui all'art. 54, comma 1, lett. b), del D.L. n. 83 del 2012, convertito in legge n. 134 del 2012, deve intendersi quella di per sé idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto non dimostrato o non sufficientemente dimostrato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado.
PATTEGGIAMENTO E SOSPENSIONE DELLA PATENTE
Cass. pen., Sez. IV, 18 aprile 2017, n. 18810 - pubblicato l'8 maggio 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Con la sentenza ex art. 444 c.p.p., deve essere disposta la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida prevista dall'art. 222 C.d.S., e ciò perfino se essa sia stata già disposta dal prefetto, posto che una volta stabilita dal giudice la durata della sospensione, da questa dovrà detrarsi il periodo di tempo eventualmente già scontato. Non rileva che nella richiesta di patteggiamento non sia stata fatta menzione della sanzione amministrativa, giacchè essa non può formare oggetto dell'accordo delle parti, limitato alla pena, e consegue di diritto alla sollecitata pronuncia. Nè potrebbe opporsi che la sanzione amministrativa verrebbe applicata in difetto di accertamento del reato, in quanto nel patteggiamento, anche se non si fa luogo all'affermazione della responsabilità dell'imputato, si procede comunque all'accertamento del reato, sia pure sui generis, essendo fondato sulla descrizione del fatto reato, nei suoi elementi, soggettivo ed oggettivo, contenuta nel capo di imputazione, e non contestata dalle parti nel formulare la richiesta, perchè stimata rispondente al vero o, quanto meno, non contestabile (Sez. 4, 27.7.2005, n. 27931, Rv. 232015; Sez. 4, 8.10.2007, n. 36868, Rv. 237231; Sez. 6, 29.5.2008, n. 40591, Rv. 241359).
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Con la sentenza ex art. 444 c.p.p., deve essere disposta la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida prevista dall'art. 222 C.d.S., e ciò perfino se essa sia stata già disposta dal prefetto, posto che una volta stabilita dal giudice la durata della sospensione, da questa dovrà detrarsi il periodo di tempo eventualmente già scontato. Non rileva che nella richiesta di patteggiamento non sia stata fatta menzione della sanzione amministrativa, giacchè essa non può formare oggetto dell'accordo delle parti, limitato alla pena, e consegue di diritto alla sollecitata pronuncia. Nè potrebbe opporsi che la sanzione amministrativa verrebbe applicata in difetto di accertamento del reato, in quanto nel patteggiamento, anche se non si fa luogo all'affermazione della responsabilità dell'imputato, si procede comunque all'accertamento del reato, sia pure sui generis, essendo fondato sulla descrizione del fatto reato, nei suoi elementi, soggettivo ed oggettivo, contenuta nel capo di imputazione, e non contestata dalle parti nel formulare la richiesta, perchè stimata rispondente al vero o, quanto meno, non contestabile (Sez. 4, 27.7.2005, n. 27931, Rv. 232015; Sez. 4, 8.10.2007, n. 36868, Rv. 237231; Sez. 6, 29.5.2008, n. 40591, Rv. 241359).
AVVOCATO GAETANO RICCIO
Vincitore del concorso bandito dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Nocera Inferiore per la migliore copertina della Rivista dell’Ordine “Omnia Iustitiae” dell’anno 2017.
PUBBLICATI GLI ARTICOLI DELL' AVV. GAETANO RICCIO E DELL' AVV. ELIANA LIBROIA SULLA RIVISTA DELL'ORDINE OMNIA IUSTITIAE
deontologia dell' avvocato
Cass. civ., Sez. Unite, 19 aprile 2017, n. 9861 - pubblicato il 24 aprile 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La previsione del codice deontologico secondo cui l'avvocato non può rivelare al pubblico il nome dei propri clienti, ancorché questi vi consentano, non può ritenersi abrogata dal D.L. n. 223 del 2006 (cd. decreto Bersani), il quale ha unicamente sancito l'abrogazione delle disposizioni legislative e regolamentari che prevedono il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo ed i costi complessivi delle prestazioni. L'esclusione del divieto di rendere pubblici i nominativi dei propri clienti, invero, non è espressamente prevista dal decreto citato e non può, pertanto, ricondursi alla normativa solo in base ad un'ampia interpretazione del concetto di pubblicità informativa circa le caratteristiche del servizio offerto. (Nel caso concreto deve, pertanto, trovare conferma la decisione del C.N.F. di rigetto dell'impugnazione proposta avverso la decisione del COA, recante l'irrogazione della sanzione dell'avvertimento nei confronti dei ricorrenti per avere riportato nel sito internet dello studio, seppure con il loro consenso, l'elenco dei principali clienti assistiti in via continuativa e dei principali clienti assistiti per progetti specifici.)
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La previsione del codice deontologico secondo cui l'avvocato non può rivelare al pubblico il nome dei propri clienti, ancorché questi vi consentano, non può ritenersi abrogata dal D.L. n. 223 del 2006 (cd. decreto Bersani), il quale ha unicamente sancito l'abrogazione delle disposizioni legislative e regolamentari che prevedono il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo ed i costi complessivi delle prestazioni. L'esclusione del divieto di rendere pubblici i nominativi dei propri clienti, invero, non è espressamente prevista dal decreto citato e non può, pertanto, ricondursi alla normativa solo in base ad un'ampia interpretazione del concetto di pubblicità informativa circa le caratteristiche del servizio offerto. (Nel caso concreto deve, pertanto, trovare conferma la decisione del C.N.F. di rigetto dell'impugnazione proposta avverso la decisione del COA, recante l'irrogazione della sanzione dell'avvertimento nei confronti dei ricorrenti per avere riportato nel sito internet dello studio, seppure con il loro consenso, l'elenco dei principali clienti assistiti in via continuativa e dei principali clienti assistiti per progetti specifici.)
ABUSO EDILIZIO
T.A.R. Campania Napoli, Sez. III, 19 aprile 2017, n. 2148 - pubblicato il 24 aprile 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
L'esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce attività doverosa e vincolata dell'amministrazione, con la conseguenza che i relativi provvedimenti (tra cui l'ordinanza di demolizione) costituiscono atti vincolati per la cui adozione non è necessario l'invio della comunicazione di avvio del procedimento, non essendovi spazio per momenti partecipativi del destinatario dell'atto. L'ordine di demolizione, conseguente all'accertamento della natura abusiva delle opere realizzate, al pari degli altri provvedimenti sanzionatori edilizi, va emanato senza indugio, trattandosi di una misura punitiva conseguente all'accertamento dell'inosservanza di disposizioni urbanistiche; il relativo procedimento - avente carattere vincolato e rigidamente tipizzato dal legislatore - si ricollega ad un preciso presupposto di fatto, cioè l'abuso, di cui peraltro l'interessato non può non essere a conoscenza, per il collegamento giuridico, in termini di diritto domenicale o di situazione possessoria che sussiste riguardo ai beni coinvolti salvo dimostrazione, il cui onere della prova è a suo completo carico, di una totale estraneità alla commissione degli illeciti edilizi.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
L'esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce attività doverosa e vincolata dell'amministrazione, con la conseguenza che i relativi provvedimenti (tra cui l'ordinanza di demolizione) costituiscono atti vincolati per la cui adozione non è necessario l'invio della comunicazione di avvio del procedimento, non essendovi spazio per momenti partecipativi del destinatario dell'atto. L'ordine di demolizione, conseguente all'accertamento della natura abusiva delle opere realizzate, al pari degli altri provvedimenti sanzionatori edilizi, va emanato senza indugio, trattandosi di una misura punitiva conseguente all'accertamento dell'inosservanza di disposizioni urbanistiche; il relativo procedimento - avente carattere vincolato e rigidamente tipizzato dal legislatore - si ricollega ad un preciso presupposto di fatto, cioè l'abuso, di cui peraltro l'interessato non può non essere a conoscenza, per il collegamento giuridico, in termini di diritto domenicale o di situazione possessoria che sussiste riguardo ai beni coinvolti salvo dimostrazione, il cui onere della prova è a suo completo carico, di una totale estraneità alla commissione degli illeciti edilizi.
DIFENSORE D'UFFICIO
Cass. pen., Sez. VI, 22 marzo 2017, n. 17930 - pubblicato il 18 aprile 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di procedimento penale, poiché la nomina di un difensore non coinvolge esclusivamente il rapporto tra l'imputato e il professionista, ma anche quello tra costoro e l'autorità giudiziaria procedente, in funzione dell'osservanza di tutti gli adempimenti correlati alla nomina e del concreto esercizio dello "ius postulandi", l'art. 96 c.p.p. stabilisce coerentemente che la nomina è fatta con dichiarazione resa all'autorità giudiziaria procedente ovvero consegnata alla stessa dal difensore o trasmessa con raccomandata. Pertanto, la nomina del difensore di fiducia, dalla quale discende la cessazione del difensore di ufficio dalle sue funzioni, secondo il disposto dell'art. 97, comma 6, c.p.p., può dirsi validamente effettuata solo al momento della sua comunicazione all'autorità giudiziaria, a prescindere dalla diversa data contenuta nell'atto di nomina.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di procedimento penale, poiché la nomina di un difensore non coinvolge esclusivamente il rapporto tra l'imputato e il professionista, ma anche quello tra costoro e l'autorità giudiziaria procedente, in funzione dell'osservanza di tutti gli adempimenti correlati alla nomina e del concreto esercizio dello "ius postulandi", l'art. 96 c.p.p. stabilisce coerentemente che la nomina è fatta con dichiarazione resa all'autorità giudiziaria procedente ovvero consegnata alla stessa dal difensore o trasmessa con raccomandata. Pertanto, la nomina del difensore di fiducia, dalla quale discende la cessazione del difensore di ufficio dalle sue funzioni, secondo il disposto dell'art. 97, comma 6, c.p.p., può dirsi validamente effettuata solo al momento della sua comunicazione all'autorità giudiziaria, a prescindere dalla diversa data contenuta nell'atto di nomina.
CONDOMINIO
Cass. civ., Sez. II, 10 aprile 2017, n. 9177 - pubblicato il 18 aprile 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di condominio, l'intervento sostitutivo del singolo condomino è ammesso nei casi in cui, in presenza di un'esigenza che richiede un urgente intervento, non dilazionabile nel tempo, non appaia ragionevolmente prevedibile investire dell'attività l'amministratore, senza recare un possibile nocumento a sé, a terzi od alla cosa comune. Per contro, ove il condominio versi in una situazione di stasi patologica, cioè in una inerzia operativa stabilizzata, non è consentito al singolo condomino sostituirsi agli organi condominiali, salvo i casi urgenti di cui si è detto.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di condominio, l'intervento sostitutivo del singolo condomino è ammesso nei casi in cui, in presenza di un'esigenza che richiede un urgente intervento, non dilazionabile nel tempo, non appaia ragionevolmente prevedibile investire dell'attività l'amministratore, senza recare un possibile nocumento a sé, a terzi od alla cosa comune. Per contro, ove il condominio versi in una situazione di stasi patologica, cioè in una inerzia operativa stabilizzata, non è consentito al singolo condomino sostituirsi agli organi condominiali, salvo i casi urgenti di cui si è detto.
CONCORDATO PREVENTIVO
Cass. civ., Sez. Unite, 10 aprile 2017, n. 9146 - pubblicato il 13 aprile 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La pendenza di una domanda di concordato preventivo, sia esso ordinario o con riserva, ai sensi dell'art. 161, comma 6° della L.Fall., impedisce temporaneamente la dichiarazione di fallimento sino al verificarsi degli eventi previsti dagli artt. 162, 173, 179 e 180 della L.Fall., ma non rende improcedibile il procedimento fallimentare iniziato su istanza del creditore o su richiesta del P.M., né ne consente la sospensione.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La pendenza di una domanda di concordato preventivo, sia esso ordinario o con riserva, ai sensi dell'art. 161, comma 6° della L.Fall., impedisce temporaneamente la dichiarazione di fallimento sino al verificarsi degli eventi previsti dagli artt. 162, 173, 179 e 180 della L.Fall., ma non rende improcedibile il procedimento fallimentare iniziato su istanza del creditore o su richiesta del P.M., né ne consente la sospensione.
SEQUESTRO PROBATORIO
Cass. pen., Sez. V, 14 marzo 2017, n. 16622 - pubblicato il 7 aprile 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In merito all'acquisizione della prova, l'autorità giudiziaria, al fine di esaminare un'ampia massa di dati i cui contenuti sono potenzialmente rilevanti per le indagini, può disporre un sequestro dai contenuti molto estesi, provvedendo, tuttavia, nel rispetto del principio di proporzionalità ed adeguatezza, all'immediata restituzione delle cose sottoposte a vincolo non appena sia decorso il tempo ragionevolmente necessario per gli accertamenti. In caso di mancata tempestiva restituzione, l'interessato potrà presentare la relativa istanza e far valere le proprie ragioni, se necessario, anche mediante i rimedi impugnatori offerti dal sistema.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In merito all'acquisizione della prova, l'autorità giudiziaria, al fine di esaminare un'ampia massa di dati i cui contenuti sono potenzialmente rilevanti per le indagini, può disporre un sequestro dai contenuti molto estesi, provvedendo, tuttavia, nel rispetto del principio di proporzionalità ed adeguatezza, all'immediata restituzione delle cose sottoposte a vincolo non appena sia decorso il tempo ragionevolmente necessario per gli accertamenti. In caso di mancata tempestiva restituzione, l'interessato potrà presentare la relativa istanza e far valere le proprie ragioni, se necessario, anche mediante i rimedi impugnatori offerti dal sistema.
INFORTUNI SUL LAVORO
Cass. civ., Sez. lavoro, 3 aprile 2017, n. 8597 - pubblicato il 7 aprile 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
L'infortunio subito dal lavoratore, seppure determinato da caso fortuito con assenza di ogni responsabilità del datore di lavoro, non esclude l'occasione di lavoro, rilevante ai fini dell'applicabilità della normativa dell'assicurazione contro gli infortuni, ogni qualvolta è connesso alle modalità di svolgimento dell'attività lavorativa. L'occasione di lavoro sussiste, quindi, qualora l'evento che ha dato corso alla sequenza causale determinante il decesso del lavoratore (specificamente la puntura di insetto), si sia verificato in condizioni spazio-temporali caratterizzate dall'essere in quel momento il soggetto intento nell'attività di lavoro (nella specie alla guida dell'automezzo che ha impedito, o comunque reso più difficile, difendersi dall'insetto mortale).
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
L'infortunio subito dal lavoratore, seppure determinato da caso fortuito con assenza di ogni responsabilità del datore di lavoro, non esclude l'occasione di lavoro, rilevante ai fini dell'applicabilità della normativa dell'assicurazione contro gli infortuni, ogni qualvolta è connesso alle modalità di svolgimento dell'attività lavorativa. L'occasione di lavoro sussiste, quindi, qualora l'evento che ha dato corso alla sequenza causale determinante il decesso del lavoratore (specificamente la puntura di insetto), si sia verificato in condizioni spazio-temporali caratterizzate dall'essere in quel momento il soggetto intento nell'attività di lavoro (nella specie alla guida dell'automezzo che ha impedito, o comunque reso più difficile, difendersi dall'insetto mortale).
GIURISDIZIONE
Cass. civ., Sez. Unite, 30 marzo 2017, n. 8242 - pubblicato il 4 aprile 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
E' attribuita al giudice ordinario la giurisdizione in ordine all'azione di risarcimento dei danni subiti da una società a partecipazione pubblica per effetto di condotte illecite degli amministratori o dei dipendenti, non essendo in tal caso configurabile, avuto riguardo all'autonoma personalità giuridica della società, né un rapporto di servizio tra l'agente e l'ente pubblico titolare della partecipazione, né un danno direttamente arrecato allo Stato o ad altro ente pubblico, idonei a radicare la giurisdizione della Corte dei conti. Sussiste invece la giurisdizione di quest'ultima quando l'azione di responsabilità trovi fondamento nel comportamento di chi, quale rappresentante dell'ente partecipante o comunque titolare del potere di decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio, in tal modo pregiudicando il valore della partecipazione, ovvero in comportamenti degli amministratori o dei sindaci tali da compromettere la ragione stessa della partecipazione sociale dell'ente pubblico, strumentale al perseguimento di finalità pubbliche ed implicante l'impiego di risorse pubbliche, o da arrecare direttamente pregiudizio al suo patrimonio.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
E' attribuita al giudice ordinario la giurisdizione in ordine all'azione di risarcimento dei danni subiti da una società a partecipazione pubblica per effetto di condotte illecite degli amministratori o dei dipendenti, non essendo in tal caso configurabile, avuto riguardo all'autonoma personalità giuridica della società, né un rapporto di servizio tra l'agente e l'ente pubblico titolare della partecipazione, né un danno direttamente arrecato allo Stato o ad altro ente pubblico, idonei a radicare la giurisdizione della Corte dei conti. Sussiste invece la giurisdizione di quest'ultima quando l'azione di responsabilità trovi fondamento nel comportamento di chi, quale rappresentante dell'ente partecipante o comunque titolare del potere di decidere per esso, abbia colpevolmente trascurato di esercitare i propri diritti di socio, in tal modo pregiudicando il valore della partecipazione, ovvero in comportamenti degli amministratori o dei sindaci tali da compromettere la ragione stessa della partecipazione sociale dell'ente pubblico, strumentale al perseguimento di finalità pubbliche ed implicante l'impiego di risorse pubbliche, o da arrecare direttamente pregiudizio al suo patrimonio.
BANCAROTTA FRAUDOLENTA
Cass. pen., Sez. V, 6 marzo 2017, n. 13072 - pubblicato il 31 marzo 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta documentale presuppone che il disordine documentale addebitabile al prevenuto sia tale da rendere impossibile o, comunque, da ostacolare l'opera ricostruttiva del movimento degli affari da parte del curatore. A tal fine non può attribuirsi rilievo all'adozione di un falso bilancio, non rientrando quest'ultimo nella nozione di libri e scritture contabili prevista dalla norma di cui all'art. 216, comma 1, della legge fallimentare.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta documentale presuppone che il disordine documentale addebitabile al prevenuto sia tale da rendere impossibile o, comunque, da ostacolare l'opera ricostruttiva del movimento degli affari da parte del curatore. A tal fine non può attribuirsi rilievo all'adozione di un falso bilancio, non rientrando quest'ultimo nella nozione di libri e scritture contabili prevista dalla norma di cui all'art. 216, comma 1, della legge fallimentare.
COPYRIGHT
Cass. civ., Sez. I, 23 marzo 2017, n. 7477 - pubblicato il 28 marzo 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Il valore artistico richiesto per la proteggibilità dell'opera di industrial design non può essere escluso dalla serialità della produzione degli articoli concepiti progettualmente, che è connotazione propria di tutte le opere di tale natura, ma va ricavato da indicatori oggettivi, non necessariamente concorrenti, quali il riconoscimento, da parte degli ambienti culturali ed istituzionali, circa la sussistenza di qualità estetiche ed artistiche, l'esposizione in mostre o musei, la pubblicazione su riviste specializzate, l'attribuzione di premi, l'acquisto di un valore di mercato così elevato da trascendere quello legato soltanto alla sua funzionalità ovvero la creazione da parte di un noto artista.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Il valore artistico richiesto per la proteggibilità dell'opera di industrial design non può essere escluso dalla serialità della produzione degli articoli concepiti progettualmente, che è connotazione propria di tutte le opere di tale natura, ma va ricavato da indicatori oggettivi, non necessariamente concorrenti, quali il riconoscimento, da parte degli ambienti culturali ed istituzionali, circa la sussistenza di qualità estetiche ed artistiche, l'esposizione in mostre o musei, la pubblicazione su riviste specializzate, l'attribuzione di premi, l'acquisto di un valore di mercato così elevato da trascendere quello legato soltanto alla sua funzionalità ovvero la creazione da parte di un noto artista.
CONDOMINIO
Cass. civ., Sez. VI, Ordinanza, 22 marzo 2017, n. 7395 - pubblicato il 28 marzo 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Ai fini dell'applicazione dell'art. 63, comma 2, disp. att. c.c., occorrendo individuare quando sia insorto l'obbligo di partecipazione a spese condominiali per l'esecuzione di lavori di straordinaria amministrazione sulle cose comuni, deve farsi riferimento alla data di approvazione della delibera assembleare che ha disposto l'esecuzione di tale intervento, avendo la stessa delibera valore costitutivo della relativa obbligazione. Questo momento rileva sia per imputare l'obbligo di partecipazione alla spesa nei rapporti interni tra venditore e compratore, se gli stessi non si siano diversamente accordati, sia per accertare l'inclusione del medesimo obbligo nel periodo biennale di responsabilità solidale di entrambi verso il condominio. L'obbligo del cessionario dell'unità immobiliare, invero, è solidale, ma autonomo, in quanto non propter rem, e, piuttosto, costituito ex novo dalla legge in funzione di rafforzamento dell'aspettativa creditoria dell'organizzazione condominiale. Il compratore risponde verso il venditore soltanto per le spese condominiali sorte in epoca successiva al momento in cui egli sia divenuto condomino, mentre ha diritto di rivalersi nei confronti del suo dante causa allorché sia stato chiamato dal condominio a rispondere di obbligazioni nate in epoca anteriore all'acquisto.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Ai fini dell'applicazione dell'art. 63, comma 2, disp. att. c.c., occorrendo individuare quando sia insorto l'obbligo di partecipazione a spese condominiali per l'esecuzione di lavori di straordinaria amministrazione sulle cose comuni, deve farsi riferimento alla data di approvazione della delibera assembleare che ha disposto l'esecuzione di tale intervento, avendo la stessa delibera valore costitutivo della relativa obbligazione. Questo momento rileva sia per imputare l'obbligo di partecipazione alla spesa nei rapporti interni tra venditore e compratore, se gli stessi non si siano diversamente accordati, sia per accertare l'inclusione del medesimo obbligo nel periodo biennale di responsabilità solidale di entrambi verso il condominio. L'obbligo del cessionario dell'unità immobiliare, invero, è solidale, ma autonomo, in quanto non propter rem, e, piuttosto, costituito ex novo dalla legge in funzione di rafforzamento dell'aspettativa creditoria dell'organizzazione condominiale. Il compratore risponde verso il venditore soltanto per le spese condominiali sorte in epoca successiva al momento in cui egli sia divenuto condomino, mentre ha diritto di rivalersi nei confronti del suo dante causa allorché sia stato chiamato dal condominio a rispondere di obbligazioni nate in epoca anteriore all'acquisto.
ECCESSO DI POTERE GIURISDIZIONALE
Cass. civ., Sez. Unite, 22 marzo 2017, n. 7295 - pubblicato il 28 marzo 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La configurabilità del vizio di eccesso di potere giurisdizionale da parte del giudice amministrativo, sub specie di esercizio di una attività decisoria implicante l'adozione di una statuizione corrispondente ad un'attività provvedimentale, il cui compimento l'ordinamento riserva all'Amministrazione, eventualmente anche come conseguenza dovuta di una decisione dello stesso giudice amministrativo, presuppone che quella statuizione abbia un contenuto corrispondente a quello del potere riservato alla pubblica amministrazione. La circostanza non ricorre in ipotesi di annullamento dell'aggiudicazione ex art. 122 c.p.a. (D.Lgs. n. 104 del 2010), giacché alla figura della declaratoria di inefficacia del contratto disciplinata dalla richiamata norma e, prima ancora, dall'art. 121 c.p.a., quale possibile statuizione del giudice amministrativo in presenza di certi presupposti, non fa riscontro una figura di provvedimento amministrativo di declaratoria di inefficacia del contratto, stipulato in àmbito di disciplina dei contratti pubblici attribuito all'Amministrazione.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La configurabilità del vizio di eccesso di potere giurisdizionale da parte del giudice amministrativo, sub specie di esercizio di una attività decisoria implicante l'adozione di una statuizione corrispondente ad un'attività provvedimentale, il cui compimento l'ordinamento riserva all'Amministrazione, eventualmente anche come conseguenza dovuta di una decisione dello stesso giudice amministrativo, presuppone che quella statuizione abbia un contenuto corrispondente a quello del potere riservato alla pubblica amministrazione. La circostanza non ricorre in ipotesi di annullamento dell'aggiudicazione ex art. 122 c.p.a. (D.Lgs. n. 104 del 2010), giacché alla figura della declaratoria di inefficacia del contratto disciplinata dalla richiamata norma e, prima ancora, dall'art. 121 c.p.a., quale possibile statuizione del giudice amministrativo in presenza di certi presupposti, non fa riscontro una figura di provvedimento amministrativo di declaratoria di inefficacia del contratto, stipulato in àmbito di disciplina dei contratti pubblici attribuito all'Amministrazione.
LICENZIAMENTO DISCIPLINARE
Cass. civ., Sez. lavoro, 21 marzo 2017, n. 7166 - pubblicato il 24 marzo 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In materia di licenziamento, posto che quella di giusta causa o giustificato motivo è una nozione legale, la previsione della contrattazione collettiva non vincola il giudice di merito. Egli, anzi, ha il dovere, in primo luogo, di controllare la rispondenza delle pattuizioni collettive disciplinari al disposto dell'art. 2106 c.c., nonché di rilevare la nullità di quelle che prevedono come giusta causa o giustificato motivo di licenziamento condotte per loro natura assoggettabili, ai sensi della richiamata norma, solo ad eventuali sanzioni conservative. Il giudice non può, invece, fare l'inverso e cioè estendere il catalogo delle giuste cause o dei giustificati motivi di licenziamento oltre quanto stabilito dall'autonomia delle parti. Vertendosi in materia disciplinare, va sempre in concreto esaminata la gravità dell'infrazione sotto il profilo oggettivo e soggettivo e sotto quello della futura affidabilità del dipendente circa la prestazione dedotta in contratto.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In materia di licenziamento, posto che quella di giusta causa o giustificato motivo è una nozione legale, la previsione della contrattazione collettiva non vincola il giudice di merito. Egli, anzi, ha il dovere, in primo luogo, di controllare la rispondenza delle pattuizioni collettive disciplinari al disposto dell'art. 2106 c.c., nonché di rilevare la nullità di quelle che prevedono come giusta causa o giustificato motivo di licenziamento condotte per loro natura assoggettabili, ai sensi della richiamata norma, solo ad eventuali sanzioni conservative. Il giudice non può, invece, fare l'inverso e cioè estendere il catalogo delle giuste cause o dei giustificati motivi di licenziamento oltre quanto stabilito dall'autonomia delle parti. Vertendosi in materia disciplinare, va sempre in concreto esaminata la gravità dell'infrazione sotto il profilo oggettivo e soggettivo e sotto quello della futura affidabilità del dipendente circa la prestazione dedotta in contratto.
INDENNITA' AVVIAMENTO COMMERCIALE
Cass. civ., Sez. III, 20 marzo 2017, n. 7039 - pubblicato il 24 marzo 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
I requisiti che danno diritto all'indennità di avviamento e la funzione cui normativamente la stessa è destinata rimangono identici anche nell'ipotesi di attività commerciali cd. monomarca, giacché nessun rilievo può avere la circostanza che la generalità degli utenti e consumatori che accedono liberamente al negozio e fidelizzati al luogo di svolgimento dell'attività sia indirizzata all'acquisto di un bene o di un servizio di una sola marca.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
I requisiti che danno diritto all'indennità di avviamento e la funzione cui normativamente la stessa è destinata rimangono identici anche nell'ipotesi di attività commerciali cd. monomarca, giacché nessun rilievo può avere la circostanza che la generalità degli utenti e consumatori che accedono liberamente al negozio e fidelizzati al luogo di svolgimento dell'attività sia indirizzata all'acquisto di un bene o di un servizio di una sola marca.
CONDOMINIO
Cass. civ. Sez. VI - 2 Ordinanza, 15/03/2017, n. 6652 - pubblicato il 21 marzo 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di condominio, poiché l'assemblea condominiale non può validamente assumere decisioni che riguardino i singoli condomini nell'ambito dei beni di loro proprietà esclusiva, salvo che non si riflettano sull'adeguato uso delle cose comuni, nel caso di lavori di manutenzione di balconi di proprietà esclusiva degli appartamenti che vi accedono, è valida la deliberazione assembleare che provveda al rifacimento degli eventuali elementi decorativi o cromatici, che si armonizzano con il prospetto del fabbricato, mentre è nulla quella che disponga in ordine al rifacimento della pavimentazione o della soletta dei balconi, che rimangono a carico dei titolari degli appartamenti che vi accedono. Peraltro, alle deliberazioni prese dall'assemblea condominiale, si applica il principio dettato in materia di contratti dall'art. 1421 c.c., secondo cui è comunque attribuito al giudice, anche di appello, il potere di rilevarne d'ufficio la nullità.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di condominio, poiché l'assemblea condominiale non può validamente assumere decisioni che riguardino i singoli condomini nell'ambito dei beni di loro proprietà esclusiva, salvo che non si riflettano sull'adeguato uso delle cose comuni, nel caso di lavori di manutenzione di balconi di proprietà esclusiva degli appartamenti che vi accedono, è valida la deliberazione assembleare che provveda al rifacimento degli eventuali elementi decorativi o cromatici, che si armonizzano con il prospetto del fabbricato, mentre è nulla quella che disponga in ordine al rifacimento della pavimentazione o della soletta dei balconi, che rimangono a carico dei titolari degli appartamenti che vi accedono. Peraltro, alle deliberazioni prese dall'assemblea condominiale, si applica il principio dettato in materia di contratti dall'art. 1421 c.c., secondo cui è comunque attribuito al giudice, anche di appello, il potere di rilevarne d'ufficio la nullità.
RELATA DI NOTIFICA
Cass. civ. Sez. VI - 1 Ordinanza, 14 marzo 2017, n. 6518 - pubblicato il 21 marzo 2017
a cura dell'Avv.Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di notificazione, ai sensi dell'art. 4 della legge 21 gennaio 1994, n. 53, qualora nella relata manchino le generalità e la sottoscrizione dell'avvocato notificante, la sua identificazione, necessaria al fine di verificare la sussistenza dei requisiti soggettivi indispensabili, può avvenire anche aliunde, in base alla sottoscrizione, da parte sua, dell'atto notificato e vidimato dal consiglio dell'ordine, unitamente al richiamo al numero di registro cronologico ed all'autorizzazione del consiglio dell'ordine, immediatamente precedenti la relazione di notifica e la firma della persona abilitata a ricevere l'atto.
a cura dell'Avv.Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di notificazione, ai sensi dell'art. 4 della legge 21 gennaio 1994, n. 53, qualora nella relata manchino le generalità e la sottoscrizione dell'avvocato notificante, la sua identificazione, necessaria al fine di verificare la sussistenza dei requisiti soggettivi indispensabili, può avvenire anche aliunde, in base alla sottoscrizione, da parte sua, dell'atto notificato e vidimato dal consiglio dell'ordine, unitamente al richiamo al numero di registro cronologico ed all'autorizzazione del consiglio dell'ordine, immediatamente precedenti la relazione di notifica e la firma della persona abilitata a ricevere l'atto.
LEGITTIMA DIFESA
Cass. pen., Sez. V, 8 marzo 2017, n. 11084 - pubblicato il 16 marzo 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
L'eccesso colposo sottintende i presupposti della scriminante con il superamento dei limiti ad essa immanenti, sicchè, per stabilire se nel fatto si siano ecceduti colposamente i limiti della difesa legittima, bisogna prima accertare la inadeguatezza della reazione difensiva, per l'eccesso nell'uso dei mezzi a disposizione dell'aggredito in un preciso contesto spazio temporale e con valutazione "ex ante", e, poi, procedere ad una ulteriore differenziazione tra eccesso dovuto ad errore di valutazione ed eccesso consapevole e volontario, dato che solo il primo rientra nello schema dell'eccesso colposo delineato dall'art. 55 c.p., mentre il secondo consiste in una scelta volontaria, la quale comporta il superamento doloso degli schemi della scriminante (Sez. 1, n. 45425 del 25/10/2005 - dep. 15/12/2005, P.G. in proc. Bollardi, Rv. 23335201). Ed invero, secondo la costante interpretazione giurisprudenziale, poichè il presupposto su cui si fondano sia l'esimente della legittima difesa che l'eccesso colposo è costituito dall'esigenza di rimuovere il pericolo di un'aggressione mediante una reazione proporzionata e adeguata, l'eccesso colposo si distingue per un'erronea valutazione del pericolo e dell'adeguatezza dei mezzi usati: ne deriva che, una volta esclusi gli elementi costitutivi della scriminante, non v'è spazio ovviamente - per l'inesistenza di una offesa dalla quale difendersi - per la configurazione di un eccesso colposo, sicchè non vi è neppure obbligo per il giudice di una specifica motivazione sul punto, pur se l'eccesso colposo sia espressamente prospettato dalla parte interessata
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
L'eccesso colposo sottintende i presupposti della scriminante con il superamento dei limiti ad essa immanenti, sicchè, per stabilire se nel fatto si siano ecceduti colposamente i limiti della difesa legittima, bisogna prima accertare la inadeguatezza della reazione difensiva, per l'eccesso nell'uso dei mezzi a disposizione dell'aggredito in un preciso contesto spazio temporale e con valutazione "ex ante", e, poi, procedere ad una ulteriore differenziazione tra eccesso dovuto ad errore di valutazione ed eccesso consapevole e volontario, dato che solo il primo rientra nello schema dell'eccesso colposo delineato dall'art. 55 c.p., mentre il secondo consiste in una scelta volontaria, la quale comporta il superamento doloso degli schemi della scriminante (Sez. 1, n. 45425 del 25/10/2005 - dep. 15/12/2005, P.G. in proc. Bollardi, Rv. 23335201). Ed invero, secondo la costante interpretazione giurisprudenziale, poichè il presupposto su cui si fondano sia l'esimente della legittima difesa che l'eccesso colposo è costituito dall'esigenza di rimuovere il pericolo di un'aggressione mediante una reazione proporzionata e adeguata, l'eccesso colposo si distingue per un'erronea valutazione del pericolo e dell'adeguatezza dei mezzi usati: ne deriva che, una volta esclusi gli elementi costitutivi della scriminante, non v'è spazio ovviamente - per l'inesistenza di una offesa dalla quale difendersi - per la configurazione di un eccesso colposo, sicchè non vi è neppure obbligo per il giudice di una specifica motivazione sul punto, pur se l'eccesso colposo sia espressamente prospettato dalla parte interessata
CONDOMINIO
Cass. civ., Sez. VI, Ordinanza, 9 marzo 2017, n. 6128 - pubblicato il 14 marzo 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Il condomino che intenda proporre l'impugnativa di una delibera dell'assemblea, per l'assunta erroneità della disposta ripartizione delle spese di gestione, deve allegare e dimostrare di avervi interesse, il quale presuppone la derivazione dalla deliberazione assembleare di un apprezzabile suo personale pregiudizio, in termini di mutamento della rispettiva posizione patrimoniale.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Il condomino che intenda proporre l'impugnativa di una delibera dell'assemblea, per l'assunta erroneità della disposta ripartizione delle spese di gestione, deve allegare e dimostrare di avervi interesse, il quale presuppone la derivazione dalla deliberazione assembleare di un apprezzabile suo personale pregiudizio, in termini di mutamento della rispettiva posizione patrimoniale.
CONCORDATO PREVENTIVO
Cass. civ., Sez. I,7 marzo 2017, n. 5677 - pubblicato il 14 marzo 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La domanda di concordato preventivo, sia esso ordinario o con riserva, presentata dal debitore non per regolare la crisi dell'impresa attraverso un accordo con i suoi creditori, ma con il palese scopo di differire la dichiarazione di fallimento, è inammissibile in quanto integra gli estremi di un abuso del processo. Tale abuso in generale ricorre quando, con violazione dei canoni generali di correttezza e buona fede e dei principi di lealtà processuale e del giusto processo, si utilizzano strumenti processuali per perseguire finalità eccedenti o deviate rispetto a quelle per le quali l'ordinamento li ha predisposti.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La domanda di concordato preventivo, sia esso ordinario o con riserva, presentata dal debitore non per regolare la crisi dell'impresa attraverso un accordo con i suoi creditori, ma con il palese scopo di differire la dichiarazione di fallimento, è inammissibile in quanto integra gli estremi di un abuso del processo. Tale abuso in generale ricorre quando, con violazione dei canoni generali di correttezza e buona fede e dei principi di lealtà processuale e del giusto processo, si utilizzano strumenti processuali per perseguire finalità eccedenti o deviate rispetto a quelle per le quali l'ordinamento li ha predisposti.
TESTAMENTO OLOGRAFO
Cass. civ., Sez. VI, Ordinanza, 6 marzo 2017, n. 5505 - pubblicato il 9 marzo 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La nullità del testamento per difetto di olografia deve ritenersi configurabile in ogni ipotesi di intervento del terzo che guidi la mano del testatore, trattandosi di condotta che appare in ogni caso idonea ad alterare la personalità e l'abitualità del gesto scrittorio, costituenti requisiti indispensabili perché possa parlarsi di autografia. Di talché la validità o meno del testamento non può essere condizionata alla verifica di ulteriori circostanze, quali la effettiva finalità dell'aiuto del terzo, ovvero la verifica della corrispondenza effettiva del testo scritto alla volontà dell'adiuvato, in quanto tali da minare in maniera evidente le finalità di chiarezza e semplificazione che sono alla base della disciplina del testamento olografo.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La nullità del testamento per difetto di olografia deve ritenersi configurabile in ogni ipotesi di intervento del terzo che guidi la mano del testatore, trattandosi di condotta che appare in ogni caso idonea ad alterare la personalità e l'abitualità del gesto scrittorio, costituenti requisiti indispensabili perché possa parlarsi di autografia. Di talché la validità o meno del testamento non può essere condizionata alla verifica di ulteriori circostanze, quali la effettiva finalità dell'aiuto del terzo, ovvero la verifica della corrispondenza effettiva del testo scritto alla volontà dell'adiuvato, in quanto tali da minare in maniera evidente le finalità di chiarezza e semplificazione che sono alla base della disciplina del testamento olografo.
CONDOMINIO
Cass. civ., Sez. II, Ordinanza, 2 marzo 2017, n. 5335 - pubblicato il 7 marzo 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di comunione e condominio, il godimento esclusivo della cosa comune da parte di uno dei comproprietari, in ragione della peculiare ubicazione del bene e delle possibilità di accesso ad esso, non è di per sé idoneo a far ritenere lo stato di fatto così determinatosi funzionale all'esercizio del possesso "ad usucapionem", essendo, per converso, comunque necessaria, a fini dell'usucapione, la manifestazione del dominio esclusivo sulla "res" da parte dell'interessato, attraverso un'attività apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando l'onere della relativa prova su colui che invochi l'avvenuta usucapione del bene.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di comunione e condominio, il godimento esclusivo della cosa comune da parte di uno dei comproprietari, in ragione della peculiare ubicazione del bene e delle possibilità di accesso ad esso, non è di per sé idoneo a far ritenere lo stato di fatto così determinatosi funzionale all'esercizio del possesso "ad usucapionem", essendo, per converso, comunque necessaria, a fini dell'usucapione, la manifestazione del dominio esclusivo sulla "res" da parte dell'interessato, attraverso un'attività apertamente contrastante ed inoppugnabilmente incompatibile con il possesso altrui, gravando l'onere della relativa prova su colui che invochi l'avvenuta usucapione del bene.
pROVA
Cass. civ., Sez. V, 28 febbraio 2017, n. 5077 - pubblicato il 3 marzo 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
A norma dell'art. 2719 c.c., l'espresso disconoscimento della conformità con l'originale delle copie fotografiche o fotostatiche si applica tanto al disconoscimento della conformità della copia al suo originale quanto al disconoscimento dell'autenticità di scrittura o di sottoscrizione, dovendosi ritenere, in assenza di espresse indicazioni, che in entrambi i casi la procedura sia soggetta alla disciplina di cui agli artt. 214 e 215 c.p.c. Ne consegue che la copia fotostatica non autenticata si ha per riconosciuta, tanto nella sua conformità all'originale quanto nella scrittura e sottoscrizione, ove la parte comparsa non la disconosca in modo specifico e non equivoco alla prima udienza ovvero nella prima risposta successiva alla sua produzione, mentre il disconoscimento onera la parte della produzione dell'originale, fatta salva la facoltà del giudice di accertare tale conformità anche aliunde.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
A norma dell'art. 2719 c.c., l'espresso disconoscimento della conformità con l'originale delle copie fotografiche o fotostatiche si applica tanto al disconoscimento della conformità della copia al suo originale quanto al disconoscimento dell'autenticità di scrittura o di sottoscrizione, dovendosi ritenere, in assenza di espresse indicazioni, che in entrambi i casi la procedura sia soggetta alla disciplina di cui agli artt. 214 e 215 c.p.c. Ne consegue che la copia fotostatica non autenticata si ha per riconosciuta, tanto nella sua conformità all'originale quanto nella scrittura e sottoscrizione, ove la parte comparsa non la disconosca in modo specifico e non equivoco alla prima udienza ovvero nella prima risposta successiva alla sua produzione, mentre il disconoscimento onera la parte della produzione dell'originale, fatta salva la facoltà del giudice di accertare tale conformità anche aliunde.
OPERE ABUSIVE
Cons. Stato, Sez. VI, 24 febbraio 2017, n. 890 - pubblicato il 1° marzo 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Qualora le opere abusive siano state su immobili, anche se non vincolati, compresi nelle zone omogenee A, di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, l'art. 33, comma 3, del T.U. n. 380/2001, prevede che il dirigente o il responsabile dell'ufficio richiede all'amministrazione competente alla tutela dei beni culturali e ambientali apposito parere vincolante circa la restituzione in pristino o la irrogazione della sanzione pecuniaria di cui al precedente comma. Qualora il parere non venga reso entro novanta giorni dalla richiesta il dirigente o il responsabile provvede autonomamente (comma 3). La possibilità di irrogare la sanzione pecuniaria rimane anche quando la Soprintendenza, regolarmente richiesta del parere, non si sia pronunciata.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Qualora le opere abusive siano state su immobili, anche se non vincolati, compresi nelle zone omogenee A, di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, l'art. 33, comma 3, del T.U. n. 380/2001, prevede che il dirigente o il responsabile dell'ufficio richiede all'amministrazione competente alla tutela dei beni culturali e ambientali apposito parere vincolante circa la restituzione in pristino o la irrogazione della sanzione pecuniaria di cui al precedente comma. Qualora il parere non venga reso entro novanta giorni dalla richiesta il dirigente o il responsabile provvede autonomamente (comma 3). La possibilità di irrogare la sanzione pecuniaria rimane anche quando la Soprintendenza, regolarmente richiesta del parere, non si sia pronunciata.
CONDOMINIO
Cass. civ., Sez. II, 21 febbraio 2017, n. 4436 - pubblicato il 27 febbraio 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Il giudicato formatosi all'esito di un processo in cui sia stato parte l'amministratore di un condominio, fa stato anche nei confronti dei singoli condomini, pure se non intervenuti in giudizio, giacché il condominio è ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Il giudicato formatosi all'esito di un processo in cui sia stato parte l'amministratore di un condominio, fa stato anche nei confronti dei singoli condomini, pure se non intervenuti in giudizio, giacché il condominio è ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini.
CONCORSO DI REATI
Cass. pen., Sez. I, 15 febbraio 2017, n. 7335 - pubblicato il 23 febbraio 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
E' innanzitutto da ricordare che, in linea di principio, secondo consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, è configurabile il concorso formale (art. 81, primo comma, cod. pen.) fra delitto di cui all’art. 9, comma 2, della legge n. 1423 del 1956 (il cui precetto è oggi riprodotto nell’art. 75, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011), consistente nella violazione della prescrizione di vivere onestamente e di rispettare le leggi, derivante da decreto impositivo della sorveglianza speciale con l’obbligo o il divieto di soggiorno, e qualunque altro reato con la medesima condotta consumato dal sorvegliato speciale (in questo senso cfr., fra le molte, Cass. Sez. 1, n. 26161 del 20 giugno 2012, P.G. in proc. Albini, Rv. 253090; Cass. Sez. 1, n. 4893 del 15 gennaio 2009, Pg. in proc. Rullo, Rv. 243350; Cass. Sez. 1, n. 39909 del 18 ottobre 2007, Greco, Rv. 237910; Cass. Sez. 4, n. 32915 del 12 maggio 2004, Lippolis, Rv. 229077). Quanto ai rapporti fra precetto recato dall’art. 73 del d.lgs. n. 159 del 2011 (guida senza patente, o con patente revocata o sospesa, commessa da persona sottoposta a misura di prevenzione personale) e quello contenuto nel successivo art. 75, comma 2, dello stesso decreto (inosservanza degli obblighi e delle prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale con l’obbligo o il divieto di soggiorno), la giurisprudenza di legittimità è del pari costante nel ritenere che la condotta di chi, soggetto a provvedimento definitivo della misura di prevenzione della sorveglianza speciale con l’obbligo di soggiorno o il divieto di soggiorno, guidi un veicolo senza patente, o dopo che la patente sia stata revocata o sospesa, integra tanto la contravvenzione prevista dal citato art. 73 che il delitto previsto dal successivo art. 75, comma 2, del decreto del 2011, tutelando le due disposizioni di legge interessi giuridici fra loro affatto diversi (cfr., in questo senso, Cass. Sez. 6, n. 13427 del 17 marzo 2016, Pantaleo, Rv. 267214; Cass. Sez. 1, n. 17728 del 2 aprile 2014, Di Grazia, Rv. 259735; Cass. Sez. 6, n. 48465 del 20 novembre 2013, P.M. in proc. Gríeco, Rv. 257712). Il sorvegliato speciale che conduca un veicolo senza patente (nel caso di specie, con patente revocata il 12 novembre 2013) viola quindi tanto il precetto specifico che tale comportamento vieta (art. 73) quanto quello, generico, di vivere onestamente e di rispettare le leggi derivante dal decreto (nel caso concreto, emesso il 16 dicembre 2015) che lo ha assoggettato a tale misura personale di prevenzione (art. 75, comma 2): l’ambito di applicazione delle due disposizioni di legge non è, per quanto detto, sovrapponibile e rispetto alle stesse non trova, dunque, applicazione l’art. 15 cod.pen
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
E' innanzitutto da ricordare che, in linea di principio, secondo consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, è configurabile il concorso formale (art. 81, primo comma, cod. pen.) fra delitto di cui all’art. 9, comma 2, della legge n. 1423 del 1956 (il cui precetto è oggi riprodotto nell’art. 75, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011), consistente nella violazione della prescrizione di vivere onestamente e di rispettare le leggi, derivante da decreto impositivo della sorveglianza speciale con l’obbligo o il divieto di soggiorno, e qualunque altro reato con la medesima condotta consumato dal sorvegliato speciale (in questo senso cfr., fra le molte, Cass. Sez. 1, n. 26161 del 20 giugno 2012, P.G. in proc. Albini, Rv. 253090; Cass. Sez. 1, n. 4893 del 15 gennaio 2009, Pg. in proc. Rullo, Rv. 243350; Cass. Sez. 1, n. 39909 del 18 ottobre 2007, Greco, Rv. 237910; Cass. Sez. 4, n. 32915 del 12 maggio 2004, Lippolis, Rv. 229077). Quanto ai rapporti fra precetto recato dall’art. 73 del d.lgs. n. 159 del 2011 (guida senza patente, o con patente revocata o sospesa, commessa da persona sottoposta a misura di prevenzione personale) e quello contenuto nel successivo art. 75, comma 2, dello stesso decreto (inosservanza degli obblighi e delle prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale con l’obbligo o il divieto di soggiorno), la giurisprudenza di legittimità è del pari costante nel ritenere che la condotta di chi, soggetto a provvedimento definitivo della misura di prevenzione della sorveglianza speciale con l’obbligo di soggiorno o il divieto di soggiorno, guidi un veicolo senza patente, o dopo che la patente sia stata revocata o sospesa, integra tanto la contravvenzione prevista dal citato art. 73 che il delitto previsto dal successivo art. 75, comma 2, del decreto del 2011, tutelando le due disposizioni di legge interessi giuridici fra loro affatto diversi (cfr., in questo senso, Cass. Sez. 6, n. 13427 del 17 marzo 2016, Pantaleo, Rv. 267214; Cass. Sez. 1, n. 17728 del 2 aprile 2014, Di Grazia, Rv. 259735; Cass. Sez. 6, n. 48465 del 20 novembre 2013, P.M. in proc. Gríeco, Rv. 257712). Il sorvegliato speciale che conduca un veicolo senza patente (nel caso di specie, con patente revocata il 12 novembre 2013) viola quindi tanto il precetto specifico che tale comportamento vieta (art. 73) quanto quello, generico, di vivere onestamente e di rispettare le leggi derivante dal decreto (nel caso concreto, emesso il 16 dicembre 2015) che lo ha assoggettato a tale misura personale di prevenzione (art. 75, comma 2): l’ambito di applicazione delle due disposizioni di legge non è, per quanto detto, sovrapponibile e rispetto alle stesse non trova, dunque, applicazione l’art. 15 cod.pen
CONDOMINIO
Cass. civ., Sez. II, 16 febbraio 2017, n. 4183 - pubblicato il 21 febbraio 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
L'amministratore del condominio, essendo tenuto a curare l'osservanza del regolamento condominiale, ai sensi del comma 1 dell'art. 1130 c.c., è legittimato ad agire e a resistere in giudizio per ottenere che un condomino non adibisca la propria unità immobiliare ad attività vietata dal regolamento condominiale contrattuale, senza la necessità di una specifica deliberazione assembleare assunta con la maggioranza prevista dall'art. 1136, comma 2, c.c., richiesta soltanto per le liti attive e passive esorbitanti dalle incombenze proprie dell'amministratore stesso.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
L'amministratore del condominio, essendo tenuto a curare l'osservanza del regolamento condominiale, ai sensi del comma 1 dell'art. 1130 c.c., è legittimato ad agire e a resistere in giudizio per ottenere che un condomino non adibisca la propria unità immobiliare ad attività vietata dal regolamento condominiale contrattuale, senza la necessità di una specifica deliberazione assembleare assunta con la maggioranza prevista dall'art. 1136, comma 2, c.c., richiesta soltanto per le liti attive e passive esorbitanti dalle incombenze proprie dell'amministratore stesso.
CONDOMINIO
Cass. civ., Sez. II, 14 febbraio 2017, n. 3893 - pubblicato il 21 febbraio 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In materia condominiale il solaio esistente tra i piani sovrapposti di un edificio è oggetto di comunione tra i rispettivi proprietari per la parte strutturale che, incorporata ai muri perimetrali, assolve alla duplice funzione di sostegno del piano superiore e di copertura di quello inferiore, mentre gli spazi pieni o vuoti che accedono al soffitto o al pavimento e non sono essenziali all'indicata struttura rimangono esclusi dalla comunione e sono utilizzabili rispettivamente da ciascun proprietario nell'esercizio del suo pieno ed esclusivo diritto dominicale. Deve escludersi, dunque, che la comunione si estenda alle travi aventi funzioni di sostegno del solaio e che, pacificamente, fanno parte di detta struttura portante, allo spazio esistente tra le stesse, integrante volumetria di esclusiva utilizzazione da parte del proprietario del piano sottostante.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In materia condominiale il solaio esistente tra i piani sovrapposti di un edificio è oggetto di comunione tra i rispettivi proprietari per la parte strutturale che, incorporata ai muri perimetrali, assolve alla duplice funzione di sostegno del piano superiore e di copertura di quello inferiore, mentre gli spazi pieni o vuoti che accedono al soffitto o al pavimento e non sono essenziali all'indicata struttura rimangono esclusi dalla comunione e sono utilizzabili rispettivamente da ciascun proprietario nell'esercizio del suo pieno ed esclusivo diritto dominicale. Deve escludersi, dunque, che la comunione si estenda alle travi aventi funzioni di sostegno del solaio e che, pacificamente, fanno parte di detta struttura portante, allo spazio esistente tra le stesse, integrante volumetria di esclusiva utilizzazione da parte del proprietario del piano sottostante.
CAUSE DI NON PUNIBILITA'
Cass. pen., Sez. VI, 25 gennaio 2017, n. 6664 - pubblicato il 20 febbraio 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p. trova applicazione, unitamente ad altre condizioni, quando il comportamento risulti non abituale e l'abitualità ricorre "nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate".
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p. trova applicazione, unitamente ad altre condizioni, quando il comportamento risulti non abituale e l'abitualità ricorre "nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate".
CONTRADDITORIETA' PROCESSUALE
Cass. pen., Sez. IV, 20 gennaio 2017, n. 6378 - pubblicato il 20 febbraio 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di ricorso per cassazione, la riformulazione dell'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., da parte dell'art. 8 della L. 20 febbraio 2006, n. 46, consente di dedurre il travisamento della prova, nella forma della c.d. "contraddittorietà processuale", consistente nella mancata corrispondenza tra il risultato probatorio utilizzato nella motivazione della sentenza e l'atto probatorio stesso, senza il limite della rilevabilità testuale dalla motivazione del provvedimento impugnato, potendo essere desunto anche da altri atti del processo, purché specificamente indicati dal ricorrente, e a condizione che l'errore disarticoli l'intero ragionamento probatorio, rendendo, quindi, illogica la motivazione per l'evidente forza dimostrativa del dato probatorio travisato.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di ricorso per cassazione, la riformulazione dell'art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., da parte dell'art. 8 della L. 20 febbraio 2006, n. 46, consente di dedurre il travisamento della prova, nella forma della c.d. "contraddittorietà processuale", consistente nella mancata corrispondenza tra il risultato probatorio utilizzato nella motivazione della sentenza e l'atto probatorio stesso, senza il limite della rilevabilità testuale dalla motivazione del provvedimento impugnato, potendo essere desunto anche da altri atti del processo, purché specificamente indicati dal ricorrente, e a condizione che l'errore disarticoli l'intero ragionamento probatorio, rendendo, quindi, illogica la motivazione per l'evidente forza dimostrativa del dato probatorio travisato.
CORRUZIONE DI PUBBLICO UFFICIALE
Cass. pen., Sez. VI, 10 gennaio 2017, n. 7439 - pubblicato il 20 febbraio 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Ai fini della configurabilità del delitto previsto dall'art. 319-ter c.p. della corruzione di atti giudiziari, si considera "atto giudiziario" quello funzionale ad un procedimento giudiziario e, pertanto, anche l'atto del funzionario collocato nella struttura dell'ufficio giudiziario che esercita un potere idoneo ad incidere sul suo concreto funzionamento e sull'esito dei procedimenti.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Ai fini della configurabilità del delitto previsto dall'art. 319-ter c.p. della corruzione di atti giudiziari, si considera "atto giudiziario" quello funzionale ad un procedimento giudiziario e, pertanto, anche l'atto del funzionario collocato nella struttura dell'ufficio giudiziario che esercita un potere idoneo ad incidere sul suo concreto funzionamento e sull'esito dei procedimenti.
LASTRICO SOLARE
Cass. civ., Sez. II, 7 febbraio 2017, n. 3239 - pubblicato il 13 febbraio 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di condominio di edifici, qualora l'uso del lastrico solare, ovvero della terrazza a livello, non sia comune a tutti i condomini, dei danni da infiltrazioni nell'appartamento sottostante rispondono sia il proprietario, o l'usuario esclusivo, quale custode del bene ex art. 2051 c.c., sia il condominio in forza degli obblighi inerenti l'adozione dei controlli necessari alla conservazione delle parti comuni incombenti sull'amministratore ex art. 1130, comma 1, n. 4, c.c., nonché sull'assemblea dei condomini ex art. 1135, comma 1, n. 4, c.c., tenuta a provvedere alle opere di manutenzione straordinaria. Il concorso di tali responsabilità va risolto, salva la rigorosa prova contraria della specifica imputabilità soggettiva del danno, secondo i criteri di cui all'art. 1126 c.c.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di condominio di edifici, qualora l'uso del lastrico solare, ovvero della terrazza a livello, non sia comune a tutti i condomini, dei danni da infiltrazioni nell'appartamento sottostante rispondono sia il proprietario, o l'usuario esclusivo, quale custode del bene ex art. 2051 c.c., sia il condominio in forza degli obblighi inerenti l'adozione dei controlli necessari alla conservazione delle parti comuni incombenti sull'amministratore ex art. 1130, comma 1, n. 4, c.c., nonché sull'assemblea dei condomini ex art. 1135, comma 1, n. 4, c.c., tenuta a provvedere alle opere di manutenzione straordinaria. Il concorso di tali responsabilità va risolto, salva la rigorosa prova contraria della specifica imputabilità soggettiva del danno, secondo i criteri di cui all'art. 1126 c.c.
CONTRATTI BANCARI
Cass. civ., Sez. I, 3 febbraio 2017, n. 2950 - pubblicato l'8 febbraio 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La possibilità della sottrazione dei codici del correntista, attraverso tecniche fraudolente, rientra nell'area del rischio di impresa, destinato ad essere fronteggiato attraverso l'adozione di misure che consentano all'istituto di credito di verificare, prima di dare corso all'operazione, se essa sia effettivamente attribuibile al cliente. In tal senso, invero, anche al fine di garantire la fiducia degli utenti nella sicurezza del sistema, deve ritenersi del tutto ragionevole ricondurre nell'area del rischio professionale del prestatore di servizi di pagamento, prevedibile ed evitabile con appropriate misure destinate a verificare la riconducibilità delle operazioni alla volontà del cliente, la possibilità di una utilizzazione dei codici da parte di terzi, non attribuibile al dolo del titolare o a comportamenti talmente incauti da non poter essere fronteggiati in anticipo.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La possibilità della sottrazione dei codici del correntista, attraverso tecniche fraudolente, rientra nell'area del rischio di impresa, destinato ad essere fronteggiato attraverso l'adozione di misure che consentano all'istituto di credito di verificare, prima di dare corso all'operazione, se essa sia effettivamente attribuibile al cliente. In tal senso, invero, anche al fine di garantire la fiducia degli utenti nella sicurezza del sistema, deve ritenersi del tutto ragionevole ricondurre nell'area del rischio professionale del prestatore di servizi di pagamento, prevedibile ed evitabile con appropriate misure destinate a verificare la riconducibilità delle operazioni alla volontà del cliente, la possibilità di una utilizzazione dei codici da parte di terzi, non attribuibile al dolo del titolare o a comportamenti talmente incauti da non poter essere fronteggiati in anticipo.
STATO DI EBBREZZA
Cass. pen., Sez. IV, 10 gennaio 2017, n. 4234 - pubblicato l'8 febbraio 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di guida in stato di ebbrezza alcolica, se i sanitari abbiano ritenuto di non sottoporre il conducente a cure mediche ed al prelievo ematico, la richiesta degli organi di polizia giudiziaria di effettuare l'analisi del tasso alcolemico per via ematica presuppone l'avviso all'indagato della facoltà di farsi assistere dal difensore di fiducia, in mancanza del quale si configura una nullità a regime intermedio, non più deducibile, secondo le regole generali, "dopo la deliberazione della sentenza di primo grado", alla stregua di quanto previsto dall'art. 180 c.p.p., richiamato dall'art. 182, comma 2, secondo periodo, c.p.p.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di guida in stato di ebbrezza alcolica, se i sanitari abbiano ritenuto di non sottoporre il conducente a cure mediche ed al prelievo ematico, la richiesta degli organi di polizia giudiziaria di effettuare l'analisi del tasso alcolemico per via ematica presuppone l'avviso all'indagato della facoltà di farsi assistere dal difensore di fiducia, in mancanza del quale si configura una nullità a regime intermedio, non più deducibile, secondo le regole generali, "dopo la deliberazione della sentenza di primo grado", alla stregua di quanto previsto dall'art. 180 c.p.p., richiamato dall'art. 182, comma 2, secondo periodo, c.p.p.
RIFORMA ESAME AVVOCATO
Riforma dell’esame di avvocato: arriva la proroga?
I candidati potrebbero usare anche per quest’anno i codici annotati con la giurisprudenza e usufruire del meccanismo della compensazione dei voti
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
La legge 31 dicembre 2012, n. 247 ha profondamente novellato il tanto temuto esame di Stato per accedere all’avvocatura, intervenendo su molteplici profili che vanno dalla necessaria sufficienza in tutte le tre prove scritte al numero delle materie obbligatorie da studiare per l’orale.
Ciò che spaventa di più i praticanti avvocati è, però, senza dubbio il divieto di utilizzare i codici annotati con la giurisprudenza. Non solo perché si tratta di uno strumento utilissimo per poter ricostruire gli orientamenti giurisprudenziali da richiamare nei pareri e negli atti, ma anche perché vuol dire misurarsi per la prima volta con un nuovo approccio di redazione e, soprattutto, di correzione dei commissari.
Accanto a questa situazione di incertezza sulle concrete modalità di redazione dei temi, si pone per i praticanti avvocati un ulteriore dubbio periodicamente riproposto dai mass media circa la proroga o meno dell’entrata in vigore del nuovo esame di avvocato.
Da mesi si rincorrono ormai delle voci sempre più insistenti sul rinvio della riforma che, però, non si sono ancora concretizzate in un intervento legislativo in materia.
Finalmente una prima risposta in tal senso dovrebbe giungere già nei prossimi giorni in occasione di una nuova riunione della Commissione Affari Costituzionali del Senato, quando avranno inizio le votazioni sulla legge di conversione del Decreto Milleproghe e si discuterà altresì dell’emendamento PD 10.27 che prevede un rinvio di 7 anni e dell’emendamento NCD 10.30 che prevede un rinvio di 6 anni dell’entrata in vigore della riforma forense.
È auspicabile che la risposta a tale importante quesito giunga il primo possibile in modo da consentire ai candidati al prossimo esame di potersi preparare correttamente alle prove che li attendono, diradando le numerose incertezze che ruotano intorno a un esame che da molti è definito una mera lotteria.
I candidati potrebbero usare anche per quest’anno i codici annotati con la giurisprudenza e usufruire del meccanismo della compensazione dei voti
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
La legge 31 dicembre 2012, n. 247 ha profondamente novellato il tanto temuto esame di Stato per accedere all’avvocatura, intervenendo su molteplici profili che vanno dalla necessaria sufficienza in tutte le tre prove scritte al numero delle materie obbligatorie da studiare per l’orale.
Ciò che spaventa di più i praticanti avvocati è, però, senza dubbio il divieto di utilizzare i codici annotati con la giurisprudenza. Non solo perché si tratta di uno strumento utilissimo per poter ricostruire gli orientamenti giurisprudenziali da richiamare nei pareri e negli atti, ma anche perché vuol dire misurarsi per la prima volta con un nuovo approccio di redazione e, soprattutto, di correzione dei commissari.
Accanto a questa situazione di incertezza sulle concrete modalità di redazione dei temi, si pone per i praticanti avvocati un ulteriore dubbio periodicamente riproposto dai mass media circa la proroga o meno dell’entrata in vigore del nuovo esame di avvocato.
Da mesi si rincorrono ormai delle voci sempre più insistenti sul rinvio della riforma che, però, non si sono ancora concretizzate in un intervento legislativo in materia.
Finalmente una prima risposta in tal senso dovrebbe giungere già nei prossimi giorni in occasione di una nuova riunione della Commissione Affari Costituzionali del Senato, quando avranno inizio le votazioni sulla legge di conversione del Decreto Milleproghe e si discuterà altresì dell’emendamento PD 10.27 che prevede un rinvio di 7 anni e dell’emendamento NCD 10.30 che prevede un rinvio di 6 anni dell’entrata in vigore della riforma forense.
È auspicabile che la risposta a tale importante quesito giunga il primo possibile in modo da consentire ai candidati al prossimo esame di potersi preparare correttamente alle prove che li attendono, diradando le numerose incertezze che ruotano intorno a un esame che da molti è definito una mera lotteria.
LICENZIAMENTO DELLA LAVORATRICE MADRE
Cass. civ., Sez. lavoro, 26 gennaio 2017, n. 2004 - pubblicato il 1° febbraio 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di licenziamento, il divieto di licenziamento della lavoratrice madre è reso inoperante, ai sensi dell'art. 3, lett. a) del D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, quando ricorra la colpa grave della lavoratrice, che non può ritenersi integrata dalla sussistenza di un giustificato motivo soggettivo, ovvero da una situazione prevista dalla contrattazione collettiva quale giusta causa idonea a legittimare la sanzione espulsiva, essendo invece necessario verificare se sussista quella colpa specificamente prevista dalla suddetta norma e diversa, per l'indicato connotato di gravità, da quella prevista dalla disciplina pattizia per i generici casi di inadempimento del lavoratore sanzionati con la risoluzione del rapporto. L'accertamento e la valutazione in concreto della prospettata colpa grave si risolve in un giudizio di fatto riservato al giudice di merito, come tale non sindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione logicamente congrua e giuridicamente immune da vizi.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di licenziamento, il divieto di licenziamento della lavoratrice madre è reso inoperante, ai sensi dell'art. 3, lett. a) del D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, quando ricorra la colpa grave della lavoratrice, che non può ritenersi integrata dalla sussistenza di un giustificato motivo soggettivo, ovvero da una situazione prevista dalla contrattazione collettiva quale giusta causa idonea a legittimare la sanzione espulsiva, essendo invece necessario verificare se sussista quella colpa specificamente prevista dalla suddetta norma e diversa, per l'indicato connotato di gravità, da quella prevista dalla disciplina pattizia per i generici casi di inadempimento del lavoratore sanzionati con la risoluzione del rapporto. L'accertamento e la valutazione in concreto della prospettata colpa grave si risolve in un giudizio di fatto riservato al giudice di merito, come tale non sindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione logicamente congrua e giuridicamente immune da vizi.
CONTRATTI BANCARI
Cass. civ., Sez. I, 20 gennaio 2017, n. 1584 - pubblicato il 26 gennaio 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Nei rapporti bancari in conto corrente, una volta che sia stata esclusa la validità, per mancanza dei requisiti di legge, della pattuizione di interessi ultralegali a carico del correntista, la banca ha l'onere di produrre gli estratti a partire dall'apertura del conto. Quest'ultima non può sottrarsi all'assolvimento di tale onere invocando l'insussistenza dell'obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni, perché non si può confondere l'onere di conservazione della documentazione contabile con quello di prova del proprio credito. Tale principio trova applicazione anche nel caso in cui si controverta dell'addebito di interessi anatocistici non dovuti.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Nei rapporti bancari in conto corrente, una volta che sia stata esclusa la validità, per mancanza dei requisiti di legge, della pattuizione di interessi ultralegali a carico del correntista, la banca ha l'onere di produrre gli estratti a partire dall'apertura del conto. Quest'ultima non può sottrarsi all'assolvimento di tale onere invocando l'insussistenza dell'obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni, perché non si può confondere l'onere di conservazione della documentazione contabile con quello di prova del proprio credito. Tale principio trova applicazione anche nel caso in cui si controverta dell'addebito di interessi anatocistici non dovuti.
MINORI
Cass. civ., Sez. Unite, 19 gennaio 2017, n. 1310 - pubblicato il 26 gennaio 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Ai fini del riparto della giurisdizione e dell'individuazione della legge applicabile, i provvedimenti in materia di minori devono essere valutati in relazione alla funzione svolta. Ne deriva che quelli che, pur incidendo sulla potestà dei genitori, perseguono una finalità di protezione del minore, rientrano nel campo di applicazione dell'art. 42 della legge n. 218 del 1995, il quale rinvia alla Convenzione dell'Aja del 5 ottobre 1961 e, nel caso di minore con doppia cittadinanza, non può applicarsi l'art. 4 della Convenzione, che stabilisce la prevalenza delle misure adottate dal giudice dello Stato di cui il minore è cittadino su quelle adottate nel luogo di residenza abituale. Deve, dunque, ritenersi sussistere la giurisdizione dello Stato che presenti col minore il collegamento più stretto, che va individuato con lo Stato in cui il minore ha la residenza abituale.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Ai fini del riparto della giurisdizione e dell'individuazione della legge applicabile, i provvedimenti in materia di minori devono essere valutati in relazione alla funzione svolta. Ne deriva che quelli che, pur incidendo sulla potestà dei genitori, perseguono una finalità di protezione del minore, rientrano nel campo di applicazione dell'art. 42 della legge n. 218 del 1995, il quale rinvia alla Convenzione dell'Aja del 5 ottobre 1961 e, nel caso di minore con doppia cittadinanza, non può applicarsi l'art. 4 della Convenzione, che stabilisce la prevalenza delle misure adottate dal giudice dello Stato di cui il minore è cittadino su quelle adottate nel luogo di residenza abituale. Deve, dunque, ritenersi sussistere la giurisdizione dello Stato che presenti col minore il collegamento più stretto, che va individuato con lo Stato in cui il minore ha la residenza abituale.
TRASFERIMENTO D'AZIENDA
Cass. civ., Sez. Lavoro, 19 gennaio 2017, n. 1316 - pubblicato il 24 gennaio 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Rappresenta elemento costitutivo della cessione del ramo di azienda prevista dall'art. 2112 c.c., anche nel testo modificato dall'art. 32 del D.Lgs. n. 276 del 2003, l'autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la capacità di questo, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi, funzionale ed organizzativi e quindi di svolgere (autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario) il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell'ambito dell'impresa cedente al momento della cessione, indipendentemente dal coevo contratto di fornitura di servizi che venga contestualmente stipulato tra le parti.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Rappresenta elemento costitutivo della cessione del ramo di azienda prevista dall'art. 2112 c.c., anche nel testo modificato dall'art. 32 del D.Lgs. n. 276 del 2003, l'autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero la capacità di questo, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi, funzionale ed organizzativi e quindi di svolgere (autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario) il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell'ambito dell'impresa cedente al momento della cessione, indipendentemente dal coevo contratto di fornitura di servizi che venga contestualmente stipulato tra le parti.
MANDATO DI ARRESTO EUROPEO
Cass. pen., Sez. VI, 4 gennaio 2017, n. 520 - pubblicato il 18 gennaio 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La nozione di residenza rilevante in tema di mandato di arresto europeo, ai fini del rifiuto di consegna di un cittadino di altro Paese membro dell'Unione, ex art. 18, lett. r), L. n. 69 del 2005, presuppone un radicamento reale e non estemporaneo della persona nello Stato, desumibile dalla legalità della sua presenza in Italia, dall'apprezzabile continuità temporale e stabilità della stessa, dalla distanza temporale tra questa, la commissione del reato e la condanna conseguita all'estero, dalla fissazione in Italia della sede principale e consolidata degli interessi lavorativi, familiari ed affettivi, nonché dal pagamento eventuale di oneri contributivi e fiscali. La nozione di dimora, rilevante nei medesimi termini, si identifica, invece, con un soggiorno stabile e di una certa durata, idoneo a consentire l'acquisizione di legami con lo Stato pari a quelli che si instaurano in caso di residenza. In particolare, la circostanza che deve ritenersi rilevante anche la distanza temporale della condanna dalla fissazione in Italia della sede principale e consolidata degli interessi lavorativi e familiari, deve ricollegarsi all'esigenza che il radicamento in tale paese possa intendersi quale risultato di una scelta incondizionata, svincolata dalle sorti del processo celebrato nel Paese di origine (a differenza di quanto accertato nel caso concreto, ove, pertanto, va condivisa la esclusa configurabilità di una fattispecie di residenza o stabile dimora in Italia rilevante nei termini di cui innanzi).
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La nozione di residenza rilevante in tema di mandato di arresto europeo, ai fini del rifiuto di consegna di un cittadino di altro Paese membro dell'Unione, ex art. 18, lett. r), L. n. 69 del 2005, presuppone un radicamento reale e non estemporaneo della persona nello Stato, desumibile dalla legalità della sua presenza in Italia, dall'apprezzabile continuità temporale e stabilità della stessa, dalla distanza temporale tra questa, la commissione del reato e la condanna conseguita all'estero, dalla fissazione in Italia della sede principale e consolidata degli interessi lavorativi, familiari ed affettivi, nonché dal pagamento eventuale di oneri contributivi e fiscali. La nozione di dimora, rilevante nei medesimi termini, si identifica, invece, con un soggiorno stabile e di una certa durata, idoneo a consentire l'acquisizione di legami con lo Stato pari a quelli che si instaurano in caso di residenza. In particolare, la circostanza che deve ritenersi rilevante anche la distanza temporale della condanna dalla fissazione in Italia della sede principale e consolidata degli interessi lavorativi e familiari, deve ricollegarsi all'esigenza che il radicamento in tale paese possa intendersi quale risultato di una scelta incondizionata, svincolata dalle sorti del processo celebrato nel Paese di origine (a differenza di quanto accertato nel caso concreto, ove, pertanto, va condivisa la esclusa configurabilità di una fattispecie di residenza o stabile dimora in Italia rilevante nei termini di cui innanzi).
INDEBITO
Cass. civ., Sez. III, 11 gennaio 2017, n. 411 - pubblicato il 16 gennaio 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di locazione di immobili urbani, qualora il conduttore abbia corrisposto a titolo di canone una somma maggiore rispetto a quella consentita dalla legge, trova applicazione, in riferimento alla domanda di restituzione delle somme corrisposte in eccedenza, la regola generale ex art. 2033 c.c. secondo la quale gli interessi sulle somme da restituire decorrono dal giorno della domanda giudiziale se l'accipiens era in buona fede e da quello del pagamento se era in mala fede; in particolare, alla violazione della norma imperativa che stabilisce il canone per un immobile adibito ad uso di abitazione non consegue automaticamente la mala fede del locatore, sicché il conduttore deve dimostrare di essere stato indotto dal locatore alla corresponsione del canone in misura superiore a quella legale, nonostante la sua volontà contraria, a meno che la mala fede non emerga dalle circostanze di fatto.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di locazione di immobili urbani, qualora il conduttore abbia corrisposto a titolo di canone una somma maggiore rispetto a quella consentita dalla legge, trova applicazione, in riferimento alla domanda di restituzione delle somme corrisposte in eccedenza, la regola generale ex art. 2033 c.c. secondo la quale gli interessi sulle somme da restituire decorrono dal giorno della domanda giudiziale se l'accipiens era in buona fede e da quello del pagamento se era in mala fede; in particolare, alla violazione della norma imperativa che stabilisce il canone per un immobile adibito ad uso di abitazione non consegue automaticamente la mala fede del locatore, sicché il conduttore deve dimostrare di essere stato indotto dal locatore alla corresponsione del canone in misura superiore a quella legale, nonostante la sua volontà contraria, a meno che la mala fede non emerga dalle circostanze di fatto.
RESPONSABILITA' PROFESSIONALE
Cass. civ., Sez. III, 10 gennaio 2017, n. 243 - pubblicato il 13 gennaio 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Qualora risulti che un medico specialista in ginecologia, cui una gestante si sia rivolta per accertamenti sulle condizioni della gravidanza e del feto, non abbia adempiuto correttamente la prestazione per non avere prescritto l'amniocentesi ed all'esito della gravidanza il feto nasca con una sindrome che quell'accertamento avrebbe potuto svelare, la mera circostanza che, due mesi dopo quella prestazione, la gestante abbia rifiutato di sottoporsi all'amniocentesi, non elide l'efficacia causale dell'inadempimento quanto alla perdita della chance di conoscere lo stato della gravidanza fin dal momento in cui si è verificato e, conseguentemente, ove la gestante lamenti di avere subito un danno alla salute psico-fisica, per avere avuto la "sorpresa" della condizione patologica del figlio solo al termine della gravidanza, la perdita di quella chance deve essere considerata una parte di quel danno ascrivibile all'inadempimento del medico.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Qualora risulti che un medico specialista in ginecologia, cui una gestante si sia rivolta per accertamenti sulle condizioni della gravidanza e del feto, non abbia adempiuto correttamente la prestazione per non avere prescritto l'amniocentesi ed all'esito della gravidanza il feto nasca con una sindrome che quell'accertamento avrebbe potuto svelare, la mera circostanza che, due mesi dopo quella prestazione, la gestante abbia rifiutato di sottoporsi all'amniocentesi, non elide l'efficacia causale dell'inadempimento quanto alla perdita della chance di conoscere lo stato della gravidanza fin dal momento in cui si è verificato e, conseguentemente, ove la gestante lamenti di avere subito un danno alla salute psico-fisica, per avere avuto la "sorpresa" della condizione patologica del figlio solo al termine della gravidanza, la perdita di quella chance deve essere considerata una parte di quel danno ascrivibile all'inadempimento del medico.
INCARICHI DIRIGENZIALI
Cass. civ., Sez. lavoro, 9 gennaio 2017, n. 217 - pubblicato il 12 gennaio 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Il ripristino dell'incarico dirigenziale come forma di tutela attribuibile da parte del giudice ordinario in favore dei dirigenti pubblici che siano stati privati, in tutto o in parte, delle loro mansioni per effetto di un illegittimo provvedimento dell'Amministrazione datrice di lavoro, non va necessariamente riferito all'incarico originario e deve essere, comunque, limitato alla durata originariamente pattuita, con detrazione del periodo già trascorso. Tale ripristino può essere disposto dal giudice ordinario senza che eventuali sopravvenute modifiche organizzative adottate dall'Ente datore di lavoro possano impedire una simile pronuncia, laddove sia stato accertato che la privazione delle mansioni maggiormente caratterizzanti l'incarico dirigenziale conferito, non sia avvenuta per effetto dell'adozione da parte dell'Amministrazione di un provvedimento di revoca, ma a causa di una riorganizzazione aziendale, la quale, pur lasciando integri formalmente i compiti affidati al dirigente, di fatto li abbia ridotti a quelli relativi agli interventi di carattere routinario, senza alcuna specifica motivazione al riguardo. In tale ultima ipotesi, il contrasto con i principi costituzionali e legislativi di riferimento è ancora più grave che nel primo caso, in quanto si riscontra violazione non solo dei principi di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa, ex art. 97 Cost., ma anche del principio del giusto procedimento e dei principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, per l'ingiustificato aumento della spesa complessiva per il personale regionale e locale, costituente una delle più frequenti e rilevanti cause del disavanzo pubblico.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Il ripristino dell'incarico dirigenziale come forma di tutela attribuibile da parte del giudice ordinario in favore dei dirigenti pubblici che siano stati privati, in tutto o in parte, delle loro mansioni per effetto di un illegittimo provvedimento dell'Amministrazione datrice di lavoro, non va necessariamente riferito all'incarico originario e deve essere, comunque, limitato alla durata originariamente pattuita, con detrazione del periodo già trascorso. Tale ripristino può essere disposto dal giudice ordinario senza che eventuali sopravvenute modifiche organizzative adottate dall'Ente datore di lavoro possano impedire una simile pronuncia, laddove sia stato accertato che la privazione delle mansioni maggiormente caratterizzanti l'incarico dirigenziale conferito, non sia avvenuta per effetto dell'adozione da parte dell'Amministrazione di un provvedimento di revoca, ma a causa di una riorganizzazione aziendale, la quale, pur lasciando integri formalmente i compiti affidati al dirigente, di fatto li abbia ridotti a quelli relativi agli interventi di carattere routinario, senza alcuna specifica motivazione al riguardo. In tale ultima ipotesi, il contrasto con i principi costituzionali e legislativi di riferimento è ancora più grave che nel primo caso, in quanto si riscontra violazione non solo dei principi di imparzialità e buon andamento dell'azione amministrativa, ex art. 97 Cost., ma anche del principio del giusto procedimento e dei principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, per l'ingiustificato aumento della spesa complessiva per il personale regionale e locale, costituente una delle più frequenti e rilevanti cause del disavanzo pubblico.
LOCAZIONE
Cass. civ., Sez. III, 27 dicembre 2016, n. 27021 - pubblicato il 4 gennaio 2017
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Poiché il rapporto che deriva dal contratto di locazione e che si instaura tra locatore e conduttore ha natura personale, di modo che chiunque abbia la disponibilità di fatto del bene, in base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico, può validamente concederlo in locazione, la legittimazione a stipularlo riguardo ad un immobile oggetto di usufrutto è configurabile anche in capo al nudo proprietario del bene, con la conseguenza che il conduttore convenuto per l'adempimento dei canoni non può contestarne la legittimazione, adducendo l'esistenza della posizione dell'usufruttuario, in quanto essa è estranea al rapporto personale di godimento insorto con la locazione.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Poiché il rapporto che deriva dal contratto di locazione e che si instaura tra locatore e conduttore ha natura personale, di modo che chiunque abbia la disponibilità di fatto del bene, in base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico, può validamente concederlo in locazione, la legittimazione a stipularlo riguardo ad un immobile oggetto di usufrutto è configurabile anche in capo al nudo proprietario del bene, con la conseguenza che il conduttore convenuto per l'adempimento dei canoni non può contestarne la legittimazione, adducendo l'esistenza della posizione dell'usufruttuario, in quanto essa è estranea al rapporto personale di godimento insorto con la locazione.
CONDOMINIO
Cass. civ., Sez. II, 21 dicembre 2016, n. 26609 - pubblicato il 27 dicembre 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Al fine di stabilire se sussista un titolo contrario alla presunzione di comunione sancita dall'art. 1117 c.c., con riguardo ai beni in esso indicati, occorre fare riferimento all'atto costitutivo del condominio, ovvero al primo atto di trasferimento di una unità immobiliare dall'originario unico proprietario ad altro soggetto, indagando se da esso emerga o meno la volontà delle parti di riservare a uno dei condomini la proprietà di beni che, per ubicazione e struttura, siano potenzialmente destinati all'uso comune. Di talché, quando, in occasione del primo atto di frazionamento della proprietà di un edificio, la destinazione obbiettiva di un bene potenzialmente comune non sia contrastata dal titolo, tale bene nasce di proprietà comune e la comunione sullo stesso non può più venire meno per effetto dell'occupazione senza titolo da parte di un singolo condomino.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Al fine di stabilire se sussista un titolo contrario alla presunzione di comunione sancita dall'art. 1117 c.c., con riguardo ai beni in esso indicati, occorre fare riferimento all'atto costitutivo del condominio, ovvero al primo atto di trasferimento di una unità immobiliare dall'originario unico proprietario ad altro soggetto, indagando se da esso emerga o meno la volontà delle parti di riservare a uno dei condomini la proprietà di beni che, per ubicazione e struttura, siano potenzialmente destinati all'uso comune. Di talché, quando, in occasione del primo atto di frazionamento della proprietà di un edificio, la destinazione obbiettiva di un bene potenzialmente comune non sia contrastata dal titolo, tale bene nasce di proprietà comune e la comunione sullo stesso non può più venire meno per effetto dell'occupazione senza titolo da parte di un singolo condomino.
GRADUATORIE
Cass. civ., Sez. Unite, Ordinanza, 16 dicembre 2016, n. 25972
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Ai fini dell'individuazione di quale sia il giudice munito di giurisdizione in relazione alle controversie concernenti il diritto all'inserimento in una graduatoria ad esaurimento (già permanente), è necessario avere riguardo al petitum sostanziale dedotto in giudizio. Se oggetto di tale domanda è la richiesta di annullamento dell'atto amministrativo generale o normativo, e solo quale effetto della rimozione di tale atto, di per sé preclusivo del soddisfacimento della pretesa del docente all'inserimento in una determinata graduatoria, l'accertamento del diritto del ricorrente all'inserimento in quella graduatoria, la giurisdizione non potrà che essere devoluta al giudice amministrativo, essendo proposta in via diretta una domanda di annullamento di un atto amministrativo. Se, viceversa, la domanda rivolta al giudice è specificamente volta all'accertamento del diritto del singolo docente all'inserimento nella graduatoria, ritenendo che tale diritto scaturisca direttamente dalla normazione primaria, eventualmente previa disapplicazione dell'atto amministrativo che detto inserimento potrebbe precludere, la giurisdizione va attribuita al giudice ordinario.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Ai fini dell'individuazione di quale sia il giudice munito di giurisdizione in relazione alle controversie concernenti il diritto all'inserimento in una graduatoria ad esaurimento (già permanente), è necessario avere riguardo al petitum sostanziale dedotto in giudizio. Se oggetto di tale domanda è la richiesta di annullamento dell'atto amministrativo generale o normativo, e solo quale effetto della rimozione di tale atto, di per sé preclusivo del soddisfacimento della pretesa del docente all'inserimento in una determinata graduatoria, l'accertamento del diritto del ricorrente all'inserimento in quella graduatoria, la giurisdizione non potrà che essere devoluta al giudice amministrativo, essendo proposta in via diretta una domanda di annullamento di un atto amministrativo. Se, viceversa, la domanda rivolta al giudice è specificamente volta all'accertamento del diritto del singolo docente all'inserimento nella graduatoria, ritenendo che tale diritto scaturisca direttamente dalla normazione primaria, eventualmente previa disapplicazione dell'atto amministrativo che detto inserimento potrebbe precludere, la giurisdizione va attribuita al giudice ordinario.
AVVOCATO DEGLI ENTI PUBBLICI
Cass. civ., Sez. VI, 14 dicembre 2016, n. 25638 - pubblicato il 19 dicembre 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Gli avvocati dipendenti di enti pubblici, iscritti nell'albo speciale annesso all'albo professionale, sono abilitati al patrocinio esclusivamente per le cause e gli affari propri dell'ente presso il quale prestano la loro opera, onde la cessazione del rapporto di impiego, determinando la mancanza di legittimazione a compiere ed a ricevere atti processuali relativi alle cause proprie dell'ente, comporta il totale venir meno dello ius postulandi per una causa equiparabile a quelle elencate dall'art. 301 c.p.c., a nulla rilevando l'eventuale formale permanenza dell'iscrizione nell'albo speciale ed il mantenimento della medesima casella di Pec. Ne consegue che la notifica della sentenza diretta all'ente pubblico al precedente avvocato investito della causa in base al cessato rapporto di impiego deve ritenersi inesistente e pertanto inidonea a far decorrere il termine breve per l'impugnazione, non essendo ipotizzabile la protrazione dell'attività lavorativa dell'avvocato funzionario oltre il limite di durata del rapporto di lavoro subordinato ed essendo inapplicabile alla fattispecie la disciplina dettata dall'art. 85 c.p.c.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Gli avvocati dipendenti di enti pubblici, iscritti nell'albo speciale annesso all'albo professionale, sono abilitati al patrocinio esclusivamente per le cause e gli affari propri dell'ente presso il quale prestano la loro opera, onde la cessazione del rapporto di impiego, determinando la mancanza di legittimazione a compiere ed a ricevere atti processuali relativi alle cause proprie dell'ente, comporta il totale venir meno dello ius postulandi per una causa equiparabile a quelle elencate dall'art. 301 c.p.c., a nulla rilevando l'eventuale formale permanenza dell'iscrizione nell'albo speciale ed il mantenimento della medesima casella di Pec. Ne consegue che la notifica della sentenza diretta all'ente pubblico al precedente avvocato investito della causa in base al cessato rapporto di impiego deve ritenersi inesistente e pertanto inidonea a far decorrere il termine breve per l'impugnazione, non essendo ipotizzabile la protrazione dell'attività lavorativa dell'avvocato funzionario oltre il limite di durata del rapporto di lavoro subordinato ed essendo inapplicabile alla fattispecie la disciplina dettata dall'art. 85 c.p.c.
FALLIMENTO
RIPARTIZIONE DELL' ATTIVO
Cass. civ., Sez. I, 5 dicembre 2016, n. 24791 - pubblicato il 12 dicembre 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Il disposto di cui all'art. 111, comma 2, della legge fallimentare (R.D. n. 267 del 1942), nell'affermare la prededucibilità dei crediti sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali, li individua sulla base di un duplice criterio, cronologico e teleologico, in tal modo prefigurando un meccanismo satisfattorio destinato a regolare non solo le obbligazioni della massa sorte all'interno della procedura, ma tutte quelle che interferiscono con l'amministrazione fallimentare e, conseguentemente, sugli interessi del ceto creditorio. Trattasi di un elemento oggettivo che ben può precisarsi in una nozione di funzionalità o di strumentalità di tali crediti rispetto alla procedura concorsuale, con valutazione da operare ex ante, non potendo l'evoluzione fallimentare della vicenda concorsuale, di per sé sola e pena la frustrazione dell'obiettivo della norma, escludere il ricorso all'istituto. (Nella specie la sentenza gravata erra nella identificazione come prededucibili, ai sensi della richiamata normativa, dei soli crediti funzionali, intesi come successivi all'apertura della procedura concorsuale, negando la prededuzione al credito per attività professionale utile alla redazione, da parte di altro professionista, dell'attestazione di cui all'art. 161, L.F., considerata la successiva ammissione del debitore al concordato e la vicenda risolutiva connessa alla mera mancata approvazione dei creditori.)
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Il disposto di cui all'art. 111, comma 2, della legge fallimentare (R.D. n. 267 del 1942), nell'affermare la prededucibilità dei crediti sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali, li individua sulla base di un duplice criterio, cronologico e teleologico, in tal modo prefigurando un meccanismo satisfattorio destinato a regolare non solo le obbligazioni della massa sorte all'interno della procedura, ma tutte quelle che interferiscono con l'amministrazione fallimentare e, conseguentemente, sugli interessi del ceto creditorio. Trattasi di un elemento oggettivo che ben può precisarsi in una nozione di funzionalità o di strumentalità di tali crediti rispetto alla procedura concorsuale, con valutazione da operare ex ante, non potendo l'evoluzione fallimentare della vicenda concorsuale, di per sé sola e pena la frustrazione dell'obiettivo della norma, escludere il ricorso all'istituto. (Nella specie la sentenza gravata erra nella identificazione come prededucibili, ai sensi della richiamata normativa, dei soli crediti funzionali, intesi come successivi all'apertura della procedura concorsuale, negando la prededuzione al credito per attività professionale utile alla redazione, da parte di altro professionista, dell'attestazione di cui all'art. 161, L.F., considerata la successiva ammissione del debitore al concordato e la vicenda risolutiva connessa alla mera mancata approvazione dei creditori.)
PUBBLICATI SU OMNIA IUSTITIAE I NUOVI ARTICOLI
DELL' AVV. GAETANO RICCIO E DELL' AVV. ELIANA LIBROIA
CONDOMINIO
Cass. civ., Sez. II, 29 novembre 2016, n. 24235 - pubblicato il 5 dicembre 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La condizione di inservibilità del bene comune all'uso o al godimento anche di un solo condomino, che, ai sensi dell'art. 1120, comma 2°, c.c., rende illegittima e quindi vietata l'innovazione deliberata dagli altri condomini, è riscontrabile anche nel caso in cui l' innovazione produca una sensibile menomazione dell'utilità che il condomino precedentemente ricavava dal bene. Dunque, le innovazioni dirette a eliminare barriere architettoniche, come quelle che dispongano l'installazione di un ascensore, non derogano all'art. 1120, 2° comma, c.c., ma solo alla maggioranza che diversamente è prescritta dall'art. 1136, 5° comma, c.c., richiamato dal 1° comma dell'art. 1120 c.c.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La condizione di inservibilità del bene comune all'uso o al godimento anche di un solo condomino, che, ai sensi dell'art. 1120, comma 2°, c.c., rende illegittima e quindi vietata l'innovazione deliberata dagli altri condomini, è riscontrabile anche nel caso in cui l' innovazione produca una sensibile menomazione dell'utilità che il condomino precedentemente ricavava dal bene. Dunque, le innovazioni dirette a eliminare barriere architettoniche, come quelle che dispongano l'installazione di un ascensore, non derogano all'art. 1120, 2° comma, c.c., ma solo alla maggioranza che diversamente è prescritta dall'art. 1136, 5° comma, c.c., richiamato dal 1° comma dell'art. 1120 c.c.
CONDOMINIO
Cass. civ., Sez. II, 22 novembre 2016, n. 23756 - pubblicato il 28 novembre 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
L'attestazione rilasciata dal tecnico che ha curato la realizzazione dell'impianto autonomo dell'unità immobiliare, dopo il distacco dall'impianto centralizzato condominiale, resa ai sensi dell'art. 26 della legge n. 10 del 1991, concerne unicamente la conformità dell'impianto alle specifiche tecniche imposte dalla legge anzidetta ed il suo perfetto funzionamento, ma non può in alcun modo avere valenza probatoria in ordine al diverso profilo concernente la legittimità della pretesa del condomino distaccatosi ad essere esonerato dalla contribuzione alle spese di gestione dell'impianto centralizzato. Nel caso concreto consegue a quanto innanzi che il principio di diritto che si assume violato, in base al quale sussisterebbe il diritto all'esonero dalla spese di gestione per il condomino che si è munito di impianto autonomo, ove vi sia attestazione rilasciata da tecnico specializzato ai sensi della richiamata legge, è meramente apparente, in quanto fondato sulla fallace convinzione che l'attestazione in parola risulterebbe idonea anche a documentare l'inesistenza dello squilibrio termino, essendo, invece, destinata unicamente ad attestare la conformità dell'impianto autonomo alla vigente disciplina in materia di risparmio energetico, senza interessare, in alcun modo, il diverso profilo delle sorti dell'impianto centralizzato.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
L'attestazione rilasciata dal tecnico che ha curato la realizzazione dell'impianto autonomo dell'unità immobiliare, dopo il distacco dall'impianto centralizzato condominiale, resa ai sensi dell'art. 26 della legge n. 10 del 1991, concerne unicamente la conformità dell'impianto alle specifiche tecniche imposte dalla legge anzidetta ed il suo perfetto funzionamento, ma non può in alcun modo avere valenza probatoria in ordine al diverso profilo concernente la legittimità della pretesa del condomino distaccatosi ad essere esonerato dalla contribuzione alle spese di gestione dell'impianto centralizzato. Nel caso concreto consegue a quanto innanzi che il principio di diritto che si assume violato, in base al quale sussisterebbe il diritto all'esonero dalla spese di gestione per il condomino che si è munito di impianto autonomo, ove vi sia attestazione rilasciata da tecnico specializzato ai sensi della richiamata legge, è meramente apparente, in quanto fondato sulla fallace convinzione che l'attestazione in parola risulterebbe idonea anche a documentare l'inesistenza dello squilibrio termino, essendo, invece, destinata unicamente ad attestare la conformità dell'impianto autonomo alla vigente disciplina in materia di risparmio energetico, senza interessare, in alcun modo, il diverso profilo delle sorti dell'impianto centralizzato.
STAMPA
Cass. civ., Sezioni Unite, 18 novembre 2016, n. 23469 - pubblicato il 24 novembre 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La tutela costituzionale assicurata dall'art. 21, comma 3, Cost. alla stampa si applica al giornale od al periodico pubblicato, in via esclusiva o meno, con mezzo telematico, quando possieda i medesimi tratti caratterizzanti del giornale o periodico tradizionale su supporto cartaceo e quindi sia caratterizzato da una testata, diffuso od aggiornato con regolarità, organizzato in una struttura con direttore responsabile, una redazione ed un editore registrato presso il registro degli operatori della comunicazione, finalizzata all'attività professionale di informazione diretta al pubblico, ovvero di raccolta, commento e divulgazione di notizie di attualità e di informazioni da parte di soggetti professionalmente qualificati. Di talché, nel caso in cui sia dedotto il contento diffamatorio di notizie ivi pubblicate, il giornale pubblicato, in via esclusiva o meno, con mezzo telematico non può essere oggetto, in tutto od in parte, di provvedimento cautelare preventivo od inibitorio, di contenuto equivalente al sequestro o che ne impedisca o limiti la diffusione, ferma restando la tutela eventualmente concorrente prevista in tema di protezione dei dati personali.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La tutela costituzionale assicurata dall'art. 21, comma 3, Cost. alla stampa si applica al giornale od al periodico pubblicato, in via esclusiva o meno, con mezzo telematico, quando possieda i medesimi tratti caratterizzanti del giornale o periodico tradizionale su supporto cartaceo e quindi sia caratterizzato da una testata, diffuso od aggiornato con regolarità, organizzato in una struttura con direttore responsabile, una redazione ed un editore registrato presso il registro degli operatori della comunicazione, finalizzata all'attività professionale di informazione diretta al pubblico, ovvero di raccolta, commento e divulgazione di notizie di attualità e di informazioni da parte di soggetti professionalmente qualificati. Di talché, nel caso in cui sia dedotto il contento diffamatorio di notizie ivi pubblicate, il giornale pubblicato, in via esclusiva o meno, con mezzo telematico non può essere oggetto, in tutto od in parte, di provvedimento cautelare preventivo od inibitorio, di contenuto equivalente al sequestro o che ne impedisca o limiti la diffusione, ferma restando la tutela eventualmente concorrente prevista in tema di protezione dei dati personali.
CONDOMINIO
Cass. civ., Sez. II, 15 novembre 2016, n. 23256 - pubblicato il 21 novembre 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Qualora le leggi antisismiche prescrivano particolari cautele tecniche da adottarsi a causa delle caratteristiche del territorio, nella sopraelevazione degli edifici, esse sono da ritenersi integrative dell'art. 1127, comma 2, c.c. La loro violazione implica una presunzione di pericolosità della sopraelevazione, che può essere vinta solo mediante la prova, gravante sull'autore della nuova fabbrica, che non solo la sopraelevazione, ma anche la struttura sottostante sia idonea a fronteggiare il rischio sismico, senza che abbia rilievo dirimente, ai fini della valutazione della legittimità delle opere sotto il profilo del pregiudizio statico, il conseguimento delle concessione edilizia inerente ai corpi di fabbrica elevati sul terrazzo dell'edificio.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Qualora le leggi antisismiche prescrivano particolari cautele tecniche da adottarsi a causa delle caratteristiche del territorio, nella sopraelevazione degli edifici, esse sono da ritenersi integrative dell'art. 1127, comma 2, c.c. La loro violazione implica una presunzione di pericolosità della sopraelevazione, che può essere vinta solo mediante la prova, gravante sull'autore della nuova fabbrica, che non solo la sopraelevazione, ma anche la struttura sottostante sia idonea a fronteggiare il rischio sismico, senza che abbia rilievo dirimente, ai fini della valutazione della legittimità delle opere sotto il profilo del pregiudizio statico, il conseguimento delle concessione edilizia inerente ai corpi di fabbrica elevati sul terrazzo dell'edificio.
MISURE CAUTELARI PERSONALI
Cass. pen., Sez. II, 22 settembre 2016, n. 43693 - pubblicato il 14 novembre 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In materia di libertà personale sono ricorribili in Cassazione non solo i provvedimenti sulla libertà personale adottati dal giudice ma anche quelli emessi dal P.M. Infatti, anche se gli artt. 13 e 111 Cost. e l'art. 568 c.p.p. si riferiscono ai provvedimenti dell'A.G., il P.M. va considerato incluso nel concetto di Autorità Giudiziaria in una prospettiva garantistica che richiede una espansione della tutela in senso sostanziale in tale specifica materia. La giurisprudenza ammette la ricorribilità in Cassazione anche avverso i provvedimenti emessi da organi certamente non giurisdizionali, come il provvedimento con cui il Questore preveda la possibilità di imporre, al condannato per taluni reati, una serie di obblighi e divieti. Detti atti sono ricorribili per violazione di legge, riferendosi a misure limitative della libertà personale.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In materia di libertà personale sono ricorribili in Cassazione non solo i provvedimenti sulla libertà personale adottati dal giudice ma anche quelli emessi dal P.M. Infatti, anche se gli artt. 13 e 111 Cost. e l'art. 568 c.p.p. si riferiscono ai provvedimenti dell'A.G., il P.M. va considerato incluso nel concetto di Autorità Giudiziaria in una prospettiva garantistica che richiede una espansione della tutela in senso sostanziale in tale specifica materia. La giurisprudenza ammette la ricorribilità in Cassazione anche avverso i provvedimenti emessi da organi certamente non giurisdizionali, come il provvedimento con cui il Questore preveda la possibilità di imporre, al condannato per taluni reati, una serie di obblighi e divieti. Detti atti sono ricorribili per violazione di legge, riferendosi a misure limitative della libertà personale.
ADOZIONE
Cass. civ., Sez. I, 09 novembre 2016, n. 22838 - pubblicato il 14 novembre 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Il diritto dell'adottato, nato da donna che abbia dichiarato alla nascita di non volere essere nominata ex art. 30, comma 1, D.P.R. n. 396 del 2000, ad accedere alle informazioni concernenti la propria origine e l'identità della madre biologica, sussiste e può essere concretamente esercitato anche se la stessa sia morta e non sia possibile procedere alla verifica della perdurante attualità della scelta di conservare il segreto, non rilevando, nella fattispecie, il mancato decorso del termine di cento anni dalla formazione del certificato di assistenza al parto, o della cartella clinica, di cui all'art. 93, commi 2 e 3, D.Lgs. n. 196 del 2003, salvo il trattamento lecito e non lesivo dei diritti di terzi dei dati personali conosciuti.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Il diritto dell'adottato, nato da donna che abbia dichiarato alla nascita di non volere essere nominata ex art. 30, comma 1, D.P.R. n. 396 del 2000, ad accedere alle informazioni concernenti la propria origine e l'identità della madre biologica, sussiste e può essere concretamente esercitato anche se la stessa sia morta e non sia possibile procedere alla verifica della perdurante attualità della scelta di conservare il segreto, non rilevando, nella fattispecie, il mancato decorso del termine di cento anni dalla formazione del certificato di assistenza al parto, o della cartella clinica, di cui all'art. 93, commi 2 e 3, D.Lgs. n. 196 del 2003, salvo il trattamento lecito e non lesivo dei diritti di terzi dei dati personali conosciuti.
DEPENALIZZAZIONE
Cass. Pen., Sezioni Unite, 7 novembre 2016, n. 46688 - pubblicato il 10 novembre 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In caso di sentenza di condanna relativa a un reato successivamente abrogato e qualificato come illecito civile, sottoposto a sanzione pecuniaria civile, ai sensi del D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, il giudice della impugnazione, nel dichiarare che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, deve revocare anche i capi della sentenza che concernono gli interessi civili. l giudice della esecuzione, viceversa, revoca, con la stessa formula, la sentenza di condanna o il decreto irrevocabili, lasciando ferme le disposizioni e i capi che concernono gli interessi civili".
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In caso di sentenza di condanna relativa a un reato successivamente abrogato e qualificato come illecito civile, sottoposto a sanzione pecuniaria civile, ai sensi del D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, il giudice della impugnazione, nel dichiarare che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, deve revocare anche i capi della sentenza che concernono gli interessi civili. l giudice della esecuzione, viceversa, revoca, con la stessa formula, la sentenza di condanna o il decreto irrevocabili, lasciando ferme le disposizioni e i capi che concernono gli interessi civili".
CONDOMINIO
Cass. civ., Sez. VI, 3 novembre 2016, n. 22285 - pubblicato l'8 novembre 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di condominio, il singolo condomino ha la facoltà di distaccarsi dall'impianto centralizzato di riscaldamento o di raffreddamento a condizione che dimostri che dal distacco non derivino notevoli squilibri di funzionamento dell'impianto o aggravi di spesa per gli altri condomini. Pertanto, la preventiva informazione da parte del condomino che intende distaccarsi dovrà necessariamente essere corredata dalla documentazione tecnica attraverso la quale egli possa dare prova dell'assenza di notevoli squilibri nel funzionamento dell'impianto e dell'assenza di aggravi di spesa a carico degli altri condomini. Soltanto nel caso in cui l'assemblea condominiale abbia autorizzato il distacco sulla base di una propria autonoma valutazione della sussistenza delle suddette condizioni, il condomino che intende distaccarsi è sollevato dal relativo onere della prova.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di condominio, il singolo condomino ha la facoltà di distaccarsi dall'impianto centralizzato di riscaldamento o di raffreddamento a condizione che dimostri che dal distacco non derivino notevoli squilibri di funzionamento dell'impianto o aggravi di spesa per gli altri condomini. Pertanto, la preventiva informazione da parte del condomino che intende distaccarsi dovrà necessariamente essere corredata dalla documentazione tecnica attraverso la quale egli possa dare prova dell'assenza di notevoli squilibri nel funzionamento dell'impianto e dell'assenza di aggravi di spesa a carico degli altri condomini. Soltanto nel caso in cui l'assemblea condominiale abbia autorizzato il distacco sulla base di una propria autonoma valutazione della sussistenza delle suddette condizioni, il condomino che intende distaccarsi è sollevato dal relativo onere della prova.
CLANDESTINITà DELLO SPOSSESSAMENTO
Cass. civ., Sez. II, 31 ottobre 2016, n. 22016 - pubblicato l'8 novembre 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La clandestinità dello spossessamento importa che colui che agisce in possessoria, sul quale incombe l'onere di provare la tempestività della proposizione dell'azione, deve dimostrare solo la clandestinità dell'atto violatore del possesso e la data della scoperta di esso da parte sua, essendo implicito, in tale ipotesi, che il termine in questione può iniziare a decorrere solo dal momento in cui è cessata la clandestinità e lo spossessato è a conoscenza dell'illecito. Resta, pertanto, a carico del resistente la dimostrazione del fatto estintivo, ovvero della intempestività dell'azione per decorso del termine, rispetto all'epoca di conoscenza o conoscibilità dello spoglio (onere nella specie non assolto).
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La clandestinità dello spossessamento importa che colui che agisce in possessoria, sul quale incombe l'onere di provare la tempestività della proposizione dell'azione, deve dimostrare solo la clandestinità dell'atto violatore del possesso e la data della scoperta di esso da parte sua, essendo implicito, in tale ipotesi, che il termine in questione può iniziare a decorrere solo dal momento in cui è cessata la clandestinità e lo spossessato è a conoscenza dell'illecito. Resta, pertanto, a carico del resistente la dimostrazione del fatto estintivo, ovvero della intempestività dell'azione per decorso del termine, rispetto all'epoca di conoscenza o conoscibilità dello spoglio (onere nella specie non assolto).
incarico professionale
Cass. civ., Sez. II, 25 ottobre 2016, n. 21537 - pubblicato il 28 ottobre 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
L'attività svolta da un ingegnere componente di commissione comunale per l'esame delle offerte in una gara d'appalto per la realizzazione di lavori stradali (come nella specie), non implica necessariamente il conferimento di un incarico professionale, giacché, in assenza degli elementi tipici del rapporto di pubblico impiego, può essere riconducibile alla figura del funzionario onorario. In tal caso l'espletamento della prestazione richiesta non comporta l'esistenza di un diritto al compenso, restando riservata la fissazione del trattamento economico, in assenza di espressa previsione di legge, alla discrezionalità dell'Amministrazione. Né, a tal fine, può essere invocato il disposto di cui all'art. 36 della Costituzione, in quanto concernente unicamente il rapporto di lavoro subordinato. (Nel caso concreto, rilevato che il provvedimento di affidamento dell'incarico al professionista non prevedeva la determinazione di un compenso, il medesimo non può vantare alcun diritto in tal senso; si impone, di conseguenza, la revoca del provvedimento monitorio a tale titolo ottenuto.)
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
L'attività svolta da un ingegnere componente di commissione comunale per l'esame delle offerte in una gara d'appalto per la realizzazione di lavori stradali (come nella specie), non implica necessariamente il conferimento di un incarico professionale, giacché, in assenza degli elementi tipici del rapporto di pubblico impiego, può essere riconducibile alla figura del funzionario onorario. In tal caso l'espletamento della prestazione richiesta non comporta l'esistenza di un diritto al compenso, restando riservata la fissazione del trattamento economico, in assenza di espressa previsione di legge, alla discrezionalità dell'Amministrazione. Né, a tal fine, può essere invocato il disposto di cui all'art. 36 della Costituzione, in quanto concernente unicamente il rapporto di lavoro subordinato. (Nel caso concreto, rilevato che il provvedimento di affidamento dell'incarico al professionista non prevedeva la determinazione di un compenso, il medesimo non può vantare alcun diritto in tal senso; si impone, di conseguenza, la revoca del provvedimento monitorio a tale titolo ottenuto.)
COMPETENZA E GIURISDIZIONE CIVILE
Cass. civ., Sez. Unite, 20 ottobre 2016, n. 21260 - pubblicato il 28 ottobre 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
E' ammissibile e deve intendersi proposto per motivi inerenti alla giurisdizione, in base agli artt. 111, ultimo comma della Cost. e 1° comma dell'art. 362 c.p.c., il ricorso per cassazione contro la decisione del Consiglio di Stato con cui è stato ritenuto precluso l'esame della questione di giurisdizione in quanto sollevata dalla parte che ha agito in primo grado mediante la scelta del giudice di pace del quale, poi, nel contesto dell'appello, disconosce e contesta la giurisdizione. Alle Sezioni Unite spetta infatti non solo il giudizio vertente sull'interpretazione della norma attributiva della giurisdizione ma anche il sindacato sull'applicazione delle disposizioni che regolano la deducibilità ed il rilievo del difetto di giurisdizione.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
E' ammissibile e deve intendersi proposto per motivi inerenti alla giurisdizione, in base agli artt. 111, ultimo comma della Cost. e 1° comma dell'art. 362 c.p.c., il ricorso per cassazione contro la decisione del Consiglio di Stato con cui è stato ritenuto precluso l'esame della questione di giurisdizione in quanto sollevata dalla parte che ha agito in primo grado mediante la scelta del giudice di pace del quale, poi, nel contesto dell'appello, disconosce e contesta la giurisdizione. Alle Sezioni Unite spetta infatti non solo il giudizio vertente sull'interpretazione della norma attributiva della giurisdizione ma anche il sindacato sull'applicazione delle disposizioni che regolano la deducibilità ed il rilievo del difetto di giurisdizione.
ASSOCIAZIONI NON RICONOSCIUTE
Cass. civ., Sez. III, 19 ottobre 2016, n. 21066 - pubblicato il 22 ottobre 2016
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia Foro Nocera Inferiore
Le associazioni non riconosciute sono enti che, al parti delle società di persona non sono dotate di personalità giuridica ma di limitata soggettività. Ne consegue che delle obbligazioni sociali rispondono solidalmente ed illimitatamente alcuni egli associati, in particolare coloro che hanno agito in concreto, e per le quali si afferma che la responsabilità personale e solidale con quella dell'associazione, senza il beneficio dell'escussione, di colui o di coloro che hanno agito in nome e per conto dell'associazione non riconosciuta, si configura come una forma di fideiussione ex lege, disposta a tutela dei terzi che possono ignorare la consistenza economica del fondo comune e fare affidamento sulla solvibilità di chi ha negoziato con loro. L'art. 38 c.c. sancisce infatti la responsabilità personale e solidale delle persona che hanno agito in nome e per conto dell'associazione e trova applicazione unicamente rispetto ai terzi estranei all'associazione medesima e non può giovare agli associati creditori dell'associazione, i quali, per il fatto stesso di esserne membri, non possono non essere a conoscenza della consistenza patrimoniale dell'ente. Detto principio trova applicazione anche per le società di persona che con le associazioni non riconosciute condividono la struttura associativa non personificata, il riconoscimento di una limitata soggettività giuridica, l'esistenza di un fondo comune che può essere aggredito dai terzi titolari di crediti nei confronti dell'ente ed al tempo stesso la illimitata responsabilità degli associati nei confronti dei terzi, per le relative obbligazioni.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia Foro Nocera Inferiore
Le associazioni non riconosciute sono enti che, al parti delle società di persona non sono dotate di personalità giuridica ma di limitata soggettività. Ne consegue che delle obbligazioni sociali rispondono solidalmente ed illimitatamente alcuni egli associati, in particolare coloro che hanno agito in concreto, e per le quali si afferma che la responsabilità personale e solidale con quella dell'associazione, senza il beneficio dell'escussione, di colui o di coloro che hanno agito in nome e per conto dell'associazione non riconosciuta, si configura come una forma di fideiussione ex lege, disposta a tutela dei terzi che possono ignorare la consistenza economica del fondo comune e fare affidamento sulla solvibilità di chi ha negoziato con loro. L'art. 38 c.c. sancisce infatti la responsabilità personale e solidale delle persona che hanno agito in nome e per conto dell'associazione e trova applicazione unicamente rispetto ai terzi estranei all'associazione medesima e non può giovare agli associati creditori dell'associazione, i quali, per il fatto stesso di esserne membri, non possono non essere a conoscenza della consistenza patrimoniale dell'ente. Detto principio trova applicazione anche per le società di persona che con le associazioni non riconosciute condividono la struttura associativa non personificata, il riconoscimento di una limitata soggettività giuridica, l'esistenza di un fondo comune che può essere aggredito dai terzi titolari di crediti nei confronti dell'ente ed al tempo stesso la illimitata responsabilità degli associati nei confronti dei terzi, per le relative obbligazioni.
INFORTUNI SUL LAVORO
Cass. civ., Sez. lavoro, 14 ottobre 2016, n. 20807 - pubblicato il 20 ottobre 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di infortuni sul lavoro, la questione relativa ai criteri con i quali liquidare il c.d. danno differenziale ovvero il danno di cui il datore di lavoro è chiamato a rispondere nei confronti del lavoratore nei casi di copertura assicurativa dell'Inail, è disciplinata dall'art. 10 del D.P.R. n. 1124 del 1965, norma relativa agli infortuni sul lavoro ed applicabili anche alle ipotesi di malattia professionale in ragione del generale rinvio contenuto nell'art. 131 del medesimo T.U. Dunque, per stabilire secondo quali criteri vada liquidata la parte del danno che eccede le indennità liquidate dall'Inail, trova applicazione il principio secondo cui per il calcolo del "danno biologico differenziale", dall'ammontare complessivo del danno biologico deve detrarsi non già il valore capitale dell'intera rendita costituita dell'Inail ma solo il valore capitale della quota di essa, destinata a ristorare il danno biologico.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di infortuni sul lavoro, la questione relativa ai criteri con i quali liquidare il c.d. danno differenziale ovvero il danno di cui il datore di lavoro è chiamato a rispondere nei confronti del lavoratore nei casi di copertura assicurativa dell'Inail, è disciplinata dall'art. 10 del D.P.R. n. 1124 del 1965, norma relativa agli infortuni sul lavoro ed applicabili anche alle ipotesi di malattia professionale in ragione del generale rinvio contenuto nell'art. 131 del medesimo T.U. Dunque, per stabilire secondo quali criteri vada liquidata la parte del danno che eccede le indennità liquidate dall'Inail, trova applicazione il principio secondo cui per il calcolo del "danno biologico differenziale", dall'ammontare complessivo del danno biologico deve detrarsi non già il valore capitale dell'intera rendita costituita dell'Inail ma solo il valore capitale della quota di essa, destinata a ristorare il danno biologico.
RESPONSABILITà DEL NOTAIO
Cass. civ., Sez. II, 11 ottobre 2016, n. 20465 - pubblicato il 17 ottobre 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Sussiste la responsabilità disciplinare del notaio, in base all'art. 28, comma 1, n. 1, della legge notarile (legge n. 89 del 1913), per avere redatto un atto espressamente proibito dalla legge, in ipotesi di omissione della dichiarazione, richiesta dall'art. 29, comma 1-bis, della legge n. 52 del 1985, di conformità allo stato di fatto dei dati catastali relativi all'identificazione ed alla capacità reddituale del bene, senza che rilevi la sola dichiarazione di conformità della planimetria dell'immobile, a sua volta recante i dati catastali identificativi, trattandosi, agli effetti del citato art. 28, di nullità inequivoca ed indiscutibile, in quanto testuale.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Sussiste la responsabilità disciplinare del notaio, in base all'art. 28, comma 1, n. 1, della legge notarile (legge n. 89 del 1913), per avere redatto un atto espressamente proibito dalla legge, in ipotesi di omissione della dichiarazione, richiesta dall'art. 29, comma 1-bis, della legge n. 52 del 1985, di conformità allo stato di fatto dei dati catastali relativi all'identificazione ed alla capacità reddituale del bene, senza che rilevi la sola dichiarazione di conformità della planimetria dell'immobile, a sua volta recante i dati catastali identificativi, trattandosi, agli effetti del citato art. 28, di nullità inequivoca ed indiscutibile, in quanto testuale.
AMMINISTRAZIONE IMMOBILI CONDOMINIO
Cass. civ., Sez. II, 11 ottobre 2016, n. 20453 - pubblicato il 14 ottobre 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di condominio di edifici, le azioni reali da esperirsi nei confronti dei singoli condomini o contro terzi e dirette ad ottenere statuizioni relative alla titolarità, al contenuto o alla tutela dei diritti reali dei condomini su cose o parti dell'edificio, possono essere esperite dall'amministratore previa autorizzazione dell'assemblea, sempre che si tratti di azioni volte alla difesa della proprietà comune e non alla sua estensione.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di condominio di edifici, le azioni reali da esperirsi nei confronti dei singoli condomini o contro terzi e dirette ad ottenere statuizioni relative alla titolarità, al contenuto o alla tutela dei diritti reali dei condomini su cose o parti dell'edificio, possono essere esperite dall'amministratore previa autorizzazione dell'assemblea, sempre che si tratti di azioni volte alla difesa della proprietà comune e non alla sua estensione.
ASSICURAZIONE
Cass. civ., Sez. III, 6 ottobre 2016, n. 20011 - pubblicato l'11 ottobre 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di assicurazioni, la previsione dell'art. 1898 c.c. non considera qualsiasi mutamento delle circostanze, ma solo quei mutamenti che aggravano il rischio in modo tale che, se il nuovo stato di cose fosse esistito e fosse stato conosciuto dall'assicuratore al momento della conclusione del contratto, l'assicuratore non avrebbe consentito l'assicurazione o l'avrebbe consentita per un premio più elevato. Pertanto, l'esclusione dell'indennizzo, prevista dall'art. 1898, comma 5, c.c., non può operare in difetto del positivo accertamento, da compiere in concreto e in relazione alle specifiche circostanze del caso, circa il fatto che, conosciuto il nuovo stato delle cose, l'assicuratore non avrebbe concluso il contratto.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di assicurazioni, la previsione dell'art. 1898 c.c. non considera qualsiasi mutamento delle circostanze, ma solo quei mutamenti che aggravano il rischio in modo tale che, se il nuovo stato di cose fosse esistito e fosse stato conosciuto dall'assicuratore al momento della conclusione del contratto, l'assicuratore non avrebbe consentito l'assicurazione o l'avrebbe consentita per un premio più elevato. Pertanto, l'esclusione dell'indennizzo, prevista dall'art. 1898, comma 5, c.c., non può operare in difetto del positivo accertamento, da compiere in concreto e in relazione alle specifiche circostanze del caso, circa il fatto che, conosciuto il nuovo stato delle cose, l'assicuratore non avrebbe concluso il contratto.
OMESSA O CONTRADDITTORIETà DELLA MOTIVAZIONE
Cass. civ., Sez. III, 6 ottobre 2016, n. 20014 - pubblicato l'11 ottobre 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Ai fini della configurabilità del vizio di omessa o contraddittorietà della motivazione della sentenza rileva l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi dell'art. 360, n. 4, c.p.c. Il sindacato del giudice di legittimità sulla motivazione deve, infatti, essere ridotto al "minimo costituzionale" per cui è denunciabile in cassazione solo l'anomalia costituzionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Ai fini della configurabilità del vizio di omessa o contraddittorietà della motivazione della sentenza rileva l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi dell'art. 360, n. 4, c.p.c. Il sindacato del giudice di legittimità sulla motivazione deve, infatti, essere ridotto al "minimo costituzionale" per cui è denunciabile in cassazione solo l'anomalia costituzionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
SCUOLA
Cass. civ., Sez. lavoro, 4 ottobre 2016, n. 19778 - pubblicato il 7 ottobre 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In merito alla questione se un insegnante di ruolo della scuola materna che operi il passaggio alla scuola secondaria, abbia diritto al riconoscimento integrale dell'anzianità maturata nel ruolo della scuola materna, si è ritenuto che la disciplina dei "passaggi di ruolo" è contenuta nel D.P.R. n. 417 del 1974 che all'art. 77 prevede che possono essere disposti passaggi del personale docente da un ruolo ad un altro di suole di grado superiore secondo quanto previsto dalla tabella H, in favore del personale docente in possesso di una anzianità di servizio effettivo, nel ruolo di appartenenza non inferiore a cinque anni. L'art. 83 completa la previsione del passaggio da un ruolo inferiore ad uno superiore, prevedendo che il servizio prestato nel ruolo inferiore dovesse valutarsi per intero nel nuovo ruolo, mediante ricostruzione di carriera. Tale previsione tuttavia, ha subito delle modifiche nel 1980 a seguito delle quali si è affermato che la previsione dell'art. 83 trova applicazione anche per le tipologie di passaggio a ruoli superiori non previste nel testo originario della norma e quindi, tra queste, anche per il passaggio a ruoli superiori degli insegnanti di scuola materna.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In merito alla questione se un insegnante di ruolo della scuola materna che operi il passaggio alla scuola secondaria, abbia diritto al riconoscimento integrale dell'anzianità maturata nel ruolo della scuola materna, si è ritenuto che la disciplina dei "passaggi di ruolo" è contenuta nel D.P.R. n. 417 del 1974 che all'art. 77 prevede che possono essere disposti passaggi del personale docente da un ruolo ad un altro di suole di grado superiore secondo quanto previsto dalla tabella H, in favore del personale docente in possesso di una anzianità di servizio effettivo, nel ruolo di appartenenza non inferiore a cinque anni. L'art. 83 completa la previsione del passaggio da un ruolo inferiore ad uno superiore, prevedendo che il servizio prestato nel ruolo inferiore dovesse valutarsi per intero nel nuovo ruolo, mediante ricostruzione di carriera. Tale previsione tuttavia, ha subito delle modifiche nel 1980 a seguito delle quali si è affermato che la previsione dell'art. 83 trova applicazione anche per le tipologie di passaggio a ruoli superiori non previste nel testo originario della norma e quindi, tra queste, anche per il passaggio a ruoli superiori degli insegnanti di scuola materna.
DIFETTO DI MOTIVAZIONE
Cass. civ., Sez. lavoro, 28 settembre 2016, n. 19179 - pubblicato il 4 ottobre 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La riformulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., disposta dall'art. 54 del D.L. n. 83 del 2012, convertito in legge n. 134 del 2012, deve essere interpretata, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Ne deriva che in cassazione è denunciabile solo l'anomalia motivazionale tramutatasi in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, a condizione che il vizio risulti dal testo della sentenza censurata, indipendentemente dal confronto con le risultanze processuali. Siffatta anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione. Ne deriva che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito, non essendo riconducibile né nel paradigma del n. 5 né in quello del n. 4 (per il tramite della deduzione della violazione del n. 4 dell'art. 132 c.p.c.) dell'art. 360 c.p.c., non trova di per sé alcun diretto referente normativo nel catalogo dei vizi denunciabili con il ricorso per cassazione.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La riformulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., disposta dall'art. 54 del D.L. n. 83 del 2012, convertito in legge n. 134 del 2012, deve essere interpretata, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Ne deriva che in cassazione è denunciabile solo l'anomalia motivazionale tramutatasi in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, a condizione che il vizio risulti dal testo della sentenza censurata, indipendentemente dal confronto con le risultanze processuali. Siffatta anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione. Ne deriva che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito, non essendo riconducibile né nel paradigma del n. 5 né in quello del n. 4 (per il tramite della deduzione della violazione del n. 4 dell'art. 132 c.p.c.) dell'art. 360 c.p.c., non trova di per sé alcun diretto referente normativo nel catalogo dei vizi denunciabili con il ricorso per cassazione.
CONTRATTO DI TRASPORTO
Cass. civ., Sez. III, 27 settembre 2016, n. 18982 - pubblicato il 3 ottobre 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Lo spedizioniere, ove assuma una unitaria obbligazione di esecuzione, in piena autonomia, del trasporto della merce con mezzi propri o altrui, verso un corrispettivo, acquista anche la veste di vettore ex art. 1741 c.c. L'accertamento dell'avvenuta assunzione delle obbligazioni del vettore da parte dello spedizioniere si risolve in una indagine circa il contenuto dell'intento negoziale, affidata esclusivamente al giudice di merito ed incensurabile se sorretta da adeguata motivazione.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Lo spedizioniere, ove assuma una unitaria obbligazione di esecuzione, in piena autonomia, del trasporto della merce con mezzi propri o altrui, verso un corrispettivo, acquista anche la veste di vettore ex art. 1741 c.c. L'accertamento dell'avvenuta assunzione delle obbligazioni del vettore da parte dello spedizioniere si risolve in una indagine circa il contenuto dell'intento negoziale, affidata esclusivamente al giudice di merito ed incensurabile se sorretta da adeguata motivazione.
BARRIERE ARCHITETTONICHE
Cass. civ., Sez. III, 26 settembre 2016, n. 18762 - pubblicato il 28 settembre 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In materia di eliminazione di barriere architettoniche, qualora si verta in una situazione di fatto in cui le norme della legge n. 104 del 1992, art. 24, e della legge n. 13 del 1989, oltre che delle L.R. Toscana n. 1 del 2005, art. 37 lett. g) e n. 47 del 1991 (applicabili ratione temporis) prevedano come obbligatoria l’accessibilità in favore delle persone con disabilità, questa dovrà essere comunque assicurata, anche in mancanza di norme regolamentari di dettaglio che dettino le caratteristiche tecniche che luoghi, spazi, parti, attrezzature o componenti di un edificio o di parti di questo debbano avere per consentire l'accesso. Costituisce, pertanto, barriera architettonica, che va eliminata, l'ostacolo alla comoda e autonoma utilizzazione, da parte di persone con ridotta o impedita capacità motoria, di un dispositivo "bancomat" installato da un istituto di credito nell'edificio privato, ma aperto al pubblico, in cui ha sede una propria agenzia, senza che rilevi che il regolamento di cui al d.m. n. 236 del 1989, di esecuzione delle leggi statali e regionali predette, non contenga norme di dettaglio che prevedano specificamente la predisposizione da parte della banca dell'apparecchio in modo tale da permettere al disabile di espletare il servizio corrispondente.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In materia di eliminazione di barriere architettoniche, qualora si verta in una situazione di fatto in cui le norme della legge n. 104 del 1992, art. 24, e della legge n. 13 del 1989, oltre che delle L.R. Toscana n. 1 del 2005, art. 37 lett. g) e n. 47 del 1991 (applicabili ratione temporis) prevedano come obbligatoria l’accessibilità in favore delle persone con disabilità, questa dovrà essere comunque assicurata, anche in mancanza di norme regolamentari di dettaglio che dettino le caratteristiche tecniche che luoghi, spazi, parti, attrezzature o componenti di un edificio o di parti di questo debbano avere per consentire l'accesso. Costituisce, pertanto, barriera architettonica, che va eliminata, l'ostacolo alla comoda e autonoma utilizzazione, da parte di persone con ridotta o impedita capacità motoria, di un dispositivo "bancomat" installato da un istituto di credito nell'edificio privato, ma aperto al pubblico, in cui ha sede una propria agenzia, senza che rilevi che il regolamento di cui al d.m. n. 236 del 1989, di esecuzione delle leggi statali e regionali predette, non contenga norme di dettaglio che prevedano specificamente la predisposizione da parte della banca dell'apparecchio in modo tale da permettere al disabile di espletare il servizio corrispondente.
CONCORDATO PREVENTIVO
Cass. civ., Sez. I, 23 settembre 2016, n. 18704 - pubblicato il 28 settembre 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La revoca dell'ammissione al concordato preventivo non implica alcun automatismo nella successiva dichiarazione di fallimento. Al contrario, il subprocedimento di revoca del concordato preventivo si articola in due fasi, ovvero la prima, necessaria ed officiosa, nel corso della quale il tribunale verifica la sussistenza dei requisiti per l'adozione del provvedimento; la seconda, eventuale e ad impulso di parte, che porta alla dichiarazione di fallimento, a fronte della sussistenza dei presupposti di cui agli artt. 1 e 5 della legge fallimentare (R.D. n. 267 del 1942).
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
La revoca dell'ammissione al concordato preventivo non implica alcun automatismo nella successiva dichiarazione di fallimento. Al contrario, il subprocedimento di revoca del concordato preventivo si articola in due fasi, ovvero la prima, necessaria ed officiosa, nel corso della quale il tribunale verifica la sussistenza dei requisiti per l'adozione del provvedimento; la seconda, eventuale e ad impulso di parte, che porta alla dichiarazione di fallimento, a fronte della sussistenza dei presupposti di cui agli artt. 1 e 5 della legge fallimentare (R.D. n. 267 del 1942).
lavoro
Cass. civ., Sez. Lavoro, 21 settembre 2016, n. 18507 - pubblicato il 26 settembre 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente assente per malattia può giustificare il recesso del datore di lavoro in relazione alla violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, oltre che nell'ipotesi in cui tale attività esterna sia per sé sufficiente a far presumere l'inesistenza della malattia, dimostrando, quindi una fraudolenta simulazione anche nel caso in cui la medesima attività, valutata con giudizio "ex ante" in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio con conseguente irrilevanza della tempestiva ripresa del lavoro alla scadenza del periodo di malattia.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente assente per malattia può giustificare il recesso del datore di lavoro in relazione alla violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, oltre che nell'ipotesi in cui tale attività esterna sia per sé sufficiente a far presumere l'inesistenza della malattia, dimostrando, quindi una fraudolenta simulazione anche nel caso in cui la medesima attività, valutata con giudizio "ex ante" in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio con conseguente irrilevanza della tempestiva ripresa del lavoro alla scadenza del periodo di malattia.
DONAZIONE
Cass. civ., Sez. II, 19 settembre 2016, n. 18280 - pubblicato il 22 settembre 2016
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
In tema di donazioni, la liberalità d'uso prevista dall'art. 770, comma 2, c.c., non costituente donazione in senso stretto e, pertanto, non soggetta alla forma propria di questa, sussiste quando la elargizione si uniformi, anche sotto il profilo della proporzionalità, alle condizioni economiche dell'autore dell'atto, agli usi e costumi propri di una determinata occasione, da vagliarsi anche alla stregua dei rapporti esistenti tra le parti e della loro posizione sociale.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
In tema di donazioni, la liberalità d'uso prevista dall'art. 770, comma 2, c.c., non costituente donazione in senso stretto e, pertanto, non soggetta alla forma propria di questa, sussiste quando la elargizione si uniformi, anche sotto il profilo della proporzionalità, alle condizioni economiche dell'autore dell'atto, agli usi e costumi propri di una determinata occasione, da vagliarsi anche alla stregua dei rapporti esistenti tra le parti e della loro posizione sociale.
ASSOCIAZIONE MAFIOSA
Cons. Stato, Sez. III, 15 settembre 2016, n. 3889 - pubblicato il 20 settembre 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Ai fini dell'adozione del provvedimento interdittivo antimafia il rischio di inquinamento mafioso deve essere valutato in base al criterio del più probabile che non, alla luce di una regola di giudizio, cioè, che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall'osservazione dei fenomeni sociali, qual è, anzitutto, anche quello mafioso.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Ai fini dell'adozione del provvedimento interdittivo antimafia il rischio di inquinamento mafioso deve essere valutato in base al criterio del più probabile che non, alla luce di una regola di giudizio, cioè, che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall'osservazione dei fenomeni sociali, qual è, anzitutto, anche quello mafioso.
OBBLIGAZIONI PECUNIARIE
Cass. civ., Sez. Unite, 13 settembre 2016, n. 17989 - pubblicato il 16 settembre 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Le obbligazioni pecuniarie da adempiersi al domicilio del creditore, secondo il disposto dell'art. 1182, comma 3, c.c. sono - agli effetti sia della mora ex re ai sensi dell'art. 1219, comma 2, n. 3, c.c., sia della determinazione del forum destinatae solutionis ai sensi dell'art. 20, ultima parte, c.p.c. - esclusivamente quelle liquide, delle quali, cioè, il titolo determini l'ammontare, oppure indichi i criteri per determinarlo senza lasciare alcun margine di scelta discrezionale, e i presupposti della liquidità sono accertati dal giudice, ai fini della competenza, allo stato degli atti secondo quanto dispone l'art. 38, ultimo comma, c.p.c.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Le obbligazioni pecuniarie da adempiersi al domicilio del creditore, secondo il disposto dell'art. 1182, comma 3, c.c. sono - agli effetti sia della mora ex re ai sensi dell'art. 1219, comma 2, n. 3, c.c., sia della determinazione del forum destinatae solutionis ai sensi dell'art. 20, ultima parte, c.p.c. - esclusivamente quelle liquide, delle quali, cioè, il titolo determini l'ammontare, oppure indichi i criteri per determinarlo senza lasciare alcun margine di scelta discrezionale, e i presupposti della liquidità sono accertati dal giudice, ai fini della competenza, allo stato degli atti secondo quanto dispone l'art. 38, ultimo comma, c.p.c.
DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO
Cass. civ., Sez. VI, 9 settembre 2016, n. 17884 - pubblicato il 14 settembre 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
L'imprenditore è quella persona fisica la cui casella pec ha come indirizzo proprio il suo nome e cognome. Ne deriva che la deliberata sua disattivazione, nel termine annuale in cui perdura, ex lege (art. 10 della legge fallimentare - R.D. n. 267 del 1942), la sua responsabilità per la sistemazione concorsuale delle posizioni debitorie, mediante la necessaria dichiarazione di fallimento, è produttiva di una di quelle ipotesi di irreperibilità dell'imprenditore, imputabili alla sua stessa negligenza ed a condotta non conforme agli obblighi di correttezza di un operatore economico. Ne deriva che la procedura di notificazione prefallimentare, tentata attraverso la comunicazione a mezzo PEC e poi presso la casa comunale è immune da censure ed eseguita alla luce di una disposizione di legge, quale l'art. 15, comma 3, della citata legge fallimentare, pienamente compatibile con i parametri costituzionali.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
L'imprenditore è quella persona fisica la cui casella pec ha come indirizzo proprio il suo nome e cognome. Ne deriva che la deliberata sua disattivazione, nel termine annuale in cui perdura, ex lege (art. 10 della legge fallimentare - R.D. n. 267 del 1942), la sua responsabilità per la sistemazione concorsuale delle posizioni debitorie, mediante la necessaria dichiarazione di fallimento, è produttiva di una di quelle ipotesi di irreperibilità dell'imprenditore, imputabili alla sua stessa negligenza ed a condotta non conforme agli obblighi di correttezza di un operatore economico. Ne deriva che la procedura di notificazione prefallimentare, tentata attraverso la comunicazione a mezzo PEC e poi presso la casa comunale è immune da censure ed eseguita alla luce di una disposizione di legge, quale l'art. 15, comma 3, della citata legge fallimentare, pienamente compatibile con i parametri costituzionali.
RESPONSABILITà DATORIALE
Cass. civ., Sez. I, 7 settembre 2016, n. 17681 - pubblicato il 12 settembre 2016
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
La responsabilità del datore di lavoro per il fatto del dipendente è disciplinata, in sede contrattuale, dall'art. 1228 c.c. e in sede extracontrattuale dall'art. 2049 c.c. A parte la diversa natura della responsabilità, entrambe le norme prevedono che colui il quale si avvalga dell'opera altrui, ne risponde purché sussista il c.d. nesso di occasionalità necessaria che si atteggia quale nesso causale tra l'esercizio delle incombenze dell'ausiliario ed il danno. La disciplina si fonda sul fatto che l'agire del dipendente è uno degli strumenti dei quali l'intermediario si avvale nell'organizzazione della propria impresa, traendone benefici ai quali è ragionevole far corrispondere i rischi e sull'esigenza di offrire una adeguata garanzia all'investitore. Si tratta dunque di una responsabilità che è espressione di un criterio di allocazione dei rischi, per il quale, i danni cagionati dal dipendente sono posti a carico dell'impresa, come componente di costi di questa.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
La responsabilità del datore di lavoro per il fatto del dipendente è disciplinata, in sede contrattuale, dall'art. 1228 c.c. e in sede extracontrattuale dall'art. 2049 c.c. A parte la diversa natura della responsabilità, entrambe le norme prevedono che colui il quale si avvalga dell'opera altrui, ne risponde purché sussista il c.d. nesso di occasionalità necessaria che si atteggia quale nesso causale tra l'esercizio delle incombenze dell'ausiliario ed il danno. La disciplina si fonda sul fatto che l'agire del dipendente è uno degli strumenti dei quali l'intermediario si avvale nell'organizzazione della propria impresa, traendone benefici ai quali è ragionevole far corrispondere i rischi e sull'esigenza di offrire una adeguata garanzia all'investitore. Si tratta dunque di una responsabilità che è espressione di un criterio di allocazione dei rischi, per il quale, i danni cagionati dal dipendente sono posti a carico dell'impresa, come componente di costi di questa.
CONTROLLO EX ART. 360, N. 5, C.P.C.
Cass. civ., Sez. lavoro, 23 agosto 2016, n. 17251 - pubblicato il 30 agosto 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
Il controllo previsto dalla nuova formulazione dell'art. 360, n. 5, c.p.c., concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione ed abbia carattere decisivo perché, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia. L'omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l'omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, seppure questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
Il controllo previsto dalla nuova formulazione dell'art. 360, n. 5, c.p.c., concerne l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione ed abbia carattere decisivo perché, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia. L'omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l'omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, seppure questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.
LICENZIAMENTI COLLETTIVI
Cass. civ., Sez. lavoro, 22/ agosto 2016, n. 17234 - pubblicato il 30 agosto 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
In tema di licenziamenti collettivi, escluso qualsivoglia sindacato del giudice in ordine alle cause comportanti la riduzione del personale, va rispettato il dettato normativo circa i provvedimenti datoriali di licenziamento collettivi, messa in mobilità e cassa integrazione, situazioni poste dal legislatore sullo stesso piano, introducendosi un significativo elemento innovativo consistente nel passaggio dal controllo giurisdizionale, esercitato ex post nel precedente assetto ordinamentale, ad un controllo dell'iniziativa imprenditoriale concernente il ridimensionamento dell'impresa, devoluto ex ante, alle organizzazioni sindacali destinatarie di incisivi poteri di informazione e consultazione secondo una metodica già collaudata in materia di trasferimenti di azienda. Pertanto, i residui spazi di controllo devoluti al giudice di pace in sede contenziosa non riguardano più gli specifici motivi della riduzione del personale, ma la correttezza procedurale delle diverse operazioni.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
In tema di licenziamenti collettivi, escluso qualsivoglia sindacato del giudice in ordine alle cause comportanti la riduzione del personale, va rispettato il dettato normativo circa i provvedimenti datoriali di licenziamento collettivi, messa in mobilità e cassa integrazione, situazioni poste dal legislatore sullo stesso piano, introducendosi un significativo elemento innovativo consistente nel passaggio dal controllo giurisdizionale, esercitato ex post nel precedente assetto ordinamentale, ad un controllo dell'iniziativa imprenditoriale concernente il ridimensionamento dell'impresa, devoluto ex ante, alle organizzazioni sindacali destinatarie di incisivi poteri di informazione e consultazione secondo una metodica già collaudata in materia di trasferimenti di azienda. Pertanto, i residui spazi di controllo devoluti al giudice di pace in sede contenziosa non riguardano più gli specifici motivi della riduzione del personale, ma la correttezza procedurale delle diverse operazioni.
LOCAZIONE
Cass. civ., Sez. III, 4 agosto 2016, n. 16279 - pubblicato il 29 agosto 2016
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
In tema di locazioni, il disposto di cui all'art. 2, comma 5 della L. 9 dicembre 1998, n. 431, deve interpretarsi nel senso che la locazione si intende prorogata di un biennio alla scadenza del triennio di durata previsto dalla legge, sempre che il locatore non abbia, in relazione ad essa, dato la prevista disdetta motivata, soltanto qualora il conduttore abbia anteriormente manifestato l'intenzione di rimanere nell'immobile e, quindi, se egli abbia proposto la conclusione di un rinnovo ed essa sia stata rifiutata dal locatore oppure se una simile proposta l'abbia fatta il locatore al conduttore, sempre anteriormente, e questi l'abbia rifiutata. In mancanza di una trattativa per il rinnovo, poi non perfezionatasi, la locazione si deve intendere automaticamente cessata alla scadenza del triennio, senza necessità di disdetta da parte dello stesso conduttore, trovando applicazione la disciplina di cui all'art. 1596 c.c.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
In tema di locazioni, il disposto di cui all'art. 2, comma 5 della L. 9 dicembre 1998, n. 431, deve interpretarsi nel senso che la locazione si intende prorogata di un biennio alla scadenza del triennio di durata previsto dalla legge, sempre che il locatore non abbia, in relazione ad essa, dato la prevista disdetta motivata, soltanto qualora il conduttore abbia anteriormente manifestato l'intenzione di rimanere nell'immobile e, quindi, se egli abbia proposto la conclusione di un rinnovo ed essa sia stata rifiutata dal locatore oppure se una simile proposta l'abbia fatta il locatore al conduttore, sempre anteriormente, e questi l'abbia rifiutata. In mancanza di una trattativa per il rinnovo, poi non perfezionatasi, la locazione si deve intendere automaticamente cessata alla scadenza del triennio, senza necessità di disdetta da parte dello stesso conduttore, trovando applicazione la disciplina di cui all'art. 1596 c.c.
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REVISIONE
Cass. civ., Sez. Unite, 25 luglio 2016, n. 15288 - pubblicato il 28 luglio 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
In base all'art. 25, comma 2, del D.Lgs. n. 109 del 2006, gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono, a pena di inammissibilità della domanda, essere tali da dimostrare che, se accertati, debba essere escluso l'addebito o debba essere applicata una sanzione diversa. All'uopo, si precisa che, stante l'art. 3 bis del citato D.Lgs. n. 109, non è configurabile alcun illecito disciplinare allorché il fatto sia di scarsa rilevanza. La previsione del predetto art. 3 bis è applicabile a tutte le ipotesi di illecito disciplinare quando il fatto risulta realizzato ma, per particolari circostanze anche non riferibili all'incolpato, non è in concreto idoneo a ledere il bene giuridico tutelato, in base ad una valutazione che costituisce compito esclusivo della sezione disciplinare del C.S.M., soggetta a sindacato di legittimità solo se viziata da un errore di impostazione giuridica oppure motivata in modo insufficiente od illogico.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
In base all'art. 25, comma 2, del D.Lgs. n. 109 del 2006, gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono, a pena di inammissibilità della domanda, essere tali da dimostrare che, se accertati, debba essere escluso l'addebito o debba essere applicata una sanzione diversa. All'uopo, si precisa che, stante l'art. 3 bis del citato D.Lgs. n. 109, non è configurabile alcun illecito disciplinare allorché il fatto sia di scarsa rilevanza. La previsione del predetto art. 3 bis è applicabile a tutte le ipotesi di illecito disciplinare quando il fatto risulta realizzato ma, per particolari circostanze anche non riferibili all'incolpato, non è in concreto idoneo a ledere il bene giuridico tutelato, in base ad una valutazione che costituisce compito esclusivo della sezione disciplinare del C.S.M., soggetta a sindacato di legittimità solo se viziata da un errore di impostazione giuridica oppure motivata in modo insufficiente od illogico.
REMISSIONE DELLA QUERELA
Cass. pen., Sez. Unite, 21 luglio 2016, n. 31668 - pubblicato il 26 luglio 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Integra remissione tacita di querela la mancata comparizione alla udienza dibattimentale del querelante previamente ed espressamente avvertito dal giudice che l'eventuale sua assenza sarà interpretata come fatto incompatibile con la volontà di persistere nella querela.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
Integra remissione tacita di querela la mancata comparizione alla udienza dibattimentale del querelante previamente ed espressamente avvertito dal giudice che l'eventuale sua assenza sarà interpretata come fatto incompatibile con la volontà di persistere nella querela.
CIRCOLAZIONE STRADALE
Cass. civ., Sez. III, 19 luglio 2016, n. 14699 - pubblicato il 22 luglio 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di sinistri stradali la cooperazione del trasportato allo scaturire dell'evento dannoso derivante dalla condotta colposa del conducente l'autovettura comporta esclusivamente una proporzionale riduzione dell'entità del risarcimento. La cooperazione colposa con la causazione del sinistro non può essere identificata preventivamente, con l'atto del salire su un'auto condotta da una persona che il trasportato sa non essere in grado di fornire una guida adeguata, occorrendo, invece, un'attività del trasportato, una volta che il trasporto sia cominciato e, quindi, divenuto un atto reale ed attuale, idonea ad esplicare diretta incidenza causale sul concreto susseguente evento dannoso. Inoltre, l'accettazione che la guida del veicolo sia effettuata da un soggetto a ciò non idoneo non può intendersi come valida rinuncia ad ogni risarcimento dei danni che potranno essere da tale guida generati, trattandosi di lesioni di diritti indisponibili.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di sinistri stradali la cooperazione del trasportato allo scaturire dell'evento dannoso derivante dalla condotta colposa del conducente l'autovettura comporta esclusivamente una proporzionale riduzione dell'entità del risarcimento. La cooperazione colposa con la causazione del sinistro non può essere identificata preventivamente, con l'atto del salire su un'auto condotta da una persona che il trasportato sa non essere in grado di fornire una guida adeguata, occorrendo, invece, un'attività del trasportato, una volta che il trasporto sia cominciato e, quindi, divenuto un atto reale ed attuale, idonea ad esplicare diretta incidenza causale sul concreto susseguente evento dannoso. Inoltre, l'accettazione che la guida del veicolo sia effettuata da un soggetto a ciò non idoneo non può intendersi come valida rinuncia ad ogni risarcimento dei danni che potranno essere da tale guida generati, trattandosi di lesioni di diritti indisponibili.
AFFIDAMENTO DEI FIGLI MINORI
Cass. civ., Sez. VI - 1 Ordinanza, 19 luglio 2016, n. 14728 - pubblicato il 22 luglio 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
In tema di affidamento dei figli minori il criterio primario cui deve attenersi il giudice della separazione o del divorzio è costituito dall'esclusivo interesse morale o materiale della prole il quale, imponendo di privilegiare la soluzione che appaia più idonea a ridurre al massimo i danni derivanti dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore, richiede un giudizio prognostico in ordine alla capacità del padre e della madre di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione di genitore singolo, da esprimersi sulla base di elementi concreti attinenti alle modalità con cui ciascuno di essi ha svolto in passato il proprio ruolo e, in particolare, alla sua capacità di relazione affettiva, di attenzione, comprensione, educazione, disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché mediante l'apprezzamento della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell'ambiente che è in grado di offrire al minore.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
In tema di affidamento dei figli minori il criterio primario cui deve attenersi il giudice della separazione o del divorzio è costituito dall'esclusivo interesse morale o materiale della prole il quale, imponendo di privilegiare la soluzione che appaia più idonea a ridurre al massimo i danni derivanti dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore, richiede un giudizio prognostico in ordine alla capacità del padre e della madre di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione di genitore singolo, da esprimersi sulla base di elementi concreti attinenti alle modalità con cui ciascuno di essi ha svolto in passato il proprio ruolo e, in particolare, alla sua capacità di relazione affettiva, di attenzione, comprensione, educazione, disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché mediante l'apprezzamento della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell'ambiente che è in grado di offrire al minore.
NOTIFICAZIONI
Cass. civ., Sez. Unite, 15 luglio 2016, n. 14594 - pubblicato il 20 luglio 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di notificazioni delle impugnazioni, la parte che ha richiesto la notifica, nell'ipotesi in cui essa non sia andata a buon fine per ragioni a lei non imputabili, appreso dell'esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria, deve attivarsi con immediatezza per riprendere il processo notificatorio e deve svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento. Tali requisiti di immediatezza e tempestività non possono ritenersi sussistenti qualora sia stato superato il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall'art. 325 c.p.c., salvo circostanze eccezionali di cui sia data rigorosa prova.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di notificazioni delle impugnazioni, la parte che ha richiesto la notifica, nell'ipotesi in cui essa non sia andata a buon fine per ragioni a lei non imputabili, appreso dell'esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria, deve attivarsi con immediatezza per riprendere il processo notificatorio e deve svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento. Tali requisiti di immediatezza e tempestività non possono ritenersi sussistenti qualora sia stato superato il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall'art. 325 c.p.c., salvo circostanze eccezionali di cui sia data rigorosa prova.
APPROPRIAZIONE INDEBITA
Cass. pen., Sez. II, 4 luglio 2016, n. 27363 - pubblicato il 18 luglio 2016
a cura dello Studio Legale Gaetano Riccio - Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Il delitto di appropriazione indebita è reato istantaneo che si consuma con la prima condotta appropriativa e, cioè nel momento in cui l'agente compia un atto di dominio sulla cosa con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria; così la Corte ha ritenuto perfezionato il delitto di appropriazione indebita della documentazione relativa al condominio da parte di colui che ne era stato amministratore, non nel momento della revoca dello stesso e della nomina del successore, bensì nel momento in cui l'agente, volontariamente negando la restituzione della contabilità detenuta, si era comportato "uti dominus" rispetto alla "res".
Analogamente deve pertanto ritenersi che l'utilizzo delle somme versate nel conto corrente da parte dell'amministratore durante il mandato non profila l'interversione nel possesso che si manifesta e consuma soltanto quando terminato il mandato le giacenze di cassa non vengano trasferite al nuovo amministratore con le dovute conseguenze in tema di decorrenza dei termini di prescrizione. E difatti avendo l'amministratore la detenzione nomine alieno delle somme di pertinenza del condominio sulle quali opera attraverso operazioni in conto corrente, solo al momento della cessazione della carica si può profilare il momento consumativo dell'appropriazione indebita poichè in questo momento rispetto alle somme distratte si profila l'interversione nel possesso.
a cura dello Studio Legale Gaetano Riccio - Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Il delitto di appropriazione indebita è reato istantaneo che si consuma con la prima condotta appropriativa e, cioè nel momento in cui l'agente compia un atto di dominio sulla cosa con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria; così la Corte ha ritenuto perfezionato il delitto di appropriazione indebita della documentazione relativa al condominio da parte di colui che ne era stato amministratore, non nel momento della revoca dello stesso e della nomina del successore, bensì nel momento in cui l'agente, volontariamente negando la restituzione della contabilità detenuta, si era comportato "uti dominus" rispetto alla "res".
Analogamente deve pertanto ritenersi che l'utilizzo delle somme versate nel conto corrente da parte dell'amministratore durante il mandato non profila l'interversione nel possesso che si manifesta e consuma soltanto quando terminato il mandato le giacenze di cassa non vengano trasferite al nuovo amministratore con le dovute conseguenze in tema di decorrenza dei termini di prescrizione. E difatti avendo l'amministratore la detenzione nomine alieno delle somme di pertinenza del condominio sulle quali opera attraverso operazioni in conto corrente, solo al momento della cessazione della carica si può profilare il momento consumativo dell'appropriazione indebita poichè in questo momento rispetto alle somme distratte si profila l'interversione nel possesso.
VENDITA FALLIMENTARE
Cass. civ., Sez. VI - 1 Ordinanza, 12 luglio 2016, n. 14165 - pubblicato il 15 luglio 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
L'esclusione della garanzia per i vizi della cosa nella vendita forzata, come prescritta dall'art. 2922 c.c., si riferisce alle fattispecie prefigurate dagli da artt. 1490 a 1497 c.c. e non riguarda, dunque, l'ipotesi di consegna aliud pro alio. Tale ultima ipotesi, in particolare, è configurabile sia quando la cosa appartiene ad un genere del tutto diverso da quello indicato nell'ordinanza di vendita, o manca delle particolari qualità necessarie per assolvere alla sua natura funzione economico-sociale, sia quando risulta del tutto compromessa la destinazione della cosa all'uso che, preso in considerazione nell'ordinanza di vendita, abbia costituito elemento determinante per l'offerta di acquisto.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
L'esclusione della garanzia per i vizi della cosa nella vendita forzata, come prescritta dall'art. 2922 c.c., si riferisce alle fattispecie prefigurate dagli da artt. 1490 a 1497 c.c. e non riguarda, dunque, l'ipotesi di consegna aliud pro alio. Tale ultima ipotesi, in particolare, è configurabile sia quando la cosa appartiene ad un genere del tutto diverso da quello indicato nell'ordinanza di vendita, o manca delle particolari qualità necessarie per assolvere alla sua natura funzione economico-sociale, sia quando risulta del tutto compromessa la destinazione della cosa all'uso che, preso in considerazione nell'ordinanza di vendita, abbia costituito elemento determinante per l'offerta di acquisto.
EFFICACIA NEL TEMPO E NELLO SPAZIO
Cass. civ., Sez. lavoro, 4 luglio 2016, n. 13598 - pubblicato il 7 luglio 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
Il valore del legittimo affidamento riposto nella sicurezza giuridica trova copertura costituzionale nell'art. 3 Cost., ma tale copertura non è posta in termini assoluti ed inderogabili. La posizione giuridica che dà luogo ad un ragionevole affidamento nella permanenza nel tempo di un determinato assetto regolatorio, ben può essere incisa in senso peggiorativo, a fronte di un determinato interesse pubblico che imponga interventi normativi diretti ad incidere anche su posizioni consolidate, a patto che venga rispettato il limite della proporzionalità dell'incisione rispetto agli obiettivi di interesse pubblico perseguito. Bilanciamento individuato con riferimento all'art. 252 disp. att. c.c., secondo cui quando per l'esercizio di un diritto il codice stabilisce un termine più breve di quello stabilito dalle leggi anteriori, il nuovo termine si applica anche all'esercizio dei diritti sorti anteriormente ed alle prescrizioni in corso, ma con decorrenza dalla data di entrata in vigore della nuova legge.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
Il valore del legittimo affidamento riposto nella sicurezza giuridica trova copertura costituzionale nell'art. 3 Cost., ma tale copertura non è posta in termini assoluti ed inderogabili. La posizione giuridica che dà luogo ad un ragionevole affidamento nella permanenza nel tempo di un determinato assetto regolatorio, ben può essere incisa in senso peggiorativo, a fronte di un determinato interesse pubblico che imponga interventi normativi diretti ad incidere anche su posizioni consolidate, a patto che venga rispettato il limite della proporzionalità dell'incisione rispetto agli obiettivi di interesse pubblico perseguito. Bilanciamento individuato con riferimento all'art. 252 disp. att. c.c., secondo cui quando per l'esercizio di un diritto il codice stabilisce un termine più breve di quello stabilito dalle leggi anteriori, il nuovo termine si applica anche all'esercizio dei diritti sorti anteriormente ed alle prescrizioni in corso, ma con decorrenza dalla data di entrata in vigore della nuova legge.
LICENZIAMENTO
Cass. civ., Sez. lavoro, 1° luglio 2016, n. 13512 - pubblicato il 6 luglio 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Al fine di stabilire in concreto l'esistenza di una giusta causa di licenziamento, è necessario effettuare una valutazione di gravità dei fatti addebitati al lavoratore e di proporzionalità tra i fatti contestati e la sanzione inflitta (insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata), tenuto conto degli specifici elementi oggettivi e soggettivi che definiscono il caso concreto e, quindi, sulla base di un'ampia ricognizione della fattispecie, in cui vengono in rilievo indici diversi, quali le circostanze di tempo e di luogo della condotta, il suo carattere doloso o colposo, il tipo di mansioni affidate al lavoratore, gli eventuali precedenti disciplinari, le probabilità di reiterazione dell'illecito. Ne deriva che, al fine di ritenere integrata una giusta causa di licenziamento, non occorre che l'elemento soggettivo della condotta sia intenzionale o doloso, nelle sue possibili e diverse articolazioni, giacché anche un comportamento colposo, per le sue caratteristiche e nel convergere degli altri indici della fattispecie, può risultare idoneo a determinare una lesione del vincolo fiduciario così grave ed irrimediabile da non consentire l'ulteriore prosecuzione del rapporto.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Al fine di stabilire in concreto l'esistenza di una giusta causa di licenziamento, è necessario effettuare una valutazione di gravità dei fatti addebitati al lavoratore e di proporzionalità tra i fatti contestati e la sanzione inflitta (insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata), tenuto conto degli specifici elementi oggettivi e soggettivi che definiscono il caso concreto e, quindi, sulla base di un'ampia ricognizione della fattispecie, in cui vengono in rilievo indici diversi, quali le circostanze di tempo e di luogo della condotta, il suo carattere doloso o colposo, il tipo di mansioni affidate al lavoratore, gli eventuali precedenti disciplinari, le probabilità di reiterazione dell'illecito. Ne deriva che, al fine di ritenere integrata una giusta causa di licenziamento, non occorre che l'elemento soggettivo della condotta sia intenzionale o doloso, nelle sue possibili e diverse articolazioni, giacché anche un comportamento colposo, per le sue caratteristiche e nel convergere degli altri indici della fattispecie, può risultare idoneo a determinare una lesione del vincolo fiduciario così grave ed irrimediabile da non consentire l'ulteriore prosecuzione del rapporto.
INTERCETTAZIONI AMBIENTALI
Cass. pen., Sezioni Unite, 1° luglio 2016, n. 26889 - pubblicato il 5 luglio 2016
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Limitatamente ai procedimenti per delitti di criminalità organizzata, è consentita l'intercettazione di conversazioni o comunicazioni tra presenti mediante l'installazione di un 'captatore informatico' in dispositivi elettronici portatili (ad es., personal computer, tablet, smartphone, ecc.) - anche nei luoghi di privata dimora ex art. 614 c.p., pure non singolarmente individuati e anche se ivi non si stia svolgendo l'attività criminosa.
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Limitatamente ai procedimenti per delitti di criminalità organizzata, è consentita l'intercettazione di conversazioni o comunicazioni tra presenti mediante l'installazione di un 'captatore informatico' in dispositivi elettronici portatili (ad es., personal computer, tablet, smartphone, ecc.) - anche nei luoghi di privata dimora ex art. 614 c.p., pure non singolarmente individuati e anche se ivi non si stia svolgendo l'attività criminosa.
PIGNORAMENTO
Cass. civ., Sez. III, 27 giugno 2016, n. 13216 - pubblicato il 4 luglio 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Il proprietario-locatore di un bene sottoposto a pignoramento non è legittimato ad esercitare le azioni derivanti dal contratto di locazione concluso senza l'autorizzazione del giudice dell'esecuzione, ivi compresa quella di pagamento dei canoni. La titolarità di tali azioni, invero, spetta al custode in ragione dei poteri di gestione e amministrazione a lui attribuiti e della relazione qualificata con il bene pignorato derivante dall'investitura del giudice. Le azioni scaturenti dall'anzidetto contratto devono, peraltro, essere esercitate dal custode anche in caso di locazione non autorizzata.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Il proprietario-locatore di un bene sottoposto a pignoramento non è legittimato ad esercitare le azioni derivanti dal contratto di locazione concluso senza l'autorizzazione del giudice dell'esecuzione, ivi compresa quella di pagamento dei canoni. La titolarità di tali azioni, invero, spetta al custode in ragione dei poteri di gestione e amministrazione a lui attribuiti e della relazione qualificata con il bene pignorato derivante dall'investitura del giudice. Le azioni scaturenti dall'anzidetto contratto devono, peraltro, essere esercitate dal custode anche in caso di locazione non autorizzata.
RESPONSABILITA' DISCIPLINARE DEL NOTAIO
Cass. civ., Sez. II, 24 giugno 2016, n. 13185 - pubblicato il 30 giugno 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
Compromette la propria dignità e reputazione ed il decoro o il prestigio della classe notarile, il notaio che chieda al cliente di frazionare il pagamento del compenso professionale con il rilascio di più assegni, uno dei quali intestato a terzi, ed emetta fattura, inizialmente, solo per l'importo recato dall'assegno intestato a se stesso, provvedendo solo successivamente e su sollecitazione del cliente, alla relativa regolarizzazione. La descritta condotta è, invero, oggettivamente idonea a far supporre la volontà di mettere in atto un aggiramento della normativa fiscale, seppure poi non realizzata a seguito delle rimostranze del cliente, ed è tale da integrare la responsabilità disciplinare del professionista ai sensi dell'art. 147, comma 1, lett. a), della legge n. 89 del 1913.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
Compromette la propria dignità e reputazione ed il decoro o il prestigio della classe notarile, il notaio che chieda al cliente di frazionare il pagamento del compenso professionale con il rilascio di più assegni, uno dei quali intestato a terzi, ed emetta fattura, inizialmente, solo per l'importo recato dall'assegno intestato a se stesso, provvedendo solo successivamente e su sollecitazione del cliente, alla relativa regolarizzazione. La descritta condotta è, invero, oggettivamente idonea a far supporre la volontà di mettere in atto un aggiramento della normativa fiscale, seppure poi non realizzata a seguito delle rimostranze del cliente, ed è tale da integrare la responsabilità disciplinare del professionista ai sensi dell'art. 147, comma 1, lett. a), della legge n. 89 del 1913.
CIRCOLAZIONE STRADALE
Cass. civ., Sez. VI, 24 giugno 2016, n. 13174 - pubblicato il 30 giugno 2016
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In tema di violazioni del CdS, il verbale di contestazione deve specificare, a pena di nullità, gli elementi indispensabili a garantire la completezza della contestazione e ad assicurare l'esercizio del diritto di difesa. I vizi formali dell'atto rilevano solo in quanto ostativi all'espletamento della tutela difensiva e cioè impediscano illegittimamente al cittadino, di opporre alla P.A. procedente le ragioni giustificative del comportamento contestatogli, la propria estraneità al fato o l'insussistenza dello stesso.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In tema di violazioni del CdS, il verbale di contestazione deve specificare, a pena di nullità, gli elementi indispensabili a garantire la completezza della contestazione e ad assicurare l'esercizio del diritto di difesa. I vizi formali dell'atto rilevano solo in quanto ostativi all'espletamento della tutela difensiva e cioè impediscano illegittimamente al cittadino, di opporre alla P.A. procedente le ragioni giustificative del comportamento contestatogli, la propria estraneità al fato o l'insussistenza dello stesso.
CONTRATTI BANCARI
Cass. civ., Sez. I, 22 giugno 2016, n. 12965 - pubblicato il 27 giugno 2016
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
In tema di contratti bancari, la clausola contenuta nei contratti di apertura di credito in conto corrente, che preveda l'applicazione di un determinato tasso sugli interessi dovuti dal cliente e con fluttuazione tendenzialmente aperta, da correggere con sua automatica riduzione in caso di superamento del c.d. tasso soglia usurario, ma solo mediante l'astratta affermazione del diritto alla restituzione del supero in capo al correntista, è nulla ex art. 1344 c.c., perché tesa ad eludere il divieto di pattuire interessi usurari, previsto per il contratto di mutuo dall'art. 1815, comma 2 c.c.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
In tema di contratti bancari, la clausola contenuta nei contratti di apertura di credito in conto corrente, che preveda l'applicazione di un determinato tasso sugli interessi dovuti dal cliente e con fluttuazione tendenzialmente aperta, da correggere con sua automatica riduzione in caso di superamento del c.d. tasso soglia usurario, ma solo mediante l'astratta affermazione del diritto alla restituzione del supero in capo al correntista, è nulla ex art. 1344 c.c., perché tesa ad eludere il divieto di pattuire interessi usurari, previsto per il contratto di mutuo dall'art. 1815, comma 2 c.c.
COSE IN CUSTODIA
Cass. civ., Sez. III, 21 giugno 2016, n. 12744 - pubblicato il 24 giugno 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
In tema di responsabilità per i danni derivanti da cose in custodia, l'art. 2051 c.c. non dispensa il danneggiato dall'onere di provare il nesso causale tra cosa in custodia e danno, ossia di dimostrare che l'evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa. In particolare, la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia è oggettivamente configurabile qualora la cosa custodita sia di per sé idonea a sprigionare un'energia o una dinamica interna alla sua struttura, tale da provocare il danno; qualora, invece, si tratti di una cosa di per sé statica ed inerte e richieda che l'agire umano, e in particolare quello del danneggiato, si unisca al modo di essere della cosa, per la prova del nesso causale occorre dimostrare che lo stato dei luoghi presenti peculiarità tali da renderne potenzialmente dannosa la normale utilizzazione.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
In tema di responsabilità per i danni derivanti da cose in custodia, l'art. 2051 c.c. non dispensa il danneggiato dall'onere di provare il nesso causale tra cosa in custodia e danno, ossia di dimostrare che l'evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa. In particolare, la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia è oggettivamente configurabile qualora la cosa custodita sia di per sé idonea a sprigionare un'energia o una dinamica interna alla sua struttura, tale da provocare il danno; qualora, invece, si tratti di una cosa di per sé statica ed inerte e richieda che l'agire umano, e in particolare quello del danneggiato, si unisca al modo di essere della cosa, per la prova del nesso causale occorre dimostrare che lo stato dei luoghi presenti peculiarità tali da renderne potenzialmente dannosa la normale utilizzazione.
VIOLAZIONE DEGLI OBBLIGHI DI ASSISTENZA FAMILIARE
Cass. pen., Sez. VI, 13 maggio 2016, n. 23010 - pubblicato il 22 maggio 2016
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
In materia di violazione degli obblighi di assistenza familiare, la presunzione di esistenza dello stato di bisogno dei figli minori e la non influenza di versamenti e corresponsione di denaro da parte di familiari, non costituiscono circostanze da sole sufficienti ai fini dell'affermazione della penale responsabilità dell'agente che, per qualche mese, abbia autonomamente ridotto gli importi delle somme dovute al coniuge separato per il mantenimento dei figli, provvedendo, comunque, al versamento di importi di non trascurabile rilevanza economica, con saldo finale di quanto effettivamente dovuto. In ipotesi siffatte è imprescindibile l'accertamento, in concreto, dello stato di bisogno dei destinatari dei versamenti, tenuto distinto dall'obbligo di mantenimento ed individuato in quanto è necessario per la sopravvivenza, sia pure con la valutazione di altre complementari esigenze.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
In materia di violazione degli obblighi di assistenza familiare, la presunzione di esistenza dello stato di bisogno dei figli minori e la non influenza di versamenti e corresponsione di denaro da parte di familiari, non costituiscono circostanze da sole sufficienti ai fini dell'affermazione della penale responsabilità dell'agente che, per qualche mese, abbia autonomamente ridotto gli importi delle somme dovute al coniuge separato per il mantenimento dei figli, provvedendo, comunque, al versamento di importi di non trascurabile rilevanza economica, con saldo finale di quanto effettivamente dovuto. In ipotesi siffatte è imprescindibile l'accertamento, in concreto, dello stato di bisogno dei destinatari dei versamenti, tenuto distinto dall'obbligo di mantenimento ed individuato in quanto è necessario per la sopravvivenza, sia pure con la valutazione di altre complementari esigenze.
CONCORSI PUBBLICI
Cass. civ., Sez. lavoro, 16 giugno 2016, n. 12441 - pubblicato il 21 giugno 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
Qualora la Pubblica Amministrazione possa adempiere immediatamente l'obbligo del necessario rispetto della quota di cui all'art. 3 della legge n. 68 del 1999, mediante l'assunzione del disabile positivamente valutato all'esito delle operazioni concorsuali, ma non in possesso del requisito della disoccupazione, deve escludersi che sia rimessa all'insindacabile discrezionalità dell'Amministrazione il ricorso a forme diverse di reclutamento che, oltre a non garantire l'individuazione imparziale dei più meritevoli, differiscono immotivatamente l'adempimento degli obblighi imposti al datore di lavoro pubblico in relazione all'assunzione dei disabili. In definitiva, il legislatore, consapevole della necessità di conciliare la tutela della disabilità con il principio dell'accesso al pubblico impiego mediante concorso, ha voluto restringere al massimo le ipotesi in cui la regola della selezione pubblica potrebbe costituire ostacolo alla necessaria copertura delle quote ed ha, quindi, voluto affermare con l'art. 16 della citata legge n. 68 (nel testo applicabile alla fattispecie ratione temporis) che queste ultime possono rimanere non attribuite solo qualora non ci siano né riservisti in senso stretto, né altri disabili idonei ma non vincitori.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
Qualora la Pubblica Amministrazione possa adempiere immediatamente l'obbligo del necessario rispetto della quota di cui all'art. 3 della legge n. 68 del 1999, mediante l'assunzione del disabile positivamente valutato all'esito delle operazioni concorsuali, ma non in possesso del requisito della disoccupazione, deve escludersi che sia rimessa all'insindacabile discrezionalità dell'Amministrazione il ricorso a forme diverse di reclutamento che, oltre a non garantire l'individuazione imparziale dei più meritevoli, differiscono immotivatamente l'adempimento degli obblighi imposti al datore di lavoro pubblico in relazione all'assunzione dei disabili. In definitiva, il legislatore, consapevole della necessità di conciliare la tutela della disabilità con il principio dell'accesso al pubblico impiego mediante concorso, ha voluto restringere al massimo le ipotesi in cui la regola della selezione pubblica potrebbe costituire ostacolo alla necessaria copertura delle quote ed ha, quindi, voluto affermare con l'art. 16 della citata legge n. 68 (nel testo applicabile alla fattispecie ratione temporis) che queste ultime possono rimanere non attribuite solo qualora non ci siano né riservisti in senso stretto, né altri disabili idonei ma non vincitori.
OBBLIGAZIONE PER INTERESSI
Cass. civ., Sez. Unite, 15 giugno 2016, n. 12324 - pubblicato il 20 giugno 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
L'obbligazione per interessi discende dal ritardo nel pagamento e non dall'accertamento della violazione o dall'importo della sanzione. La mancata esplicitazione dell'obbligazione accessoria, che è solo eventuale, in quanto legata all'anomalia del mancato pagamento, non esclude che sussista l'obbligo di sostenerla, discendente dalla norma generale sulla fecondità delle obbligazioni pecuniarie e dal comportamento inadempiente. L'obbligazione relativa agli interessi può essere pretesa anche sulla base di un provvedimento successivo all'irrogazione della sanzione, pur se corrisponde ad un più fluido e trasparente esercizio del potere amministrativo esplicitare tempestivamente tale eventuale obbligazione.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
L'obbligazione per interessi discende dal ritardo nel pagamento e non dall'accertamento della violazione o dall'importo della sanzione. La mancata esplicitazione dell'obbligazione accessoria, che è solo eventuale, in quanto legata all'anomalia del mancato pagamento, non esclude che sussista l'obbligo di sostenerla, discendente dalla norma generale sulla fecondità delle obbligazioni pecuniarie e dal comportamento inadempiente. L'obbligazione relativa agli interessi può essere pretesa anche sulla base di un provvedimento successivo all'irrogazione della sanzione, pur se corrisponde ad un più fluido e trasparente esercizio del potere amministrativo esplicitare tempestivamente tale eventuale obbligazione.
FALLIMENTO S.R.L.
Cass. civ., Sez. I, 13 giugno 2016, n. 12120 - pubblicato il 16 giugno 2016
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
E' fallibile la società a responsabilità limitata che si accerti essere socia di una società di fatto insolvente, anche allorquando la partecipazione sia stata assunta in mancanza della previa deliberazione assembleare e della successiva indicazione nella nota integrativa del bilancio, richieste dall'art. 2361, comma 2, c.c. La partecipazione di una società a responsabilità limitata in una società di persone, anche di fatto, non esige, invero, il necessario rispetto della richiamata norma, dettata per le società per azioni, e costituisce atto gestorio proprio dell'organo amministrativo, il quale non richiede la previa decisione autorizzativa dei soci, almeno quando l'assunzione della partecipazione non comporti un significativo mutamento dell'oggetto sociale.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
E' fallibile la società a responsabilità limitata che si accerti essere socia di una società di fatto insolvente, anche allorquando la partecipazione sia stata assunta in mancanza della previa deliberazione assembleare e della successiva indicazione nella nota integrativa del bilancio, richieste dall'art. 2361, comma 2, c.c. La partecipazione di una società a responsabilità limitata in una società di persone, anche di fatto, non esige, invero, il necessario rispetto della richiamata norma, dettata per le società per azioni, e costituisce atto gestorio proprio dell'organo amministrativo, il quale non richiede la previa decisione autorizzativa dei soci, almeno quando l'assunzione della partecipazione non comporti un significativo mutamento dell'oggetto sociale.
CONTABILITA' IN NERO
Cass. civ., Sez. V, 10 giugno 2016, n. 11957 - pubblicato il 15 giugno 2016
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
In tema di accertamento delle imposte sui redditi, la "contabilità in nero", costituita da appunti personali ed informazioni dell'imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dall'art. 39 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dagli artt. 2709 e ss. cod. civ. tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d'impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell'imprenditore ed il risultato economico dell'attività svolta. Ne consegue che detta "contabilità in nero", per il suo valore probatorio, legittima di per sé, ed a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all'accertamento induttivo di cui al citato art. 39, incombendo al contribuente l'onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l'atto impositivo notificatogli. (Nel caso di specie, il documento extracontabile, sulla cui base l'ufficio si è determinato ad emettere l'avviso d'accertamento per violazione dell'imposta di bollo, è stato allegato agli atti di causa dal controricorrente, e dallo stesso può desumersi - anche se il documento è informale e la tenuta non obbligatoria, ma è stato reperito presso la sede della società contribuente nel corso di un accesso della GdF, come risulta pacificamente dagli atti di causa -, la data di emissione, la data d'incasso, e il numero dei diversi assegni. Alla luce di ciò, incombe sul contribuente l'onere di fornire la prova contraria, e nel caso di specie, i giudici d'appello hanno erroneamente ritenuto idonea quella costituita dalle fotocopie degli assegni incassati, posto che è noto che la banca consente di negoziare il titolo solo a partire dal giorno della sua formale emissione da parte dell'emittente).
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In tema di accertamento delle imposte sui redditi, la "contabilità in nero", costituita da appunti personali ed informazioni dell'imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dall'art. 39 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dagli artt. 2709 e ss. cod. civ. tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetari, i singoli atti d'impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell'imprenditore ed il risultato economico dell'attività svolta. Ne consegue che detta "contabilità in nero", per il suo valore probatorio, legittima di per sé, ed a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all'accertamento induttivo di cui al citato art. 39, incombendo al contribuente l'onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l'atto impositivo notificatogli. (Nel caso di specie, il documento extracontabile, sulla cui base l'ufficio si è determinato ad emettere l'avviso d'accertamento per violazione dell'imposta di bollo, è stato allegato agli atti di causa dal controricorrente, e dallo stesso può desumersi - anche se il documento è informale e la tenuta non obbligatoria, ma è stato reperito presso la sede della società contribuente nel corso di un accesso della GdF, come risulta pacificamente dagli atti di causa -, la data di emissione, la data d'incasso, e il numero dei diversi assegni. Alla luce di ciò, incombe sul contribuente l'onere di fornire la prova contraria, e nel caso di specie, i giudici d'appello hanno erroneamente ritenuto idonea quella costituita dalle fotocopie degli assegni incassati, posto che è noto che la banca consente di negoziare il titolo solo a partire dal giorno della sua formale emissione da parte dell'emittente).
SEPARAZIONE DEI CONIUGI
Cass. civ., Sez. VI - 1 Ordinanza, 8 giugno 2016, n. 11783 - pubblicato il 13 giugno 2016
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
In tema di separazione tra coniugi, l'art. 155-quater c.c. tutela l'interesse prioritario della prole a permanere nell'habitat domestico, inteso come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare. In tale ottica, il giudice può limitare l'assegnazione della casa familiare ad una porzione dell'immobile, di proprietà esclusiva del genitore non affidatario, anche nell'ipotesi di pregressa destinazione a casa familiare dell'intero fabbricato, laddove tale soluzione, esperibile in relazione al lieve grado di conflittualità coniugale, agevoli in concreto la condivisione della genitorialità e la conservazione dell'habitat domestico dei figli minori.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
In tema di separazione tra coniugi, l'art. 155-quater c.c. tutela l'interesse prioritario della prole a permanere nell'habitat domestico, inteso come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare. In tale ottica, il giudice può limitare l'assegnazione della casa familiare ad una porzione dell'immobile, di proprietà esclusiva del genitore non affidatario, anche nell'ipotesi di pregressa destinazione a casa familiare dell'intero fabbricato, laddove tale soluzione, esperibile in relazione al lieve grado di conflittualità coniugale, agevoli in concreto la condivisione della genitorialità e la conservazione dell'habitat domestico dei figli minori.
ESTINZIONE DELLA SOCIETA'
Cass. civ., Sez. VI, Ordinanza, 7 giugno 2016, n. 11683 - pubblicato il 10 giugno 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
In seguito all'estinzione di una società, conseguentemente alla cancellazione dal registro delle imprese, si verifica un fenomeno successorio in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all'ente non si estinguono ma si trasferiscono ai soci i quali ne rispondono nei limiti di quanto riscosso in seguito alla liquidazione, o illimitatamente, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui erano soggetti "pendente societate".
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
In seguito all'estinzione di una società, conseguentemente alla cancellazione dal registro delle imprese, si verifica un fenomeno successorio in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all'ente non si estinguono ma si trasferiscono ai soci i quali ne rispondono nei limiti di quanto riscosso in seguito alla liquidazione, o illimitatamente, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui erano soggetti "pendente societate".
PREVIDENZA SOCIALE
Cass. civ., Sez. lavoro, 7 giugno 2016, n. 11626 - pubblicato il 10 giugno 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
In tema di obbligazioni contributive nei confronti delle gestioni previdenziali ed assistenziali, l'omessa o infedele denuncia mensile all'INPS di rapporti di lavoro o di retribuzioni erogate, ancorché registrati nei libri di cui è obbligatoria la tenuta, concretizza l'ipotesi di "evasione contributiva", di cui all'art. 116, comma 8, lett. b) della L. 23 dicembre 2000, n. 388, e non la meno grave fattispecie dei "omissione contributiva", di cui alla lett. a) della medesima norma, che riguarda le sole ipotesi in cui il datore di lavoro, pur avendo provveduto a tutte le denunce e registrazioni obbligatorie, ometta il pagamento dei contributi. L'omessa o infedele denuncia, infatti, configura occultamento dei rapporti o delle retribuzioni o di entrambi e fa presumere l'esistenza della volontà datoriale di realizzare tale occultamento allo specifico fine di non versare i contributi o i premi dovuti. In tali casi, grava sul datore di lavoro l'onere di provare la mancanza dell'intento fraudolento.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
In tema di obbligazioni contributive nei confronti delle gestioni previdenziali ed assistenziali, l'omessa o infedele denuncia mensile all'INPS di rapporti di lavoro o di retribuzioni erogate, ancorché registrati nei libri di cui è obbligatoria la tenuta, concretizza l'ipotesi di "evasione contributiva", di cui all'art. 116, comma 8, lett. b) della L. 23 dicembre 2000, n. 388, e non la meno grave fattispecie dei "omissione contributiva", di cui alla lett. a) della medesima norma, che riguarda le sole ipotesi in cui il datore di lavoro, pur avendo provveduto a tutte le denunce e registrazioni obbligatorie, ometta il pagamento dei contributi. L'omessa o infedele denuncia, infatti, configura occultamento dei rapporti o delle retribuzioni o di entrambi e fa presumere l'esistenza della volontà datoriale di realizzare tale occultamento allo specifico fine di non versare i contributi o i premi dovuti. In tali casi, grava sul datore di lavoro l'onere di provare la mancanza dell'intento fraudolento.
APPALTO
Cass. civ., Sez. I, 6 giugno 2016, n. 11577 - pubblicato il 9 giugno 2016
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
In tema di appalti pubblici l'aggiudicazione provvisoria ha natura di atto endoprocedimentale che, pur generando tra le parti situazioni giuridiche preliminari tutelabili in sede giurisdizionale, non può mai determinare l'instaurazione del rapporto contrattuale finale tra la stazione appaltante e l'aggiudicatario essendo necessario, a tal fine, l'aggiudicazione definitiva che non è atto meramente confermativo o esecutivo ma è un provvedimento del tutto autonomo e diverso rispetto all'aggiudicazione provvisoria anche quando ne recepisca interamente i contenuti.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
In tema di appalti pubblici l'aggiudicazione provvisoria ha natura di atto endoprocedimentale che, pur generando tra le parti situazioni giuridiche preliminari tutelabili in sede giurisdizionale, non può mai determinare l'instaurazione del rapporto contrattuale finale tra la stazione appaltante e l'aggiudicatario essendo necessario, a tal fine, l'aggiudicazione definitiva che non è atto meramente confermativo o esecutivo ma è un provvedimento del tutto autonomo e diverso rispetto all'aggiudicazione provvisoria anche quando ne recepisca interamente i contenuti.
LAVORO
Cass. civ., Sez. lavoro, 6 giugno 2016, n. 11595 - pubblicato il 9 giugno 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
Il lavoro pubblico e il lavoro privato non possono essere totalmente assimilati e le differenze, pur attenuate, permangono anche in seguito all'estensione della contrattazione collettiva a una vasta area del lavoro prestato alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni. La medesima eterogeneità dei termini posti a raffronto connota l'area del lavoro pubblico contrattualizzato e l'area del lavoro pubblico estraneo alla regolamentazione contrattuale. I principi costituzionali di legalità ed imparzialità concorrono comunque a conformare la condotta della P.A. e l'esercizio delle facoltà riconosciutele quale datore di lavoro pubblico in regime contrattualizzato.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
Il lavoro pubblico e il lavoro privato non possono essere totalmente assimilati e le differenze, pur attenuate, permangono anche in seguito all'estensione della contrattazione collettiva a una vasta area del lavoro prestato alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni. La medesima eterogeneità dei termini posti a raffronto connota l'area del lavoro pubblico contrattualizzato e l'area del lavoro pubblico estraneo alla regolamentazione contrattuale. I principi costituzionali di legalità ed imparzialità concorrono comunque a conformare la condotta della P.A. e l'esercizio delle facoltà riconosciutele quale datore di lavoro pubblico in regime contrattualizzato.
ONERE DELLA PROVA
Cass. civ., Sez. I, 6 giugno 2016, n. 11578 - pubblicato il 9 giugno 2016
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In tema di rapporti con le banche, la sottoscrizione, da parte del cliente, della clausola in calce al modulo d'ordine, contenente la segnalazione di inadeguatezza dell'operazione, sulla quale egli è stato avvisato, è idonea a far presumere assolto l'obbligo previsto in capo all'intermediario dall'art. 29, comma 3 del Regolamento Consob 1 luglio 1998, n. 11522. Tuttavia, a fronte della contestazione del cliente, il quale alleghi quali specifiche informazioni furono omesse, grava sulla banca l'onere di provare, con qualsiasi mezzo, che essa aveva specificamente reso quelle medesime informazioni.
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In tema di rapporti con le banche, la sottoscrizione, da parte del cliente, della clausola in calce al modulo d'ordine, contenente la segnalazione di inadeguatezza dell'operazione, sulla quale egli è stato avvisato, è idonea a far presumere assolto l'obbligo previsto in capo all'intermediario dall'art. 29, comma 3 del Regolamento Consob 1 luglio 1998, n. 11522. Tuttavia, a fronte della contestazione del cliente, il quale alleghi quali specifiche informazioni furono omesse, grava sulla banca l'onere di provare, con qualsiasi mezzo, che essa aveva specificamente reso quelle medesime informazioni.
PARCHEGGIO CONDOMINIALE
Cass. civ., Sez. II, 27 maggio 2016, n. 11034 - pubblicato il 7 giugno 2016
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
L’assegnazione, in via esclusiva e per un tempo indefinito (al di fuori, dunque, da ogni logica di turnazione), di posti macchina all’interno di un’area condominiale è illegittima, in quanto determina una limitazione dell’uso e del godimento che gli altri condomini hanno diritto di esercitare sul bene comune (cfr. sul punto Cass. 22 gennaio 2004, n. 1004, che ha ritenuto affetta da nullità l’assegnazione nominativa ai singoli condomini di posti fissi, ubicati nel cortile comune, per il parcheggio della seconda autovettura: in detta pronuncia si è valorizzato il fatto per cui una tale delibera sottraeva l’utilizzazione del bene comune a coloro che non possedevano la seconda autovettura). In sintesi, dunque, la predetta assegnazione è di per sé lesiva di un uso e godimento paritario del bene: uso e godimento che va apprezzato sulla scorta di un’astratta valutazione del rapporto di equilibrio che deve essere mantenuto fra tutte le possibili concorrenti fruizioni del bene stesso da parte dei partecipanti al condominio.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
L’assegnazione, in via esclusiva e per un tempo indefinito (al di fuori, dunque, da ogni logica di turnazione), di posti macchina all’interno di un’area condominiale è illegittima, in quanto determina una limitazione dell’uso e del godimento che gli altri condomini hanno diritto di esercitare sul bene comune (cfr. sul punto Cass. 22 gennaio 2004, n. 1004, che ha ritenuto affetta da nullità l’assegnazione nominativa ai singoli condomini di posti fissi, ubicati nel cortile comune, per il parcheggio della seconda autovettura: in detta pronuncia si è valorizzato il fatto per cui una tale delibera sottraeva l’utilizzazione del bene comune a coloro che non possedevano la seconda autovettura). In sintesi, dunque, la predetta assegnazione è di per sé lesiva di un uso e godimento paritario del bene: uso e godimento che va apprezzato sulla scorta di un’astratta valutazione del rapporto di equilibrio che deve essere mantenuto fra tutte le possibili concorrenti fruizioni del bene stesso da parte dei partecipanti al condominio.
FALSO IN BILANCIO
Cass. pen., Sezioni Unite, 27 maggio 2016, n. 22474 - pubblicato il 7 giugno 2016
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Sussiste il delitto di false comunicazioni sociali, con riguardo alla esposizione o alla omissione di fatti oggetto di ‘valutazione’, se, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, l’agente da tali criteri si discosti consapevolmente e senza darne adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni.
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Sussiste il delitto di false comunicazioni sociali, con riguardo alla esposizione o alla omissione di fatti oggetto di ‘valutazione’, se, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, l’agente da tali criteri si discosti consapevolmente e senza darne adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni.
COMUNIONE LEGALE
Cass. civ., Sez. II, 3 giugno 2016, n. 11504 - pubblicato il 7 giugno 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
Secondo il costante orientamento di questa Corte, non cade in comunione legale l'immobile che, promesso in vendita a persona coniugata in regime di comunione legale, sia coattivamente trasferito ex art. 2932 cod. civ., a causa dell'inadempimento del promittente venditore, al promissario acquirente, con sentenza passata in giudicato dopo che tra quest'ultimo ed il coniuge era stata pronunciata la separazione. E' stato infatti precisato che la comunione legale fra i coniugi, di cui all'art. 177 cod. civ., riguarda gli acquisti, cioè gli atti implicanti l'effettivo trasferimento della proprietà della "res" o la costituzione di diritti reali sulla medesima, non quindi i diritti di credito sorti dal contratto concluso da uno dei coniugi, i quali, per la loro stessa natura relativa e personale, pur se strumentali all'acquisizione di una "res", non sono suscettibili di cadere in comunione.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
Secondo il costante orientamento di questa Corte, non cade in comunione legale l'immobile che, promesso in vendita a persona coniugata in regime di comunione legale, sia coattivamente trasferito ex art. 2932 cod. civ., a causa dell'inadempimento del promittente venditore, al promissario acquirente, con sentenza passata in giudicato dopo che tra quest'ultimo ed il coniuge era stata pronunciata la separazione. E' stato infatti precisato che la comunione legale fra i coniugi, di cui all'art. 177 cod. civ., riguarda gli acquisti, cioè gli atti implicanti l'effettivo trasferimento della proprietà della "res" o la costituzione di diritti reali sulla medesima, non quindi i diritti di credito sorti dal contratto concluso da uno dei coniugi, i quali, per la loro stessa natura relativa e personale, pur se strumentali all'acquisizione di una "res", non sono suscettibili di cadere in comunione.
MOTIVAZIONE DELLA SENTENZA
Cass. civ. Sez. V, 31 maggio 2016, n. 11307 - pubblicato il 6 giugno 2016
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
Nel processo civile quanto in quello tributario, la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un atto di parte (o di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari), senza aggiungervi altro, non è nulla allorché le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all'organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, giacché, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può ritenersi, di per sé, sintomatica di un difetto di imparzialità del giudice, cui non è imposta l'originalità né dei contenuti né delle modalità espositive, tanto più che la validità degli atti processuali si pone su un piano diverso rispetto alla valutazione professionale o disciplinare del magistrato.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
Nel processo civile quanto in quello tributario, la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un atto di parte (o di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari), senza aggiungervi altro, non è nulla allorché le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all'organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, giacché, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può ritenersi, di per sé, sintomatica di un difetto di imparzialità del giudice, cui non è imposta l'originalità né dei contenuti né delle modalità espositive, tanto più che la validità degli atti processuali si pone su un piano diverso rispetto alla valutazione professionale o disciplinare del magistrato.
ACCERTAMENTO IRPEF
Cass. civ., Sez. VI - 5 Ordinanza, 30 maggio 2016, n. 11074 - pubblicato il 3 giugno 2016
a cura dell'Avv. Eliana Libroia
È illegittimo l'avviso di accertamento IRPEF per recupero a tassazione della plusvalenza realizzata per effetto di una cessione (specificamente di una licenza taxi) qualora le modalità di calcolo della plusvalenza non consentano alcuna valida contestazione, non essendo contenuti nel provvedimento elementi specifici di valutazione. L'avviso di accertamento deve, invero, indicare non solo gli estremi del titolo e della pretesa impositiva, ma anche i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo giustificano, al fine di porre il contribuente in condizione di valutare l'opportunità di esperire l'impugnazione giudiziale e, in caso positivo, di contestare efficacemente l'an ed il quantum. Tali elementi conoscitivi devono essere forniti non solo tempestivamente, ma anche con quel grado di determinatezza ed intellegibilità che permetta all'interessato un esercizio non difficoltoso del diritto di difesa.
a cura dell'Avv. Eliana Libroia
È illegittimo l'avviso di accertamento IRPEF per recupero a tassazione della plusvalenza realizzata per effetto di una cessione (specificamente di una licenza taxi) qualora le modalità di calcolo della plusvalenza non consentano alcuna valida contestazione, non essendo contenuti nel provvedimento elementi specifici di valutazione. L'avviso di accertamento deve, invero, indicare non solo gli estremi del titolo e della pretesa impositiva, ma anche i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo giustificano, al fine di porre il contribuente in condizione di valutare l'opportunità di esperire l'impugnazione giudiziale e, in caso positivo, di contestare efficacemente l'an ed il quantum. Tali elementi conoscitivi devono essere forniti non solo tempestivamente, ma anche con quel grado di determinatezza ed intellegibilità che permetta all'interessato un esercizio non difficoltoso del diritto di difesa.
DOMICILIAZIONI E SOSTITUZIONI UDIENZE
STUDIO LEGALE RICCIO LIBROIA
SALERNO - NOCERA INFERIORE
ARMI
Cass. civ. Sez. lavoro, 30 maggio 2016, n. 11130 - pubblicato il 3 giugno 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
La procedura relativa al rilascio ed al rinnovo dell'autorizzazione al porto di fucile per uso di caccia ed al porto di armi per uso di difesa personale, in base a quanto disposto dal D.M. 28 aprile 1998 del Ministero della Sanità, richiede una prima certificazione, di natura anamnestica, rilasciata dal "medico di fiducia". L'accertamento, poi, dei requisiti psicofisici deve essere effettuato "dagli uffici medico-legali o dai distretti sanitari delle unità sanitarie locali o dalle strutture sanitarie militari e della Polizia di Stato tramite un "medico certificatore" appartenente a tali strutture che rilascia l'attestato di idoneità (o di non idoneità) in base alle forme ed ai contenuti di un modello predefinito. Il riferimento, dunque, ad "uffici medico-legali" esclude che possano considerarsi tali gli ambulatori privati di singoli medici che esercitino ivi la loro attività professionale, dovendosi trattare di uffici pubblici, come è reso manifesto dalle altre strutture abilitate, inserite anche esse nell'ambito degli apparati di una Pubblica Amministrazione.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
La procedura relativa al rilascio ed al rinnovo dell'autorizzazione al porto di fucile per uso di caccia ed al porto di armi per uso di difesa personale, in base a quanto disposto dal D.M. 28 aprile 1998 del Ministero della Sanità, richiede una prima certificazione, di natura anamnestica, rilasciata dal "medico di fiducia". L'accertamento, poi, dei requisiti psicofisici deve essere effettuato "dagli uffici medico-legali o dai distretti sanitari delle unità sanitarie locali o dalle strutture sanitarie militari e della Polizia di Stato tramite un "medico certificatore" appartenente a tali strutture che rilascia l'attestato di idoneità (o di non idoneità) in base alle forme ed ai contenuti di un modello predefinito. Il riferimento, dunque, ad "uffici medico-legali" esclude che possano considerarsi tali gli ambulatori privati di singoli medici che esercitino ivi la loro attività professionale, dovendosi trattare di uffici pubblici, come è reso manifesto dalle altre strutture abilitate, inserite anche esse nell'ambito degli apparati di una Pubblica Amministrazione.
TRADUZIONI LEGALIZZATE
STUDIO LEGALE RICCIO LIBROIA
SALERNO - NOCERA INFERIORE
ARGOMENTI DI PROVA
Cass. civ., Sez. Unite, 26 maggio 2016, n. 10925 - pubblicato il 31 maggio
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
In tema di fallimento, benché non gravi sulla società nei cui confronti sia presentata una istanza di fallimento la dimostrazione che il centro effettivo dei propri interessi coincida con l'ubicazione della sua sede legale, è comunque consentito al giudice, ai sensi dell'art. 116, comma 2, c.p.c., applicabile al procedimento prefallimentare, al fine di vincere la presunzione di corrispondenza tra sede effettiva e sede legale della società stessa, di desumere argomenti di prova dal contegno delle parti nel processo.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
In tema di fallimento, benché non gravi sulla società nei cui confronti sia presentata una istanza di fallimento la dimostrazione che il centro effettivo dei propri interessi coincida con l'ubicazione della sua sede legale, è comunque consentito al giudice, ai sensi dell'art. 116, comma 2, c.p.c., applicabile al procedimento prefallimentare, al fine di vincere la presunzione di corrispondenza tra sede effettiva e sede legale della società stessa, di desumere argomenti di prova dal contegno delle parti nel processo.
mandato di arresto europeo
Cass. pen., Sez. VI, 25 maggio 2016, n. 21991 - pubblicato il 31 maggio 2016
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In tema di mandato di arresto europeo, l'Autorità Giudiziaria italiana, ai fini della riconoscibilità del presupposto dei gravi indizi di colpevolezza, deve limitarsi a verificare che il mandato sia, per il suo contenuto intrinseco o per gli elementi raccolti in sede investigativa, fondato su un compendio indiziario che l'Autorità Giudiziaria emittente abbia ritenuto seriamente vocativo di un fatto-reato commesso dalla persona di cui si chiede la consegna.
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In tema di mandato di arresto europeo, l'Autorità Giudiziaria italiana, ai fini della riconoscibilità del presupposto dei gravi indizi di colpevolezza, deve limitarsi a verificare che il mandato sia, per il suo contenuto intrinseco o per gli elementi raccolti in sede investigativa, fondato su un compendio indiziario che l'Autorità Giudiziaria emittente abbia ritenuto seriamente vocativo di un fatto-reato commesso dalla persona di cui si chiede la consegna.
DIRITTO ALLA RISERVATEZZA
Cass. civ., Sez. I, 24 maggio 2016, n. 10714 - pubblicato il 27 maggio 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
In merito al trattamento dei dati personali, che avvenga in relazione a comunicazioni commerciali preregistrare, cioè fatte con sistemi di chiamata automatici, il codice della privacy agli artt. 129 e 130 consente tale trattamento solo previa acquisizione del consenso del soggetto interessato. La norma che ha istituito nell'ordinamento il c.d. opt-out, ovvero opzione di esclusione, non trova applicazione quando le telefonate siano state effettuate a scopo di marketing con sistemi automatici. Il sistema dell'opt-out è stato recepito dall'art. 130 comma 3-bis del codice della privacy solo con riferimento alle chiamate con operatore. Ne consegue che in caso di chiamate automatizzate, la possibilità di velocizzare i messaggi pubblicitari suppone sempre il consenso specifico dell'interessato in maniera analoga a quanto avviene per le comunicazioni a mezzo fax ove il destinatario non ha la possibilità di interagire col mittente.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
In merito al trattamento dei dati personali, che avvenga in relazione a comunicazioni commerciali preregistrare, cioè fatte con sistemi di chiamata automatici, il codice della privacy agli artt. 129 e 130 consente tale trattamento solo previa acquisizione del consenso del soggetto interessato. La norma che ha istituito nell'ordinamento il c.d. opt-out, ovvero opzione di esclusione, non trova applicazione quando le telefonate siano state effettuate a scopo di marketing con sistemi automatici. Il sistema dell'opt-out è stato recepito dall'art. 130 comma 3-bis del codice della privacy solo con riferimento alle chiamate con operatore. Ne consegue che in caso di chiamate automatizzate, la possibilità di velocizzare i messaggi pubblicitari suppone sempre il consenso specifico dell'interessato in maniera analoga a quanto avviene per le comunicazioni a mezzo fax ove il destinatario non ha la possibilità di interagire col mittente.
DISTANZE LEGALI
Cass. civ., Sez. II, 18 maggio 2016, n. 10264 - pubblicato il 24 maggio 2016
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
In materia di distanze legali, nell'ambito delle norme dei regolamenti locali edilizi, hanno carattere integrativo delle disposizioni dettate nelle materie disciplinate dagli artt. 873 e seguenti c.c., quelle dirette a completare, rafforzare, armonizzare con il pubblico interesse di un ordinato assetto urbanistico, la disciplina dei rapporti intersoggettivi di vicinato. Non rivestono, invece, tale carattere le norme che hanno come scopo principale la tutela di interessi generali urbanistici, quali la limitazione del volume, dell'altezza e della densità degli edifici, le esigenze dell'igiene, della viabilità, la conservazione dell'ambiente ed altro. In tale seconda ipotesi (nella specie ricorrente), la tutela accordata al privato nel caso di violazione della norma, rimane limitata al risarcimento del danno eventualmente subito.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
In materia di distanze legali, nell'ambito delle norme dei regolamenti locali edilizi, hanno carattere integrativo delle disposizioni dettate nelle materie disciplinate dagli artt. 873 e seguenti c.c., quelle dirette a completare, rafforzare, armonizzare con il pubblico interesse di un ordinato assetto urbanistico, la disciplina dei rapporti intersoggettivi di vicinato. Non rivestono, invece, tale carattere le norme che hanno come scopo principale la tutela di interessi generali urbanistici, quali la limitazione del volume, dell'altezza e della densità degli edifici, le esigenze dell'igiene, della viabilità, la conservazione dell'ambiente ed altro. In tale seconda ipotesi (nella specie ricorrente), la tutela accordata al privato nel caso di violazione della norma, rimane limitata al risarcimento del danno eventualmente subito.
TRATTAMENTO DATI PERSONALI
Cass. civ., Sez. I, 16 maggio 2016, n. 9982 - pubblicato il 20 maggio 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
In tema di trattamento dei dati personali cd. comuni per finalità promozionali e commerciali mediante messaggi di testo (sms) su utenze telefoniche mobili, la regola dettata dall'art. 23, comma 3, del D.Lgs. n. 196 del 2003 (Codice della privacy), secondo cui il consenso al trattamento è validamente prestato, tra l'altro, se è documentato per iscritto, attiene non alla forma di manifestazione del consenso in questione, come sancito per il trattamento dei dati sensibili di cui al comma 4 del medesimo art. 23, bensì al contenuto dell'onere probatorio gravante sul titolare dei dati personali. Il titolare dei dati personali deve dare documentazione per iscritto dell'assenso anche orale, esplicitato dall'utente del servizio, al trattamento dei medesimi suoi dati per scopi pubblicitari e promozionali aggiuntivi rispetto al fornito servizio di telefonia mobile. All'uopo, si precisa che la documentazione per iscritto può essere integrata anche da riproduzioni meccaniche od informatiche ex art. 2712 c.c., effettuate dal titolare del trattamento, salva l'eventuale e successiva verifica dell'idoneità, adeguatezza e sufficienza del contenuto dell'acquisita annotazione.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
In tema di trattamento dei dati personali cd. comuni per finalità promozionali e commerciali mediante messaggi di testo (sms) su utenze telefoniche mobili, la regola dettata dall'art. 23, comma 3, del D.Lgs. n. 196 del 2003 (Codice della privacy), secondo cui il consenso al trattamento è validamente prestato, tra l'altro, se è documentato per iscritto, attiene non alla forma di manifestazione del consenso in questione, come sancito per il trattamento dei dati sensibili di cui al comma 4 del medesimo art. 23, bensì al contenuto dell'onere probatorio gravante sul titolare dei dati personali. Il titolare dei dati personali deve dare documentazione per iscritto dell'assenso anche orale, esplicitato dall'utente del servizio, al trattamento dei medesimi suoi dati per scopi pubblicitari e promozionali aggiuntivi rispetto al fornito servizio di telefonia mobile. All'uopo, si precisa che la documentazione per iscritto può essere integrata anche da riproduzioni meccaniche od informatiche ex art. 2712 c.c., effettuate dal titolare del trattamento, salva l'eventuale e successiva verifica dell'idoneità, adeguatezza e sufficienza del contenuto dell'acquisita annotazione.
SORVEGLIANZA SUL LAVORATORE
Cass. civ., Sez. lavoro, 13 maggio 2016, n. 9904 - pubblicato il 18 maggio 2016
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
La rilevazione dei dati di entrata ed uscita dall'azienda mediante un'apparecchiatura di controllo predisposta dal datore di lavoro, sia pure per il vantaggio dei dipendenti, ma altresì utilizzabile in funzione di controllo dell'osservanza dei doveri di diligenza nel rispetto dell'orario di lavoro e della correttezza dell'esecuzione della prestazione lavorativa, non concordata con le rappresentanze sindacali, né autorizzata dall'ispettorato del lavoro, si risolve in un controllo sull'orario di lavoro ed in un accertamento sul quantum della prestazione, rientrante nella fattispecie di cui all'art. 4, comma 2 della legge n. 300 del 1970 (Statuto dei Lavoratori). Né l'esigenza di evitare condotte illecite da parte dei dipendenti può assumere portata tale da giustificare un sostanziale annullamento di ogni forma di garanzia della dignità e della riservatezza del lavoratore, quando tali comportamenti riguardino l'esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
La rilevazione dei dati di entrata ed uscita dall'azienda mediante un'apparecchiatura di controllo predisposta dal datore di lavoro, sia pure per il vantaggio dei dipendenti, ma altresì utilizzabile in funzione di controllo dell'osservanza dei doveri di diligenza nel rispetto dell'orario di lavoro e della correttezza dell'esecuzione della prestazione lavorativa, non concordata con le rappresentanze sindacali, né autorizzata dall'ispettorato del lavoro, si risolve in un controllo sull'orario di lavoro ed in un accertamento sul quantum della prestazione, rientrante nella fattispecie di cui all'art. 4, comma 2 della legge n. 300 del 1970 (Statuto dei Lavoratori). Né l'esigenza di evitare condotte illecite da parte dei dipendenti può assumere portata tale da giustificare un sostanziale annullamento di ogni forma di garanzia della dignità e della riservatezza del lavoratore, quando tali comportamenti riguardino l'esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro.
IMPUGNAZIONE
Cass. pen., Sez. VI, 31 marzo 2016, n. 18716 - pubblicato il 17 maggio 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
Il mancato o inesatto inadempimento da parte del difensore di fiducia dell'incarico di proporre impugnazione, a qualsiasi causa ascrivibile, non è idoneo ad integrare le ipotesi di caso fortuito e di forza maggiore, che si concretano in forze impeditive non altrimenti evincibili, le quali legittimano la restituzione in termini. In tal senso, invero, da un lato l'anzidetto mancato o inesatto inadempimento dell'incarico di proporre impugnazione consiste in una falsa rappresentazione della realtà, superabile mediante la normale diligenza ed attenzione, dall'altro non può essere esclusa, in via presuntiva, la sussistenza di un onere dell'assistito di vigilare sull'esatta osservanza dell'incarico conferito. Nel caso di mancato rispetto del termine di impugnazione, peraltro, non ricorre semplicemente un onere dell'imputato di vigilare sull'attività del difensore, giacché la facoltà di impugnare spetta personalmente al primo, in via autonoma e concorrente rispetto al secondo. Consegue a quanto innanzi che l'errore commesso dal difensore nel computo del termine per proporre impugnazione non giustifica la restituzione nel termine ex art. 175 c.p.p.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
Il mancato o inesatto inadempimento da parte del difensore di fiducia dell'incarico di proporre impugnazione, a qualsiasi causa ascrivibile, non è idoneo ad integrare le ipotesi di caso fortuito e di forza maggiore, che si concretano in forze impeditive non altrimenti evincibili, le quali legittimano la restituzione in termini. In tal senso, invero, da un lato l'anzidetto mancato o inesatto inadempimento dell'incarico di proporre impugnazione consiste in una falsa rappresentazione della realtà, superabile mediante la normale diligenza ed attenzione, dall'altro non può essere esclusa, in via presuntiva, la sussistenza di un onere dell'assistito di vigilare sull'esatta osservanza dell'incarico conferito. Nel caso di mancato rispetto del termine di impugnazione, peraltro, non ricorre semplicemente un onere dell'imputato di vigilare sull'attività del difensore, giacché la facoltà di impugnare spetta personalmente al primo, in via autonoma e concorrente rispetto al secondo. Consegue a quanto innanzi che l'errore commesso dal difensore nel computo del termine per proporre impugnazione non giustifica la restituzione nel termine ex art. 175 c.p.p.
INDENNITà DI MATERNITà
Cass. civ., Sez. lavoro, 12 maggio 2016, n. 9757 - pubblicato il 17 maggio 2016
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Relativamente all'indennità di maternità nelle libere professioni, il legislatore, innovando la disciplina previgente, ha rimodulato, con il comma 3-bis dell'art. 70 del D.Lgs. n. 151 del 2001, la tutela riconosciuta in caso di maternità, stabilendo un tetto massimo, seppur elevabile su iniziativa delle singole Casse. In sostanza il Legislatore, a fronte della maggiore capacità reddituale delle donne, nelle libere professioni, ha ritenuto che il sostegno economico della serenità della donna e della salute della madre e del figlio nel delicato periodo della maternità sia sufficientemente garantito attraverso un trattamento parametrato non in base alla diminuzione del reddito o della capacità reddituale della iscritta ovvero delle spese sostenute, bensì in ragione al minimo di retribuzione ai fini contributivi per i lavoratori dipendenti iscritti all'assicurazione generale obbligatoria. Il potere derogatorio riconosciuto alle singole Casse di aumentare il massimale, ha natura discrezionale essendo preordinato al contemperamento tra l'interesse soggettivo dell'iscritta in maternità e l'interesse generale alla tollerabilità della contribuzione a carattere solidaristico e all'equilibrio finanziario della gestione dell'ente previdenziale.
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Relativamente all'indennità di maternità nelle libere professioni, il legislatore, innovando la disciplina previgente, ha rimodulato, con il comma 3-bis dell'art. 70 del D.Lgs. n. 151 del 2001, la tutela riconosciuta in caso di maternità, stabilendo un tetto massimo, seppur elevabile su iniziativa delle singole Casse. In sostanza il Legislatore, a fronte della maggiore capacità reddituale delle donne, nelle libere professioni, ha ritenuto che il sostegno economico della serenità della donna e della salute della madre e del figlio nel delicato periodo della maternità sia sufficientemente garantito attraverso un trattamento parametrato non in base alla diminuzione del reddito o della capacità reddituale della iscritta ovvero delle spese sostenute, bensì in ragione al minimo di retribuzione ai fini contributivi per i lavoratori dipendenti iscritti all'assicurazione generale obbligatoria. Il potere derogatorio riconosciuto alle singole Casse di aumentare il massimale, ha natura discrezionale essendo preordinato al contemperamento tra l'interesse soggettivo dell'iscritta in maternità e l'interesse generale alla tollerabilità della contribuzione a carattere solidaristico e all'equilibrio finanziario della gestione dell'ente previdenziale.
VALORI MOBILIARI
Cass. civ., Sez. II, 11 maggio 2016, n. 9644 - pubblicato il 16 maggio 2016
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
Nell'ambito del mercato finanziario il "mark to market" è un'espressione con la quale si indica un metodo di valutazione delle attività finanziarie che si contrappone a quello storico o di acquisizione attuato mediante il ricorso a indici dell'aggiornamento monetario; con tal metodo, in sostanza, si attribuisce a dette attività il valore che esse avrebbero in caso di rinegoziazione del contratto o di scioglimento del rapporto prima della sua scadenza naturale. Il mark to market è anche definito costo di sostituzione perché corrisponde al prezzo, determinato dal mercato, in un particolare momento storico, che i terzi sarebbero disposti a sostenere per subentrare nel contratto stesso. Il mark to market esprime dunque un metodo di valutazione in base al quale accertare il valore di uno strumento o contratto finanziario in funzione del valore teorico di mercato in caso di risoluzione anticipata.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
Nell'ambito del mercato finanziario il "mark to market" è un'espressione con la quale si indica un metodo di valutazione delle attività finanziarie che si contrappone a quello storico o di acquisizione attuato mediante il ricorso a indici dell'aggiornamento monetario; con tal metodo, in sostanza, si attribuisce a dette attività il valore che esse avrebbero in caso di rinegoziazione del contratto o di scioglimento del rapporto prima della sua scadenza naturale. Il mark to market è anche definito costo di sostituzione perché corrisponde al prezzo, determinato dal mercato, in un particolare momento storico, che i terzi sarebbero disposti a sostenere per subentrare nel contratto stesso. Il mark to market esprime dunque un metodo di valutazione in base al quale accertare il valore di uno strumento o contratto finanziario in funzione del valore teorico di mercato in caso di risoluzione anticipata.
NOTAIO
Cass. civ., Sez. II, 11 maggio 2016, n. 9660 - pubblicato il 16 maggio 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
In tema di responsabilità civile, il notaio richiesto della redazione di un atto pubblico di trasferimento immobiliare ha l'obbligo di compiere le attività preparatorie e successive necessarie per il conseguimento del risultato voluto dalle parti e, in particolare, è tenuto ad effettuare le visure catastali e ipotecarie, la cui eventuale omissione è fonte di responsabilità per violazione della diligenza qualificata di cui all'art. 1176, comma 2, c.c. Pertanto, il notaio che ometta di accertarsi dell'esistenza di iscrizioni ipotecarie pregiudizievoli sull'immobile, risponde del danno patito dall'acquirente, a nulla rilevando che sia configurabile anche una responsabilità del venditore che abbia garantito la libertà del bene da ipoteca, vincoli o pesi di altra natura.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
In tema di responsabilità civile, il notaio richiesto della redazione di un atto pubblico di trasferimento immobiliare ha l'obbligo di compiere le attività preparatorie e successive necessarie per il conseguimento del risultato voluto dalle parti e, in particolare, è tenuto ad effettuare le visure catastali e ipotecarie, la cui eventuale omissione è fonte di responsabilità per violazione della diligenza qualificata di cui all'art. 1176, comma 2, c.c. Pertanto, il notaio che ometta di accertarsi dell'esistenza di iscrizioni ipotecarie pregiudizievoli sull'immobile, risponde del danno patito dall'acquirente, a nulla rilevando che sia configurabile anche una responsabilità del venditore che abbia garantito la libertà del bene da ipoteca, vincoli o pesi di altra natura.
FONDO PATRIMONIALE
Cass. civ., Sez. I, 6 maggio 2016, n. 9128 - pubblicato il 16 maggio 2016
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In tema di fondo patrimoniale, la natura di atto di liberalità della costituzione del fondo medesimo ricorre non soltanto quando a costituire il fondo sia un terzo o uno soltanto dei coniugi, ma anche quando entrambi i coniugi conferiscano al fondo beni già di loro proprietà, rinunciando essi in modo gratuito alle facoltà insite nel diritto di proprietà in favore della famiglia, mediante il vincolo di indisponibilità dei beni e la destinazione dei frutti ai soli bisogni familiari.
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In tema di fondo patrimoniale, la natura di atto di liberalità della costituzione del fondo medesimo ricorre non soltanto quando a costituire il fondo sia un terzo o uno soltanto dei coniugi, ma anche quando entrambi i coniugi conferiscano al fondo beni già di loro proprietà, rinunciando essi in modo gratuito alle facoltà insite nel diritto di proprietà in favore della famiglia, mediante il vincolo di indisponibilità dei beni e la destinazione dei frutti ai soli bisogni familiari.
MISURE CAUTELARI
Cass. pen., Sez. Unite, 6 maggio 2016, n. 18954 - pubblicato il 12 maggio 2016
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
Il rinvio dell'art. 324, comma 7, ai commi 9 e 9-bis dell'art. 309 c.p.p. comporta, per un verso, l'applicazione integrale della disposizione di cui al comma 9-bis e, per altro verso, l'applicazione della disposizione del comma 9 in quanto compatibile con la struttura e la funzione del provvedimento applicativo della misura cautelare reale e del sequestro probatorio, nel senso che il tribunale del riesame annulla il provvedimento impugnato se la motivazione manca o non contiene la autonoma valutazione degli elementi che ne costituiscono il necessario fondamento, nonchè degli elementi forniti dalla difesa. Il rinvio dell'art. 324, comma 7, al comma 10 dell'art. 309 c.p.p. deve intendersi invece riferito alla formulazione codicistica originaria di quest'ultima norma.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
Il rinvio dell'art. 324, comma 7, ai commi 9 e 9-bis dell'art. 309 c.p.p. comporta, per un verso, l'applicazione integrale della disposizione di cui al comma 9-bis e, per altro verso, l'applicazione della disposizione del comma 9 in quanto compatibile con la struttura e la funzione del provvedimento applicativo della misura cautelare reale e del sequestro probatorio, nel senso che il tribunale del riesame annulla il provvedimento impugnato se la motivazione manca o non contiene la autonoma valutazione degli elementi che ne costituiscono il necessario fondamento, nonchè degli elementi forniti dalla difesa. Il rinvio dell'art. 324, comma 7, al comma 10 dell'art. 309 c.p.p. deve intendersi invece riferito alla formulazione codicistica originaria di quest'ultima norma.
VENDITA FORZATA
Cass. civ., Sez. III, 5 maggio 2016, n. 8951 - pubblicato il 10 maggio 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
Il disposto di cui all'art. 571 c.p.c., nella parte in cui sancisce che l'offerta per l'acquisto deve essere proposta personalmente o a mezzo di procuratore legale, anche a norma dell'ultimo comma dell'art. 579 c.p.c., prevede due categorie di soggetti che possono proporre l'offerta nella vendita senza incanto, laddove per procuratore legale deve intendersi l'avvocato. Nella vendita con incanto, seppure risultano individuate tre categorie di soggetti legittimati a partecipare all'incanto, deve ritenersi eccezionale la partecipazione di mandatario munito di procura speciale, consentendosi, ai sensi dell'art. 579 c.p.c., al solo avvocato di fare offerte per persona da nominare. Di talché deve ritenersi legittima la scelta del professionista delegato per la vendita senza incanto, di non ammettere l'offerta non sottoscritta dalla parte personalmente (specificamente il legale rappresentante della società), bensì da un mero mandatario munito di procura speciale.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
Il disposto di cui all'art. 571 c.p.c., nella parte in cui sancisce che l'offerta per l'acquisto deve essere proposta personalmente o a mezzo di procuratore legale, anche a norma dell'ultimo comma dell'art. 579 c.p.c., prevede due categorie di soggetti che possono proporre l'offerta nella vendita senza incanto, laddove per procuratore legale deve intendersi l'avvocato. Nella vendita con incanto, seppure risultano individuate tre categorie di soggetti legittimati a partecipare all'incanto, deve ritenersi eccezionale la partecipazione di mandatario munito di procura speciale, consentendosi, ai sensi dell'art. 579 c.p.c., al solo avvocato di fare offerte per persona da nominare. Di talché deve ritenersi legittima la scelta del professionista delegato per la vendita senza incanto, di non ammettere l'offerta non sottoscritta dalla parte personalmente (specificamente il legale rappresentante della società), bensì da un mero mandatario munito di procura speciale.
RESPONSABILITà DELL'INPS
Cass. civ., Sez. lavoro, 2 maggio 2016, n. 8604 - pubblicato il 5 maggio 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
L'istituto previdenziale è gravato dall'obbligo di comunicare, all'assicurato che ne faccia richiesta, i dati relativi alla propria situazione previdenziale e pensionistica, ex art. 54, della legge n. 88 del 1989; di talché l'istituto predetto è responsabile del danno derivato all'interessato dalla mancata percezione del trattamento pensionistico in conseguenza della erronea comunicazione della situazione contributiva. L'anzidetta responsabilità ha natura contrattuale, in quanto si tratta di obbligazione di origine legale, attinente ad un rapporto intercorrente tra le due parti, con conseguente applicabilità dell'art. 1218 c.c., il quale pone espressamente a carico del debitore la prova che l'inadempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. Tale prova esige la dimostrazione dello specifico impedimento che ha reso impossibile la prestazione. Ne deriva che, nell'ipotesi in cui l'I.N.P.S. abbia comunicato all'assicurato una indicazione erronea del numero dei contributi versati, il danneggiato non ha l'onere di provare la colpa o il dolo dell'autore dell'illecito.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
L'istituto previdenziale è gravato dall'obbligo di comunicare, all'assicurato che ne faccia richiesta, i dati relativi alla propria situazione previdenziale e pensionistica, ex art. 54, della legge n. 88 del 1989; di talché l'istituto predetto è responsabile del danno derivato all'interessato dalla mancata percezione del trattamento pensionistico in conseguenza della erronea comunicazione della situazione contributiva. L'anzidetta responsabilità ha natura contrattuale, in quanto si tratta di obbligazione di origine legale, attinente ad un rapporto intercorrente tra le due parti, con conseguente applicabilità dell'art. 1218 c.c., il quale pone espressamente a carico del debitore la prova che l'inadempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. Tale prova esige la dimostrazione dello specifico impedimento che ha reso impossibile la prestazione. Ne deriva che, nell'ipotesi in cui l'I.N.P.S. abbia comunicato all'assicurato una indicazione erronea del numero dei contributi versati, il danneggiato non ha l'onere di provare la colpa o il dolo dell'autore dell'illecito.
UGUAGLIANZA TRA CONIUGI
Cass. civ., Sez. lavoro, 2 maggio 2016, n. 8594 - pubblicato il 5 maggio 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
Il D.Lgs. n. 151 del 2001 ha voluto valorizzare l'uguaglianza tra i coniugi e tra le varie categorie di lavoratori, nonché tra genitorialità biologica ed adottiva, al fine di apprestare la migliore tutela all'interesse preminente del bambino. L'uguaglianza tra i genitori è, tuttavia, riferita, ad istituti in cui l'interesse del minore riveste carattere assoluto o, comunque, preminente e, quindi, rispetto al quale le posizioni del padre e della madre risultano del tutto fungibili tanto da giustificare identiche discipline. Le norme poste direttamente a protezione della filiazione biologica, viceversa, oltre ad essere finalizzate alla protezione del nascituro, hanno come scopo la tutela della salute della madre nel periodo anteriore e successivo al parto, risultando, quindi, di tutta evidenza che, in tali casi, la posizione di quest'ultima non è assimilabile a quella del padre. Non può, pertanto, in siffatti casi ritenersi discriminatoria l'esclusione (nella fattispecie di un avvocato) dall'indennità di maternità dei genitori di sesso maschile.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
Il D.Lgs. n. 151 del 2001 ha voluto valorizzare l'uguaglianza tra i coniugi e tra le varie categorie di lavoratori, nonché tra genitorialità biologica ed adottiva, al fine di apprestare la migliore tutela all'interesse preminente del bambino. L'uguaglianza tra i genitori è, tuttavia, riferita, ad istituti in cui l'interesse del minore riveste carattere assoluto o, comunque, preminente e, quindi, rispetto al quale le posizioni del padre e della madre risultano del tutto fungibili tanto da giustificare identiche discipline. Le norme poste direttamente a protezione della filiazione biologica, viceversa, oltre ad essere finalizzate alla protezione del nascituro, hanno come scopo la tutela della salute della madre nel periodo anteriore e successivo al parto, risultando, quindi, di tutta evidenza che, in tali casi, la posizione di quest'ultima non è assimilabile a quella del padre. Non può, pertanto, in siffatti casi ritenersi discriminatoria l'esclusione (nella fattispecie di un avvocato) dall'indennità di maternità dei genitori di sesso maschile.
FALLIMENTO
Cass. civ., Sez. VI - 2, 29 aprile 2016, n. 8508 - pubblicato il 4 maggio 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
L'erede dell'imprenditore fallito, il quale sia deceduto nelle more del procedimento fallimentare, può vantare il diritto a reclamare, iure proprio, l'equa riparazione per la irragionevole protrazione della procedura fallimentare, qualora abbia in qualche modo partecipato, eventualmente come rappresentante degli eredi, in caso di pluralità di successori a titolo universale, alla procedura, rivolgendo in essa istanze o risultando destinatario di atti, di richieste o di provvedimento. Solo in tal caso, invero, può ritenersi configurabile un suo interesse, giuridicamente rilevante, alla definizione in tempi ragionevoli della procedura fallimentare.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
L'erede dell'imprenditore fallito, il quale sia deceduto nelle more del procedimento fallimentare, può vantare il diritto a reclamare, iure proprio, l'equa riparazione per la irragionevole protrazione della procedura fallimentare, qualora abbia in qualche modo partecipato, eventualmente come rappresentante degli eredi, in caso di pluralità di successori a titolo universale, alla procedura, rivolgendo in essa istanze o risultando destinatario di atti, di richieste o di provvedimento. Solo in tal caso, invero, può ritenersi configurabile un suo interesse, giuridicamente rilevante, alla definizione in tempi ragionevoli della procedura fallimentare.
CONDOMINIO
Cass. civ., Sez. VI - 2, 29 aprile 2016, n. 8492 - pubblicato il 4 maggio 2016
a cura dell'Avv. Eliana Libroia
L'accertamento da parte del giudice di merito in ordine al fatto che un dato bene, per la sua struttura e conformazione e per la funzione cui è destinato, rientri tra quelli condominiali, oppure sia di proprietà esclusiva di uno dei condomini, rappresenta una valutazione in fatto, sottratta al giudizio di legittimità purché adeguatamente motivata.
a cura dell'Avv. Eliana Libroia
L'accertamento da parte del giudice di merito in ordine al fatto che un dato bene, per la sua struttura e conformazione e per la funzione cui è destinato, rientri tra quelli condominiali, oppure sia di proprietà esclusiva di uno dei condomini, rappresenta una valutazione in fatto, sottratta al giudizio di legittimità purché adeguatamente motivata.
VITALIZI
Cass. civ., Sez. II, 22 aprile 2016, n. 8209 - pubblicato il 29 aprile 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
In base al principio dell'autonomia contrattuale, di cui all'art. 1322 c.c., il contratto atipico di "vitalizio alimentare" è una fattispecie autonoma e distinta da quella della rendita vitalizia, di cui all'art. 1872 c.c., in quanto i due negozi, omogenei relativamente al requisito dell'aleatorietà, si differenziano perché, mentre nella rendita alimentare le obbligazioni dedotte nel rapporto hanno ad oggetto prestazioni assistenziali, di dare fungibili, nel vitalizio alimentare le obbligazioni contrattuali hanno come contenuto prestazioni di fare e dare di carattere accentuatamente spirituale e, in ragione di ciò, eseguibili unicamente da un vitaliziante specificamente individuato alla luce delle qualità personali proprie di questo.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
In base al principio dell'autonomia contrattuale, di cui all'art. 1322 c.c., il contratto atipico di "vitalizio alimentare" è una fattispecie autonoma e distinta da quella della rendita vitalizia, di cui all'art. 1872 c.c., in quanto i due negozi, omogenei relativamente al requisito dell'aleatorietà, si differenziano perché, mentre nella rendita alimentare le obbligazioni dedotte nel rapporto hanno ad oggetto prestazioni assistenziali, di dare fungibili, nel vitalizio alimentare le obbligazioni contrattuali hanno come contenuto prestazioni di fare e dare di carattere accentuatamente spirituale e, in ragione di ciò, eseguibili unicamente da un vitaliziante specificamente individuato alla luce delle qualità personali proprie di questo.
ACCOLLO
Cass. civ., Sez. I, Ordinanza, 21 aprile 2016, n. 8090 - pubblicato il 27 aprile 2016
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
Data l'ammissibilità dell'accollo di debiti futuri, il cessionario può accollarsi, tra gli altri, i debiti derivanti dall'accoglimento delle domande di revoca di pagamenti eseguiti da terzi debitori dell'azienda ceduta, così stipulando un accollo esterno di un debito futuro ad oggetto determinabile. Deve, tuttavia, rilevarsi come sia controverso, in dottrina e giurisprudenza, se l'art. 2560 c.c. preveda che le passività aziendali si trasferiscano, insieme all'azienda, in capo all'acquirente, quale obbligato in via principale; o se al contrario la responsabilità del cessionario sia solo accessoria rispetto a quella del cedente, che rimane obbligato principale. Si rileva, inoltre, che se nel caso della cessione bancaria è la legge (art. 58 del D.Lgs. n. 385 del 1993 - TUB) a prevedere che ne consegua il trasferimento di tutte le situazioni soggettive attive e passive, non si comprende perché un analogo effetto traslativo non possa aversi anche per le cessioni delle altre aziende commerciali, almeno quando sia l'atto di cessione ad includere espressamente (come nella fattispecie) "tutte le situazioni attive e passive quali risultanti dalle scritture contabili regolarmente tenute". Nella fattispecie, a fronte di siffatte questioni controverse rilevanti ai fini della decisione della causa, si rimetteva il ricorso al Primo Presidente per le valutazioni di sua competenza ai fini dell'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
Data l'ammissibilità dell'accollo di debiti futuri, il cessionario può accollarsi, tra gli altri, i debiti derivanti dall'accoglimento delle domande di revoca di pagamenti eseguiti da terzi debitori dell'azienda ceduta, così stipulando un accollo esterno di un debito futuro ad oggetto determinabile. Deve, tuttavia, rilevarsi come sia controverso, in dottrina e giurisprudenza, se l'art. 2560 c.c. preveda che le passività aziendali si trasferiscano, insieme all'azienda, in capo all'acquirente, quale obbligato in via principale; o se al contrario la responsabilità del cessionario sia solo accessoria rispetto a quella del cedente, che rimane obbligato principale. Si rileva, inoltre, che se nel caso della cessione bancaria è la legge (art. 58 del D.Lgs. n. 385 del 1993 - TUB) a prevedere che ne consegua il trasferimento di tutte le situazioni soggettive attive e passive, non si comprende perché un analogo effetto traslativo non possa aversi anche per le cessioni delle altre aziende commerciali, almeno quando sia l'atto di cessione ad includere espressamente (come nella fattispecie) "tutte le situazioni attive e passive quali risultanti dalle scritture contabili regolarmente tenute". Nella fattispecie, a fronte di siffatte questioni controverse rilevanti ai fini della decisione della causa, si rimetteva il ricorso al Primo Presidente per le valutazioni di sua competenza ai fini dell'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.
ONERE DELLA PROVA
Cass. civ., Sez. VI - 3, 20 aprile 2016, n. 7807 - pubblicato il 26 aprile 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
Stante quanto disposto dall'art. 2697 c.c., l'onere di provare i fatti costitutivi grava sempre su colui che si afferma titolare del diritto. In ordine all'illecito aquiliano, incombe sul danneggiato fornire la prova del fatto illecito, del dolo o della colpa del responsabile, del danno e del nesso di causalità tra il fatto ed il danno.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
Stante quanto disposto dall'art. 2697 c.c., l'onere di provare i fatti costitutivi grava sempre su colui che si afferma titolare del diritto. In ordine all'illecito aquiliano, incombe sul danneggiato fornire la prova del fatto illecito, del dolo o della colpa del responsabile, del danno e del nesso di causalità tra il fatto ed il danno.
CIRCOLAZIONE STRADALE
Cass. civ., Sez. II, 19 aprile 2016, n. 7709 - pubblicato il 26 aprile 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
In materia di sanzioni amministrative per violazione del codice della strada, l'eventuale mancata apposizione sul retro della segnaletica stradale della indicazione del relativo provvedimento amministrativo regolante la circolazione, non determina, di per sé, la illegittimità del segnale. Tale circostanza, pertanto, non esime l'utente della strada dall'obbligo di rispettarne la prescrizione, con l'ulteriore conseguenza che detta omissione non comporta la illegittimità del verbale di contestazione dell'infrazione alla condotta da osservare.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
In materia di sanzioni amministrative per violazione del codice della strada, l'eventuale mancata apposizione sul retro della segnaletica stradale della indicazione del relativo provvedimento amministrativo regolante la circolazione, non determina, di per sé, la illegittimità del segnale. Tale circostanza, pertanto, non esime l'utente della strada dall'obbligo di rispettarne la prescrizione, con l'ulteriore conseguenza che detta omissione non comporta la illegittimità del verbale di contestazione dell'infrazione alla condotta da osservare.
LOCAZIONE
Cass. civ., Sez. III, 18 aprile 2016, n. 7634 - pubblicato il 21 aprile 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
La nullità prevista dall'art. 13, comma 1, della legge n. 431 del 1998, sanziona esclusivamente il patto occulto di maggiorazione del canone, oggetto di un procedimento simulatorio, di talché resta valido il contratto registrato e, conseguentemente, dovuto il canone apparente. Il patto occulto, pertanto, in quanto nullo, non è sanato dalla registrazione tardiva, fatto extranegoziale non idoneo ad influire sulla validità civilistica.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
La nullità prevista dall'art. 13, comma 1, della legge n. 431 del 1998, sanziona esclusivamente il patto occulto di maggiorazione del canone, oggetto di un procedimento simulatorio, di talché resta valido il contratto registrato e, conseguentemente, dovuto il canone apparente. Il patto occulto, pertanto, in quanto nullo, non è sanato dalla registrazione tardiva, fatto extranegoziale non idoneo ad influire sulla validità civilistica.
COMPENSATIO LUCRI CUM DAMNO
Cass. civ., Sez. lavoro, 18 aprile 2016, n. 7685 - pubblicato il 21 aprile 2016
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Il principio della compensatio lucri cum damno si applica quando il lucro sia conseguenza immediata e diretta dello stesso fatto illecito che ha prodotto il danno, non potendo il lucro compensarsi con il danno se trae la sua fonte da titolo diverso. Di talché, in caso di licenziamento individuale, il compenso per lavoro subordinato od autonomo, percepito durante il periodo intercorrente tra il proprio licenziamento e la sentenza di annullamento relativa, non implica la riduzione corrispondente del risarcimento del danno da licenziamento illegittimo, se e nei limiti in cui quel lavoro risulti, comunque, compatibile con la prosecuzione contestuale della prestazione lavorativa sospesa a seguito del licenziamento. Viceversa, quando si affermi il diritto al ripristino del rapporto di lavoro, al lavoratore spetta un risarcimento commisurato alle retribuzioni non percepite, ma dal suddetto importo sono deducibili i ricavi che sarebbero stati incompatibili con la prosecuzione della prestazione lavorativa e resi possibili, quindi, solo dalla sua interruzione.
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Il principio della compensatio lucri cum damno si applica quando il lucro sia conseguenza immediata e diretta dello stesso fatto illecito che ha prodotto il danno, non potendo il lucro compensarsi con il danno se trae la sua fonte da titolo diverso. Di talché, in caso di licenziamento individuale, il compenso per lavoro subordinato od autonomo, percepito durante il periodo intercorrente tra il proprio licenziamento e la sentenza di annullamento relativa, non implica la riduzione corrispondente del risarcimento del danno da licenziamento illegittimo, se e nei limiti in cui quel lavoro risulti, comunque, compatibile con la prosecuzione contestuale della prestazione lavorativa sospesa a seguito del licenziamento. Viceversa, quando si affermi il diritto al ripristino del rapporto di lavoro, al lavoratore spetta un risarcimento commisurato alle retribuzioni non percepite, ma dal suddetto importo sono deducibili i ricavi che sarebbero stati incompatibili con la prosecuzione della prestazione lavorativa e resi possibili, quindi, solo dalla sua interruzione.
LA CALUNNIA
Cass. pen., Sez. VI, 4 aprile 2016, n. 13416 - pubblicato il 18 aprile 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
Il delitto di calunnia è un reato istantaneo, la cui consumazione si esaurisce con la comunicazione all'autorità di una falsa incolpazione a carico di persona che si sa essere innocente, con la conseguenza che la reiterazione di eventuali, successive, dichiarazioni di conferma della falsa accusa non può concretare ulteriori violazioni della stessa norma incriminatrice.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
Il delitto di calunnia è un reato istantaneo, la cui consumazione si esaurisce con la comunicazione all'autorità di una falsa incolpazione a carico di persona che si sa essere innocente, con la conseguenza che la reiterazione di eventuali, successive, dichiarazioni di conferma della falsa accusa non può concretare ulteriori violazioni della stessa norma incriminatrice.
DIRITTO ALLA RISERVATEZZA
Cass. civ., Sez. lavoro, 7 aprile 2016, n. 6775 - pubblicato il 12 aprile 2016
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Il diritto soggettivo del lavoratore di accedere al proprio fascicolo personale è tutelabile in quanto tale perchè si tratta di una posizione giuridica soggettiva che trae la sua fonte dal rapporto di lavoro. L'obbligo del datore di lavoro di consentirne il pieno esercizio, prima ancora che nella legge n. 675 del 1996, deriva dal rispetto dei canoni di buona fede e correttezza ricadente sulle parti del rapporto lavorativo ex artt. 1175 e 1375 c.c. Del resto, la stessa contrattazione collettiva di diversi settori prevede che i datori di lavoro conservino, in un apposito fascicolo personale, tutti gli atti ed i documenti, prodotti dall'ente o dallo stesso dipendente attinenti al percorso professionale, all'attività svolta ed ai fatti più significativi che lo riguardano e che il dipendente ha il diritto di prendere visione liberamente degli atti e documenti inseriti nel proprio fascicolo personale. Ciò non esclude il diritto del lavoratore di rivolgersi al Garante per la protezione dei dati personali ogni volta che si voglia ottenere, in tempi ragionevoli, uno dei provvedimenti previsti dall'art. 13 della citata legge n. 675, quale l'integrazione dei dati personali detenuti dal datore di lavoro con documenti ulteriori, restando salva la discrezionalità del datore circa le modalità di utilizzo di dette integrazioni.
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Il diritto soggettivo del lavoratore di accedere al proprio fascicolo personale è tutelabile in quanto tale perchè si tratta di una posizione giuridica soggettiva che trae la sua fonte dal rapporto di lavoro. L'obbligo del datore di lavoro di consentirne il pieno esercizio, prima ancora che nella legge n. 675 del 1996, deriva dal rispetto dei canoni di buona fede e correttezza ricadente sulle parti del rapporto lavorativo ex artt. 1175 e 1375 c.c. Del resto, la stessa contrattazione collettiva di diversi settori prevede che i datori di lavoro conservino, in un apposito fascicolo personale, tutti gli atti ed i documenti, prodotti dall'ente o dallo stesso dipendente attinenti al percorso professionale, all'attività svolta ed ai fatti più significativi che lo riguardano e che il dipendente ha il diritto di prendere visione liberamente degli atti e documenti inseriti nel proprio fascicolo personale. Ciò non esclude il diritto del lavoratore di rivolgersi al Garante per la protezione dei dati personali ogni volta che si voglia ottenere, in tempi ragionevoli, uno dei provvedimenti previsti dall'art. 13 della citata legge n. 675, quale l'integrazione dei dati personali detenuti dal datore di lavoro con documenti ulteriori, restando salva la discrezionalità del datore circa le modalità di utilizzo di dette integrazioni.
DECORRENZA DEL TERMINE DI PRESCRIZIONE
Cass. civ., Sez. II, 7 aprile 2016, n. 6747 - pubblicato il 12 aprile 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
La prescrizione dell'azione di responsabilità contrattuale non può iniziare a decorrere prima del verificarsi del danno di cui si chiede il risarcimento; in quanto danno risarcibile, tuttavia, esso deve essere attuale e non solo potenziale, nonché oggettivamente percepibile e riconoscibile da parte di chi intenda ottenerne il ristoro. Ne consegue che in ipotesi di danno derivante dalla stipula di un atto di compravendita immobiliare imputabile a responsabilità del notaio rogante (nella specie per omessa adeguata informazione in ordine alle conseguenze pregiudizievoli derivanti dal negozio quanto alla perdita dei vantaggi legati al tasso degli interessi), non assume rilievo dirimente il momento della stipulazione dell'atto, che attiene, in sé, alla condotta del professionista e, quindi, al profilo dell'inadempimento, ben potendo questo non essere contestualmente produttivo di un danno oggettivamente percepibile all'esterno. Di talché merita riforma la pronuncia del giudice di secondo grado che, nell'accogliere l'eccezione di prescrizione della domanda risarcitoria formulata dal professionista, abbia omesso qualsivoglia apprezzamento in ordine al requisito della effettiva riconoscibilità del danno, ancorando il dies a quo di decorrenza della prescrizione decennale dell'azione risarcitoria alla mera stipula dell'atto di compravendita (come nella specie), in tal modo pretermettendo l'indagine che, invece, lo stesso giudice del merito è tenuto a compiere secondo diritto, ovvero quella sul momento in cui il danno risarcibile, conseguenza dell'inadempimento del notaio, si è prodotto e reso conoscibile alla parte.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
La prescrizione dell'azione di responsabilità contrattuale non può iniziare a decorrere prima del verificarsi del danno di cui si chiede il risarcimento; in quanto danno risarcibile, tuttavia, esso deve essere attuale e non solo potenziale, nonché oggettivamente percepibile e riconoscibile da parte di chi intenda ottenerne il ristoro. Ne consegue che in ipotesi di danno derivante dalla stipula di un atto di compravendita immobiliare imputabile a responsabilità del notaio rogante (nella specie per omessa adeguata informazione in ordine alle conseguenze pregiudizievoli derivanti dal negozio quanto alla perdita dei vantaggi legati al tasso degli interessi), non assume rilievo dirimente il momento della stipulazione dell'atto, che attiene, in sé, alla condotta del professionista e, quindi, al profilo dell'inadempimento, ben potendo questo non essere contestualmente produttivo di un danno oggettivamente percepibile all'esterno. Di talché merita riforma la pronuncia del giudice di secondo grado che, nell'accogliere l'eccezione di prescrizione della domanda risarcitoria formulata dal professionista, abbia omesso qualsivoglia apprezzamento in ordine al requisito della effettiva riconoscibilità del danno, ancorando il dies a quo di decorrenza della prescrizione decennale dell'azione risarcitoria alla mera stipula dell'atto di compravendita (come nella specie), in tal modo pretermettendo l'indagine che, invece, lo stesso giudice del merito è tenuto a compiere secondo diritto, ovvero quella sul momento in cui il danno risarcibile, conseguenza dell'inadempimento del notaio, si è prodotto e reso conoscibile alla parte.
LICENZIAMENTO
Cass. civ., Sez. lavoro, 6 aprile 2016, n. 6697 - pubblicato il 9 aprile 2016
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
Nell'ipotesi di concessione di un periodo di aspettativa, successivo a quello di malattia, i limiti temporali per poter procedere al licenziamento per superamento del periodo di comporto devono essere ulteriormente dilatati, in modo da comprendere anche la durata dell'aspettativa di talché, non può parlarsi in alcun modo di rinuncia tacita al recesso per superamento del periodo di comporto (soprattutto nell'ipotesi in cui il datore di lavoro abbia invitato la lavoratrice a riprendere servizio appena scaduto il periodo di aspettativa), essendo a tal fine necessario valutare il comportamento del datore di lavoro dal momento della ripresa del servizio (a seguito della fruizione del comporto e di aspettativa comunque concessa e sempre connessa allo stato di malattia) che si traduca in una prolungata inerzia datoriale, sintomatica della volontà di rinuncia al potere di licenziamento e tale da ingenerare un corrispondente incolpevole affidamento da parte del dipendente gravando peraltro su quest'ultimo l'onere di provare tale circostanza.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
Nell'ipotesi di concessione di un periodo di aspettativa, successivo a quello di malattia, i limiti temporali per poter procedere al licenziamento per superamento del periodo di comporto devono essere ulteriormente dilatati, in modo da comprendere anche la durata dell'aspettativa di talché, non può parlarsi in alcun modo di rinuncia tacita al recesso per superamento del periodo di comporto (soprattutto nell'ipotesi in cui il datore di lavoro abbia invitato la lavoratrice a riprendere servizio appena scaduto il periodo di aspettativa), essendo a tal fine necessario valutare il comportamento del datore di lavoro dal momento della ripresa del servizio (a seguito della fruizione del comporto e di aspettativa comunque concessa e sempre connessa allo stato di malattia) che si traduca in una prolungata inerzia datoriale, sintomatica della volontà di rinuncia al potere di licenziamento e tale da ingenerare un corrispondente incolpevole affidamento da parte del dipendente gravando peraltro su quest'ultimo l'onere di provare tale circostanza.
ACQUIESCENZA
Cass. civ., Sez. V, 1° aprile 2016, n. 6334 - pubblicato il 6 aprile 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
L'acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell'impugnazione ai sensi dell'art. 329 c.p.c. (e configurabile solo anteriormente alla proposizione del gravame, giacché successivamente allo stesso è possibile solo una rinunzia espressa all'impugnazione da compiersi nella forma prescritta dalla legge), consiste nell'accettazione della sentenza, ovverosia nella manifestazione da parte del soccombente della volontà di non impugnare, la quale può avvenire sia in forma espressa che tacita: in quest'ultimo caso, l'acquiescenza può ritenersi sussistente soltanto quando l'interessato abbia posto in essere atti da quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia, quando cioè gli atti stessi siano assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi dell'impugnazione. Ne consegue che la spontanea esecuzione della pronunzia di primo grado favorevole al contribuente da parte della P.A., anche quando la riserva d'impugnazione non venga dalla medesima a quest'ultimo resa nota, non comporta acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell'impugnazione ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 329 c.p.c. e 49 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, trattandosi di un comportamento che può risultare fondato anche sulla mera volontà di evitare le eventuali ulteriori spese di precetto e dei successivi atti di esecuzione.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
L'acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell'impugnazione ai sensi dell'art. 329 c.p.c. (e configurabile solo anteriormente alla proposizione del gravame, giacché successivamente allo stesso è possibile solo una rinunzia espressa all'impugnazione da compiersi nella forma prescritta dalla legge), consiste nell'accettazione della sentenza, ovverosia nella manifestazione da parte del soccombente della volontà di non impugnare, la quale può avvenire sia in forma espressa che tacita: in quest'ultimo caso, l'acquiescenza può ritenersi sussistente soltanto quando l'interessato abbia posto in essere atti da quali sia possibile desumere, in maniera precisa ed univoca, il proposito di non contrastare gli effetti giuridici della pronuncia, quando cioè gli atti stessi siano assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi dell'impugnazione. Ne consegue che la spontanea esecuzione della pronunzia di primo grado favorevole al contribuente da parte della P.A., anche quando la riserva d'impugnazione non venga dalla medesima a quest'ultimo resa nota, non comporta acquiescenza alla sentenza, preclusiva dell'impugnazione ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 329 c.p.c. e 49 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, trattandosi di un comportamento che può risultare fondato anche sulla mera volontà di evitare le eventuali ulteriori spese di precetto e dei successivi atti di esecuzione.
CIRCOLAZIONE STRADALE
Cass. civ., Sez. VI, 1° aprile 2016, n. 6403 - pubblicato il 5 aprile 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
L'abilitazione alla guida è una valutazione astratta di idoneità attestante l'esistenza dei requisiti fisici e psichici, senza avere nulla a che vedere con il concreto comportamento del conducente. Di talché, ove esista un'abilitazione alla guida, l'inosservanza di prescrizioni o limitazioni, eventualmente imposte dal legislatore, non si traduce in una limitazione della validità od efficacia del titolo abilitativo.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
L'abilitazione alla guida è una valutazione astratta di idoneità attestante l'esistenza dei requisiti fisici e psichici, senza avere nulla a che vedere con il concreto comportamento del conducente. Di talché, ove esista un'abilitazione alla guida, l'inosservanza di prescrizioni o limitazioni, eventualmente imposte dal legislatore, non si traduce in una limitazione della validità od efficacia del titolo abilitativo.
MALTRATTAMENTI IN FAMIGLIA
Cass. pen., Sez. Unite, 16 marzo 2016, n. 10959 - pubblicato il 1° aprile 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
La disposizione dell'art. 408 c.p.p., comma 3-bis, che stabilisce l'obbligo di dare avviso alla persona offesa della richiesta di archiviazione con riferimento ai delitti commessi con violenza alla persona, è riferibile anche ai reati di atti persecutori e di maltrattamenti, previsti rispettivamente dagli artt. 612-bis e 572 cod. pen., perchè l'espressione violenza alla persona deve essere intesa alla luce del concetto di violenza di genere, quale risulta dalle pertinenti disposizioni di diritto internazionale recepite e di diritto comunitario
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
La disposizione dell'art. 408 c.p.p., comma 3-bis, che stabilisce l'obbligo di dare avviso alla persona offesa della richiesta di archiviazione con riferimento ai delitti commessi con violenza alla persona, è riferibile anche ai reati di atti persecutori e di maltrattamenti, previsti rispettivamente dagli artt. 612-bis e 572 cod. pen., perchè l'espressione violenza alla persona deve essere intesa alla luce del concetto di violenza di genere, quale risulta dalle pertinenti disposizioni di diritto internazionale recepite e di diritto comunitario
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VIOLENZA SESSUALE
Cass. pen., Sez. III, 15 febbraio 2016, n. 6119 - pubblicato il 30 marzo 2016
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
La Corte d'appello di Milano, nell'escludere la contestata induzione della minore alla realizzazione del video con immagini pornografiche e riconducendo il fatto alla ipotesi di cui all'art. 600 ter c.p., comma 3, ha evidenziato la consapevole partecipazione della minore alla vicenda, nell'ambito del rapporto intercorrente tra la stessa e l'imputato, ed ha sottolineato il ruolo attivo e la consapevolezza della parte offesa. Nel rideterminare, a seguito di tale riqualificazione del fatto, la somma liquidata alle parti civili quale risarcimento del danno, la Corte d'appello la ha ridotta tenendo conto del ruolo avuto nella vicenda dalla minore, in tal modo considerando il concorso della parte offesa nella produzione del danno dalla stessa lamentato, in relazione al quale si è costituita parte civile (rappresentata dai genitori, che hanno agito anche in proprio) ed ha proposto domanda di risarcimento. Tale decisione costituisce corretta applicazione della regola generale dettata, in materia di inadempimento delle obbligazioni, dall'art. 1227 c.c., comma 1, secondo cui se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate. In particolare la Corte d'appello di Milano, nell'escludere l'induzione della parte offesa alla realizzazione del video di contenuto pornografico poi divulgato dall'imputato, ha descritto il ruolo di protagonista attiva svolto dalla minore nella vicenda, nell'ambito di una condivisa dinamica di provocazioni e sollecitazioni reciproche, in una sorta di malinteso gioco di esplicito contenuto erotico e sessuale, di cui entrambi i soggetti (l'imputato e la parte offesa) erano protagonisti attivi e nel cui contesto la minore agiva per compiacere l'imputato e procurarsene il favore. Sulla base di tale ricostruzione della vicenda e, soprattutto, del ruolo che vi ebbe la minore parte offesa, la Corte d'appello non ha, come sostenuto dai ricorrenti, affermato che il danno derivato dalla condotta dell'imputato sia di minore entità in conseguenza della riqualificazione del fatto (benchè nella valutazione del danno psichico lamentato dalla minore debba, comunque, tenersi conto del suo ruolo attivo e della sua consapevole partecipazione alla vicenda, caratterizzata da sollecitazioni reciproche), ma ha ritenuto che nella determinazione del risarcimento da liquidare alle parti civili dovesse tenersi conto del ruolo dei due protagonisti della vicenda (quale descritto nella ricostruzione della stessa e che aveva determinato l'esclusione dell'induzione della minore da parte dell'imputato): dunque la Corte d'appello non ha ritenuto il danno conseguente al reato di minore entità, ma ha fatto riferimento al concorso della parte offesa nella verificazione dell'evento produttivo dei danni che la stessa ha lamentato, in quanto la volontaria realizzazione del video e la sua trasmissione all'imputato costituì un antecedente causale necessario della successiva sua divulgazione, da cui derivarono i danni lamentati dalla minore, danni che sono quindi riconducibili anche ad una condotta colposa concorrente della danneggiata, da valutare nella liquidazione del risarcimento ai sensi dell'art. 1227 c.c., comma 1. Costituisce, infatti, principio più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità quello secondo cui l'esposizione volontaria ad un rischio, o, comunque, la consapevolezza di porsi in una situazione da cui consegua la probabilità che si produca a proprio danno un evento pregiudizievole, è idonea ad integrare una corresponsabilità del danneggiato e a ridurre, proporzionalmente, la responsabilità del danneggiante, in quanto viene a costituire un antecedente causale necessario del verificarsi dell'evento, ai sensi dell'art. 1227 c.c., comma 1, (Sez. 3 Civ., Sentenza n. 11698 del 26/05/2014, Tornassi contro Ina Assitalia Spa ed altri, Rv. 631111). Ora, nella specie, la volontaria e consapevole realizzazione del video da parte della minore e la trasmissione dello stesso all'imputato ha costituito volontaria esposizione al rischio della sua diffusione da parte della minore, con la consapevolezza di porsi in una situazione da cui conseguiva la probabilità che si producesse a proprio danno un evento pregiudizievole (e cioè la diffusione del video), e determina una corresponsabilità nella verificazione del danno conseguente alla diffusione del video, sicchè risulta corretta la decisione della Corte d'appello di ridurre il risarcimento alla luce del ruolo avuto dalla minore nella vicenda. Non sussiste, di conseguenza, il vizio di motivazione denunciato dai ricorrenti, in quanto, sia pure con riferimento alla precedente ricostruzione della vicenda e del ruolo che vi ebbe la parte offesa, la Corte d'appello ha spiegato con l'assenza di induzione e con il ruolo svolto dai due protagonisti la riduzione del risarcimento, facendo corretta applicazione dei suddetti principi in materia di concorso del fatto colposo del creditore, di cui ha dato, sia pure in sintesi, conto nella motivazione della sentenza impugnata. Il ricorso in esame deve, quindi, essere respinto, non sussistendo il denunciato vizio di motivazione, ed i ricorrenti debbono essere condannati al pagamento delle spese processuali.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
La Corte d'appello di Milano, nell'escludere la contestata induzione della minore alla realizzazione del video con immagini pornografiche e riconducendo il fatto alla ipotesi di cui all'art. 600 ter c.p., comma 3, ha evidenziato la consapevole partecipazione della minore alla vicenda, nell'ambito del rapporto intercorrente tra la stessa e l'imputato, ed ha sottolineato il ruolo attivo e la consapevolezza della parte offesa. Nel rideterminare, a seguito di tale riqualificazione del fatto, la somma liquidata alle parti civili quale risarcimento del danno, la Corte d'appello la ha ridotta tenendo conto del ruolo avuto nella vicenda dalla minore, in tal modo considerando il concorso della parte offesa nella produzione del danno dalla stessa lamentato, in relazione al quale si è costituita parte civile (rappresentata dai genitori, che hanno agito anche in proprio) ed ha proposto domanda di risarcimento. Tale decisione costituisce corretta applicazione della regola generale dettata, in materia di inadempimento delle obbligazioni, dall'art. 1227 c.c., comma 1, secondo cui se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate. In particolare la Corte d'appello di Milano, nell'escludere l'induzione della parte offesa alla realizzazione del video di contenuto pornografico poi divulgato dall'imputato, ha descritto il ruolo di protagonista attiva svolto dalla minore nella vicenda, nell'ambito di una condivisa dinamica di provocazioni e sollecitazioni reciproche, in una sorta di malinteso gioco di esplicito contenuto erotico e sessuale, di cui entrambi i soggetti (l'imputato e la parte offesa) erano protagonisti attivi e nel cui contesto la minore agiva per compiacere l'imputato e procurarsene il favore. Sulla base di tale ricostruzione della vicenda e, soprattutto, del ruolo che vi ebbe la minore parte offesa, la Corte d'appello non ha, come sostenuto dai ricorrenti, affermato che il danno derivato dalla condotta dell'imputato sia di minore entità in conseguenza della riqualificazione del fatto (benchè nella valutazione del danno psichico lamentato dalla minore debba, comunque, tenersi conto del suo ruolo attivo e della sua consapevole partecipazione alla vicenda, caratterizzata da sollecitazioni reciproche), ma ha ritenuto che nella determinazione del risarcimento da liquidare alle parti civili dovesse tenersi conto del ruolo dei due protagonisti della vicenda (quale descritto nella ricostruzione della stessa e che aveva determinato l'esclusione dell'induzione della minore da parte dell'imputato): dunque la Corte d'appello non ha ritenuto il danno conseguente al reato di minore entità, ma ha fatto riferimento al concorso della parte offesa nella verificazione dell'evento produttivo dei danni che la stessa ha lamentato, in quanto la volontaria realizzazione del video e la sua trasmissione all'imputato costituì un antecedente causale necessario della successiva sua divulgazione, da cui derivarono i danni lamentati dalla minore, danni che sono quindi riconducibili anche ad una condotta colposa concorrente della danneggiata, da valutare nella liquidazione del risarcimento ai sensi dell'art. 1227 c.c., comma 1. Costituisce, infatti, principio più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità quello secondo cui l'esposizione volontaria ad un rischio, o, comunque, la consapevolezza di porsi in una situazione da cui consegua la probabilità che si produca a proprio danno un evento pregiudizievole, è idonea ad integrare una corresponsabilità del danneggiato e a ridurre, proporzionalmente, la responsabilità del danneggiante, in quanto viene a costituire un antecedente causale necessario del verificarsi dell'evento, ai sensi dell'art. 1227 c.c., comma 1, (Sez. 3 Civ., Sentenza n. 11698 del 26/05/2014, Tornassi contro Ina Assitalia Spa ed altri, Rv. 631111). Ora, nella specie, la volontaria e consapevole realizzazione del video da parte della minore e la trasmissione dello stesso all'imputato ha costituito volontaria esposizione al rischio della sua diffusione da parte della minore, con la consapevolezza di porsi in una situazione da cui conseguiva la probabilità che si producesse a proprio danno un evento pregiudizievole (e cioè la diffusione del video), e determina una corresponsabilità nella verificazione del danno conseguente alla diffusione del video, sicchè risulta corretta la decisione della Corte d'appello di ridurre il risarcimento alla luce del ruolo avuto dalla minore nella vicenda. Non sussiste, di conseguenza, il vizio di motivazione denunciato dai ricorrenti, in quanto, sia pure con riferimento alla precedente ricostruzione della vicenda e del ruolo che vi ebbe la parte offesa, la Corte d'appello ha spiegato con l'assenza di induzione e con il ruolo svolto dai due protagonisti la riduzione del risarcimento, facendo corretta applicazione dei suddetti principi in materia di concorso del fatto colposo del creditore, di cui ha dato, sia pure in sintesi, conto nella motivazione della sentenza impugnata. Il ricorso in esame deve, quindi, essere respinto, non sussistendo il denunciato vizio di motivazione, ed i ricorrenti debbono essere condannati al pagamento delle spese processuali.
EDILIZIA
Corte cost., 23 marzo 2016, n. 56 - pubblicato il 29 marzo 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
E' costituzionalmente illegittimo l'art. 181, comma 1-bis, lett. a) del D.Lgs. n. 42 del 2004 in relazione agli artt. 3 e 27 della Cost., nella parte in cui, anche quando non risultino superati i limiti quantitativi previsti dalla lettera b), punisce con la sanzione della reclusione da uno a quattro anni, anziché con le pene più lievi previste dal precedente comma I, colui che senza la prescritta autorizzazione o in difformità da essa, esegua lavori di qualsiasi genere su immobili o aree che per le loro caratteristiche paesaggistiche siano stati dichiarate di notevoli interesse pubblico, con specifico provvedimento emanato prima della realizzazione dei lavori. La violazione delle norme costituzionali appare evidente ove si ponga a raffronto l'art. 181, comma 1-bis, lett. a) del codice con l'art. 734 c.p., che commina l'ammenda fino a 6.197,00 euro a colui che distrugge o altera le bellezze naturali soggette a speciale protezione dell'autorità. La discrezionalità di cui gode il legislatore nel delineare il sistema sanzionatorio penale trova il limite della manifesta irragionevolezza e dell'arbitrio, come nel caso in cui vi siano notevoli sperequazioni tra fattispecie omogenee non sorrette da alcuna ragionevole giustificazione.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
E' costituzionalmente illegittimo l'art. 181, comma 1-bis, lett. a) del D.Lgs. n. 42 del 2004 in relazione agli artt. 3 e 27 della Cost., nella parte in cui, anche quando non risultino superati i limiti quantitativi previsti dalla lettera b), punisce con la sanzione della reclusione da uno a quattro anni, anziché con le pene più lievi previste dal precedente comma I, colui che senza la prescritta autorizzazione o in difformità da essa, esegua lavori di qualsiasi genere su immobili o aree che per le loro caratteristiche paesaggistiche siano stati dichiarate di notevoli interesse pubblico, con specifico provvedimento emanato prima della realizzazione dei lavori. La violazione delle norme costituzionali appare evidente ove si ponga a raffronto l'art. 181, comma 1-bis, lett. a) del codice con l'art. 734 c.p., che commina l'ammenda fino a 6.197,00 euro a colui che distrugge o altera le bellezze naturali soggette a speciale protezione dell'autorità. La discrezionalità di cui gode il legislatore nel delineare il sistema sanzionatorio penale trova il limite della manifesta irragionevolezza e dell'arbitrio, come nel caso in cui vi siano notevoli sperequazioni tra fattispecie omogenee non sorrette da alcuna ragionevole giustificazione.
LICENZIAMENTO
Cass. civ., Sez. lavoro, 22 marzo 2016, n. 5592 - pubblicato il 25 marzo 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
In materia di illegittimo licenziamento per giustificato motivo oggettivo, spetta al datore di lavoro l'allegazione e la prova dell'impossibilità dei repechage del lavoratore licenziato, in quanto requisito del giustificato motivo di licenziamento, con esclusione di un onere di allegazione al riguardo del prestatore, essendo contraria agli ordinari principi processuali una divaricazione tra i due suddetti oneri, entrambi spettanti alla parte deducente.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
In materia di illegittimo licenziamento per giustificato motivo oggettivo, spetta al datore di lavoro l'allegazione e la prova dell'impossibilità dei repechage del lavoratore licenziato, in quanto requisito del giustificato motivo di licenziamento, con esclusione di un onere di allegazione al riguardo del prestatore, essendo contraria agli ordinari principi processuali una divaricazione tra i due suddetti oneri, entrambi spettanti alla parte deducente.
IMMIGRAZIONE
Cass. civ., Sez. VI, Ordinanza, 22 marzo 2016, n. 5642 - pubblicato il 25 marzo 2016
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In materia di immigrazione, le espulsioni amministrative adottate antecedentemente all'apertura del procedimento di emersione, non sono soggette alla sospensione ex lege prevista dall'art. 1-ter, comma 8, del D.L. 1° luglio 2009, n. 78, convertito in legge 3 agosto 2009, n. 102 poiché, alla stregua della chiara lettera di questa, e della evidente ratio dell'istituto, la sospensione del potere espulsivo correlata alla procedura di emersione rende invalida l'espulsione in sua pendenza adottata e, non è quindi, idonea a determinare l'invalidazione ex ante di una espulsione emessa prima ancora che il datore di lavoro presenti la richiesta di emersione. Conseguentemente, non si ha sospensione del procedimento di espulsione nel caso in cui questo sia iniziato prima della presentazione della domanda di emersione e, allo stesso modo, la sospensione non si verifica laddove il procedimento di emersione si sia concluso con esito negativo prima dell'inizio del procedimento di espulsione stesso. Infatti, in nessuno dei due casi vi un procedimento pendente di emersione e pertanto non sussistono i presupposti per la sospensione del procedimento di espulsione.
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In materia di immigrazione, le espulsioni amministrative adottate antecedentemente all'apertura del procedimento di emersione, non sono soggette alla sospensione ex lege prevista dall'art. 1-ter, comma 8, del D.L. 1° luglio 2009, n. 78, convertito in legge 3 agosto 2009, n. 102 poiché, alla stregua della chiara lettera di questa, e della evidente ratio dell'istituto, la sospensione del potere espulsivo correlata alla procedura di emersione rende invalida l'espulsione in sua pendenza adottata e, non è quindi, idonea a determinare l'invalidazione ex ante di una espulsione emessa prima ancora che il datore di lavoro presenti la richiesta di emersione. Conseguentemente, non si ha sospensione del procedimento di espulsione nel caso in cui questo sia iniziato prima della presentazione della domanda di emersione e, allo stesso modo, la sospensione non si verifica laddove il procedimento di emersione si sia concluso con esito negativo prima dell'inizio del procedimento di espulsione stesso. Infatti, in nessuno dei due casi vi un procedimento pendente di emersione e pertanto non sussistono i presupposti per la sospensione del procedimento di espulsione.
DONAZIONE
Cass. civ., Sez. Unite, 15 marzo 2016, n. 5068 - pubblicato il 18 marzo 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
La donazione è un negozio giuridico valido ed efficace a condizione che il bene si trovi nel patrimonio del donante al momento della stipula del contratto. Nel caso in cui la cosa non appartenga al donante, questi deve assumere espressamente e formalmente nell'atto l'obbligazione di procurare l'acquisto dal terzo al donatario. Dunque la donazione di bene altrui vale come donazione obbligatoria di dare purché l'altruità sia conosciuta dal donante e tale consapevolezza risulti da un'apposita espressa affermazione nell'atto pubblico. Nel caso in cui, invece, l'altruità del bene donato non risulti dal titolo e non sia nota alle parti, il contratto non potrà produrre effetti obbligatori né potrà applicarsi la disciplina della vendita di cosa altrui. E' nulla la donazione di beni che il donante ritenga, per errore, suoi, determinando, la mancata conoscenza dell'altruità, l'impossibilità assoluta di realizzazione del programma negoziale e, quindi, la carenza della causa donativa.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
La donazione è un negozio giuridico valido ed efficace a condizione che il bene si trovi nel patrimonio del donante al momento della stipula del contratto. Nel caso in cui la cosa non appartenga al donante, questi deve assumere espressamente e formalmente nell'atto l'obbligazione di procurare l'acquisto dal terzo al donatario. Dunque la donazione di bene altrui vale come donazione obbligatoria di dare purché l'altruità sia conosciuta dal donante e tale consapevolezza risulti da un'apposita espressa affermazione nell'atto pubblico. Nel caso in cui, invece, l'altruità del bene donato non risulti dal titolo e non sia nota alle parti, il contratto non potrà produrre effetti obbligatori né potrà applicarsi la disciplina della vendita di cosa altrui. E' nulla la donazione di beni che il donante ritenga, per errore, suoi, determinando, la mancata conoscenza dell'altruità, l'impossibilità assoluta di realizzazione del programma negoziale e, quindi, la carenza della causa donativa.
ALBO PROFESSIONALE
Cass. civ., Sez. Unite, 15 marzo 2016, n. 5073 - pubblicato il 18 marzo 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
L'avvocato che abbia conseguito il titolo professionale, equivalente a quello Italiano, in un altro Paese membro, avvalendosi della procedura di "stabilimento-integrazione" di cui alla direttiva 98/5/CE, finalizzata a facilitare l'esercizio permanente della professione in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica, può chiedere l'iscrizione nella Sezione speciale dell'Albo italiano del Foro nel quale voglia eleggere domicilio professionale in Italia, utilizzando il proprio titolo d'origine e, al termine di un periodo triennale di effettiva attività in Italia, può chiedere di essere integrato con il titolo di avvocato italiano e l'iscrizione all'Albo ordinario, dimostrando al Consiglio dell'Ordine effettività e regolarità dell'attività svolta in Italia come professionista comunitario stabilito.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
L'avvocato che abbia conseguito il titolo professionale, equivalente a quello Italiano, in un altro Paese membro, avvalendosi della procedura di "stabilimento-integrazione" di cui alla direttiva 98/5/CE, finalizzata a facilitare l'esercizio permanente della professione in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica, può chiedere l'iscrizione nella Sezione speciale dell'Albo italiano del Foro nel quale voglia eleggere domicilio professionale in Italia, utilizzando il proprio titolo d'origine e, al termine di un periodo triennale di effettiva attività in Italia, può chiedere di essere integrato con il titolo di avvocato italiano e l'iscrizione all'Albo ordinario, dimostrando al Consiglio dell'Ordine effettività e regolarità dell'attività svolta in Italia come professionista comunitario stabilito.
PROCURA AD LITEM
Cass. civ., Sez. Unite, 14 marzo 2016, n. 4909 - pubblicato il 18 marzo 2016
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
La procura ad litem è l'atto formale con il quale si conferisce al difensore lo ius postulandi, ovvero il ministero di rappresentare la parte in seno al processo Trattasi di un negozio unilaterale processuale, formale ed autonomo con il quale si conferisce al difensore il potere di rappresentanza in giudizio. La legge non determina il contenuto minimo della procura limitandosi a distinguere tra procura generale e speciale e stabilire che il difensore può compiere e ricevere, nell'interesse della parte, tutti gli atti del processo che dalla legge non sono riservati espressamente alla stessa. E' inibito al procuratore, il compimento degli atti di disposizione del diritto contestato, in mancanza di espresso incarico.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
La procura ad litem è l'atto formale con il quale si conferisce al difensore lo ius postulandi, ovvero il ministero di rappresentare la parte in seno al processo Trattasi di un negozio unilaterale processuale, formale ed autonomo con il quale si conferisce al difensore il potere di rappresentanza in giudizio. La legge non determina il contenuto minimo della procura limitandosi a distinguere tra procura generale e speciale e stabilire che il difensore può compiere e ricevere, nell'interesse della parte, tutti gli atti del processo che dalla legge non sono riservati espressamente alla stessa. E' inibito al procuratore, il compimento degli atti di disposizione del diritto contestato, in mancanza di espresso incarico.
ASSEMBLEA CONDOMINIALE
Cass. civ., Sez. II, 10 marzo 2016, n. 4726 - pubblicato il 15 marzo 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
I poteri dell'assemblea condominiale, fissati tassativamente dall'art. 1135 c.c., non possono invadere la sfera di proprietà dei singoli condomini, sia in ordine alle res comuni che a quelle esclusive, tranne nell'ipotesi in cui una siffatta invasione sia stata da loro specificamente accettata o nei singoli atti di acquisto o mediante approvazione del regolamento di condominio che la preveda.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
I poteri dell'assemblea condominiale, fissati tassativamente dall'art. 1135 c.c., non possono invadere la sfera di proprietà dei singoli condomini, sia in ordine alle res comuni che a quelle esclusive, tranne nell'ipotesi in cui una siffatta invasione sia stata da loro specificamente accettata o nei singoli atti di acquisto o mediante approvazione del regolamento di condominio che la preveda.
SCALE CONDOMINIALI
Cass. civ., Sez. VI, 9 marzo 2016, n. 4664 - pubblicato il 15 marzo 2016
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
La scala di un edificio condominiale costituisce in sé una struttura essenziale del fabbricato e serve a tutti i condomini di questo, come strumento indispensabile per l'esercizio del godimento della relativa copertura. Di talché non può fondatamente affermarsi che i proprietari degli appartamenti sottostanti, non avendo ordinariamente interesse a precorrere anche le rampe superiori, sono esclusi dalla comproprietà della scala nella sua integralità condominiale
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
La scala di un edificio condominiale costituisce in sé una struttura essenziale del fabbricato e serve a tutti i condomini di questo, come strumento indispensabile per l'esercizio del godimento della relativa copertura. Di talché non può fondatamente affermarsi che i proprietari degli appartamenti sottostanti, non avendo ordinariamente interesse a precorrere anche le rampe superiori, sono esclusi dalla comproprietà della scala nella sua integralità condominiale
NOTAIO
Cass. civ., Sez. II, 3 marzo 2016, n. 4206 - pubblicato il 9 marzo 2016
a cura dello Studio Legale Gaetano Riccio - Eliana Libroia
In tema di illeciti disciplinari previsti a carico di chi esercita la professione notarile, l'art. 147, lett. a) della L. 16 febbraio 1913 n. 89 prevede una fattispecie disciplinare a condotta libera, all'interno della quale è punibile ogni comportamento, posto in essere sia nella vita pubblica che nella vita privata, idoneo a compromettere l'interesse tutelato, che si verifica ogni volta che venga posta in essere una violazione dei principi di deontologia enucleabili dal comune sentire in un determinato momento storico.
a cura dello Studio Legale Gaetano Riccio - Eliana Libroia
In tema di illeciti disciplinari previsti a carico di chi esercita la professione notarile, l'art. 147, lett. a) della L. 16 febbraio 1913 n. 89 prevede una fattispecie disciplinare a condotta libera, all'interno della quale è punibile ogni comportamento, posto in essere sia nella vita pubblica che nella vita privata, idoneo a compromettere l'interesse tutelato, che si verifica ogni volta che venga posta in essere una violazione dei principi di deontologia enucleabili dal comune sentire in un determinato momento storico.
CONDOMINIO
Cass. civ., Sez. II, 2 marzo 2016, n. 4127 - pubblicato il 7 marzo 2016
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In tema di condominio, ai fini della affermazione della natura condominiale di un bene, è necessario che esso abbia l'attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo, cioè, che sia collegato strumentalmente, materialmente o funzionalmente con le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini. In tale ottica, se la relazione funzionale interessa una singola unità immobiliare in proprietà esclusiva, nel senso che la cosa risulta destinata al solo servizio di questa, la natura condominiale del bene deve escludersi.
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In tema di condominio, ai fini della affermazione della natura condominiale di un bene, è necessario che esso abbia l'attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo, cioè, che sia collegato strumentalmente, materialmente o funzionalmente con le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini. In tale ottica, se la relazione funzionale interessa una singola unità immobiliare in proprietà esclusiva, nel senso che la cosa risulta destinata al solo servizio di questa, la natura condominiale del bene deve escludersi.
OPPOSIZIONE A DECRETO INGIUNTIVO
Cass. civ., Sez. II, 1° marzo 2016, n. 4051 - pubblicato il 7 marzo 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
Nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo il creditore ha la facoltà di modificare la domanda proposta in via monitoria, essendogli consentita l'emendatio libelli ma assolutamente non gli è consentita la c.d. mutatio libelli. La modificazione della domanda, consentita ai sensi dell'art. 183 c.p.c. può riguardare uno o entrambi gli elementi della domanda, il petitum e la causa petendi, sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l'allungamento dei termini processuali. Tale possibilità è finalizzata a consentire che si concentrino, in un unico processo e dinnanzi allo stesso giudice, delle controversie aventi ad oggetto la medesima vicenda sostanziale, piuttosto che determinare la potenziale proliferazione dei processi.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
Nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo il creditore ha la facoltà di modificare la domanda proposta in via monitoria, essendogli consentita l'emendatio libelli ma assolutamente non gli è consentita la c.d. mutatio libelli. La modificazione della domanda, consentita ai sensi dell'art. 183 c.p.c. può riguardare uno o entrambi gli elementi della domanda, il petitum e la causa petendi, sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l'allungamento dei termini processuali. Tale possibilità è finalizzata a consentire che si concentrino, in un unico processo e dinnanzi allo stesso giudice, delle controversie aventi ad oggetto la medesima vicenda sostanziale, piuttosto che determinare la potenziale proliferazione dei processi.
RISARCIMENTO DEL DANNO
Cass. civ., Sez. lavoro, 1° marzo 2016, n. 4031 - pubblicato il 4 marzo 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
In tema di rapporto di lavoro subordinato, nell'ipotesi di demansionamento, il risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale non può essere riconosciuto automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale, e non può prescindere da una specifica allegazione, da parte del lavoratore, dell'esistenza di un pregiudizio che alteri le sue abitudini ed i suoi assetti relazionali, inducendolo a scelte di vita diverse, quanto all'espressione ed alla realizzazione della sua personalità nel mondo esterno. A tal uopo, non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo sul lavoratore l'onere di fornire la prova del danno e del nesso di causalità con l'inadempimento datoriale.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
In tema di rapporto di lavoro subordinato, nell'ipotesi di demansionamento, il risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale non può essere riconosciuto automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale, e non può prescindere da una specifica allegazione, da parte del lavoratore, dell'esistenza di un pregiudizio che alteri le sue abitudini ed i suoi assetti relazionali, inducendolo a scelte di vita diverse, quanto all'espressione ed alla realizzazione della sua personalità nel mondo esterno. A tal uopo, non è sufficiente dimostrare la mera potenzialità lesiva della condotta datoriale, incombendo sul lavoratore l'onere di fornire la prova del danno e del nesso di causalità con l'inadempimento datoriale.
CONTRATTO DI COMPRAVENDITA
Cass. civ., Sez. II, 26 febbraio 2016, n. 3855 - pubblicato il 2 marzo 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
In tema di contratto di compravendita, l'avente causa in forza di un contratto di vendita di un immobile da colui che, in un precedente contratto preliminare si sia reso, a sua volta, promittente venditore del medesimo immobile, ha interesse ad intervenire nella causa di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere il contratto, per inadempimento del preliminare, introdotta dai promissari acquirenti, per sostenere le ragioni del proprio dante causa, onde evitare che l'accoglimento della domanda pregiudichi l'effetto traslativo del secondo contratto. Tuttavia, trattandosi di intervento adesivo dipendente, i poteri processuali del terzo sono limitati dall'ambito delle domande e delle eccezioni già svolte dall'adiuvato, essendo la sua posizione tutelata nei termini di cui all'art. 111 c.p.c.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
In tema di contratto di compravendita, l'avente causa in forza di un contratto di vendita di un immobile da colui che, in un precedente contratto preliminare si sia reso, a sua volta, promittente venditore del medesimo immobile, ha interesse ad intervenire nella causa di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere il contratto, per inadempimento del preliminare, introdotta dai promissari acquirenti, per sostenere le ragioni del proprio dante causa, onde evitare che l'accoglimento della domanda pregiudichi l'effetto traslativo del secondo contratto. Tuttavia, trattandosi di intervento adesivo dipendente, i poteri processuali del terzo sono limitati dall'ambito delle domande e delle eccezioni già svolte dall'adiuvato, essendo la sua posizione tutelata nei termini di cui all'art. 111 c.p.c.
DANNO
Cass. civ., Sez. Unite, 25 febbraio 2016, n. 3727 - pubblicato il 1° marzo 2016
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
La fattispecie criminosa di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale di cui all'art. 684 c.p. integra un reato monoffensivo, posto che obiettivo della norma, prima della conclusione delle indagini preliminari, è quello di non compromettere il buon andamento delle stesse e, dopo tale momento, quello di salvaguardare i principi propri del processo accusatorio. Ne consegue che la sola violazione della norma incriminatrice de qua non attribuisce alcuna autonoma pretesa risarcitoria alla parte coinvolta nel processo.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
La fattispecie criminosa di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale di cui all'art. 684 c.p. integra un reato monoffensivo, posto che obiettivo della norma, prima della conclusione delle indagini preliminari, è quello di non compromettere il buon andamento delle stesse e, dopo tale momento, quello di salvaguardare i principi propri del processo accusatorio. Ne consegue che la sola violazione della norma incriminatrice de qua non attribuisce alcuna autonoma pretesa risarcitoria alla parte coinvolta nel processo.
RECIPROCA SOCCOMBENZA
Cass. civ., Sez. III, 22 febbraio 2016, n. 3438 - pubblicato il 25 febbraio 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
La reciproca soccombenza che giustifica la possibile applicazione della regola della totale o parziale compensazione delle spese di giudizio, ai sensi dell'art. 92, comma 2, c.p.c., deve ravvisarsi sia in ipotesi di pluralità di domande contrapposte, accolte o rigettate che si siano trovate in cumulo nel medesimo processo fra le stesse parti, sia in ipotesi di accoglimento parziale dell'unica domanda proposta, se articolata in più capi con accoglimento di uno o alcuni e rigetto degli altri, sia se la parzialità dell'accoglimento sia meramente quantitativa e riguardi una domanda articolata in un unico capo. Disposta la compensazione parziale delle spese di lite, è la parte che abbia dato causa in misura prevalente agli oneri processuali, ed alla quale quindi questi siano in maggior misura imputabili, quella che può essere condannata al pagamento di tale corrispondente maggior misura.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
La reciproca soccombenza che giustifica la possibile applicazione della regola della totale o parziale compensazione delle spese di giudizio, ai sensi dell'art. 92, comma 2, c.p.c., deve ravvisarsi sia in ipotesi di pluralità di domande contrapposte, accolte o rigettate che si siano trovate in cumulo nel medesimo processo fra le stesse parti, sia in ipotesi di accoglimento parziale dell'unica domanda proposta, se articolata in più capi con accoglimento di uno o alcuni e rigetto degli altri, sia se la parzialità dell'accoglimento sia meramente quantitativa e riguardi una domanda articolata in un unico capo. Disposta la compensazione parziale delle spese di lite, è la parte che abbia dato causa in misura prevalente agli oneri processuali, ed alla quale quindi questi siano in maggior misura imputabili, quella che può essere condannata al pagamento di tale corrispondente maggior misura.
COMPETENZA TERRITORIALE
Cass. civ., Sez. VI, Ordinanza, 22 febbraio 2016, n. 3386 - pubblicato il 25 febbraio 2016
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Non è efficace la clausola derogatrice della competenza territoriale inserita tra le condizioni generali di contratto dattiloscritte in calce ai documenti di trasporto predisposti dalla società venditrice e sottoscritti dall'acquirente, peraltro con firma illeggibile, al momento della ricezione della merce (come nella fattispecie). L'anzidetta previsione inserita nelle condizioni generali di contratto ai sensi degli artt. 1341 e 1342 c.c., invero, integra una clausola vessatoria, comportando l'alterazione del sinallagma contrattuale, per la previsione di un foro esclusivo a favore del solo predisponente, di talché la stessa deve essere specificamente approvata per iscritto, con sottoscrizione distinta da quella di approvazione delle condizioni generali di contratto.
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Non è efficace la clausola derogatrice della competenza territoriale inserita tra le condizioni generali di contratto dattiloscritte in calce ai documenti di trasporto predisposti dalla società venditrice e sottoscritti dall'acquirente, peraltro con firma illeggibile, al momento della ricezione della merce (come nella fattispecie). L'anzidetta previsione inserita nelle condizioni generali di contratto ai sensi degli artt. 1341 e 1342 c.c., invero, integra una clausola vessatoria, comportando l'alterazione del sinallagma contrattuale, per la previsione di un foro esclusivo a favore del solo predisponente, di talché la stessa deve essere specificamente approvata per iscritto, con sottoscrizione distinta da quella di approvazione delle condizioni generali di contratto.
SANZIONI DISCIPLINARI
Cass. civ., Sez. Lavoro, 22 febbraio 2016, n. 3416 - pubblicato il 25 febbraio 2016
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
La proporzionalità della sanzione disciplinare è nozione che la legge configura con disposizioni, ascrivibili alla tipologia delle cd. clausole generali, di limitato contenuto e delineanti un modulo generico richiedente di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Orbene, la valutazione compiuta dal giudice di merito nell'applicare le clausole generali come quella di cui all'art. 2106 c.c., che detta tipiche "norme elastiche", non sfugge ad una verifica in sede di giudizio di legittimità, sotto il profilo della correttezza del metodo seguito nell'applicazione della clausola generale, atteso che l'operatività in concreto di norme di tale tipo deve rispettare criteri e principi desumibili dall'ordinamento generale, a cominciare dai principi costituzionali e dalla disciplina particolare in cui la fattispecie si colloca.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
La proporzionalità della sanzione disciplinare è nozione che la legge configura con disposizioni, ascrivibili alla tipologia delle cd. clausole generali, di limitato contenuto e delineanti un modulo generico richiedente di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Orbene, la valutazione compiuta dal giudice di merito nell'applicare le clausole generali come quella di cui all'art. 2106 c.c., che detta tipiche "norme elastiche", non sfugge ad una verifica in sede di giudizio di legittimità, sotto il profilo della correttezza del metodo seguito nell'applicazione della clausola generale, atteso che l'operatività in concreto di norme di tale tipo deve rispettare criteri e principi desumibili dall'ordinamento generale, a cominciare dai principi costituzionali e dalla disciplina particolare in cui la fattispecie si colloca.
DURATA DEI PROCESSI
Corte cost., 19 febbraio 2016, n. 36 - pubblicato il 24 febbraio 2016
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
E' costituzionalmente illegittimo l'art. 2, comma 2-bis, della legge n. 89 del 2001, in riferimento agli artt. 111, comma 2, e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6, paragrafo 1, CEDU, nella parte in cui si applica alla durata del processo di primo grado previsto dalla stessa legge n. 89 del 2001. In virtù di consolidata giurisprudenza europea, invero, lo Stato è tenuto a concludere il procedimento volto all'equa riparazione del danno da ritardo maturato in altro processo, in termini più celeri di quelli consentiti nelle procedure ordinarie, di talché l'art. 6 CEDU preclude al legislatore nazionale, che abbia inteso disciplinare legalmente i termini di ragionevole durata dei processi ai fini dell'equa riparazione, di consentire una durata complessiva del procedimento in parola pari a quella tollerata con riguardo agli altri procedimenti civili di cognizione, dovendo essere la stessa modellata sul calco dei più brevi termini indicati dalla stessa Corte di Strasburgo e recepiti dalla giurisprudenza nazionale, la quale, in applicazione delle richiamate norme costituzionali e dell'interpretazione data dal giudice europeo all'art. 6 della CEDU, aveva in precedenza determinato il termine ragionevole di cui si discute, per il caso di procedimento svoltosi in entrambi i gradi previsti, in due anni, che è il limite di regola ammesso dalla Corte EDU.
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
E' costituzionalmente illegittimo l'art. 2, comma 2-bis, della legge n. 89 del 2001, in riferimento agli artt. 111, comma 2, e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 6, paragrafo 1, CEDU, nella parte in cui si applica alla durata del processo di primo grado previsto dalla stessa legge n. 89 del 2001. In virtù di consolidata giurisprudenza europea, invero, lo Stato è tenuto a concludere il procedimento volto all'equa riparazione del danno da ritardo maturato in altro processo, in termini più celeri di quelli consentiti nelle procedure ordinarie, di talché l'art. 6 CEDU preclude al legislatore nazionale, che abbia inteso disciplinare legalmente i termini di ragionevole durata dei processi ai fini dell'equa riparazione, di consentire una durata complessiva del procedimento in parola pari a quella tollerata con riguardo agli altri procedimenti civili di cognizione, dovendo essere la stessa modellata sul calco dei più brevi termini indicati dalla stessa Corte di Strasburgo e recepiti dalla giurisprudenza nazionale, la quale, in applicazione delle richiamate norme costituzionali e dell'interpretazione data dal giudice europeo all'art. 6 della CEDU, aveva in precedenza determinato il termine ragionevole di cui si discute, per il caso di procedimento svoltosi in entrambi i gradi previsti, in due anni, che è il limite di regola ammesso dalla Corte EDU.
DANNO MORALE
Cass. civ., Sez. III, 19 febbraio 2016, n. 3260 - pubblicato il 24 febbraio 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
Ai fini della quantificazione equitativa del danno morale, l'utilizzo del metodo del rapporto percentuale rispetto alla quantificazione del danno biologico individuato nelle tabelle in uso, prima della sentenza delle Sezioni Unite n. 26972 del 2008, secondo cui il danno morale soggettivo non può configurarsi come conseguenza immediata e diretta della durata e dell'intensità della lesione psicofisica, con la conseguenza che, se non scompare del tutto, postula una dimostrazione e motivazione specifica, non implica che, accertato il primo (danno biologico), il secondo non abbia bisogno di alcun accertamento, perché se così fosse si duplicherebbe il risarcimento degli stessi pregiudizi. Viceversa, il metodo suddetto va utilizzato solo come parametro equitativo, fermo restando l'accertamento con metodo presuntivo, attenendo la sofferenza morale ad un bene immateriale, dell'esistenza del pregiudizio subito, mediante l'individuazione delle ripercussioni negative sul valore uomo sulla base della necessaria allegazione del tipo di pregiudizio e dei fatti da cui lo stesso emerge da parte di chi ne chiede il ristoro.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
Ai fini della quantificazione equitativa del danno morale, l'utilizzo del metodo del rapporto percentuale rispetto alla quantificazione del danno biologico individuato nelle tabelle in uso, prima della sentenza delle Sezioni Unite n. 26972 del 2008, secondo cui il danno morale soggettivo non può configurarsi come conseguenza immediata e diretta della durata e dell'intensità della lesione psicofisica, con la conseguenza che, se non scompare del tutto, postula una dimostrazione e motivazione specifica, non implica che, accertato il primo (danno biologico), il secondo non abbia bisogno di alcun accertamento, perché se così fosse si duplicherebbe il risarcimento degli stessi pregiudizi. Viceversa, il metodo suddetto va utilizzato solo come parametro equitativo, fermo restando l'accertamento con metodo presuntivo, attenendo la sofferenza morale ad un bene immateriale, dell'esistenza del pregiudizio subito, mediante l'individuazione delle ripercussioni negative sul valore uomo sulla base della necessaria allegazione del tipo di pregiudizio e dei fatti da cui lo stesso emerge da parte di chi ne chiede il ristoro.
AZIONE REVOCATORIA FALLIMENTARE
Tribunale Salerno, Sez. III, 2 febbraio 2016, n. 435 - pubblicato il 19 febbraio 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
Non sono soggetti a revocatoria fallimentare, ex art. 67, comma 2, l. fall., i pagamenti effettuati nel semestre anteriore al fallimento dai debitori della società fallita, nell'ambito di un contratto quadro di factoring. Tali pagamenti, infatti, non sono mai entrati nel patrimonio della fallita, ma sono stati sin dall'inizio trattenuti dalla società factor, quale corrispettivo sulle anticipazioni fatte in favore della società poi fallita.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
Non sono soggetti a revocatoria fallimentare, ex art. 67, comma 2, l. fall., i pagamenti effettuati nel semestre anteriore al fallimento dai debitori della società fallita, nell'ambito di un contratto quadro di factoring. Tali pagamenti, infatti, non sono mai entrati nel patrimonio della fallita, ma sono stati sin dall'inizio trattenuti dalla società factor, quale corrispettivo sulle anticipazioni fatte in favore della società poi fallita.
Volkswagen E CLASS ACTION
Tribunale Venezia, Sez. III, 12 gennaio 2016 - pubblicato il 19 febbraio 2016
a cura degli Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di ammissibilità della class action nei confronti di una casa automobilistica che ha divulgato presso il pubblico dei consumatori dati errati e scorretti sui consumi di carburante e sulle emissioni di CO2, l’identità della causa petendi, ovvero l’acquisto di un medesimo modello di autovettura, non è sufficiente a fronte di un preteso danno patrimoniale condizionato da una pluralità di fattori soggettivi ed oggettivi (ad es. lo stile di guida, le condizioni del veicolo, il manto stradale, l’uso degli equipaggiamenti ecc.), esterni rispetto al mero dato dell’acquisto, tali da rendere necessario l’esame di situazioni eterogenee in contrasto con le ragioni alla base della trattazione congiunta dell’azione secondo il meccanismo processuale dell’azione di classe.
a cura degli Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di ammissibilità della class action nei confronti di una casa automobilistica che ha divulgato presso il pubblico dei consumatori dati errati e scorretti sui consumi di carburante e sulle emissioni di CO2, l’identità della causa petendi, ovvero l’acquisto di un medesimo modello di autovettura, non è sufficiente a fronte di un preteso danno patrimoniale condizionato da una pluralità di fattori soggettivi ed oggettivi (ad es. lo stile di guida, le condizioni del veicolo, il manto stradale, l’uso degli equipaggiamenti ecc.), esterni rispetto al mero dato dell’acquisto, tali da rendere necessario l’esame di situazioni eterogenee in contrasto con le ragioni alla base della trattazione congiunta dell’azione secondo il meccanismo processuale dell’azione di classe.
MOBBING
Cass. civ., Sez. Lavoro, 15 febbraio 2016, n. 2920 - pubblicato il 18 febbraio 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
Nell'ambito del rapporto di lavoro subordinato si configura il mobbing lavorativo in presenza di una serie di comportamenti avente carattere persecutorio, illeciti o anche leciti ove singolarmente considerati, aventi intento vessatorio e posti in essere ai danni del lavoratore in maniera sistematica e prolungata nel tempo, direttamente dal datore di lavoro o da un suo preposto o anche da altri dipendenti sottoposti al potere direttivo dei primi. Deve inoltre ravvisarsi una condotta persecutoria, l'idoneità di essa a danneggiare la salute, la personalità o la dignità del dipendente ed il nesso di causalità tra la condotta e il danno subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica. La prova di detti elementi, tutti rilevanti affinché la condotta abbia rilevanza giuridica, incombe sul lavoratore il quale deve dimostrare l'intento persecutorio che non deve assistere le singole condotte poste in essere ai danni del lavoratore ma deve ricomprenderle in un unico disegno vessatorio, legittimante il ricorso alla tutela giudiziaria della vittima.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
Nell'ambito del rapporto di lavoro subordinato si configura il mobbing lavorativo in presenza di una serie di comportamenti avente carattere persecutorio, illeciti o anche leciti ove singolarmente considerati, aventi intento vessatorio e posti in essere ai danni del lavoratore in maniera sistematica e prolungata nel tempo, direttamente dal datore di lavoro o da un suo preposto o anche da altri dipendenti sottoposti al potere direttivo dei primi. Deve inoltre ravvisarsi una condotta persecutoria, l'idoneità di essa a danneggiare la salute, la personalità o la dignità del dipendente ed il nesso di causalità tra la condotta e il danno subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica. La prova di detti elementi, tutti rilevanti affinché la condotta abbia rilevanza giuridica, incombe sul lavoratore il quale deve dimostrare l'intento persecutorio che non deve assistere le singole condotte poste in essere ai danni del lavoratore ma deve ricomprenderle in un unico disegno vessatorio, legittimante il ricorso alla tutela giudiziaria della vittima.
AUTONOMIA CONTRATTUALE
Cass. civ., Sez. I, 15 febbraio 2016, n. 2900 - pubblicato il 18 febbraio 2016
a cura degli Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di autonomia contrattuale, l'interesse perseguito mediante un contratto atipico, fondato sullo sfruttamento delle preoccupazioni previdenziali dell'utenza da parte di operatori professionali ed avente ad oggetto il compimento di operazioni negoziali complesse, relative alla gestione di fondi comuni, che comprendano anche titoli di dubbia redditività, il cui rischio sia unilateralmente trasmesso sul cliente, al quale, invece, il prodotto venga presentato come rispondente alle esigenze di previdenza complementare, a basso rischio e con libera possibilità di disinvestimento senza oneri, non è meritevole di tutela ex art. 1322, comma 2, c.c., in quanto si pone in contrasto con i principi di cui agli artt. 38 e 47 Cost., sulla tutela del risparmio e l'incentivo delle forme di previdenza, anche privata, sicché è inefficace laddove si traduca nella concessione, all'investitore, di un mutuo, di durata ragguardevole, finalizzato all'acquisto di prodotti finanziari della finanziatrice e nel contestuale mandato conferito a quest'ultima per l'acquisto dei prodotti, anche in situazione di potenziale conflitto di interessi.
a cura degli Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In tema di autonomia contrattuale, l'interesse perseguito mediante un contratto atipico, fondato sullo sfruttamento delle preoccupazioni previdenziali dell'utenza da parte di operatori professionali ed avente ad oggetto il compimento di operazioni negoziali complesse, relative alla gestione di fondi comuni, che comprendano anche titoli di dubbia redditività, il cui rischio sia unilateralmente trasmesso sul cliente, al quale, invece, il prodotto venga presentato come rispondente alle esigenze di previdenza complementare, a basso rischio e con libera possibilità di disinvestimento senza oneri, non è meritevole di tutela ex art. 1322, comma 2, c.c., in quanto si pone in contrasto con i principi di cui agli artt. 38 e 47 Cost., sulla tutela del risparmio e l'incentivo delle forme di previdenza, anche privata, sicché è inefficace laddove si traduca nella concessione, all'investitore, di un mutuo, di durata ragguardevole, finalizzato all'acquisto di prodotti finanziari della finanziatrice e nel contestuale mandato conferito a quest'ultima per l'acquisto dei prodotti, anche in situazione di potenziale conflitto di interessi.
LICENZIAMENTO
Cass. civ., Sez. lavoro, 11 febbraio 2016, n. 2734 - pubblicato il 16 febbraio 2016
a cura degli Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In ordine ai contratti di somministrazione a tempo determinato, si rileva che il termine di decadenza di cui all'art. 6 della L. n. 604 del 1966 non può farsi decorrere dalla comunicazione di scadenza del contratto che per legge non è necessaria, non rispondendo al vero che l'art. 32, comma 4, lett. d) della legge n. 183 del 2010 abbia previsto in capo all'utilizzatore della prestazione lavorativa l'onere di comunicare la scadenza del rapporto. Ne deriva che, in mancanza, il lavoratore avrebbe diritto di impugnare sine die la somministrazione irregolare; invero tale norma si limita a prevedere l'applicabilità, anche all'ipotesi di somministrazione irregolare, dell'art. 6 della citata legge n. 604 che a sua volta non chiarisce espressamente se l'onere de quo sussiste anche riguardo a rapporti cessati in forza non di un atto di recesso, ma della scadenza del termine originariamente pattuito.
a cura degli Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In ordine ai contratti di somministrazione a tempo determinato, si rileva che il termine di decadenza di cui all'art. 6 della L. n. 604 del 1966 non può farsi decorrere dalla comunicazione di scadenza del contratto che per legge non è necessaria, non rispondendo al vero che l'art. 32, comma 4, lett. d) della legge n. 183 del 2010 abbia previsto in capo all'utilizzatore della prestazione lavorativa l'onere di comunicare la scadenza del rapporto. Ne deriva che, in mancanza, il lavoratore avrebbe diritto di impugnare sine die la somministrazione irregolare; invero tale norma si limita a prevedere l'applicabilità, anche all'ipotesi di somministrazione irregolare, dell'art. 6 della citata legge n. 604 che a sua volta non chiarisce espressamente se l'onere de quo sussiste anche riguardo a rapporti cessati in forza non di un atto di recesso, ma della scadenza del termine originariamente pattuito.
EDILIZIA ED URBANISTICA
T.A.R. Campania Napoli, Sez. IV, 10 febbraio 2016, n. 754 - pubblicato il 16 febbraio 2016
a cura dello Studio Legale Riccio - Libroia
Gli interventi edilizi consistenti nell'installazione di tettoie o di altre strutture analoghe che siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi - cioè non compresi entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito - possono ritenersi sottratti al regime del permesso di costruire soltanto ove la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendono evidente e riconoscibile la loro finalità di arredo o di riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) dell'immobile cui accedono. Tali strutture non possono viceversa ritenersi installabili senza permesso di costruire allorquando le loro dimensioni sono di entità tale da arrecare una visibile alterazione all'edificio o alle parti dello stesso su cui vengono inserite.
a cura dello Studio Legale Riccio - Libroia
Gli interventi edilizi consistenti nell'installazione di tettoie o di altre strutture analoghe che siano comunque apposte a parti di preesistenti edifici come strutture accessorie di protezione o di riparo di spazi liberi - cioè non compresi entro coperture volumetriche previste in un progetto assentito - possono ritenersi sottratti al regime del permesso di costruire soltanto ove la loro conformazione e le loro ridotte dimensioni rendono evidente e riconoscibile la loro finalità di arredo o di riparo e protezione (anche da agenti atmosferici) dell'immobile cui accedono. Tali strutture non possono viceversa ritenersi installabili senza permesso di costruire allorquando le loro dimensioni sono di entità tale da arrecare una visibile alterazione all'edificio o alle parti dello stesso su cui vengono inserite.
TRIBUTI
Cass. civ., Sez. III, 10 febbraio 2016, n. 2675 - pubblicato il 13 febbraio 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
In tema di imposta comunale sugli immobili, il coniuge affidatario dei figli al quale sia assegnata la casa di abitazione posta nell'immobile di proprietà dell'altro coniuge, non è soggetto passivo dell'imposta per la quota dell'immobile stesso sulla quale non vanti il diritto di proprietà, ovvero un qualche diritto reale di godimento, come previsto dall'art. 3, D.Lgs. n. 504 del 1992. Con il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa coniugale, in sede di separazione personale o di divorzio, invero, viene riconosciuto al coniuge un atipico diritto personale di godimento e non un diritto reale, sicché in capo ad esso non è ravvisabile la titolarità di un diritto di proprietà o di uno di quei diritti reali di godimento, specificamente previsti dalla norma, costituenti l'unico elemento di identificazione del soggetto tenuto al pagamento dell'imposta in parola sull'immobile.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
In tema di imposta comunale sugli immobili, il coniuge affidatario dei figli al quale sia assegnata la casa di abitazione posta nell'immobile di proprietà dell'altro coniuge, non è soggetto passivo dell'imposta per la quota dell'immobile stesso sulla quale non vanti il diritto di proprietà, ovvero un qualche diritto reale di godimento, come previsto dall'art. 3, D.Lgs. n. 504 del 1992. Con il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa coniugale, in sede di separazione personale o di divorzio, invero, viene riconosciuto al coniuge un atipico diritto personale di godimento e non un diritto reale, sicché in capo ad esso non è ravvisabile la titolarità di un diritto di proprietà o di uno di quei diritti reali di godimento, specificamente previsti dalla norma, costituenti l'unico elemento di identificazione del soggetto tenuto al pagamento dell'imposta in parola sull'immobile.
COLTIVAZIONE STUPEFACENTI
Cass. pen., Sez. VI, 9 febbraio 2016, n. 5254 - pubblicato il 12 febbraio 2016
a cura dello Studio Legale Riccio - Libroia
E' indubbio che il reato di coltivazione venga ritenuto sostanzialmente diverso da quello di mera detenzione dello stupefacente sia nella giurisprudenza costituzionale sopra sintetizzata che nella giurisprudenza di questa Corte;
la "coltivazione" non può essere direttamente ricollegata all'uso personale ed è punita di per sè in ragione del carattere di aumento della disponibilità e della possibilità di ulteriore diffusione - la detenzione è condotta che, invece, è strettamente collegata alla successiva destinazione della sostanza ed è qualificata da tale destinazione; pertanto è punibile solo quando è destinata all'uso di terzi mentre, se destinata all'uso personale, ha la sanzione (amministrativa) corrispondente a tale ultima condotta. Perciò l'azione tipica della coltivazione si individua senza alcun riguardo all'accertamento della destinazione della sostanza bastando che sia realizzato il pericolo presunto quale sopra specificato. Ma, proprio nella individuazione del compimento della azione tipica nel singolo caso, va applicata la regola di necessaria sussistenza della "offensività in concreto": ovvero, pur realizzata l'azione tipica, dovrà escludersi la punibilità di quelle condotte che siano in concreto inoffensive. Per il caso in questione, va quindi ribadito che ricorre la assenza di offensività per quelle condotte che dimostrino tale levità da essere sostanzialmente irrilevante l'aumento di disponibilità di droga e non prospettabile alcuna ulteriore diffusione della sostanza. Ovvero, a fronte della realizzazione della condotta tipica, che è la coltivazione di una pianta conforme al "tipo botanico" e che abbia, se matura, raggiunto la soglia di capacità drogante minima, il giudice potrà e dovrà valutare se la condotta stessa sia del tutto inidonea alla realizzazione della offensività in concreto. L'ambito di tale riconoscibile inoffensività è, ragionevolmente, quello del conclamato uso esclusivamente personale e della minima entità della coltivazione tale da escludere la possibile diffusione della sostanza producibile l'ampliamento della coltivazione; l'onere della prova, spettando all'accusa dimostrare la realizzazione del fatto tipico, va ritenuto tendenzialmente a carico dell'imputato anche se è probabile che la condizione di inoffensività sia di immediata percezione. Risulta quindi corretto affermare che l'avere coltivato due piantine, senza alcuna ragione di ritenere che i ricorrenti avessero altre piante non individuate e, quindi, essendo certo che quanto individuato esauriva la loro disponibilità senza alcuna prospettiva di utile distribuzione in favore di terzi consumatori, non è in concreto una condotta offensiva per le ragioni anzidette. Non necessitando ulteriori apprezzamenti di fatto, poichè è sufficiente quanto accertato e valutato dalla sentenza impugnata per decidere nel senso dell'accoglimento del ricorso con assoluzione degli imputati ritenendo che il fatto non sussiste (non è stato realizzato il fatto con le sue caratteristiche di aggressività del bene giuridico) l'annullamento deve essere pronunciato senza rinvio.
a cura dello Studio Legale Riccio - Libroia
E' indubbio che il reato di coltivazione venga ritenuto sostanzialmente diverso da quello di mera detenzione dello stupefacente sia nella giurisprudenza costituzionale sopra sintetizzata che nella giurisprudenza di questa Corte;
la "coltivazione" non può essere direttamente ricollegata all'uso personale ed è punita di per sè in ragione del carattere di aumento della disponibilità e della possibilità di ulteriore diffusione - la detenzione è condotta che, invece, è strettamente collegata alla successiva destinazione della sostanza ed è qualificata da tale destinazione; pertanto è punibile solo quando è destinata all'uso di terzi mentre, se destinata all'uso personale, ha la sanzione (amministrativa) corrispondente a tale ultima condotta. Perciò l'azione tipica della coltivazione si individua senza alcun riguardo all'accertamento della destinazione della sostanza bastando che sia realizzato il pericolo presunto quale sopra specificato. Ma, proprio nella individuazione del compimento della azione tipica nel singolo caso, va applicata la regola di necessaria sussistenza della "offensività in concreto": ovvero, pur realizzata l'azione tipica, dovrà escludersi la punibilità di quelle condotte che siano in concreto inoffensive. Per il caso in questione, va quindi ribadito che ricorre la assenza di offensività per quelle condotte che dimostrino tale levità da essere sostanzialmente irrilevante l'aumento di disponibilità di droga e non prospettabile alcuna ulteriore diffusione della sostanza. Ovvero, a fronte della realizzazione della condotta tipica, che è la coltivazione di una pianta conforme al "tipo botanico" e che abbia, se matura, raggiunto la soglia di capacità drogante minima, il giudice potrà e dovrà valutare se la condotta stessa sia del tutto inidonea alla realizzazione della offensività in concreto. L'ambito di tale riconoscibile inoffensività è, ragionevolmente, quello del conclamato uso esclusivamente personale e della minima entità della coltivazione tale da escludere la possibile diffusione della sostanza producibile l'ampliamento della coltivazione; l'onere della prova, spettando all'accusa dimostrare la realizzazione del fatto tipico, va ritenuto tendenzialmente a carico dell'imputato anche se è probabile che la condizione di inoffensività sia di immediata percezione. Risulta quindi corretto affermare che l'avere coltivato due piantine, senza alcuna ragione di ritenere che i ricorrenti avessero altre piante non individuate e, quindi, essendo certo che quanto individuato esauriva la loro disponibilità senza alcuna prospettiva di utile distribuzione in favore di terzi consumatori, non è in concreto una condotta offensiva per le ragioni anzidette. Non necessitando ulteriori apprezzamenti di fatto, poichè è sufficiente quanto accertato e valutato dalla sentenza impugnata per decidere nel senso dell'accoglimento del ricorso con assoluzione degli imputati ritenendo che il fatto non sussiste (non è stato realizzato il fatto con le sue caratteristiche di aggressività del bene giuridico) l'annullamento deve essere pronunciato senza rinvio.
DANNO ESISTENZIALE
Cass. civ., Sez. Lavoro, 4 febbraio 2016, n. 2217 - pubblicato l'8 febbraio 2016
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In materia risarcitoria non è configurabile, nel nostro ordinamento, l'autonoma categoria di danno esistenziale, inteso quale pregiudizio alle attività non remunerative della persona. Infatti, i pregiudizi scaturenti dalla lesione di interessi della persona, di rango costituzionale, o derivanti da fatto reato, sono risarcibili ai sensi dell'art. 2059 c.c., con la conseguenza che la liquidazione di una ulteriore posta di danno comporterebbe una duplicazione risarcitoria non consentita. L'inserimento nel danno esistenziale dei pregiudizi non lesivi di diritti inviolabili della persona, sarebbe illegittimo, non essendo tali pregiudizi risarcibili, in virtù del divieto contenuto nell'art. 2059 c.c.
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In materia risarcitoria non è configurabile, nel nostro ordinamento, l'autonoma categoria di danno esistenziale, inteso quale pregiudizio alle attività non remunerative della persona. Infatti, i pregiudizi scaturenti dalla lesione di interessi della persona, di rango costituzionale, o derivanti da fatto reato, sono risarcibili ai sensi dell'art. 2059 c.c., con la conseguenza che la liquidazione di una ulteriore posta di danno comporterebbe una duplicazione risarcitoria non consentita. L'inserimento nel danno esistenziale dei pregiudizi non lesivi di diritti inviolabili della persona, sarebbe illegittimo, non essendo tali pregiudizi risarcibili, in virtù del divieto contenuto nell'art. 2059 c.c.
CONSENSO INFORMATO
Cass. civ., Sez. III, 4 febbraio 2016, n. 2177 - pubblicato l'8 febbraio 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
In tema di prestazioni mediche, il c.d. "consenso informato", previsto dall'art. 5 della Convenzione di Oviedo del 4 aprile 1997, recepita nell'ordinamento italiano con la L. 28 marzo 2001, n. 145, deve essere innanzitutto personale, salvo nelle ipotesi di incapacità di intendere e volere del paziente; deve, inoltre, essere specifico ed esplicito, nonché reale ed effettivo, non essendo ammesso il consenso presunto. Il consenso deve, infine, essere pienamente consapevole e completo, vale a dire "informato", cioè basato su informazioni dettagliate fornite dal medico, implicanti la piena conoscenza della natura dell'intervento medico e/o chirurgico, della sua portata ed estensione, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
In tema di prestazioni mediche, il c.d. "consenso informato", previsto dall'art. 5 della Convenzione di Oviedo del 4 aprile 1997, recepita nell'ordinamento italiano con la L. 28 marzo 2001, n. 145, deve essere innanzitutto personale, salvo nelle ipotesi di incapacità di intendere e volere del paziente; deve, inoltre, essere specifico ed esplicito, nonché reale ed effettivo, non essendo ammesso il consenso presunto. Il consenso deve, infine, essere pienamente consapevole e completo, vale a dire "informato", cioè basato su informazioni dettagliate fornite dal medico, implicanti la piena conoscenza della natura dell'intervento medico e/o chirurgico, della sua portata ed estensione, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative.
SEPARAZIONE DEI CONIUGI
Cass. civ., Sez. V, 3 febbraio 2016, n. 2111 - pubblicato l'8 febbraio 2016
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
In tema di separazione personale dei coniugi, gli accordi che prevedono atti comportanti trasferimenti patrimoniali dall'uno all'altro coniuge o in favore dei figli, rientrano nell'ambito delle condizioni della separazione, di cui all'art. 711, comma 4°, c.p.c., in considerazione del carattere di negoziazione globale, che la coppia in crisi attribuisce al momento della liquidazione del rapporto coniugale, attribuendo a detti accordi la qualificazione di contratti tipici, denominati "contratti della crisi coniugale", destinati a definire in modo non contenzioso e risolutivo la crisi coniugale.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
In tema di separazione personale dei coniugi, gli accordi che prevedono atti comportanti trasferimenti patrimoniali dall'uno all'altro coniuge o in favore dei figli, rientrano nell'ambito delle condizioni della separazione, di cui all'art. 711, comma 4°, c.p.c., in considerazione del carattere di negoziazione globale, che la coppia in crisi attribuisce al momento della liquidazione del rapporto coniugale, attribuendo a detti accordi la qualificazione di contratti tipici, denominati "contratti della crisi coniugale", destinati a definire in modo non contenzioso e risolutivo la crisi coniugale.
AGEVOLAZIONI FISCALI
Cass. civ., Sez. V, 3 febbraio 2016, n. 2072 - pubblicato l'8 febbraio 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
In merito all'agevolazione fiscale sul pagamento dell'imposta di registro dovuta relativamente all'acquisto della prima casa, in caso di plurimi successivi atti di alienazione ed acquisto infrannuali, con effettivo trasferimento della residenza negli immobili dei singoli acquisti, il contribuente può beneficiare dell'agevolazione solo se prova che l'acquisto sia finalizzato alla destinazione del nuovo immobile ad abitazione propria, in applicazione del concreto trasferimento della residenza anagrafica nell'unità abitativa correlata. Il contribuente, quindi, che vanti un credito d'imposta, può godere dello stesso, in forza del primo acquisto, anche più volte, fino a concorrenza dell'intera somma, qualora rivenda ed acquisti più volte nel rispetto delle condizioni previste dalla norma.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
In merito all'agevolazione fiscale sul pagamento dell'imposta di registro dovuta relativamente all'acquisto della prima casa, in caso di plurimi successivi atti di alienazione ed acquisto infrannuali, con effettivo trasferimento della residenza negli immobili dei singoli acquisti, il contribuente può beneficiare dell'agevolazione solo se prova che l'acquisto sia finalizzato alla destinazione del nuovo immobile ad abitazione propria, in applicazione del concreto trasferimento della residenza anagrafica nell'unità abitativa correlata. Il contribuente, quindi, che vanti un credito d'imposta, può godere dello stesso, in forza del primo acquisto, anche più volte, fino a concorrenza dell'intera somma, qualora rivenda ed acquisti più volte nel rispetto delle condizioni previste dalla norma.
CANONE RAI
Cass. civ., Sez. VI, Ordinanza, 2 febbraio 2016, n. 1922 - pubblicato il 5 febbraio 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
La disciplina del canone televisivo dettata dal regio decreto-legge n. 246 del 1938, non trova la sua ragione nell'esistenza di uno specifico rapporto contrattuale che leghi il contribuente all'Ente, la Rai, che gestisce il servizio pubblico radiotelevisivo, ma costituisce una prestazione tributaria fondata sulla legge e non commisurata alla possibilità effettiva di usufruire del servizio); la richiesta di oscuramento dei canali Rai, infatti, non rientra nel novero dei fatti estintivi dell'obbligo di pagamento del canone previsti dall'articolo 10 di tale regio decreto-legge.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
La disciplina del canone televisivo dettata dal regio decreto-legge n. 246 del 1938, non trova la sua ragione nell'esistenza di uno specifico rapporto contrattuale che leghi il contribuente all'Ente, la Rai, che gestisce il servizio pubblico radiotelevisivo, ma costituisce una prestazione tributaria fondata sulla legge e non commisurata alla possibilità effettiva di usufruire del servizio); la richiesta di oscuramento dei canali Rai, infatti, non rientra nel novero dei fatti estintivi dell'obbligo di pagamento del canone previsti dall'articolo 10 di tale regio decreto-legge.
IMPOSTE
Cass. civ., Sez. Unite, 2 febbraio 2016, n. 1915 - pubblicato il 5 febbraio 2016
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
L'art. 73, comma 3° del D.P.R. n. 633 del 1972, prevede l'istituzione di un particolare meccanismo di assolvimento dell'Iva, facoltativo, comportante la perdita, da parte delle società controllate, della disponibilità dei rispettivi saldi Iva ed il trasferimento dei relativi crediti e debiti d'imposta alla società controllante. L'istituto de quo è tale da consentire alla società controllante di compensare con operazione algebrica, i saldi a credito o a debito risultanti dalle liquidazioni periodiche e dalle dichiarazioni annuali proprie e delle società partecipate, restando unico soggetto legittimato al versamento dell'imposta ovvero ad effettuare la scelta tra il rimborso annuale o l'accredito dell'eccedenza dell'imposta per l'anno successivo. Lo strumento dell' "iva di gruppo" consente, dunque, di realizzare un consolidamento dei crediti e dei debiti d'imposta delle partecipanti al gruppo, con un vantaggio avente natura eminentemente finanziaria, consistente nella possibilità di ottenere un sollecito rimborso dei crediti Iva vantati da una delle società del gruppo mediante compensazione con l'eventuale Iva a debito di altre società dello stesso gruppo. Con tale strumento in sostanza, si evita che le società "a debito" debbano immediatamente versare l'imposta e le società "a credito" siano, invece, costrette ad attendere i tempi non celeri del ricorso ordinario.
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
L'art. 73, comma 3° del D.P.R. n. 633 del 1972, prevede l'istituzione di un particolare meccanismo di assolvimento dell'Iva, facoltativo, comportante la perdita, da parte delle società controllate, della disponibilità dei rispettivi saldi Iva ed il trasferimento dei relativi crediti e debiti d'imposta alla società controllante. L'istituto de quo è tale da consentire alla società controllante di compensare con operazione algebrica, i saldi a credito o a debito risultanti dalle liquidazioni periodiche e dalle dichiarazioni annuali proprie e delle società partecipate, restando unico soggetto legittimato al versamento dell'imposta ovvero ad effettuare la scelta tra il rimborso annuale o l'accredito dell'eccedenza dell'imposta per l'anno successivo. Lo strumento dell' "iva di gruppo" consente, dunque, di realizzare un consolidamento dei crediti e dei debiti d'imposta delle partecipanti al gruppo, con un vantaggio avente natura eminentemente finanziaria, consistente nella possibilità di ottenere un sollecito rimborso dei crediti Iva vantati da una delle società del gruppo mediante compensazione con l'eventuale Iva a debito di altre società dello stesso gruppo. Con tale strumento in sostanza, si evita che le società "a debito" debbano immediatamente versare l'imposta e le società "a credito" siano, invece, costrette ad attendere i tempi non celeri del ricorso ordinario.
DIVORZIO
Cass. civ., Sez. I, 1° febbraio 2016, n. 1863 - pubblicato il 4 febbraio 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
La richiesta di corresponsione dell'assegno periodico di divorzio costituisce una domanda connessa ma autonoma rispetto alla domanda di scioglimento del matrimonio per cui la parte che nel corso del giudizio divorzile non l'abbia ritualmente proposta, può esperirla successivamente, senza che a ciò sia di ostacolo l'intervenuta pronuncia di scioglimento del vincolo di coniugio e ciò in applicazione del principio secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile con esclusivo riferimento alla domanda fatta valere in concreto, ma non anche relativamente ad una richiesta diversa nel petitum e nella stessa causa petendi che la parte ha facoltà di introdurre, o meno, nello stesso giudizio.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
La richiesta di corresponsione dell'assegno periodico di divorzio costituisce una domanda connessa ma autonoma rispetto alla domanda di scioglimento del matrimonio per cui la parte che nel corso del giudizio divorzile non l'abbia ritualmente proposta, può esperirla successivamente, senza che a ciò sia di ostacolo l'intervenuta pronuncia di scioglimento del vincolo di coniugio e ciò in applicazione del principio secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile con esclusivo riferimento alla domanda fatta valere in concreto, ma non anche relativamente ad una richiesta diversa nel petitum e nella stessa causa petendi che la parte ha facoltà di introdurre, o meno, nello stesso giudizio.
CONSUMATORE
Cass. civ., Sez. I, 1° febbraio 2016, n. 1869 - pubblicato il 4 febbraio 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
In tema di composizione della crisi da sovraindebitamento, disciplinata dalla legge 27 gennaio 2012, n. 3, la nozione di "consumatore" abilitato al piano ai sensi della citata legge non si riferisce necessariamente ad una persona priva, dal lato attivo, di relazioni di impresa o professionali, sia pregresse che attuali, essendo richiesto soltanto che dette relazioni non abbiano dato vita ad obbligazioni residue, atteso che nello stato di insolvenza finale del consumatore non possono comparire obbligazioni assunte per scopi relativi alle predette attività di impresa o professionali. Pertanto, è "consumatore" ai sensi della legge succitata soltanto il debitore persona fisica, che risulti aver contratto obbligazioni per far fronte ad esigenze personali o familiari o della più ampia sfera attinente agli impegni derivanti dall'estrinsecazione della propria personalità sociale, dunque anche a favore di terzi, ma senza riflessi diretti in una attività di impresa o professionale propria, salvo i debiti di cui all'art. 7, comma 1, terzo periodo della medesima legge.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
In tema di composizione della crisi da sovraindebitamento, disciplinata dalla legge 27 gennaio 2012, n. 3, la nozione di "consumatore" abilitato al piano ai sensi della citata legge non si riferisce necessariamente ad una persona priva, dal lato attivo, di relazioni di impresa o professionali, sia pregresse che attuali, essendo richiesto soltanto che dette relazioni non abbiano dato vita ad obbligazioni residue, atteso che nello stato di insolvenza finale del consumatore non possono comparire obbligazioni assunte per scopi relativi alle predette attività di impresa o professionali. Pertanto, è "consumatore" ai sensi della legge succitata soltanto il debitore persona fisica, che risulti aver contratto obbligazioni per far fronte ad esigenze personali o familiari o della più ampia sfera attinente agli impegni derivanti dall'estrinsecazione della propria personalità sociale, dunque anche a favore di terzi, ma senza riflessi diretti in una attività di impresa o professionale propria, salvo i debiti di cui all'art. 7, comma 1, terzo periodo della medesima legge.
FONDO PATRIMONIALE
Cass. civ., Sez. III, 29 gennaio 2016, n. 1652 - pubblicato il 4 febbraio 2016
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In tema di fondo patrimoniale, il coniuge o il terzo titolare del bene facente parte del fondo patrimoniale che agisca per contestare la legittimità dell'iscrizione ipotecaria perché avvenuta al di fuori delle condizioni di cui all'art. 170 c.c., ha l'onere di allegare i fatti costitutivi della dedotta illegittimità, primo tra tutti l'essere stato il debito del coniuge o del terzo, in relazione al quale si è proceduto ad iscrizione ipotecaria, contratto per un scopo estraneo ai bisogni della famiglia e che tale estraneità era conosciuta dal creditore che ha iscritto l'ipoteca.
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In tema di fondo patrimoniale, il coniuge o il terzo titolare del bene facente parte del fondo patrimoniale che agisca per contestare la legittimità dell'iscrizione ipotecaria perché avvenuta al di fuori delle condizioni di cui all'art. 170 c.c., ha l'onere di allegare i fatti costitutivi della dedotta illegittimità, primo tra tutti l'essere stato il debito del coniuge o del terzo, in relazione al quale si è proceduto ad iscrizione ipotecaria, contratto per un scopo estraneo ai bisogni della famiglia e che tale estraneità era conosciuta dal creditore che ha iscritto l'ipoteca.
LICENZIAMENTO
Cass. civ., Sez. Lavoro, 28 gennaio 2016, n. 1595 - pubblicato il 2 febbraio 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
La giusta causa di licenziamento, così come il giustificato motivo, sono nozioni che la legge configura con disposizioni di limitato contenuto, delineanti un modulo generico che deve essere specificato in sede interpretativa, con la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. L'accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi integranti il parametro normativo e le sue specificazioni e della concreta attitudine a costituire giusta causa o giustificato motivo di licenziamento è sindacabile in cassazione, purché la contestazione non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, contenendo invero una specifica denuncia di incoerenza rispetto agli standards, conformi ai valori dell'ordinamento esistenti nella realtà sociale.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
La giusta causa di licenziamento, così come il giustificato motivo, sono nozioni che la legge configura con disposizioni di limitato contenuto, delineanti un modulo generico che deve essere specificato in sede interpretativa, con la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. L'accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi integranti il parametro normativo e le sue specificazioni e della concreta attitudine a costituire giusta causa o giustificato motivo di licenziamento è sindacabile in cassazione, purché la contestazione non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, contenendo invero una specifica denuncia di incoerenza rispetto agli standards, conformi ai valori dell'ordinamento esistenti nella realtà sociale.
CIRCONVENZIONE DI PERSONA INCAPACE
Cass. pen. Sez. II, 19 gennaio 2016, n. 1923 - pubblicato il 1° febbraio 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
In tema di circonvenzione di persone incapaci - una volta che la pubblica accusa, abbia provato l'abuso, da parte dell'agente, dello stato di infermità o deficienza psichica e l'induzione al compimento di atti dannosi - diventa del tutto irrilevante il comportamento tenuto dal circuito quando era compus sui, proprio perchè, stante la sua condizione patologica, diventa impossibile stabilire se - ove fosse stato compus sui - avrebbe tenuto o continuato a tenere, quel determinato comportamento: di conseguenza, quegli stessi atti che prima dello stato di incapacità erano normali ed incensurabili (nella specie: atti di donazione di notevole valore), diventano anomali e punibili penalmente, se compiuti in uno stato d'incapacità.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
In tema di circonvenzione di persone incapaci - una volta che la pubblica accusa, abbia provato l'abuso, da parte dell'agente, dello stato di infermità o deficienza psichica e l'induzione al compimento di atti dannosi - diventa del tutto irrilevante il comportamento tenuto dal circuito quando era compus sui, proprio perchè, stante la sua condizione patologica, diventa impossibile stabilire se - ove fosse stato compus sui - avrebbe tenuto o continuato a tenere, quel determinato comportamento: di conseguenza, quegli stessi atti che prima dello stato di incapacità erano normali ed incensurabili (nella specie: atti di donazione di notevole valore), diventano anomali e punibili penalmente, se compiuti in uno stato d'incapacità.
INFORTUNI SUL LAVORO
Cass. pen., Sez. IV, 14 gennaio 2016, n. 3616 - pubblicato il 1° febbraio 2016
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Il datore di lavoro deve adottare tutti i più moderni strumenti che offre la tecnologia onde garantire la sicurezza dei lavoratori. Deve, tuttavia, precisarsi che, qualora la ricerca e lo sviluppo delle conoscenze portino all'individuazione di tecnologie più idonee a garantire la sicurezza, non è possibile pretendere che l'imprenditore proceda ad un'immediata sostituzione delle tecniche precedentemente adottate con quelle più recenti ed innovative, essendo necessario procedere ad una complessiva valutazione sui tempi, modalità e costi dell'innovazione, purché, ovviamente, i sistemi già adottati siano comunque idonei a garantire un livello elevato di sicurezza.
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Il datore di lavoro deve adottare tutti i più moderni strumenti che offre la tecnologia onde garantire la sicurezza dei lavoratori. Deve, tuttavia, precisarsi che, qualora la ricerca e lo sviluppo delle conoscenze portino all'individuazione di tecnologie più idonee a garantire la sicurezza, non è possibile pretendere che l'imprenditore proceda ad un'immediata sostituzione delle tecniche precedentemente adottate con quelle più recenti ed innovative, essendo necessario procedere ad una complessiva valutazione sui tempi, modalità e costi dell'innovazione, purché, ovviamente, i sistemi già adottati siano comunque idonei a garantire un livello elevato di sicurezza.
CONSULENZA TECNICA D'UFFICIO
Cass. civ., Sez. lavoro, 22 gennaio 2016, n. 1186 - pubblicato il 28 gennaio 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
La consulenza tecnica d'ufficio ha un limite intrinseco consistente nella sua funzionalità alla risoluzione di questioni di fatto presupponenti cognizioni di ordine tecnico e non giuridico. Ne deriva che come i consulenti tecnici non possono essere incaricati di accertamenti e valutazioni circa la qualificazione giuridica dei fatti e la conformità al diritto di comportamenti, analogamente se, per ipotesi, il consulente effettua simili inammissibili valutazioni, quale quella relativa alla qualificazione della "attività confacente alle attitudini dell'assicurato" (cui si riferisce l'art. 1 della legge n. 222 del 1984) come attività usurante o stressante, o meno, non se ne deve tenere conto, salvo che vengano vagliate criticamente e sottoposte al dibattito processuale delle parti.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
La consulenza tecnica d'ufficio ha un limite intrinseco consistente nella sua funzionalità alla risoluzione di questioni di fatto presupponenti cognizioni di ordine tecnico e non giuridico. Ne deriva che come i consulenti tecnici non possono essere incaricati di accertamenti e valutazioni circa la qualificazione giuridica dei fatti e la conformità al diritto di comportamenti, analogamente se, per ipotesi, il consulente effettua simili inammissibili valutazioni, quale quella relativa alla qualificazione della "attività confacente alle attitudini dell'assicurato" (cui si riferisce l'art. 1 della legge n. 222 del 1984) come attività usurante o stressante, o meno, non se ne deve tenere conto, salvo che vengano vagliate criticamente e sottoposte al dibattito processuale delle parti.
RISCALDAMENTO CONDOMINIALE
Cass. civ., Sez. II, 22 gennaio 2016, n. 1209 - pubblicato il 28 gennaio 2016
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Tenuto conto che, ai sensi dell'art. 833 c.c., integra atto emulativo esclusivamente quello che sia obiettivamente privo di alcuna utilità per il proprietario ma dannoso per altri, è legittima e non configura abuso del diritto, la pretesa del condomino al ripristino dell'impianto di riscaldamento centralizzato soppresso dall'assemblea dei condomini con delibera dichiarata illegittima. Né, in senso contrario, assumono rilievo la onerosità per gli altri condomini, nel frattempo dotatisi di impianti autonomi unifamiliari, delle opere necessarie a tale ripristino, o l'eventuale possibilità per il condomino di ottenere, a titolo di risarcimento del danno, il ristoro del costo necessario alla realizzazione di un impianto di riscaldamento autonomo.
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Tenuto conto che, ai sensi dell'art. 833 c.c., integra atto emulativo esclusivamente quello che sia obiettivamente privo di alcuna utilità per il proprietario ma dannoso per altri, è legittima e non configura abuso del diritto, la pretesa del condomino al ripristino dell'impianto di riscaldamento centralizzato soppresso dall'assemblea dei condomini con delibera dichiarata illegittima. Né, in senso contrario, assumono rilievo la onerosità per gli altri condomini, nel frattempo dotatisi di impianti autonomi unifamiliari, delle opere necessarie a tale ripristino, o l'eventuale possibilità per il condomino di ottenere, a titolo di risarcimento del danno, il ristoro del costo necessario alla realizzazione di un impianto di riscaldamento autonomo.
indennità
Cass. civ., Sez. III, 20 gennaio 2016, n. 890 - pubblicato il 26 gennaio 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In tema di locazioni di immobili urbani adibiti ad attività commerciali, disciplinate dagli artt. 27 e 34 della L. 27 luglio 1978, n. 392, in ragione della interdipendenza tra l'obbligazione del locatore di corrispondere l'indennità di avviamento e quella del conduttore di restituire l'immobile locato alla cessazione del rapporto, ove persista la duplice inadempienza di dette obbligazioni, il conduttore è esonerato soltanto dal pagamento del maggior danno ex art. 1591 c.c., mentre, in attesa del pagamento dell'indennità di pagamento, è comunque obbligato a corrispondere il canone convenuto per la locazione.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In tema di locazioni di immobili urbani adibiti ad attività commerciali, disciplinate dagli artt. 27 e 34 della L. 27 luglio 1978, n. 392, in ragione della interdipendenza tra l'obbligazione del locatore di corrispondere l'indennità di avviamento e quella del conduttore di restituire l'immobile locato alla cessazione del rapporto, ove persista la duplice inadempienza di dette obbligazioni, il conduttore è esonerato soltanto dal pagamento del maggior danno ex art. 1591 c.c., mentre, in attesa del pagamento dell'indennità di pagamento, è comunque obbligato a corrispondere il canone convenuto per la locazione.
ONERE PROBATORIO
Cass. civ., Sez. V, 20 gennaio 2016, n. 955 - pubblicato il 26 gennaio 2016
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Anche nel processo tributario trova applicazione la regola generale in tema di distribuzione dell'onere della prova, di cui all'art. 2697 c.c., per cui l'A.F. che vanti un credito nei confronti del contribuente è tenuta a fornire la prova dei fatti costitutivi della propria pretesa in quanto la presunzione di legittimità degli atti amministrativi non trova applicazione nei confronti del G.O. L'art. 7 del D.Lgs. n. 546 del 1992, che attribuisce al giudice il potere di disporre l'acquisizione d'ufficio di mezzi di prova, deve interpretarsi alla luce del principio di terzietà del giudice, di cui all'art. 111 Cost., che non consente a quest'ultimo di sopperire alle carenze probatorie delle parti sovvertendo i rispettivi oneri, ma gli attribuisce solo un potere istruttorio integrativo e non totalmente sostitutivo.
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Anche nel processo tributario trova applicazione la regola generale in tema di distribuzione dell'onere della prova, di cui all'art. 2697 c.c., per cui l'A.F. che vanti un credito nei confronti del contribuente è tenuta a fornire la prova dei fatti costitutivi della propria pretesa in quanto la presunzione di legittimità degli atti amministrativi non trova applicazione nei confronti del G.O. L'art. 7 del D.Lgs. n. 546 del 1992, che attribuisce al giudice il potere di disporre l'acquisizione d'ufficio di mezzi di prova, deve interpretarsi alla luce del principio di terzietà del giudice, di cui all'art. 111 Cost., che non consente a quest'ultimo di sopperire alle carenze probatorie delle parti sovvertendo i rispettivi oneri, ma gli attribuisce solo un potere istruttorio integrativo e non totalmente sostitutivo.
RESPONSABILITà CONTRATTUALE DELLE BANCHE
Cass. civ., Sez. I, 19 gennaio 2016, n. 806 - pubblicato il 22 gennaio 2016
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
In tema di responsabilità contrattuale delle banche, nella ipotesi di utilizzazione illecita da parte di terzi di una carta bancomat trattenuta da uno sportello automatico, ai fini della valutazione circa la sussistenza di detta responsabilità, è necessaria, a fronte di una esplicita richiesta della parte, la verifica dell'adozione, da parte della banca, di tutte le misure idonee a garantire la sicurezza del servizio da eventuali manomissioni, ancorché la denuncia della sottrazione da parte del cliente non sia stata tempestiva. A tal uopo, la diligenza posta a carico dell'istituto bancario ha natura tecnica e deve essere valutata, ex art. 1176, comma 2, c.c., tenendo conto dei rischi tipici della sfera professionale di riferimento, assumendo come parametro la figura dell'"accorto banchiere".
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
In tema di responsabilità contrattuale delle banche, nella ipotesi di utilizzazione illecita da parte di terzi di una carta bancomat trattenuta da uno sportello automatico, ai fini della valutazione circa la sussistenza di detta responsabilità, è necessaria, a fronte di una esplicita richiesta della parte, la verifica dell'adozione, da parte della banca, di tutte le misure idonee a garantire la sicurezza del servizio da eventuali manomissioni, ancorché la denuncia della sottrazione da parte del cliente non sia stata tempestiva. A tal uopo, la diligenza posta a carico dell'istituto bancario ha natura tecnica e deve essere valutata, ex art. 1176, comma 2, c.c., tenendo conto dei rischi tipici della sfera professionale di riferimento, assumendo come parametro la figura dell'"accorto banchiere".
sottotetto
Cass. civ., Sez. II, 11 gennaio 2016, n. 233 - pubblicato il 21 gennaio 2016
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
L'appartenenza del sottotetto di un edificio deve essere determinata in base al titolo, in mancanza o nel silenzio del quale, non essendo lo stesso incluso nell'elenco delle parti comuni dell'edificio essenziali per la sua esistenza o necessarie all'uso comune, la presunzione di comunione ex art. 1117 c.c. è, in ogni caso, applicabile allorché il vano, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, risulti oggettivamente destinato all'uso comune oppure all'esercizio di un servizio di interesse condominiale, quando tale presunzione non sia superata dalla prova della proprietà esclusiva.
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
L'appartenenza del sottotetto di un edificio deve essere determinata in base al titolo, in mancanza o nel silenzio del quale, non essendo lo stesso incluso nell'elenco delle parti comuni dell'edificio essenziali per la sua esistenza o necessarie all'uso comune, la presunzione di comunione ex art. 1117 c.c. è, in ogni caso, applicabile allorché il vano, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, risulti oggettivamente destinato all'uso comune oppure all'esercizio di un servizio di interesse condominiale, quando tale presunzione non sia superata dalla prova della proprietà esclusiva.
risarcimento del danno non patrimoniale
Cass. civ. Sez. lavoro, 15 gennaio 2016, n. 583 - pubblicato il 21 gennaio 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
In tema di risarcimento del danno non patrimoniale, conseguente all'infortunio sul lavoro, la giurisprudenza ammette la risarcibilità di plurime voci di danno non patrimoniale, purché allegate e provate nella loro specificità dal lavoratore, non essendo liquidabili in via automatica. In tal modo si concilia perfettamente l'esigenza di non moltiplicare in via automatica le voci risarcitorie in presenza di lesioni psicofisiche che possono globalmente valutarsi, con la possibile incidenza dell'atto lesivo su aspetti particolari dell'individuo-lavoratore, protetti dalla costituzione ma anche dalle norme comunitarie e internazionali. L'onere della prova circa il mancato risarcimento a titolo di danno morale, di un particolare aspetto della sua personalità, incombe sul lavoratore.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
In tema di risarcimento del danno non patrimoniale, conseguente all'infortunio sul lavoro, la giurisprudenza ammette la risarcibilità di plurime voci di danno non patrimoniale, purché allegate e provate nella loro specificità dal lavoratore, non essendo liquidabili in via automatica. In tal modo si concilia perfettamente l'esigenza di non moltiplicare in via automatica le voci risarcitorie in presenza di lesioni psicofisiche che possono globalmente valutarsi, con la possibile incidenza dell'atto lesivo su aspetti particolari dell'individuo-lavoratore, protetti dalla costituzione ma anche dalle norme comunitarie e internazionali. L'onere della prova circa il mancato risarcimento a titolo di danno morale, di un particolare aspetto della sua personalità, incombe sul lavoratore.
CONTRATTO DI OPERA PROFESSIONALE
Cass. civ., Sez. II, 14 gennaio 2016, n. 469 - pubblicato il 19 gennaio 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
In tema di contratto di opera professionale, la previsione di un termine di durata del rapporto non esclude di per sé la facoltà di recesso ad nutum previsto a favore del cliente dal primo comma dell'art. 2237 c.c., dovendo verificarsi in concreto, in base al contenuto del regolamento negoziale, se le parti abbiano inteso o meno vincolarsi in modo da escludere la possibilità di scioglimento del contratto prima della scadenza pattuita.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
In tema di contratto di opera professionale, la previsione di un termine di durata del rapporto non esclude di per sé la facoltà di recesso ad nutum previsto a favore del cliente dal primo comma dell'art. 2237 c.c., dovendo verificarsi in concreto, in base al contenuto del regolamento negoziale, se le parti abbiano inteso o meno vincolarsi in modo da escludere la possibilità di scioglimento del contratto prima della scadenza pattuita.
INDENNITà DI ESPROPRIAZIONE
Cass. civ., Sez. VI - 5, Ordinanza, 12 gennaio 2016, n. 265 - pubblicato il 18 gennaio 2016
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Le somme percepite dal contribuente quale indennità di esproprio di terreni non sono soggette al prelievo fiscale di cui all'art. 11, comma 5, della legge n. 413 del 1991. In merito deve rilevarsi che il principio secondo cui ai fini del prelievo fiscale in parola è sufficiente la percezione della somma, che realizzi una plusvalenza in dipendenza di procedimenti espropriativi, sia avvenuta dopo l'entrata in vigore dell'anzidetta normativa, a nulla rilevando che il trasferimento del bene sia intervenuto prima del 1 gennaio 1989, non trova applicazione quando la corresponsione delle somme dopo l'anzidetta data sia dovuta ad inescusabile ritardo dell'Amministrazione.
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Le somme percepite dal contribuente quale indennità di esproprio di terreni non sono soggette al prelievo fiscale di cui all'art. 11, comma 5, della legge n. 413 del 1991. In merito deve rilevarsi che il principio secondo cui ai fini del prelievo fiscale in parola è sufficiente la percezione della somma, che realizzi una plusvalenza in dipendenza di procedimenti espropriativi, sia avvenuta dopo l'entrata in vigore dell'anzidetta normativa, a nulla rilevando che il trasferimento del bene sia intervenuto prima del 1 gennaio 1989, non trova applicazione quando la corresponsione delle somme dopo l'anzidetta data sia dovuta ad inescusabile ritardo dell'Amministrazione.
ERRORE NELLA DICHIARAZIONE DEI REDDITI
Cass. civ., Sez. V, 13 gennaio 2016, n. 373 - pubblicato il 18 gennaio 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
La dichiarazione dei redditi del contribuente affetta da errore, sia esso di fatto o di diritto, commesso dal dichiarante nella sua redazione è, in linea di principio, emendabile e ritrattabile, quando dalla stessa possa derivare l'assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che devono restare a suo carico per legge. La dichiarazione dei redditi, invero, non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in conseguenza dell'acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e valutazione sui dati riferiti e costituisce un momento dell'iter procedimentale volto all'accertamento dell'obbligazione tributaria. Di talché qualora il richiesto tributo sia frutto di un errore nella dichiarazione presentata, il contribuente può contestarne la debenza anche in sede di impugnazione della cartella, nonostante la scadenza del termine di cui all'art. 2, comma 8 bis, D.P.R. n. 322 del 1998.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
La dichiarazione dei redditi del contribuente affetta da errore, sia esso di fatto o di diritto, commesso dal dichiarante nella sua redazione è, in linea di principio, emendabile e ritrattabile, quando dalla stessa possa derivare l'assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che devono restare a suo carico per legge. La dichiarazione dei redditi, invero, non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in conseguenza dell'acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e valutazione sui dati riferiti e costituisce un momento dell'iter procedimentale volto all'accertamento dell'obbligazione tributaria. Di talché qualora il richiesto tributo sia frutto di un errore nella dichiarazione presentata, il contribuente può contestarne la debenza anche in sede di impugnazione della cartella, nonostante la scadenza del termine di cui all'art. 2, comma 8 bis, D.P.R. n. 322 del 1998.
LAVORO
Cass. civ., Sez. lavoro, 12 gennaio 2016, n. 275 - pubblicato il 15 gennaio 2016
a cura dell'Avv.Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
Il concetto di maggiori carichi familiari, cui si richiama l'art. 5, comma 2, del D.Lgs. n. 61 del 2000, al fine di ottenere la trasformazione del rapporto di lavoro da part-time a full time, non può basarsi unicamente ed astrattamente sul numero dei figli, a prescindere dal carico economico che ciò implica e, dunque, dalle condizioni economiche e patrimoniali del nucleo familiare, bensì con riferimento anche a quest'ultimo aspetto. In definitiva, la predetta norma è volta a tutelare la situazione reddituale deteriore del lavoratore part time per il maggior aggravio derivante sia dal numero dei familiari a carico, sia dal relativo onere economico.
a cura dell'Avv.Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
Il concetto di maggiori carichi familiari, cui si richiama l'art. 5, comma 2, del D.Lgs. n. 61 del 2000, al fine di ottenere la trasformazione del rapporto di lavoro da part-time a full time, non può basarsi unicamente ed astrattamente sul numero dei figli, a prescindere dal carico economico che ciò implica e, dunque, dalle condizioni economiche e patrimoniali del nucleo familiare, bensì con riferimento anche a quest'ultimo aspetto. In definitiva, la predetta norma è volta a tutelare la situazione reddituale deteriore del lavoratore part time per il maggior aggravio derivante sia dal numero dei familiari a carico, sia dal relativo onere economico.
INDENNITà SOSTITUTIVA
Cass. civ., Sez. lavoro, 11 gennaio 2016, n. 203 - pubblicato il 14 gennaio 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
Ai fini del decorso del termine di decadenza di cui all'art. 18, comma 5, dello Statuto del lavoratori (L. n. 300 del 1970) per il pagamento dell'indennità sostitutiva della reintegra, assume rilevanza la conoscenza, effettiva e completa, da parte del lavoratore della sentenza di declaratoria di illegittimità del licenziamento, a prescindere dalla comunicazione di avvenuto deposito da parte della cancelleria, potendo avere il valore di questa anche la notificazione, operata dallo stesso ricorrente, della sentenza, ai fini esecutivi della stessa nel capo relativo al risarcimento dei danni da licenziamento illegittimo.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
Ai fini del decorso del termine di decadenza di cui all'art. 18, comma 5, dello Statuto del lavoratori (L. n. 300 del 1970) per il pagamento dell'indennità sostitutiva della reintegra, assume rilevanza la conoscenza, effettiva e completa, da parte del lavoratore della sentenza di declaratoria di illegittimità del licenziamento, a prescindere dalla comunicazione di avvenuto deposito da parte della cancelleria, potendo avere il valore di questa anche la notificazione, operata dallo stesso ricorrente, della sentenza, ai fini esecutivi della stessa nel capo relativo al risarcimento dei danni da licenziamento illegittimo.
PRIVACY
Cass. civ., Sez. VI, Ordinanza, 11 gennaio 2016, n. 222 - pubblicato il 14 gennaio 2016
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Il danno non patrimoniale, risarcibile ex art. 15 del Codice della privacy (D.Lgs. n. 196 del 2003) non si sottrae alla verifica della "gravità" della lesione e della serietà del danno, atteso che anche per tale diritto opera il bilanciamento con il principio di solidarietà ex art. 2 Cost.. Ne deriva che determina una lesione ingiustificabile del diritto non la mera violazione delle prescrizioni di cui all'art. 11 del predetto Codice ma solo quella che ne offenda in modo sensibile la portata effettiva.
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Il danno non patrimoniale, risarcibile ex art. 15 del Codice della privacy (D.Lgs. n. 196 del 2003) non si sottrae alla verifica della "gravità" della lesione e della serietà del danno, atteso che anche per tale diritto opera il bilanciamento con il principio di solidarietà ex art. 2 Cost.. Ne deriva che determina una lesione ingiustificabile del diritto non la mera violazione delle prescrizioni di cui all'art. 11 del predetto Codice ma solo quella che ne offenda in modo sensibile la portata effettiva.
CONDOMINIO
Cass. civ., Sez. II, 27 novembre 2015, n. 24296 - pubblicato l'8 gennaio 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
Il proprietario dell'unità immobiliare sita in un condominio che, per ragioni di conformazione dell'edificio, non sia servita dall'impianto di riscaldamento centralizzato, non può legittimamente vantare un diritto di condominio sull'impianto medesimo, giacché questo non è legato alla predetta unità immobiliare da una relazione di accessorietà, fondamento tecnico del diritto di condominio. Il presupposto per l'attribuzione della proprietà comune in favore di tutti i compartecipi viene meno se le cose, gli impianti ed i servizi di uso comune, per oggettivi caratteri strutturali e funzionali, siano necessari per l'esistenza o per l'uso di alcuni soltanto dei piani o porzioni di piano dell'edifico.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
Il proprietario dell'unità immobiliare sita in un condominio che, per ragioni di conformazione dell'edificio, non sia servita dall'impianto di riscaldamento centralizzato, non può legittimamente vantare un diritto di condominio sull'impianto medesimo, giacché questo non è legato alla predetta unità immobiliare da una relazione di accessorietà, fondamento tecnico del diritto di condominio. Il presupposto per l'attribuzione della proprietà comune in favore di tutti i compartecipi viene meno se le cose, gli impianti ed i servizi di uso comune, per oggettivi caratteri strutturali e funzionali, siano necessari per l'esistenza o per l'uso di alcuni soltanto dei piani o porzioni di piano dell'edifico.
SOSTANZE STUPEFACENTI
Cass. pen. Sez. III, 16 dicembre 2015, n. 49571 - pubblicato l'8 gennaio 2016
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
L'aggravante della consegna delle sostanze stupefacenti a persona di età minore, prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 1, n. 1, è configurabile anche nel caso di semplice dazione al minorenne, indipendentemente dalla diversa destinazione che lo stupefacente possa eventualmente avere, in quanto la ragione dell'aggravante risiede proprio nel fatto che un minore entri in possesso dello stupefacente e possa dunque assumerne. (Fattispecie nella quale lo stupefacente veniva consegnato ai figli minori dell'assuntore che provvedevano al pagamento ed al ritiro della sostanza su disposizione di quest'ultimo).
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
L'aggravante della consegna delle sostanze stupefacenti a persona di età minore, prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 1, n. 1, è configurabile anche nel caso di semplice dazione al minorenne, indipendentemente dalla diversa destinazione che lo stupefacente possa eventualmente avere, in quanto la ragione dell'aggravante risiede proprio nel fatto che un minore entri in possesso dello stupefacente e possa dunque assumerne. (Fattispecie nella quale lo stupefacente veniva consegnato ai figli minori dell'assuntore che provvedevano al pagamento ed al ritiro della sostanza su disposizione di quest'ultimo).
pericolo
Cass. pen., Sez. VI, 18 dicembre 2015, n. 50027 - pubblicato il 7 gennaio 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In ordine alle modifiche apportate al codice dalla L. n. 47 del 2015, in particolare con la aggiunta di "attuale" quale ulteriore aggettivazione del "pericolo concreto", certamente vi è giurisprudenza di questa Corte che ha distinto tra "attuale" e "concreto", escludendo che, ai fini della affermazione del pericolo di recidiva , fosse necessaria una "attualità" intesa quale "riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione".
Altre decisioni, invece, hanno considerato l'attualità come insita nella concretezza ("Sez. 6, n. 52404 del 26/11/2014 - dep. 17/12/2014, Alessi, Rv. 261670") richiedendone la dimostrazione al fine di applicazione della misura cautelare. La ragione affermata è che risulta difficile immaginare delle esigenze cautelari di prevenzione rispetto al rischio di recidiva che, nell'essere concrete, non siano anche attuali.
La L. n. 47 del 2015, quindi, non innova nel senso che in precedenza l'attualità non fosse necessaria bensì riconosce che quest'ultima era la interpretazione corretta, tale da garantire maggiore attenzione nella applicazione di misure. L'innovazione, quindi, non consiste nella necessità di ricercare una "attualità" che vada oltre quella richiesta dalla giurisprudenza citata, ma nel fatto che non è più consentita la misura secondo la interpretazione restrittiva della "concretezza". Del resto, il codice continua a distinguere tra "esigenze cautelari" ed "eccezionali esigenze cautelari", a dimostrazione che la attualità non è "nell'immediatezza".
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia Foro di Nocera Inferiore
In ordine alle modifiche apportate al codice dalla L. n. 47 del 2015, in particolare con la aggiunta di "attuale" quale ulteriore aggettivazione del "pericolo concreto", certamente vi è giurisprudenza di questa Corte che ha distinto tra "attuale" e "concreto", escludendo che, ai fini della affermazione del pericolo di recidiva , fosse necessaria una "attualità" intesa quale "riconosciuta esistenza di occasioni prossime favorevoli alla commissione".
Altre decisioni, invece, hanno considerato l'attualità come insita nella concretezza ("Sez. 6, n. 52404 del 26/11/2014 - dep. 17/12/2014, Alessi, Rv. 261670") richiedendone la dimostrazione al fine di applicazione della misura cautelare. La ragione affermata è che risulta difficile immaginare delle esigenze cautelari di prevenzione rispetto al rischio di recidiva che, nell'essere concrete, non siano anche attuali.
La L. n. 47 del 2015, quindi, non innova nel senso che in precedenza l'attualità non fosse necessaria bensì riconosce che quest'ultima era la interpretazione corretta, tale da garantire maggiore attenzione nella applicazione di misure. L'innovazione, quindi, non consiste nella necessità di ricercare una "attualità" che vada oltre quella richiesta dalla giurisprudenza citata, ma nel fatto che non è più consentita la misura secondo la interpretazione restrittiva della "concretezza". Del resto, il codice continua a distinguere tra "esigenze cautelari" ed "eccezionali esigenze cautelari", a dimostrazione che la attualità non è "nell'immediatezza".
ACQUISTO PRIMA CASA
Cass. civ., Sez. V, 23 dicembre 2015, n. 25880 - pubblicato il 5 gennaio 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
L'agevolazione per l'acquisto della "prima casa", è subordinata all'acquisto di un'unità immobiliare da destinare a propria abitazione, e presuppone che l'acquirente abbia la residenza anagrafica nel Comune in cui è ubicato l'immobile ovvero che si impegni, in seno all'atto d'acquisto, a stabilirla in detto comune entro il termine di un anno, all'epoca ancora vigente. La realizzazione dell'impegno di trasferire la residenza, che rappresenta un elemento costitutivo per il conseguimento del beneficio richiesto e solo provvisoriamente concesso dalla legge al momento della registrazione dell'atto, costituisce, quindi, un vero e proprio obbligo del contribuente verso il fisco, che va rispettato in termini generali, facendo salvi eventuali ostacoli sorti nell'adempimento di tale obbligazione, non imputabili alla parte obbligata, inevitabili ed imprevedibili.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
L'agevolazione per l'acquisto della "prima casa", è subordinata all'acquisto di un'unità immobiliare da destinare a propria abitazione, e presuppone che l'acquirente abbia la residenza anagrafica nel Comune in cui è ubicato l'immobile ovvero che si impegni, in seno all'atto d'acquisto, a stabilirla in detto comune entro il termine di un anno, all'epoca ancora vigente. La realizzazione dell'impegno di trasferire la residenza, che rappresenta un elemento costitutivo per il conseguimento del beneficio richiesto e solo provvisoriamente concesso dalla legge al momento della registrazione dell'atto, costituisce, quindi, un vero e proprio obbligo del contribuente verso il fisco, che va rispettato in termini generali, facendo salvi eventuali ostacoli sorti nell'adempimento di tale obbligazione, non imputabili alla parte obbligata, inevitabili ed imprevedibili.
ACCERTAMENTO TRIBUTARIO
Cass. civ., Sez. V, 23 dicembre 2015, n. 25902 - pubblicato il 5 gennaio 2016
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In tema di accertamento tributario la procedura di accertamento standardizzato, mediante l'applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli "standards" in sé considerati, ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell'accertamento, con il contribuente. Fermo restando la facoltà del contribuente, sia nella fase amministrativa che in quella contenziosa, di allegare e provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, giustificando così la produzione di un reddito inferiore rispetto a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, la motivazione dell'atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell'applicabilità in concreto dello standard prescelto con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente.
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In tema di accertamento tributario la procedura di accertamento standardizzato, mediante l'applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli "standards" in sé considerati, ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell'accertamento, con il contribuente. Fermo restando la facoltà del contribuente, sia nella fase amministrativa che in quella contenziosa, di allegare e provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, giustificando così la produzione di un reddito inferiore rispetto a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, la motivazione dell'atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell'applicabilità in concreto dello standard prescelto con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente.
RESPONSABILITà AGGRAVATA
Cass. civ., Sez. VI - 1, Ord., 22 dicembre 2015, n. 25852 - pubblicato il 4 gennaio 2016
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
Al pari di ogni altro soggetto dotato di legittimazione, anche l'agente soggiace alla sanzione processuale derivante dall'aver agito con colpa grave, per avere (come nel caso di specie) non solo riproposto una domanda avente ad oggetto un credito già in precedenza accertato, ma insistito per ottenerne l'accoglimento persino dopo aver usufruito, a sua richiesta, di un apposito termine per verificare i documenti di cui è in possesso od assumere le necessarie informazioni presso il mandante. Non può dubitarsi, d'altro canto, dell'estraneità del contribuente al rapporto di mandato fra l'amministrazione finanziaria e l'agente, con la conseguenza che quest'ultimo non può ritenersi esonerato dalla responsabilità aggravata di cui all'art. 96 c.p.c. (della quale risponde verso la controparte processuale) in ragione della responsabilità assunta nei confronti dell'ente impositore: al di là del rilievo che, per sottrarsi alla responsabilità derivante dal rapporto di mandato, il mandatario può chiedere di essere autorizzato a chiamare in giudizio l'amministrazione mandante, spetta infatti esclusivamente all'agente di decidere se, a fronte dell'ipotetico rischio di essere chiamato a rispondere del mancato riconoscimento del credito da parte dell'ente impositore, sia per lui più conveniente iniziare o proseguire un'azione che, per la sua palese pretestuosità, potrebbe comportare l'irrogazione di una sanzione ai sensi dell'art. 96 cit. Ciò senza contare che, come correttamente rilevato dal Fallimento controricorrente, dovrebbe, piuttosto, essere il mandatario a rivalersi verso l'amministrazione delle spese processuali incontrate per aver dovuto promuovere, per l'errore di questa, un'azione di indebita riscossione.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Foro di Nocera Inferiore
Al pari di ogni altro soggetto dotato di legittimazione, anche l'agente soggiace alla sanzione processuale derivante dall'aver agito con colpa grave, per avere (come nel caso di specie) non solo riproposto una domanda avente ad oggetto un credito già in precedenza accertato, ma insistito per ottenerne l'accoglimento persino dopo aver usufruito, a sua richiesta, di un apposito termine per verificare i documenti di cui è in possesso od assumere le necessarie informazioni presso il mandante. Non può dubitarsi, d'altro canto, dell'estraneità del contribuente al rapporto di mandato fra l'amministrazione finanziaria e l'agente, con la conseguenza che quest'ultimo non può ritenersi esonerato dalla responsabilità aggravata di cui all'art. 96 c.p.c. (della quale risponde verso la controparte processuale) in ragione della responsabilità assunta nei confronti dell'ente impositore: al di là del rilievo che, per sottrarsi alla responsabilità derivante dal rapporto di mandato, il mandatario può chiedere di essere autorizzato a chiamare in giudizio l'amministrazione mandante, spetta infatti esclusivamente all'agente di decidere se, a fronte dell'ipotetico rischio di essere chiamato a rispondere del mancato riconoscimento del credito da parte dell'ente impositore, sia per lui più conveniente iniziare o proseguire un'azione che, per la sua palese pretestuosità, potrebbe comportare l'irrogazione di una sanzione ai sensi dell'art. 96 cit. Ciò senza contare che, come correttamente rilevato dal Fallimento controricorrente, dovrebbe, piuttosto, essere il mandatario a rivalersi verso l'amministrazione delle spese processuali incontrate per aver dovuto promuovere, per l'errore di questa, un'azione di indebita riscossione.
REITERAZIONE DEL REATO
Cass. pen., Sez. III, 15 dicembre 2015, n. 49333 - pubblicato il 4 gennaio 2016
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Lo svolgimento di attività lavorativa al momento dell'arresto non costituisce elemento di novità tale da escludere il pericolo di reiterazione del reato, valorizzando la circostanza che l'attività illecita era ancora in corso al momento dell'arresto; che neppure risulta rilevante, quale elemento di novità, la posizione cautelare degli altri coimputati, in quanto determinata da condizioni di fatto soggettive per ciascuno di essi; che, infine, non assume, di per sè solo, valenza significativa il mero decorso del tempo dall'inizio della applicazione della misura. Trattasi di motivazione adeguata e immune da vizi logici ed in linea con i principi affermati da questa Suprema Corte in subiecta materia. Va osservato, infatti, che costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo il quale, in tema di misure cautelari personali, l'attenuazione o l'esclusione delle esigenze cautelari non può essere desunta dal solo decorso del tempo di esecuzione della misura o dal "bilanciamento" con la valutazione ("in melius") delle esigenze cautelari operata in relazione a coindagati (o coimputati) dovendosi valutare ulteriori elementi di sicura valenza sintomatica in ordine al mutamento della situazione apprezzata all'iniziò del trattamento cautelare (Sez. 2^, Sentenza n. 1858,dep. 17/01/2014 Rv.258191, Sez. 5^, Ordinanza n. 16425, dep. 27/04/2010, Rv. 246868, Sez. 2^, Sentenza n. 39785 dep. 26/10/2007, Rv.238763). Quanto, poi, alla non adeguatezza di misure alternative agli arresti domiciliari, il Tribunale ha specificamente motivato in merito alla sussistenza delle ragioni ostative all'adozione di misure di carattere non custodiale, argomentando che siffatte misure lascerebbero al ricorrente sostanziale libertà di movimento e di azione e non assicurerebbero, pertanto, l'interruzione dei rapporti con gli ambienti del traffico di stupefacenti. Tale motivazione è congrua e logica ed esente da censure in sede di legittimità.
a cura dell'Avv. Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Lo svolgimento di attività lavorativa al momento dell'arresto non costituisce elemento di novità tale da escludere il pericolo di reiterazione del reato, valorizzando la circostanza che l'attività illecita era ancora in corso al momento dell'arresto; che neppure risulta rilevante, quale elemento di novità, la posizione cautelare degli altri coimputati, in quanto determinata da condizioni di fatto soggettive per ciascuno di essi; che, infine, non assume, di per sè solo, valenza significativa il mero decorso del tempo dall'inizio della applicazione della misura. Trattasi di motivazione adeguata e immune da vizi logici ed in linea con i principi affermati da questa Suprema Corte in subiecta materia. Va osservato, infatti, che costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo il quale, in tema di misure cautelari personali, l'attenuazione o l'esclusione delle esigenze cautelari non può essere desunta dal solo decorso del tempo di esecuzione della misura o dal "bilanciamento" con la valutazione ("in melius") delle esigenze cautelari operata in relazione a coindagati (o coimputati) dovendosi valutare ulteriori elementi di sicura valenza sintomatica in ordine al mutamento della situazione apprezzata all'iniziò del trattamento cautelare (Sez. 2^, Sentenza n. 1858,dep. 17/01/2014 Rv.258191, Sez. 5^, Ordinanza n. 16425, dep. 27/04/2010, Rv. 246868, Sez. 2^, Sentenza n. 39785 dep. 26/10/2007, Rv.238763). Quanto, poi, alla non adeguatezza di misure alternative agli arresti domiciliari, il Tribunale ha specificamente motivato in merito alla sussistenza delle ragioni ostative all'adozione di misure di carattere non custodiale, argomentando che siffatte misure lascerebbero al ricorrente sostanziale libertà di movimento e di azione e non assicurerebbero, pertanto, l'interruzione dei rapporti con gli ambienti del traffico di stupefacenti. Tale motivazione è congrua e logica ed esente da censure in sede di legittimità.
CONDOMINIO
Cass. civ., Sez. II, 16 dicembre 2015, n. 25292 - pubblicato il 30 dicembre 2015
a cura dello Studio Legale Gaetano Riccio - Eliana Libroia
In applicazione del principio di giustizia distribuita, l'onere necessario alla produzione di una utilità collettiva nell'interesse di tutti i condomini, deve essere proporzionalmente distribuito tra tutti i comunisti e non già gravare esclusivamente sul singolo condomino, la cui proprietà esclusiva sia risultata menomata a seguito e per effetto della realizzazione delle opere dirette a consolidare l'edificio condominiale pericolante. Di talché in ipotesi siffatte, posta la configurabilità, a carico del condominio, di una ipotesi di responsabilità per fatto lecito dannoso, fondata sul principio del contemperamento di esigenze tutte tutelate dall'ordinamento, deve porsi a carico dello stesso l'obbligo di indennizzare il singolo, danneggiato dall'esecuzione dell'opera.
a cura dello Studio Legale Gaetano Riccio - Eliana Libroia
In applicazione del principio di giustizia distribuita, l'onere necessario alla produzione di una utilità collettiva nell'interesse di tutti i condomini, deve essere proporzionalmente distribuito tra tutti i comunisti e non già gravare esclusivamente sul singolo condomino, la cui proprietà esclusiva sia risultata menomata a seguito e per effetto della realizzazione delle opere dirette a consolidare l'edificio condominiale pericolante. Di talché in ipotesi siffatte, posta la configurabilità, a carico del condominio, di una ipotesi di responsabilità per fatto lecito dannoso, fondata sul principio del contemperamento di esigenze tutte tutelate dall'ordinamento, deve porsi a carico dello stesso l'obbligo di indennizzare il singolo, danneggiato dall'esecuzione dell'opera.
PENA
Cass. pen., Sez. VI, 4 dicembre 2015, n. 49475 - pubblicato il 29 dicembre 2015
a cura dello Studio Legale Gaetano Riccio - Eliana Libroia
L'applicazione di una pena in base a criteri non più corrispondenti al giudizio di disvalore della condotta, espresso dal legislatore, viola il principio di proporzionalità cui deve essere improntato il potere punitivo del Giudice. Detto principio è espressione del principio di uguaglianza e di rieducazione cui deve tendere la pena. In tal caso infatti, si finirebbe per violare il diritto dell'imputato ad essere giudicato in base al trattamento più favorevole tra quelli succedutisi nel tempo.
a cura dello Studio Legale Gaetano Riccio - Eliana Libroia
L'applicazione di una pena in base a criteri non più corrispondenti al giudizio di disvalore della condotta, espresso dal legislatore, viola il principio di proporzionalità cui deve essere improntato il potere punitivo del Giudice. Detto principio è espressione del principio di uguaglianza e di rieducazione cui deve tendere la pena. In tal caso infatti, si finirebbe per violare il diritto dell'imputato ad essere giudicato in base al trattamento più favorevole tra quelli succedutisi nel tempo.
AGEVOLAZIONI TRIBUTARIE
Cass. civ., Sez. VI, Ordinanza, 22 dicembre 2015, n. 25818 - pubblicato il 29 dicembre 2015
a cura dello Studio Legale Gaetano Riccio - Eliana Libroia
La nozione di superficie utile complessiva e il requisito dell'utilizzabilità degli ambienti di un immobile sono i parametri da tenere in considerazione al fine di valutare il carattere lussuoso dello stesso e, conseguentemente, escludere che l'acquisto del predetto possa rientrare nell'ambito delle agevolazioni fiscali di cui all'art. 1, comma 3, parte prima, tariffa allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131.
a cura dello Studio Legale Gaetano Riccio - Eliana Libroia
La nozione di superficie utile complessiva e il requisito dell'utilizzabilità degli ambienti di un immobile sono i parametri da tenere in considerazione al fine di valutare il carattere lussuoso dello stesso e, conseguentemente, escludere che l'acquisto del predetto possa rientrare nell'ambito delle agevolazioni fiscali di cui all'art. 1, comma 3, parte prima, tariffa allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131.
FILIAZIONE
Cass. civ., Sez. I, 21 dicembre 2015, n. 25675 - pubblicato il 28 dicembre 2015
a cura dello Studio Legale Gaetano Riccio - Eliana Libroia
Nell'ambito del giudizio promosso per la dichiarazione giudiziale di paternità naturale, il rifiuto ingiustificato del padre di sottoporsi agli esami ematologici può essere liberamente valutato dal giudice, secondo quanto disposto dall'art. 116, comma 2, c.p.c., anche in assenza di prova dei rapporti sessuali tra le parti, non derivando da ciò né una restrizione della liberà personale del preteso padre, che conserva piena facoltà di determinazione in ordine all'assoggettamento o meno ai prelievi, né una violazione del diritto alla riservatezza, atteso che l'uso dei dati è rivolto solo a fini di giustizia, mentre il sanitario, chiamato a compiere l'accertamento, è tenuto al segreto professionale ed al rispetto della disciplina in materia di protezione dei dati personali.
a cura dello Studio Legale Gaetano Riccio - Eliana Libroia
Nell'ambito del giudizio promosso per la dichiarazione giudiziale di paternità naturale, il rifiuto ingiustificato del padre di sottoporsi agli esami ematologici può essere liberamente valutato dal giudice, secondo quanto disposto dall'art. 116, comma 2, c.p.c., anche in assenza di prova dei rapporti sessuali tra le parti, non derivando da ciò né una restrizione della liberà personale del preteso padre, che conserva piena facoltà di determinazione in ordine all'assoggettamento o meno ai prelievi, né una violazione del diritto alla riservatezza, atteso che l'uso dei dati è rivolto solo a fini di giustizia, mentre il sanitario, chiamato a compiere l'accertamento, è tenuto al segreto professionale ed al rispetto della disciplina in materia di protezione dei dati personali.
STALKING
Cass. pen., Sez. V, 16 dicembre 2015, n. 49613 - pubblicato il 28 dicembre 2015
a cura dello Studio Legale Gaetano Riccio - Eliana Libroia
La sussistenza del grave e perdurante stato di turbamento emotivo prescinde dall'accertamento di uno stato patologico conclamato, essendo sufficiente che gli atti persecutori abbiano un effetto destabilizzante della serenità dell'equilibrio psicologico della vittima, per cui assumono rilevanza tanto le dichiarazioni della persona offesa, quanto le sue condotte, conseguenti e successive all'operato dell'agente.
a cura dello Studio Legale Gaetano Riccio - Eliana Libroia
La sussistenza del grave e perdurante stato di turbamento emotivo prescinde dall'accertamento di uno stato patologico conclamato, essendo sufficiente che gli atti persecutori abbiano un effetto destabilizzante della serenità dell'equilibrio psicologico della vittima, per cui assumono rilevanza tanto le dichiarazioni della persona offesa, quanto le sue condotte, conseguenti e successive all'operato dell'agente.
INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA
Cass. civ., Sez. III, 18 dicembre 2015, n. 25442 - pubblicato il 23 dicembre 2015
a cura dello Studio Legale Gaetano Riccio - Eliana Libroia
In materia di intermediazione finanziaria, la consegna al promotore finanziario di somme di denaro con modalità difformi da quelle che questi sarebbe legittimato a ricevere dal cliente, non costituisce circostanza idonea, in caso di indebita appropriazione di dette somme da parte del promotore, ad interrompere il nesso di causalità esistente tra lo svolgimento dell'attività dello stesso e la consumazione dell'illecito. L'anzidetta circostanza non è, dunque, idonea nemmeno ad interrompere la corresponsabilità solidale dell'intermediario preponente, responsabile dell'illecito commesso dal suo promotore in tale veste, per effetto della correlazione tra illecito e conferimento dell'incarico di promuovere affari.
a cura dello Studio Legale Gaetano Riccio - Eliana Libroia
In materia di intermediazione finanziaria, la consegna al promotore finanziario di somme di denaro con modalità difformi da quelle che questi sarebbe legittimato a ricevere dal cliente, non costituisce circostanza idonea, in caso di indebita appropriazione di dette somme da parte del promotore, ad interrompere il nesso di causalità esistente tra lo svolgimento dell'attività dello stesso e la consumazione dell'illecito. L'anzidetta circostanza non è, dunque, idonea nemmeno ad interrompere la corresponsabilità solidale dell'intermediario preponente, responsabile dell'illecito commesso dal suo promotore in tale veste, per effetto della correlazione tra illecito e conferimento dell'incarico di promuovere affari.
DICHIARAZIONE DI ADOTTABILITà
Cass. civ., Sez. I, 18 dicembre 2015, n. 25527 - pubblicato il 22 dicembre 2015
a cura dello Studio Legale Gaetano Riccio - Eliana Libroia
Il diritto del minore di crescere nell'ambito del proprio nucleo familiare di origine, ritenuto l'ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico, è garantito dall'art. 1 della legge n. 184 del 1983. Ai fini della dichiarazione di adottabilità dei minori, il giudice di merito, pertanto, deve, prioritariamente, verificare se possa essere utilmente fornito un intervento di sostegno diretto a rimuovere situazioni di difficoltà o disagio familiare e, solo ove risulti impossibile, sebbene in base ad un criterio di grande probabilità, prevedere il recupero delle capacità genitoriali entro tempi compatibili con la necessità del minore di vivere in uno stabile contesto familiare, è legittimo e corretto l'accertamento dello stato di abbandono.
a cura dello Studio Legale Gaetano Riccio - Eliana Libroia
Il diritto del minore di crescere nell'ambito del proprio nucleo familiare di origine, ritenuto l'ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico, è garantito dall'art. 1 della legge n. 184 del 1983. Ai fini della dichiarazione di adottabilità dei minori, il giudice di merito, pertanto, deve, prioritariamente, verificare se possa essere utilmente fornito un intervento di sostegno diretto a rimuovere situazioni di difficoltà o disagio familiare e, solo ove risulti impossibile, sebbene in base ad un criterio di grande probabilità, prevedere il recupero delle capacità genitoriali entro tempi compatibili con la necessità del minore di vivere in uno stabile contesto familiare, è legittimo e corretto l'accertamento dello stato di abbandono.
ILLECITO DISCIPLINARE
Cass. civ., Sez. Unite, 15 dicembre 2015, n. 25203 - pubblicato il 19 dicembre 2015
a cura dello Studio Legale Gaetano Riccio - Eliana Libroia
In merito alla contestazione dell'illecito disciplinare di cui all'art. 2, lettera d) del D.Lgs. n. 109 del 2006 per non aver tenuto, il magistrato, un comportamento neutrale ed imparziale rispetto alle parti, non ricorre il difetto di motivazione, manifesta illogicità e contraddittorietà della sentenza impugnata, laddove i fatti posti a fondamento della stessa, non facciano riferimento alle dichiarazioni rese da un testimone, smentite dalle dichiarazioni del personale di Cancelleria.
a cura dello Studio Legale Gaetano Riccio - Eliana Libroia
In merito alla contestazione dell'illecito disciplinare di cui all'art. 2, lettera d) del D.Lgs. n. 109 del 2006 per non aver tenuto, il magistrato, un comportamento neutrale ed imparziale rispetto alle parti, non ricorre il difetto di motivazione, manifesta illogicità e contraddittorietà della sentenza impugnata, laddove i fatti posti a fondamento della stessa, non facciano riferimento alle dichiarazioni rese da un testimone, smentite dalle dichiarazioni del personale di Cancelleria.
pensione di inabilità
Cass. civ. Sez. Unite, 15 dicembre 2015, n. 25204 - pubblicato il 18 dicembre 2015
a cura dello Studio Legale Gaetano Riccio - Eliana Libroia
In materia di pensione di inabilità ex art. 12 della legge n. 118 del 1971, qualora i relativi elementi costitutivi siano maturati prima del compimento del sessantacinquesimo anno di età e la relativa domanda amministrativa sia stata proposta prima di tale data, la sostituzione della pensione di inabilità con l'assegno sociale opera dal primo giorno del mese successivo a quello del compimento del sessantacinquesimo anno, anche se ciò comporta che non venga pagato neanche un rateo della pensione di inabilità e si debba corrispondere direttamente l'assegno sociale.
a cura dello Studio Legale Gaetano Riccio - Eliana Libroia
In materia di pensione di inabilità ex art. 12 della legge n. 118 del 1971, qualora i relativi elementi costitutivi siano maturati prima del compimento del sessantacinquesimo anno di età e la relativa domanda amministrativa sia stata proposta prima di tale data, la sostituzione della pensione di inabilità con l'assegno sociale opera dal primo giorno del mese successivo a quello del compimento del sessantacinquesimo anno, anche se ciò comporta che non venga pagato neanche un rateo della pensione di inabilità e si debba corrispondere direttamente l'assegno sociale.
danno non patrimoniale
Cass. civ., Sez. VI, Ordinanza, 15 dicembre 2015, n. 25260 - pubblicato il 18 dicembre 2015
a cura dello Studio Legale Gaetano Riccio - Eliana Libroia
Il danno da stress o da usura psicofisica del lavoratore, derivante dal mancato riconoscimento delle soste obbligatorie alla guida, si iscrive nella categoria unitaria del danno non patrimoniale causato da inadempimento contrattuale. La sua risarcibilità presuppone, dunque, la sussistenza di un pregiudizio concreto patito dal titolare dell'interesse leso, gravato, pertanto, dall'onere della relativa specifica deduzione della prova, eventualmente anche attraverso presunzioni semplici. Il carattere non patrimoniale del pregiudizio de quo postula, dunque, una specificazione degli elementi necessari per la sua configurazione, sia con riferimento al tipo di danno configurabile, sia con riferimento ai diversi presupposti rilevanti per ciascuna tipologia di pregiudizio, restando esclusa la configurabilità di un danno in re ipsa.
a cura dello Studio Legale Gaetano Riccio - Eliana Libroia
Il danno da stress o da usura psicofisica del lavoratore, derivante dal mancato riconoscimento delle soste obbligatorie alla guida, si iscrive nella categoria unitaria del danno non patrimoniale causato da inadempimento contrattuale. La sua risarcibilità presuppone, dunque, la sussistenza di un pregiudizio concreto patito dal titolare dell'interesse leso, gravato, pertanto, dall'onere della relativa specifica deduzione della prova, eventualmente anche attraverso presunzioni semplici. Il carattere non patrimoniale del pregiudizio de quo postula, dunque, una specificazione degli elementi necessari per la sua configurazione, sia con riferimento al tipo di danno configurabile, sia con riferimento ai diversi presupposti rilevanti per ciascuna tipologia di pregiudizio, restando esclusa la configurabilità di un danno in re ipsa.
ESPROPRIAZIONE FORZATA PRESSO TERZI
Cass. civ., Sez. VI, Ordinanza, 14 dicembre 2015, n. 25110 - pubblicato il 16 dicembre 2015
a cura dello Studio Legale Gaetano Riccio - Eliana Libroia
In tema di espropriazione forzata presso terzi, il termine per proporre l'opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. avverso l'ordinanza di assegnazione ex art. 553 c.p.c. decorre, per il terzo pignorato, dal momento in cui ha avuto conoscenza legale dell'ordinanza predetta, tramite notificazione da parte del creditore. Il termine di cui innanzi non può, pertanto, farsi decorrere dalla data di notificazione dell'atto di precetto, se successiva a quella di notificazione dell'ordinanza di assegnazione, costituente titolo esecutivo per agire in executivis nei confronti del terzo.
a cura dello Studio Legale Gaetano Riccio - Eliana Libroia
In tema di espropriazione forzata presso terzi, il termine per proporre l'opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c. avverso l'ordinanza di assegnazione ex art. 553 c.p.c. decorre, per il terzo pignorato, dal momento in cui ha avuto conoscenza legale dell'ordinanza predetta, tramite notificazione da parte del creditore. Il termine di cui innanzi non può, pertanto, farsi decorrere dalla data di notificazione dell'atto di precetto, se successiva a quella di notificazione dell'ordinanza di assegnazione, costituente titolo esecutivo per agire in executivis nei confronti del terzo.
RESPONSABILITà DEL COSTRUTTORE
Cass. civ., Sez. II, 4 dicembre 2015, n. 24763 - pubblicato l'11 dicembre 2015
a cura dello Studio Legale Gaetano Riccio - Eliana Libroia
Sussiste una responsabilità del costruttore, ai sensi dell'art. 1669 c.c., allorché l'opera, nel corso di dieci anni dal compimento, rovina in tutto od in parte per un suo difetto di realizzazione ovvero presenti evidente pericolo di rovina o gravi difetti che possono consistere anche in carenze costruttive dell'edificio, inteso come singola unità abitativa, che ne pregiudichino o menomino in modo grave il normale godimento, la funzionalità o l'abitabilità, sebbene incidenti su elementi secondari ed accessori dell'opera stessa.
a cura dello Studio Legale Gaetano Riccio - Eliana Libroia
Sussiste una responsabilità del costruttore, ai sensi dell'art. 1669 c.c., allorché l'opera, nel corso di dieci anni dal compimento, rovina in tutto od in parte per un suo difetto di realizzazione ovvero presenti evidente pericolo di rovina o gravi difetti che possono consistere anche in carenze costruttive dell'edificio, inteso come singola unità abitativa, che ne pregiudichino o menomino in modo grave il normale godimento, la funzionalità o l'abitabilità, sebbene incidenti su elementi secondari ed accessori dell'opera stessa.
SCIOPERO
Cass. civ., Sez. lavoro, 3 dicembre 2015, n. 24653 - pubblicato l'11 dicembre 2015
a cura dello Studio Legale Gaetano Riccio - Eliana Libroia
Il diritto di sciopero non ha altri limiti se non quelli che si rinvengono in norme che tutelino posizioni soggettive concorrenti, su un piano prioritario o quanto meno paritario, quali il diritto alla vita ed all'incolumità personale, nonché la libertà dell'iniziativa economica. L'accertamento in questione deve essere condotto caso per caso dal giudice, in relazione alle concrete modalità di esercizio del diritto di sciopero ed ai concreti pregiudizi o pericoli cui vengono esposti il diritto alla vita, all'incolumità delle persone ed all'integrità degli impianti produttivi.
a cura dello Studio Legale Gaetano Riccio - Eliana Libroia
Il diritto di sciopero non ha altri limiti se non quelli che si rinvengono in norme che tutelino posizioni soggettive concorrenti, su un piano prioritario o quanto meno paritario, quali il diritto alla vita ed all'incolumità personale, nonché la libertà dell'iniziativa economica. L'accertamento in questione deve essere condotto caso per caso dal giudice, in relazione alle concrete modalità di esercizio del diritto di sciopero ed ai concreti pregiudizi o pericoli cui vengono esposti il diritto alla vita, all'incolumità delle persone ed all'integrità degli impianti produttivi.
LICENZIAMENTO
Cass. civ., Sez. lLvoro, 2 dicembre 2015, n. 24530 - pubblicato il 10 dicembre 2015
a cura dello Studio Legale Gaetano Riccio - Eliana Libroia
E' illegittimo il licenziamento irrogato ad un dipendente per un suo comportamento consistito nell'aver prelevato un bene di valore irrisorio (nella fattispecie di Euro 2,90) e nell'aver negato tale circostanza, pur essendo stato scoperto, per poi riconsegnare il bene solo successivamente. La predetta condotta, infatti, non assume quel carattere di particolare gravità tale da poter determinare la rottura del vincolo fiduciario e da legittimare la sanzione massima di carattere espulsivo obiettivamente sproporzionata rispetto al fatto addebitato e non giustificabile sulla sola base della condotta tenuta dopo la sottrazione del bene, considerata anche l'unicità dell'episodio, la particolare modestia del prodotto sottratto e l'anzianità del lavoratore (nel caso di specie, ben 16 anni senza alcuna sanzione disciplinare).
a cura dello Studio Legale Gaetano Riccio - Eliana Libroia
E' illegittimo il licenziamento irrogato ad un dipendente per un suo comportamento consistito nell'aver prelevato un bene di valore irrisorio (nella fattispecie di Euro 2,90) e nell'aver negato tale circostanza, pur essendo stato scoperto, per poi riconsegnare il bene solo successivamente. La predetta condotta, infatti, non assume quel carattere di particolare gravità tale da poter determinare la rottura del vincolo fiduciario e da legittimare la sanzione massima di carattere espulsivo obiettivamente sproporzionata rispetto al fatto addebitato e non giustificabile sulla sola base della condotta tenuta dopo la sottrazione del bene, considerata anche l'unicità dell'episodio, la particolare modestia del prodotto sottratto e l'anzianità del lavoratore (nel caso di specie, ben 16 anni senza alcuna sanzione disciplinare).
COMODATO
Cass. civ., Sez. III, 3 dicembre 2015, n. 24618 - pubblicato il 9 dicembre 2015
a cura dello Studio Legale Gaetano Riccio - Eliana Libroia
Qualora il comodato di un bene immobile sia stato stipulato senza limiti di durata in favore di un nucleo familiare già formato od in via di formazione, si configura un comodato a tempo indeterminato, caratterizzato dalla non prevedibilità del momento in cui la destinazione del bene verrà a cessare. In siffatta ipotesi, per effetto della concorde volontà delle parti, si imprime al comodato un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari idoneo a conferire all'uso il carattere implicito della durata del rapporto, anche oltre la crisi coniugale e senza possibilità di far dipendere la cessazione del vincolo solo dalla volontà, ad nutum, del comodante.
a cura dello Studio Legale Gaetano Riccio - Eliana Libroia
Qualora il comodato di un bene immobile sia stato stipulato senza limiti di durata in favore di un nucleo familiare già formato od in via di formazione, si configura un comodato a tempo indeterminato, caratterizzato dalla non prevedibilità del momento in cui la destinazione del bene verrà a cessare. In siffatta ipotesi, per effetto della concorde volontà delle parti, si imprime al comodato un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari idoneo a conferire all'uso il carattere implicito della durata del rapporto, anche oltre la crisi coniugale e senza possibilità di far dipendere la cessazione del vincolo solo dalla volontà, ad nutum, del comodante.
SEPARAZIONE DEI CONIUGI
Cass. civ., Sez. III, 3 dicembre 2015, n. 24621 - pubblicato il 9 dicembre 2015
a cura dello Studio Legale Gaetano Riccio - Eliana Libroia
Nel giudizio di impugnazione della sentenza di separazione personale che abbia, altresì, provveduto per le attribuzioni patrimoniali richieste da coniugi, avente fondamento sul dissenso in ordine a queste ultime, è valido ed efficace l'accordo transattivo intervenuto tra i coniugi che, in virtù dello stesso, abbiano successivamente abbandonato il giudizio di appello. In tale contesto non può, pertanto, fondatamente affermarsi la inefficacia dell'anzidetto accordo in quanto non trasfuso in un atto sottoposto al giudice per la omologazione.
a cura dello Studio Legale Gaetano Riccio - Eliana Libroia
Nel giudizio di impugnazione della sentenza di separazione personale che abbia, altresì, provveduto per le attribuzioni patrimoniali richieste da coniugi, avente fondamento sul dissenso in ordine a queste ultime, è valido ed efficace l'accordo transattivo intervenuto tra i coniugi che, in virtù dello stesso, abbiano successivamente abbandonato il giudizio di appello. In tale contesto non può, pertanto, fondatamente affermarsi la inefficacia dell'anzidetto accordo in quanto non trasfuso in un atto sottoposto al giudice per la omologazione.
ABITAZIONE DI LUSSO
Cass. civ., Sez. VI, Ordinanza, 1° dicembre 2015, n. 24469 - pubblicato il 4 dicembre 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Al fine di stabilire se un'abitazione deve intendersi di lusso e, dunque, esclusa dai benefici per l'acquisto della prima casa, ai sensi della tariffa 1, nota II bis, D.P.R. n. 131 del 1986, la sua superficie utile, complessivamente superiore a mq. 240, va calcolata ai sensi del D.M. lavori pubblici n. 1072 del 2 agosto 1969, e va determinata in quella che, dall'estensione globale riportata nell'atto di acquisto sottoposto all'imposta, residua una volta detratta la superficie di balconi, terrazze, cantine, soffitte, scale e posto macchina. A tal fine è, invece, del tutto erroneo il riferimento all'art. 3, D.M. Lavori Pubblici n. 801 del 10 marzo 1977, in relazione al netto delle murature, dei pilatri, di tramezzi e dei vani di porte e finestre.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Al fine di stabilire se un'abitazione deve intendersi di lusso e, dunque, esclusa dai benefici per l'acquisto della prima casa, ai sensi della tariffa 1, nota II bis, D.P.R. n. 131 del 1986, la sua superficie utile, complessivamente superiore a mq. 240, va calcolata ai sensi del D.M. lavori pubblici n. 1072 del 2 agosto 1969, e va determinata in quella che, dall'estensione globale riportata nell'atto di acquisto sottoposto all'imposta, residua una volta detratta la superficie di balconi, terrazze, cantine, soffitte, scale e posto macchina. A tal fine è, invece, del tutto erroneo il riferimento all'art. 3, D.M. Lavori Pubblici n. 801 del 10 marzo 1977, in relazione al netto delle murature, dei pilatri, di tramezzi e dei vani di porte e finestre.
INTERPRETAZIONE DEL CONTRATTO
Cass. civ. Sez. lavoro, 01/12/2015, n. 24421 - pubblicato il 4 dicembre 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
L'interpretazione del contratto sancita dall'art. 1362 c.c. dal punto di vista logico impone all'interprete di compiere l'esegesi del testo, di ricostruire in base ad essa l'intenzione delle parti e di verificare se l'ipotesi di comune intenzione in tal modo ricostruita, sia coerente con le parti restanti del contratto e con la condotta dei contraenti. La disposizione, tuttavia, non esclude che nel momento iniziale del procedimento interpretativo, debba essere applicato il metodo letterale e, dunque, debba essere indagato il significato proprio delle parole, giacché questo momento del procedimento non può essere eliminato; la norma impone, invece, di negare valore al brocardo "in claris non fit interpetratio" e di procedere ad un completo esame ermeneutico del comportamento giuridicamente rilevante, senza fermarsi ad una ricognizione prima facie.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
L'interpretazione del contratto sancita dall'art. 1362 c.c. dal punto di vista logico impone all'interprete di compiere l'esegesi del testo, di ricostruire in base ad essa l'intenzione delle parti e di verificare se l'ipotesi di comune intenzione in tal modo ricostruita, sia coerente con le parti restanti del contratto e con la condotta dei contraenti. La disposizione, tuttavia, non esclude che nel momento iniziale del procedimento interpretativo, debba essere applicato il metodo letterale e, dunque, debba essere indagato il significato proprio delle parole, giacché questo momento del procedimento non può essere eliminato; la norma impone, invece, di negare valore al brocardo "in claris non fit interpetratio" e di procedere ad un completo esame ermeneutico del comportamento giuridicamente rilevante, senza fermarsi ad una ricognizione prima facie.
ASSOCIAZIONE TEMPORANEA D'IMPRESE
Cass. civ., Sez. lavoro, 25 novembre 2015, n. 24063 - pubblicato il 1° dicembre 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
L'associazione temporanea di imprese è caratterizzata dagli elementi dall'occasionalità, temporaneità e limitatezza del raggruppamento, i quali non consentono alla stessa di creare un nuovo soggetto giuridico, né una nuova associazione. In materia di appalti pubblici, il predetto raggruppamento si sostanzia in un rapporto contrattuale basato su un mandato con rappresentanza gratuito ed irrevocabile, in cui il potere di rappresentanza, anche processuale, spetta all'impresa mandataria o capogruppo esclusivamente nei confronti della stazione appaltante, per le operazioni e gli atti dipendenti dall'appalto e non si estende anche nei confronti di terzi estranei a quel rapporto. In tale contesto, la problematica inerente la responsabilità dell'impresa mandataria in relazione ai crediti vantati dal singolo dipendente di una delle imprese associate, va risolta facendo applicazione dell'art. 13, comma 2, della legge n. 109 del 1994. Di talché, accedendosi ad una interpretazione estensiva del concetto di fornitori, deve ritenersi che l'attività di lavoro resa dal dipendente della società addetta si atteggia quale oggetto della fornitura resa per la realizzazione dell'opera pubblica, ponendosi la prestazione lavorativa quale elemento indispensabile al fine della esecuzione delle opere appaltate.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
L'associazione temporanea di imprese è caratterizzata dagli elementi dall'occasionalità, temporaneità e limitatezza del raggruppamento, i quali non consentono alla stessa di creare un nuovo soggetto giuridico, né una nuova associazione. In materia di appalti pubblici, il predetto raggruppamento si sostanzia in un rapporto contrattuale basato su un mandato con rappresentanza gratuito ed irrevocabile, in cui il potere di rappresentanza, anche processuale, spetta all'impresa mandataria o capogruppo esclusivamente nei confronti della stazione appaltante, per le operazioni e gli atti dipendenti dall'appalto e non si estende anche nei confronti di terzi estranei a quel rapporto. In tale contesto, la problematica inerente la responsabilità dell'impresa mandataria in relazione ai crediti vantati dal singolo dipendente di una delle imprese associate, va risolta facendo applicazione dell'art. 13, comma 2, della legge n. 109 del 1994. Di talché, accedendosi ad una interpretazione estensiva del concetto di fornitori, deve ritenersi che l'attività di lavoro resa dal dipendente della società addetta si atteggia quale oggetto della fornitura resa per la realizzazione dell'opera pubblica, ponendosi la prestazione lavorativa quale elemento indispensabile al fine della esecuzione delle opere appaltate.
IL RISARCIMENTO DANNO NEL MOBBING
Cass. civ. Sez. lavoro, 23 novembre 2015, n. 23837 - pubblicato il 26 novembre 2015
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
In merito all'azione risarcitoria esperita relativamente al mobbing, posto in essere sul posto di lavoro, ai danni del lavoratore, la risarcibilità del danno esistenziale si fonda sulla natura non meramente emotiva, ma oggettivamente accertabile del pregiudizio, attraverso la prova di scelte di vita diverse da quelle che si sarebbero adottate se non si fosse verificato l'evento dannoso. Ai fini risarcitori il giudice è vincolato all'allegazione che ne fa l'interessato sull'oggetto e sul modo di operare dell'asserito pregiudizio, non potendo sopperire alla mancanza di indicazione in tal senso nell'atto di parte, facendo ricorso a formule standardizzate, e sostanzialmente elusive della fattispecie concreta, ravvisando immancabilmente il danno all'immagine, alla libera esplicazione ad alla dignità professionale come automatica conseguenza della dequalificazione. Il danno esistenziale infatti, essendo legato indissolubilmente alla persona e non essendo passibile di determinazione secondo il sistema tabellare, necessita imprescindibilmente di precise indicazioni che solo il danneggiato può fornire, indicando le circostanze comprovanti l'alterazione delle sue abitudini di vita. Per il risarcimento è sempre necessaria la prova dell'entità del danno, ossia la dimostrazione che la lesione ha prodotto una perdita costituita dalla diminuzione o privazione di un valore personale, non patrimoniale, alla quale il risarcimento deve essere commisurato.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
In merito all'azione risarcitoria esperita relativamente al mobbing, posto in essere sul posto di lavoro, ai danni del lavoratore, la risarcibilità del danno esistenziale si fonda sulla natura non meramente emotiva, ma oggettivamente accertabile del pregiudizio, attraverso la prova di scelte di vita diverse da quelle che si sarebbero adottate se non si fosse verificato l'evento dannoso. Ai fini risarcitori il giudice è vincolato all'allegazione che ne fa l'interessato sull'oggetto e sul modo di operare dell'asserito pregiudizio, non potendo sopperire alla mancanza di indicazione in tal senso nell'atto di parte, facendo ricorso a formule standardizzate, e sostanzialmente elusive della fattispecie concreta, ravvisando immancabilmente il danno all'immagine, alla libera esplicazione ad alla dignità professionale come automatica conseguenza della dequalificazione. Il danno esistenziale infatti, essendo legato indissolubilmente alla persona e non essendo passibile di determinazione secondo il sistema tabellare, necessita imprescindibilmente di precise indicazioni che solo il danneggiato può fornire, indicando le circostanze comprovanti l'alterazione delle sue abitudini di vita. Per il risarcimento è sempre necessaria la prova dell'entità del danno, ossia la dimostrazione che la lesione ha prodotto una perdita costituita dalla diminuzione o privazione di un valore personale, non patrimoniale, alla quale il risarcimento deve essere commisurato.
LICENZIAMENTO
Cass. civ., Sez. lavoro, 18 novembre 2015, n. 23616 - pubblicato il 23 novembre 2015
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
Il requisito della contestualità tra comunicazione del recesso al lavoratore e comunicazione alle organizzazioni sindacali ed ai competenti uffici del lavoro, dell'elenco dei dipendenti licenziati e delle modalità di applicazione dei criteri di scelta, è richiesto a pena d'inefficacia del licenziamento e deve essere valutato nel senso di un'indispensabile contemporaneità delle due comunicazioni, la cui mancanza può non determinare l'inefficacia del recesso solo se sostenuta da giustificati motivi di natura oggettiva, della cui prova è onerato il datore di lavoro. Deve considerarsi "non contestuale" una comunicazione alle autorità pubbliche ed alle organizzazioni sindacali che segua con apprezzabile intervallo temporale, la comunicazione di recesso al lavoratore, non potendosi considerare "contestuale" una comunicazione di predisposta contemporaneamente alla comunicazione di recesso ma inoltrata dopo un non breve lasso di tempo da quest'ultima.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
Il requisito della contestualità tra comunicazione del recesso al lavoratore e comunicazione alle organizzazioni sindacali ed ai competenti uffici del lavoro, dell'elenco dei dipendenti licenziati e delle modalità di applicazione dei criteri di scelta, è richiesto a pena d'inefficacia del licenziamento e deve essere valutato nel senso di un'indispensabile contemporaneità delle due comunicazioni, la cui mancanza può non determinare l'inefficacia del recesso solo se sostenuta da giustificati motivi di natura oggettiva, della cui prova è onerato il datore di lavoro. Deve considerarsi "non contestuale" una comunicazione alle autorità pubbliche ed alle organizzazioni sindacali che segua con apprezzabile intervallo temporale, la comunicazione di recesso al lavoratore, non potendosi considerare "contestuale" una comunicazione di predisposta contemporaneamente alla comunicazione di recesso ma inoltrata dopo un non breve lasso di tempo da quest'ultima.
violenza sessuale
Cass. Pen., Sez. III, 12 novembre 2015, n. 45268 - pubblicato il 20 novembre 2015
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
Con riguardo all'ipotesi attenuata di cui all'art. 609‐bis, ultimo comma, cod. pen., la disposizione prevede che "nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi". La ratio che la sostiene trae origine dall'unificazione ‐ compiuta dalla l. 15 febbraio 1996, n. 66 ‐ dei concetti di violenza carnale e di atti di libidine violenti nella comune figura di atti sessuali; ed invero ‐ alla luce della severa cornice edittale individuata dal legislatore, con pena minima pari a 5 anni di reclusione ‐ appariva evidente la necessità di un meccanismo che garantisse un regime sanzionatorio adeguato per quei fatti che, pur potendo esser ricondotti alla nuova ed unica fattispecie di reato, risultassero comunque offensivi della libertà sessuale in modo non particolarmente grave. La giurisprudenza di questa Corte ha poi costantemente interpretato la previsione nel senso che, ai fini della configurabilità della diminuente in esame, deve farsi riferimento ad una vantazione globale della vicenda, nella quale assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e mentali di questa, le sue caratteristiche psicologiche in relazione all'età, così da potere ritenere che la libertà sessuale della persona offesa sia stata compressa in maniera non grave, e che il danno arrecato alla stessa, anche in termini psichici, sia stato significativamente contenuto.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
Con riguardo all'ipotesi attenuata di cui all'art. 609‐bis, ultimo comma, cod. pen., la disposizione prevede che "nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi". La ratio che la sostiene trae origine dall'unificazione ‐ compiuta dalla l. 15 febbraio 1996, n. 66 ‐ dei concetti di violenza carnale e di atti di libidine violenti nella comune figura di atti sessuali; ed invero ‐ alla luce della severa cornice edittale individuata dal legislatore, con pena minima pari a 5 anni di reclusione ‐ appariva evidente la necessità di un meccanismo che garantisse un regime sanzionatorio adeguato per quei fatti che, pur potendo esser ricondotti alla nuova ed unica fattispecie di reato, risultassero comunque offensivi della libertà sessuale in modo non particolarmente grave. La giurisprudenza di questa Corte ha poi costantemente interpretato la previsione nel senso che, ai fini della configurabilità della diminuente in esame, deve farsi riferimento ad una vantazione globale della vicenda, nella quale assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e mentali di questa, le sue caratteristiche psicologiche in relazione all'età, così da potere ritenere che la libertà sessuale della persona offesa sia stata compressa in maniera non grave, e che il danno arrecato alla stessa, anche in termini psichici, sia stato significativamente contenuto.
MARCHIO COMPLESSO
Cass. civ., Sez. I, 16 novembre 2015, n. 23393 - pubblicato il 20 novembre 2015
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
Il marchio complesso è costituito da una composizione di più elementi, ciascuno dotato di capacità caratterizzante, il cui esame da parte del giudice deve effettuarsi in modo parcellizzato per ciascuno di essi, sebbene la forza distintiva sia affidata all'elemento costituente il cd. cuore del marchio. Tale marchio deve distinguersi da quello di insieme, ove manca l'elemento caratterizzante e tutti i vari elementi sono privi di distintività derivando il valore distintivo solo dalla loro combinazione o, appunto, dal loro insieme. Di talché, se nel marchio complesso ogni singolo segno in esso incluso avente capacità distintiva è tutelabile autonomamente come marchio, in quello di insieme i singoli segni non sono autonomamente tutelabili come privative.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
Il marchio complesso è costituito da una composizione di più elementi, ciascuno dotato di capacità caratterizzante, il cui esame da parte del giudice deve effettuarsi in modo parcellizzato per ciascuno di essi, sebbene la forza distintiva sia affidata all'elemento costituente il cd. cuore del marchio. Tale marchio deve distinguersi da quello di insieme, ove manca l'elemento caratterizzante e tutti i vari elementi sono privi di distintività derivando il valore distintivo solo dalla loro combinazione o, appunto, dal loro insieme. Di talché, se nel marchio complesso ogni singolo segno in esso incluso avente capacità distintiva è tutelabile autonomamente come marchio, in quello di insieme i singoli segni non sono autonomamente tutelabili come privative.
DANNO ESISTENZIALE
Cons. Stato, Sez. IV, 12 novembre 2015, n. 5143 - pubblicato il 18 novembre 2015
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
Il danno esistenziale (che rientra nella onnicomprensiva categoria dei danni non patrimoniali che trovano la loro disciplina nell’art. 2059 c.c.) si sostanzia in un peggioramento delle condizioni di vita quotidiane (risarcibile nel caso in cui l'illecito abbia violato diritti fondamentali della persona o derivi da fatto costituente reato), distinto dai pregiudizi consistenti in meri disagi, fastidi, disappunti, o altro tipo di insoddisfazione concernente gli aspetti più disparati della vita quotidiana che ciascuno conduce nel contesto sociale, per la più elevata intensità del patimento.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
Il danno esistenziale (che rientra nella onnicomprensiva categoria dei danni non patrimoniali che trovano la loro disciplina nell’art. 2059 c.c.) si sostanzia in un peggioramento delle condizioni di vita quotidiane (risarcibile nel caso in cui l'illecito abbia violato diritti fondamentali della persona o derivi da fatto costituente reato), distinto dai pregiudizi consistenti in meri disagi, fastidi, disappunti, o altro tipo di insoddisfazione concernente gli aspetti più disparati della vita quotidiana che ciascuno conduce nel contesto sociale, per la più elevata intensità del patimento.
ACCETTAZIONE DELL'EREDITà
CON BENEFICIO D'INVENTARIO
Cass. civ., Sez. V, 11 novembre 2015, n. 23061 - pubblicato il 16 novembre 2015
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
L'accettazione dell'eredità col beneficio di inventario, determinando la limitazione della responsabilità dell'erede per i debiti del de cuius entro il valore dei beni ereditari ed implicando una posizione dell'erede del debitore, di fronte alle ragioni dl creditore del defunto, quantitativamente diversa o più favorevole, deve essere eccepita nel giudizio cognitorio al creditore del de cuius che faccia valere illimitatamente la propria pretesa, sì da contenere nei limiti imposti dall'eccezione l'estensione e gli effetti della pronuncia giudiziale. In mancanza di un siffatto accertamento, la pronuncia non è più contestabile, neppure in sede esecutiva, non essendo altrimenti deducibile la qualità di erede con beneficio di inventario. (Principio applicato nella fattispecie ove non era stato impugnato il titolo a mezzo del quale era stata fatta valere illimitatamente dall'erario, nei riguardi dell'erede-ricorrente, la pretesa obbligatoria concernente il debito tributario del defunto padre della medesima).
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
L'accettazione dell'eredità col beneficio di inventario, determinando la limitazione della responsabilità dell'erede per i debiti del de cuius entro il valore dei beni ereditari ed implicando una posizione dell'erede del debitore, di fronte alle ragioni dl creditore del defunto, quantitativamente diversa o più favorevole, deve essere eccepita nel giudizio cognitorio al creditore del de cuius che faccia valere illimitatamente la propria pretesa, sì da contenere nei limiti imposti dall'eccezione l'estensione e gli effetti della pronuncia giudiziale. In mancanza di un siffatto accertamento, la pronuncia non è più contestabile, neppure in sede esecutiva, non essendo altrimenti deducibile la qualità di erede con beneficio di inventario. (Principio applicato nella fattispecie ove non era stato impugnato il titolo a mezzo del quale era stata fatta valere illimitatamente dall'erario, nei riguardi dell'erede-ricorrente, la pretesa obbligatoria concernente il debito tributario del defunto padre della medesima).
MALATTIA ED INIDONEITà AL LAVORO
Cass. civ., Sez. lavoro, 3 novembre 2015, n. 22410 - pubblicato il 9 novembre 2015
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
La malattia del lavoratore costituisce situazione diversa dalla sua inidoneità al lavoro. Invero, pur essendo entrambe cause di impossibilità della prestazione lavorativa, esse hanno natura e disciplina diverse, poiché mentre la prima ha carattere temporaneo e implica la totale impossibilità della prestazione, che determina la legittimità del licenziamento, ex art. 2110 c.c., quando abbia causato l'astensione dal lavoro per un tempo superiore al periodo di comporto, la seconda ha carattere permanente o, quantomeno, durata indeterminata o indeterminabile e non implica necessariamente la impossibilità totale della prestazione. La inidoneità al lavoro consente la risoluzione del contratto, ex artt. 1256 e 1463 c.c., eventualmente previo accertamento di essa con la procedura di cui all'art. 5 della legge n. 300 del 1970 (Statuto dei Lavoratori), indipendentemente dal superamento del periodo di comporto. Nella fattispecie la parte datoriale, senza richiedere il controllo pubblico delle assenze per infermità, ex art. 5, comma 2 della legge n. 300 citata, attivava la verifica prevista dall'art. 5, comma 3, finalizzata ad accertare la sussistenza o meno della idoneità al lavoro; di talché la risposta positiva fornita dalla Commissione medica presso la A.S.L. non escludeva di per sé la sussistenza della inabilità temporanea, certificata dal medico curante del lavoratore. Ne consegue la illegittimità del licenziamento irrogato al lavoratore sul rilievo che, avendo la struttura pubblica rilevato la idoneità al lavoro del prestatore, non sussisteva la infermità dedotta a giustificazione della protratta assenza dal lavoro, pertanto ingiustificata.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
La malattia del lavoratore costituisce situazione diversa dalla sua inidoneità al lavoro. Invero, pur essendo entrambe cause di impossibilità della prestazione lavorativa, esse hanno natura e disciplina diverse, poiché mentre la prima ha carattere temporaneo e implica la totale impossibilità della prestazione, che determina la legittimità del licenziamento, ex art. 2110 c.c., quando abbia causato l'astensione dal lavoro per un tempo superiore al periodo di comporto, la seconda ha carattere permanente o, quantomeno, durata indeterminata o indeterminabile e non implica necessariamente la impossibilità totale della prestazione. La inidoneità al lavoro consente la risoluzione del contratto, ex artt. 1256 e 1463 c.c., eventualmente previo accertamento di essa con la procedura di cui all'art. 5 della legge n. 300 del 1970 (Statuto dei Lavoratori), indipendentemente dal superamento del periodo di comporto. Nella fattispecie la parte datoriale, senza richiedere il controllo pubblico delle assenze per infermità, ex art. 5, comma 2 della legge n. 300 citata, attivava la verifica prevista dall'art. 5, comma 3, finalizzata ad accertare la sussistenza o meno della idoneità al lavoro; di talché la risposta positiva fornita dalla Commissione medica presso la A.S.L. non escludeva di per sé la sussistenza della inabilità temporanea, certificata dal medico curante del lavoratore. Ne consegue la illegittimità del licenziamento irrogato al lavoratore sul rilievo che, avendo la struttura pubblica rilevato la idoneità al lavoro del prestatore, non sussisteva la infermità dedotta a giustificazione della protratta assenza dal lavoro, pertanto ingiustificata.
PATTO DI PROVA
Cass. civ., Sez. lavoro, 30 ottobre 2015, n. 22286 - pubblicato il 4 novembre 2015
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
Nell'ambito del rapporto di lavoro subordinato il patto di prova tutela l'interesse di entrambe le parti del rapporto a sperimentarne la convenienza; tale patto è da ritenersi illegittimo nel caso in cui la verifica sia già intervenuta, con esito positivo, per le specifiche mansioni in virtù di prestazione resa dallo stesso lavoratore, per un congruo lasso temporale, in favore del medesimo datore di lavoro. Dunque, la ripetizione del patto di prova in due successivi contratti di lavoro, tra le stesse parti, è ammissibile solo se essa, in base all'apprezzamento del giudice di merito, sia finalizzato a consentire all'imprenditore di verificare non solo le qualità professionali ma anche il comportamento e la personalità del lavoratore in relazione all'adempimento della prestazione, in quanto elementi suscettibili di modificarsi nel tempo.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
Nell'ambito del rapporto di lavoro subordinato il patto di prova tutela l'interesse di entrambe le parti del rapporto a sperimentarne la convenienza; tale patto è da ritenersi illegittimo nel caso in cui la verifica sia già intervenuta, con esito positivo, per le specifiche mansioni in virtù di prestazione resa dallo stesso lavoratore, per un congruo lasso temporale, in favore del medesimo datore di lavoro. Dunque, la ripetizione del patto di prova in due successivi contratti di lavoro, tra le stesse parti, è ammissibile solo se essa, in base all'apprezzamento del giudice di merito, sia finalizzato a consentire all'imprenditore di verificare non solo le qualità professionali ma anche il comportamento e la personalità del lavoratore in relazione all'adempimento della prestazione, in quanto elementi suscettibili di modificarsi nel tempo.
locazione
Cass. civ., Sez. Unite, 17 settembre 2015, n. 18214 - pubblicato il 4 novembre 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In ordine al contratto di locazione, si ritiene necessaria la forma scritta ad essentiam, dovendosi limitare la rilevabilità della nullità in favore del solo conduttore nella specifica ipotesi di cui all'art. 13, comma 5, della legge n. 431 del 1998, che accorda al medesimo una speciale tutela nel caso in cui gli sia stato imposto, da parte del locatore, un rapporto di locazione di fatto, stipulato soltanto verbalmente. In deroga, dunque, ai principi generali dell'insanabilità del contratto nullo, si riconosce al conduttore la possibilità di esperire una specifica azione finalizzata alla sanatoria del rapporto contrattuale di fatto venutosi a costituire in violazione di una norma imperativa. Conseguentemente, in conformità con la lettera della legge, la nullità di protezione, e le relative conseguenze, sarà predicabile solo in presenza dell'abuso, da parte del locatore, della sua posizione dominante, imponendosi in tal caso, e solo in esso, a causa dell'eccessiva asimmetria negoziale, un intervento correttivo ex lege a tutela del contraente debole. Al di fuori di tale ipotesi, torneranno ad applicarsi i principi generali in tema di nullità.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In ordine al contratto di locazione, si ritiene necessaria la forma scritta ad essentiam, dovendosi limitare la rilevabilità della nullità in favore del solo conduttore nella specifica ipotesi di cui all'art. 13, comma 5, della legge n. 431 del 1998, che accorda al medesimo una speciale tutela nel caso in cui gli sia stato imposto, da parte del locatore, un rapporto di locazione di fatto, stipulato soltanto verbalmente. In deroga, dunque, ai principi generali dell'insanabilità del contratto nullo, si riconosce al conduttore la possibilità di esperire una specifica azione finalizzata alla sanatoria del rapporto contrattuale di fatto venutosi a costituire in violazione di una norma imperativa. Conseguentemente, in conformità con la lettera della legge, la nullità di protezione, e le relative conseguenze, sarà predicabile solo in presenza dell'abuso, da parte del locatore, della sua posizione dominante, imponendosi in tal caso, e solo in esso, a causa dell'eccessiva asimmetria negoziale, un intervento correttivo ex lege a tutela del contraente debole. Al di fuori di tale ipotesi, torneranno ad applicarsi i principi generali in tema di nullità.
RIPARAZIONE PER ERRORE GIUDIZIARIO ED INGIUSTA DETENZIONE
Cass. pen., Sez. IV, 7 ottobre 2015, n. 43373 - pubblicato il 3 novembre 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Deve considerarsi illegittima la decisione con cui il giudice riduce automaticamente l'importo da liquidarsi per l'ingiusta detenzione, determinato secondo il criterio aritmetico, per il solo fatto che il soggetto abbia già subito precedenti periodi di sottoposizione a regime carcerario. La pregressa esperienza carceraria, infatti, può incidere sulla determinazione dell'ammontare dell'indennizzo, ma giammai in termini presuntivi ed assiomatici, essendo necessario indicare sulla base di quali elementi e circostanze specifiche si debba ritenere che la precedente carcerazione abbia avuto l'effetto di determinare una minore sofferenza.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Deve considerarsi illegittima la decisione con cui il giudice riduce automaticamente l'importo da liquidarsi per l'ingiusta detenzione, determinato secondo il criterio aritmetico, per il solo fatto che il soggetto abbia già subito precedenti periodi di sottoposizione a regime carcerario. La pregressa esperienza carceraria, infatti, può incidere sulla determinazione dell'ammontare dell'indennizzo, ma giammai in termini presuntivi ed assiomatici, essendo necessario indicare sulla base di quali elementi e circostanze specifiche si debba ritenere che la precedente carcerazione abbia avuto l'effetto di determinare una minore sofferenza.
servizio audiovisivo
Corte di giustizia dell'Unione Europea, Sez. II, 21 ottobre 2015, n. 347/14 - pubblicato il 30 ottobre 2015
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
La nozione di «programma», ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2010/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 marzo 2010, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi (direttiva sui servizi di media audiovisivi), deve essere interpretata nel senso che comprende la messa a disposizione, in un sottodominio del sito Internet di un quotidiano, di filmati di breve durata consistenti in brevi sequenze estratte da notizie locali, sportive o di intrattenimento. L'articolo 1, paragrafo 1, lettera a), i), della direttiva 2010/13, deve essere interpretato nel senso che, ai fini della valutazione dell'obiettivo principale di un servizio di messa a disposizione di filmati offerto nell'ambito della versione elettronica di un quotidiano, occorre esaminare se detto servizio abbia in quanto tale un contenuto ed una funzione autonomi rispetto a quelli dell'attività giornalistica del gestore del sito Internet in questione, e non costituisca solamente un complemento inscindibile da tale attività, in particolare per i legami che l'offerta audiovisiva presenta con l'offerta testuale. Tale valutazione spetta al giudice del rinvio.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
La nozione di «programma», ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2010/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 marzo 2010, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi (direttiva sui servizi di media audiovisivi), deve essere interpretata nel senso che comprende la messa a disposizione, in un sottodominio del sito Internet di un quotidiano, di filmati di breve durata consistenti in brevi sequenze estratte da notizie locali, sportive o di intrattenimento. L'articolo 1, paragrafo 1, lettera a), i), della direttiva 2010/13, deve essere interpretato nel senso che, ai fini della valutazione dell'obiettivo principale di un servizio di messa a disposizione di filmati offerto nell'ambito della versione elettronica di un quotidiano, occorre esaminare se detto servizio abbia in quanto tale un contenuto ed una funzione autonomi rispetto a quelli dell'attività giornalistica del gestore del sito Internet in questione, e non costituisca solamente un complemento inscindibile da tale attività, in particolare per i legami che l'offerta audiovisiva presenta con l'offerta testuale. Tale valutazione spetta al giudice del rinvio.
il lavoro nel matrimonio di fatto
Cass. civ., Sez. lavoro, 29 settembre 2015, n. 19304 - pubblicato il 29 ottobre 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
La prestazione di un'attività lavorativa per oltre sei anni tra due parti legate da una relazione sentimentale, oggettivamente configurabile come di lavoro subordinato, si presume effettuata a titolo oneroso, potendo tuttavia essere ricondotta ad un rapporto diverso, istituito affectionis vel benevolentiae causa, caratterizzato dalla gratuità della prestazione, ove risulti dimostrata la sussistenza della finalità di solidarietà in luogo di quella lucrativa, per una comunanza di vita e di interessi tra i conviventi che non si esaurisca in un rapporto meramente affettivo o sessuale, ma dia luogo anche alla partecipazione effettiva ed equa del convivente alla vita ed alle risorse della famiglia di fatto, in modo che l'esistenza del vincolo di solidarietà porti ad escludere la configurabilità di un rapporto a titolo oneroso.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
La prestazione di un'attività lavorativa per oltre sei anni tra due parti legate da una relazione sentimentale, oggettivamente configurabile come di lavoro subordinato, si presume effettuata a titolo oneroso, potendo tuttavia essere ricondotta ad un rapporto diverso, istituito affectionis vel benevolentiae causa, caratterizzato dalla gratuità della prestazione, ove risulti dimostrata la sussistenza della finalità di solidarietà in luogo di quella lucrativa, per una comunanza di vita e di interessi tra i conviventi che non si esaurisca in un rapporto meramente affettivo o sessuale, ma dia luogo anche alla partecipazione effettiva ed equa del convivente alla vita ed alle risorse della famiglia di fatto, in modo che l'esistenza del vincolo di solidarietà porti ad escludere la configurabilità di un rapporto a titolo oneroso.
DIVORZIO
Cass. civ. Sez. VI - 1 Ordinanza, 23 ottobre 2015, n. 21670 - pubblicato il 28 ottobre 2015
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
In ordine all'assegno divorzile, l'impossibilità di procurarsi mezzi adeguati di sostentamento per ragioni obiettive rappresenta ipotesi non già alternativa, ma meramente esplicativa rispetto a quella della mancanza assoluta di mezzi. Deve, pertanto, trattarsi di impossibilità di ottenere mezzi tali da consentire il raggiungimento non già della mera autosufficienza economica, ma di un tenore di vita sostanzialmente non diverso rispetto a quello goduto in costanza di matrimonio. Ne deriva che l'accertamento della relativa capacità lavorativa deve essere compiuto non nella sfera dell'ipoteticità o dell'astrattezza, bensì quella dell'effettività e della concretezza, dovendosi, all'uopo, tenere conto di tutti gli elementi soggettivi ed oggettivi del caso concreto in rapporto ad ogni fattore economico-sociale, individuale, ambientale, territoriale.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
In ordine all'assegno divorzile, l'impossibilità di procurarsi mezzi adeguati di sostentamento per ragioni obiettive rappresenta ipotesi non già alternativa, ma meramente esplicativa rispetto a quella della mancanza assoluta di mezzi. Deve, pertanto, trattarsi di impossibilità di ottenere mezzi tali da consentire il raggiungimento non già della mera autosufficienza economica, ma di un tenore di vita sostanzialmente non diverso rispetto a quello goduto in costanza di matrimonio. Ne deriva che l'accertamento della relativa capacità lavorativa deve essere compiuto non nella sfera dell'ipoteticità o dell'astrattezza, bensì quella dell'effettività e della concretezza, dovendosi, all'uopo, tenere conto di tutti gli elementi soggettivi ed oggettivi del caso concreto in rapporto ad ogni fattore economico-sociale, individuale, ambientale, territoriale.
PATROCINIO GRATUITO
Cass. civ., Sez. II, 21 ottobre 2015, n. 21461 - pubblicato il 26 ottobre 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In tema di patrocinio a spese dello Stato, i criteri cui l'Autorità giudiziaria ha l'obbligo di attenersi nella liquidazione degli onorari e delle spese spettanti al difensore, ai sensi dell'art. 82 del D.P.R. n. 115 del 2002, devono ritenersi esaustivi, con la conseguenza che il giudice, nell'applicare la tariffa professionale, non può invece fare riferimento anche ai criteri integrativi ed adeguatori della tariffa medesima, non essendo operante l'art. 1, comma 2, della tariffa penale di cui al D.M. n. 127 del 2004 (conf. cass., sent. n. 2445 del 2011). Tale disposizione è legittima e certamente non in contrasto con gli artt. 3, 24 e 36 Cost., posto che la fissazione di limiti nella determinazione degli onorari è frutto della ragionevole scelta del legislatore di contemperare gli opposti interessi in gioco. Ed infatti, la necessità di assicurare all'imputato non abbiente la difesa tecnica, garantita per l'appunto con la nomina dell'avvocato, e di retribuire l'attività di quest'ultimo sulla base delle tariffe professionali, che tengono comunque conto del lavoro svolto, sono state considerate meritevoli di tutela nel rispetto di alcuni parametri che tenessero conto dell'incidenza del relativo costo sull'intera collettività.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In tema di patrocinio a spese dello Stato, i criteri cui l'Autorità giudiziaria ha l'obbligo di attenersi nella liquidazione degli onorari e delle spese spettanti al difensore, ai sensi dell'art. 82 del D.P.R. n. 115 del 2002, devono ritenersi esaustivi, con la conseguenza che il giudice, nell'applicare la tariffa professionale, non può invece fare riferimento anche ai criteri integrativi ed adeguatori della tariffa medesima, non essendo operante l'art. 1, comma 2, della tariffa penale di cui al D.M. n. 127 del 2004 (conf. cass., sent. n. 2445 del 2011). Tale disposizione è legittima e certamente non in contrasto con gli artt. 3, 24 e 36 Cost., posto che la fissazione di limiti nella determinazione degli onorari è frutto della ragionevole scelta del legislatore di contemperare gli opposti interessi in gioco. Ed infatti, la necessità di assicurare all'imputato non abbiente la difesa tecnica, garantita per l'appunto con la nomina dell'avvocato, e di retribuire l'attività di quest'ultimo sulla base delle tariffe professionali, che tengono comunque conto del lavoro svolto, sono state considerate meritevoli di tutela nel rispetto di alcuni parametri che tenessero conto dell'incidenza del relativo costo sull'intera collettività.
RISARCIMENTO DANNI PER ATTIVITà MEDICA
Cass. civ., Sez. III, 20 ottobre 2015, n. 21177 - pubblicato il 26 ottobre 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Nei giudizi di risarcimento del danno causato da attività medica, l'attore ha l'onere di allegare e di provare l'esistenza del rapporto di cura, il danno ed il nesso causale, mentre ha l'onere di allegare, ma non anche di provare, la colpa del medico. Quest'ultimo, invece, deve provare che l'eventuale insuccesso dell'intervento, rispetto a quanto concordato o ragionevolmente attendibile, è dipeso da causa a sé non imputabile.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Nei giudizi di risarcimento del danno causato da attività medica, l'attore ha l'onere di allegare e di provare l'esistenza del rapporto di cura, il danno ed il nesso causale, mentre ha l'onere di allegare, ma non anche di provare, la colpa del medico. Quest'ultimo, invece, deve provare che l'eventuale insuccesso dell'intervento, rispetto a quanto concordato o ragionevolmente attendibile, è dipeso da causa a sé non imputabile.
concessioni edilizie
T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, 17/10/2015, n. 11831- pubblicato il 22 ottobre 2015
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
L'intervento edilizio comportante esclusivamente una diversa distribuzione degli spazi interni (nel caso di specie un mero spostamento di tramezzi) non necessita del permesso di costruire, essendo sufficiente la presentazione di una d.i.a. E', infatti, è da escludersi che integri aumento volumetrico, il quale richiede il permesso di costruzione, una diversa distribuzione una diversa distribuzione dei vani, per numero e ampiezza, che lasci identica la superficie totale calpestabile. In assenza di d.i.a. può essere comminata "solo" una sanzione pecuniaria e non ordinata la demolizione degli abusi.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
L'intervento edilizio comportante esclusivamente una diversa distribuzione degli spazi interni (nel caso di specie un mero spostamento di tramezzi) non necessita del permesso di costruire, essendo sufficiente la presentazione di una d.i.a. E', infatti, è da escludersi che integri aumento volumetrico, il quale richiede il permesso di costruzione, una diversa distribuzione una diversa distribuzione dei vani, per numero e ampiezza, che lasci identica la superficie totale calpestabile. In assenza di d.i.a. può essere comminata "solo" una sanzione pecuniaria e non ordinata la demolizione degli abusi.
oneri condominiali
Cass. civ., Sez. VI - 2 Ordinanza, 16 ottobre 2015, n. 21028 - pubblicato il 21 ottobre 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In ordine agli oneri condominiali, deve distinguersi tra spese occorrenti per la conservazione dell'immobile e spese funzionali al godimento dello stesso, avendo ciascuna di esse una diversa funzione ed esigenza. Orbene, i contributi per la conservazione del bene condominiale sono dovuti in ragione dell'appartenenza e si dividono in proporzione alle quote, a prescindere dal vantaggio soggettivo connesso alla destinazione della parte comune alle esigenze di singoli piani o porzioni di essi, in quanto necessarie a custodire e preservare il bene comune in modo che perduri nel tempo senza deteriorarsi. Al contrario, le spese di uso traggono origine dal godimento soggettivo e personale, ripartendosi in proporzione alla concreta misura di esso, indipendentemente dalla misura proporzionale dell'appartenenza, riguardando l'utilità che la res comune offre in concreto.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In ordine agli oneri condominiali, deve distinguersi tra spese occorrenti per la conservazione dell'immobile e spese funzionali al godimento dello stesso, avendo ciascuna di esse una diversa funzione ed esigenza. Orbene, i contributi per la conservazione del bene condominiale sono dovuti in ragione dell'appartenenza e si dividono in proporzione alle quote, a prescindere dal vantaggio soggettivo connesso alla destinazione della parte comune alle esigenze di singoli piani o porzioni di essi, in quanto necessarie a custodire e preservare il bene comune in modo che perduri nel tempo senza deteriorarsi. Al contrario, le spese di uso traggono origine dal godimento soggettivo e personale, ripartendosi in proporzione alla concreta misura di esso, indipendentemente dalla misura proporzionale dell'appartenenza, riguardando l'utilità che la res comune offre in concreto.
SANITà E SANITARI
Cass. civ., Sez. III, 16 ottobre 2015, n. 20934 - pubblicato il 20 ottobre 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In ordine alle patologie conseguenti ad infezioni con i virus HBV (epatite B), HIV (aids) e HCV (epatite C) contratti a causa di assunzione di emotrasfusioni o di emoderivati con sangue infetto, per l'unicità dell'evento lesivo consistente nella lesione dell'integrità fisica, vi è la presunzione di responsabilità del Ministero della Salute per il contagio verificatosi negli anni tra il 1979 ed il 1989, stante l'avvenuta scoperta scientifica della prevedibilità delle relative infezioni, individuabile nel 1978, con il conseguente obbligo di controllo e di vigilanza in materia di raccolta e distribuzione di sangue umano per uso terapeutico. Siffatta presunzione può essere vinta solo se viene fornita dallo stesso Ministero la prova dell'adozione di condotte e misure necessarie per evitare la contagiosità, a prescindere dalla conoscenza di strumenti di prevenzione specifica.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In ordine alle patologie conseguenti ad infezioni con i virus HBV (epatite B), HIV (aids) e HCV (epatite C) contratti a causa di assunzione di emotrasfusioni o di emoderivati con sangue infetto, per l'unicità dell'evento lesivo consistente nella lesione dell'integrità fisica, vi è la presunzione di responsabilità del Ministero della Salute per il contagio verificatosi negli anni tra il 1979 ed il 1989, stante l'avvenuta scoperta scientifica della prevedibilità delle relative infezioni, individuabile nel 1978, con il conseguente obbligo di controllo e di vigilanza in materia di raccolta e distribuzione di sangue umano per uso terapeutico. Siffatta presunzione può essere vinta solo se viene fornita dallo stesso Ministero la prova dell'adozione di condotte e misure necessarie per evitare la contagiosità, a prescindere dalla conoscenza di strumenti di prevenzione specifica.
circolazione stradale
Cass. civ., Sez. III, 14 ottobre 2015, n. 20618 - pubblicato il 16 ottobre 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In tema di sinistri stradali è in colpa il conducente del veicolo che nell'approssimarsi ad un crocevia lo impegni nonostante preveda o possa prevedere l'approssimarsi dalla propria destra di un veicolo marciante contromano e ad elevata velocità. Ne discende che una volta accertate tali circostanze, il giudice di merito non può ritenere superata la presunzione di cui all'art. 2054, comma 2°, c.c., gravante sul conducente.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In tema di sinistri stradali è in colpa il conducente del veicolo che nell'approssimarsi ad un crocevia lo impegni nonostante preveda o possa prevedere l'approssimarsi dalla propria destra di un veicolo marciante contromano e ad elevata velocità. Ne discende che una volta accertate tali circostanze, il giudice di merito non può ritenere superata la presunzione di cui all'art. 2054, comma 2°, c.c., gravante sul conducente.
sequestro preventivo
finalizzato alla confisca per equivalente
Cass. pen., Sez. III, 13 ottobre 2015, n. 41072 - pubblicato il 15 ottobre 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente è legittimo solo quando il reperimento dei beni costituenti il profitto del reato sia impossibile, ovvero quando gli stessi non siano aggredibili, e la motivazione che lo dispone dia conto di tale impossibilità. Quindi, da un lato, non è necessario un vero e proprio accertamento quale presupposto della richiesta cautelare di un sequestro preventivo per equivalente e, dall'altro, il pubblico ministero non ha una libera scelta tra il sequestro diretto e quello per equivalente ma, sulla base del compendio indiziario emergente dagli atti processuali, può chiedere al giudice il sequestro preventivo nella forma per "equivalente", invece che in quella "diretta", all'esito di una valutazione allo stato degli atti in ordine alle risultanze relative al patrimonio dell'ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato, non essendo invece necessario il compimento di specifici ed ulteriori accertamenti preliminari per rinvenire il prezzo o il profitto nelle casse della società o per ricercare in forma generalizzata i beni che ne costituiscono la trasformazione, incombendo, invece, al soggetto destinatario del provvedimento cautelare l'onere di dimostrare la sussistenza dei n presupposti per disporre il sequestro in forma diretta.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente è legittimo solo quando il reperimento dei beni costituenti il profitto del reato sia impossibile, ovvero quando gli stessi non siano aggredibili, e la motivazione che lo dispone dia conto di tale impossibilità. Quindi, da un lato, non è necessario un vero e proprio accertamento quale presupposto della richiesta cautelare di un sequestro preventivo per equivalente e, dall'altro, il pubblico ministero non ha una libera scelta tra il sequestro diretto e quello per equivalente ma, sulla base del compendio indiziario emergente dagli atti processuali, può chiedere al giudice il sequestro preventivo nella forma per "equivalente", invece che in quella "diretta", all'esito di una valutazione allo stato degli atti in ordine alle risultanze relative al patrimonio dell'ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato, non essendo invece necessario il compimento di specifici ed ulteriori accertamenti preliminari per rinvenire il prezzo o il profitto nelle casse della società o per ricercare in forma generalizzata i beni che ne costituiscono la trasformazione, incombendo, invece, al soggetto destinatario del provvedimento cautelare l'onere di dimostrare la sussistenza dei n presupposti per disporre il sequestro in forma diretta.
condizioni del contratto
Cass. civ., Sez. VI, 12 ottobre 2015, n. 20401 - pubblicato il 15 ottobre 2015
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
Le clausole di proroga tacita o di rinnovazione del contratto, se predisposte dal contraente più forte nell'ambito di un contratto per adesione, rientrano tra quelle sancite a carico del contraente aderente e sono, pertanto, prive di efficacia, a norma dell'art. 1341, comma 2, c.c., qualora non siano specificamente approvate per iscritto dal contraente aderente, anche quando hanno carattere di reciprocità e bilateralità.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
Le clausole di proroga tacita o di rinnovazione del contratto, se predisposte dal contraente più forte nell'ambito di un contratto per adesione, rientrano tra quelle sancite a carico del contraente aderente e sono, pertanto, prive di efficacia, a norma dell'art. 1341, comma 2, c.c., qualora non siano specificamente approvate per iscritto dal contraente aderente, anche quando hanno carattere di reciprocità e bilateralità.
SANZIONI DISCIPLINARI
Cass. civ., Sez. lavoro, 9 ottobre 2015, n. 20319 - pubblicato il 14 ottobre 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In tema di sanzioni disciplinari a carico dei lavoratori subordinati, la contestazione dell'addebito ha lo scopo di consentire al lavoratore incolpato l'immediata difesa per cui deve essere specifica, redatta senza l'osservanza di schemi prestabiliti e rigidi, purché idonea a fornire al lavoratore le indicazioni necessarie per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti addebitatigli. Dunque, la contestazione per relationem è legittima ove contenga il richiamo agli atti del procedimento penale instaurato a carico del lavoratore, per fatti e comportamenti rilevanti anche ai fini disciplinari ove le accuse formulate in sede penale siano a conoscenza dell'interessato, risultando rispettati i principi di correttezza e garanzia del contraddittorio.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In tema di sanzioni disciplinari a carico dei lavoratori subordinati, la contestazione dell'addebito ha lo scopo di consentire al lavoratore incolpato l'immediata difesa per cui deve essere specifica, redatta senza l'osservanza di schemi prestabiliti e rigidi, purché idonea a fornire al lavoratore le indicazioni necessarie per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti addebitatigli. Dunque, la contestazione per relationem è legittima ove contenga il richiamo agli atti del procedimento penale instaurato a carico del lavoratore, per fatti e comportamenti rilevanti anche ai fini disciplinari ove le accuse formulate in sede penale siano a conoscenza dell'interessato, risultando rispettati i principi di correttezza e garanzia del contraddittorio.
REATI TRIBUTARI
Cass. pen., Sez. III, 1° ottobre 2015, n. 40272 - pubblicato il 13 ottobre 2015
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
Le contestazioni fondate sull'abuso di diritto, nella nuova formulazione dell'art. 10 bis dello Statuto del Contribuente, introdotta dall'art. 1 del D.Lgs 5 agosto 2015, n. 128, configurabile in operazioni prive di sostanza economica che realizzano vantaggi fiscali indebiti, non integra ipotesi di violazione penale tributaria.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
Le contestazioni fondate sull'abuso di diritto, nella nuova formulazione dell'art. 10 bis dello Statuto del Contribuente, introdotta dall'art. 1 del D.Lgs 5 agosto 2015, n. 128, configurabile in operazioni prive di sostanza economica che realizzano vantaggi fiscali indebiti, non integra ipotesi di violazione penale tributaria.
INDEBITO OGGETTIVO
Cass. civ., Sez. III, 6 ottobre 2015, n. 19902 - pubblicato il 9 ottobre 2015
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
Nel giudizio di indebito oggettivo l'attore può invocare sia l'invalidità, sia l'inesistenza di un titolo giustificativo del pagamento. Nel primo caso, ha l'onere di provare che il titolo del pagamento sia invalido; nel secondo caso ha il solo onere di allegare, ma non di provare, essendo impossibile, l'inesistenza di qualsiasi titolo giustificativo del pagamento, essendo onere del convenuto provare che il pagamento era sorretto da una giusta causa. Deve, tuttavia, escludersi nell'uno come nell'altro caso che l'attore possa limitarsi a dichiarare di ignorare se il pagamento abbia o non abbia un titolo giustificativo, giacché in tale ipotesi l'atto di citazione sarebbe nullo per mancanza della causa petendi.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
Nel giudizio di indebito oggettivo l'attore può invocare sia l'invalidità, sia l'inesistenza di un titolo giustificativo del pagamento. Nel primo caso, ha l'onere di provare che il titolo del pagamento sia invalido; nel secondo caso ha il solo onere di allegare, ma non di provare, essendo impossibile, l'inesistenza di qualsiasi titolo giustificativo del pagamento, essendo onere del convenuto provare che il pagamento era sorretto da una giusta causa. Deve, tuttavia, escludersi nell'uno come nell'altro caso che l'attore possa limitarsi a dichiarare di ignorare se il pagamento abbia o non abbia un titolo giustificativo, giacché in tale ipotesi l'atto di citazione sarebbe nullo per mancanza della causa petendi.
LICENZIAMENTO DISCIPLINARE
Cass. civ., Sez. lavoro, 6 ottobre 2015, n. 19921 - pubblicato il 9 ottobre 2015
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
In tema di licenziamento disciplinare la violazione del principio di immutabilità della contestazione non può ravvisarsi in ogni ipotesi di divergenza tra i fatti posti alla base della contestazione iniziale e quelli che sorreggono il provvedimento disciplinare, occorrendo verificare se tale divergenza comporti, concretamente, una violazione del diritto di difesa del lavoratore. A tal riguardo neppure assumono rilevanza le modificazioni dalle quali non derivino elementi integrativi di una diversa fattispecie di illecito disciplinare.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
In tema di licenziamento disciplinare la violazione del principio di immutabilità della contestazione non può ravvisarsi in ogni ipotesi di divergenza tra i fatti posti alla base della contestazione iniziale e quelli che sorreggono il provvedimento disciplinare, occorrendo verificare se tale divergenza comporti, concretamente, una violazione del diritto di difesa del lavoratore. A tal riguardo neppure assumono rilevanza le modificazioni dalle quali non derivino elementi integrativi di una diversa fattispecie di illecito disciplinare.
Locazione finanziaria
Cass. civ., Sez. Unite, 5 ottobre 2015, n. 19785 - pubblicato l'8 ottobre 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In ordine ai vizi della res concessa in locazione finanziaria che la rendano inidonea all'uso, è necessario distinguere l'ipotesi in cui gli stessi siano emersi prima della consegna (rifiutata dall'utilizzatore) da quella in cui siano emersi successivamente alla stessa perché nascosti o taciuti in mala fede dal fornitore. Il primo caso va assimilato a quello della mancata consegna, con la conseguenza che il concedente, in forza del principio di buona fede, una volta informato della rifiutata consegna, ha il dovere di sospendere il pagamento del prezzo in favore del fornitore e, ricorrendone i presupposti, di agire verso quest'ultimo per la risoluzione del contratto di fornitura o per la riduzione del prezzo. Nel secondo caso, l'utilizzatore può esercitare azione diretta verso il fornitore per l'eliminazione dei vizi o la sostituzione della res, mentre il concedente, una volta informato, ha i medesimi doveri di cui alla precedente ipotesi. Ad ogni modo, l'utilizzatore può sempre agire contro il fornitore per il risarcimento dei danni, compresa la restituzione della somma corrispondente ai canoni già eventualmente pagati al concedente.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In ordine ai vizi della res concessa in locazione finanziaria che la rendano inidonea all'uso, è necessario distinguere l'ipotesi in cui gli stessi siano emersi prima della consegna (rifiutata dall'utilizzatore) da quella in cui siano emersi successivamente alla stessa perché nascosti o taciuti in mala fede dal fornitore. Il primo caso va assimilato a quello della mancata consegna, con la conseguenza che il concedente, in forza del principio di buona fede, una volta informato della rifiutata consegna, ha il dovere di sospendere il pagamento del prezzo in favore del fornitore e, ricorrendone i presupposti, di agire verso quest'ultimo per la risoluzione del contratto di fornitura o per la riduzione del prezzo. Nel secondo caso, l'utilizzatore può esercitare azione diretta verso il fornitore per l'eliminazione dei vizi o la sostituzione della res, mentre il concedente, una volta informato, ha i medesimi doveri di cui alla precedente ipotesi. Ad ogni modo, l'utilizzatore può sempre agire contro il fornitore per il risarcimento dei danni, compresa la restituzione della somma corrispondente ai canoni già eventualmente pagati al concedente.
associazione mafiosa
Cass. pen., Sez. VI, 16 settembre 2015, n. 39858 - pubblicato l'8 ottobre 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
La condotta di partecipazione mafiosa è riferibile solo a colui che si trovi in rapporto di stabile ed organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, sì da implicare, più che uno status di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l'interessato prende parte al fenomeno associativo, restando a disposizione dell'ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi. La presenza della circostanza aggravante ex art. 7 del D.L. n. 152 del 1991, convertito nella legge n. 203 del 1991, può qualificare anche la condotta di chi, pur non essendo organicamente inserito in un'associazione mafiosa, offra un contributo al perseguimento dei suoi fini, a condizione, tuttavia, che tale comportamento risulti assistito, sulla base di idonei dati indiziari o sintomatici, da una cosciente ed univoca finalizzazione agevolatrice del sodalizio criminale.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
La condotta di partecipazione mafiosa è riferibile solo a colui che si trovi in rapporto di stabile ed organica compenetrazione con il tessuto organizzativo del sodalizio, sì da implicare, più che uno status di appartenenza, un ruolo dinamico e funzionale, in esplicazione del quale l'interessato prende parte al fenomeno associativo, restando a disposizione dell'ente per il perseguimento dei comuni fini criminosi. La presenza della circostanza aggravante ex art. 7 del D.L. n. 152 del 1991, convertito nella legge n. 203 del 1991, può qualificare anche la condotta di chi, pur non essendo organicamente inserito in un'associazione mafiosa, offra un contributo al perseguimento dei suoi fini, a condizione, tuttavia, che tale comportamento risulti assistito, sulla base di idonei dati indiziari o sintomatici, da una cosciente ed univoca finalizzazione agevolatrice del sodalizio criminale.
IMPUGNAZIONE CARTELLA DI PAGAMENTO
Cass. civ., Sez. Unite, 2 ottobre 2015, n. 19704 - pubblicato il 7 ottobre 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Il contribuente può, ai sensi dell'art. 19, comma 3, del D.Lgs 31 dicembre 1992, n. 546, impugnare una cartella di pagamento invalidamente notificata e conosciuta tramite l'estratto del ruolo rilasciato su sua richiesta dal concessionario, in quanto una lettura costituzionalmente orientata delle disposizioni di cui alla suindicata norma non appare ostativa alla possibilità per lo stesso di far valere l'invalidità della notifica di quell'atto di cui sia venuto, comunque, a conoscenza tramite l'estratto di ruolo contenente gli elementi dell'atto impositivo così come formato dal concessionario della riscossione.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Il contribuente può, ai sensi dell'art. 19, comma 3, del D.Lgs 31 dicembre 1992, n. 546, impugnare una cartella di pagamento invalidamente notificata e conosciuta tramite l'estratto del ruolo rilasciato su sua richiesta dal concessionario, in quanto una lettura costituzionalmente orientata delle disposizioni di cui alla suindicata norma non appare ostativa alla possibilità per lo stesso di far valere l'invalidità della notifica di quell'atto di cui sia venuto, comunque, a conoscenza tramite l'estratto di ruolo contenente gli elementi dell'atto impositivo così come formato dal concessionario della riscossione.
LICENZIAMENTO
Cass. civ., Sez. Lavoro, 2 ottobre 2015, n. 19740 - pubblicato il 7 ottobre 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Non sussistono i presupposti per la pretesa alla corresponsione dell'indennità di mancato preavviso del licenziamento intimato al dipendente, dall'impresa appaltatrice, sua datrice di lavoro, ed avanzata nei confronti della committente, laddove il contratto di appalto risulti cessato ancor prima che il rapporto di lavoro venisse autonomamente risolto dall'appaltatrice per ragioni non connesse all'esecuzione dell'appalto in precedenza intercorso con la committente. Per tale ragione nella fattispecie neppure è ravvisabile alcuna responsabilità solidale tra l'impresa appaltatrice e l'impresa committente. Dunque l'indennità di mancato preavviso del licenziamento non è esigibile nei confronti della committente essendo maturata, tale indennità, successivamente alla cessazione del contratto di appalto.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Non sussistono i presupposti per la pretesa alla corresponsione dell'indennità di mancato preavviso del licenziamento intimato al dipendente, dall'impresa appaltatrice, sua datrice di lavoro, ed avanzata nei confronti della committente, laddove il contratto di appalto risulti cessato ancor prima che il rapporto di lavoro venisse autonomamente risolto dall'appaltatrice per ragioni non connesse all'esecuzione dell'appalto in precedenza intercorso con la committente. Per tale ragione nella fattispecie neppure è ravvisabile alcuna responsabilità solidale tra l'impresa appaltatrice e l'impresa committente. Dunque l'indennità di mancato preavviso del licenziamento non è esigibile nei confronti della committente essendo maturata, tale indennità, successivamente alla cessazione del contratto di appalto.
notificazione a mezzo posta
Cass. civ., Sez. V, 1° ottobre 2015, n. 19623 - pubblicato il 6 ottobre 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
L'avviso di ricevimento, di cui all'art. 149 c.p.c., è il solo documento idoneo a dimostrare l'avvenuta consegna dell'atto portato a notifica; conseguentemente, nel caso in cui la parte non sia in grado di produrre il suddetto documento, la notifica è da ritenersi inesistente, per cui non ne può essere ordinata la rinnovazione ai sensi dell'art. 291 c.p.c.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
L'avviso di ricevimento, di cui all'art. 149 c.p.c., è il solo documento idoneo a dimostrare l'avvenuta consegna dell'atto portato a notifica; conseguentemente, nel caso in cui la parte non sia in grado di produrre il suddetto documento, la notifica è da ritenersi inesistente, per cui non ne può essere ordinata la rinnovazione ai sensi dell'art. 291 c.p.c.
CONDOMINIO
Cass. Civ., Sez. II, 28 settembre 2015, n. 19131 - pubblicato il 6 ottobre 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In tema di condominio, le maggioranze necessarie per approvare le delibere sono inderogabilmente quelle previste dalla legge in rapporto a tutti i partecipanti ed al valore dell'intero edificio, sia ai fini del conteggio del quorum costitutivo sia di quello deliberativo, compresi i condomini in potenziale conflitto di interesse con il Condominio, i quali possono, non debbono, astenersi dall'esercitare il diritto di voto. Pertanto, anche nell'ipotesi di conflitto di interesse, la deliberazione deve essere presa con il voto favorevole di tanti condomini che rappresentano la maggioranza personale e reale fissata dalla legge e, in caso di mancato raggiungimento della maggioranza necessaria per impossibilità di funzionamento del collegio, ciascun partecipante può ricorrere all'Autorità giudiziaria.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In tema di condominio, le maggioranze necessarie per approvare le delibere sono inderogabilmente quelle previste dalla legge in rapporto a tutti i partecipanti ed al valore dell'intero edificio, sia ai fini del conteggio del quorum costitutivo sia di quello deliberativo, compresi i condomini in potenziale conflitto di interesse con il Condominio, i quali possono, non debbono, astenersi dall'esercitare il diritto di voto. Pertanto, anche nell'ipotesi di conflitto di interesse, la deliberazione deve essere presa con il voto favorevole di tanti condomini che rappresentano la maggioranza personale e reale fissata dalla legge e, in caso di mancato raggiungimento della maggioranza necessaria per impossibilità di funzionamento del collegio, ciascun partecipante può ricorrere all'Autorità giudiziaria.
indebita percezione di elargizioni
a carico dello Stato
Cass. pen., Sez. VI, 21 settembre 2015, n. 38292 - pubblicato il 6 ottobre 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Nel reato di indebita percezione di elargizioni a carico dello Stato, il superamento della soglia oltre la quale l'illecito amministrativo integra reato non è configurabile come "condizione obiettiva di punibilità", bensì è elemento costitutivo del reato e, come tale, richiede la rappresentazione e la volontà di ottenere la elargizione di una somma che configuri il reato. La condizione "obbiettiva" di punibilità prescinde dalla rappresentazione e volontà e anche dalla colpa, perchè ciò è in contrasto sia con la "rubrica" della norma "condizione obiettiva di punibilità" che con il suo testo là dove è previsto che nel caso in cui la punibilità è subordinata a una "...condizione, il colpevole risponde del reato, anche se l'evento, da cui dipende il verificarsi della condizione, non è da lui voluto". Ciò che esclude che il superamento della soglia possa costituire una "condizione obbiettiva di punibilità" è anzitutto che la "struttura" della norma incriminatrice, configurata come reato di danno e non di pericolo del quale il superamento della soglia rappresenti una progressione criminosa e poi la scelta di prevedere una "soglia" non risponde a quella di punire o meno il soggetto, bensì di diversamente punirlo con una "sanzione amministrativa" che potrebbe essere più afflittiva rispetto a quella penale, tanto per la "effettività" che la caratterizza anche per la tempestività dell'intervento. Insomma, si è in presenza di una scelta di opportunità volta a ridurre l'intervento penale. Ne discende che, nell'ipotesi in questione, la configurabilità del reato richiede il dolo e cioè la "rappresentazione e volontà" di percepire una somma "superiore a Euro 3.999,96", altrimenti il fatto non costituisce reato e non potrà che integrare un illecito amministrativo. Su tali premesse, la configurabilità del reato di cui all'art. 316 ter c.p. prescinde allora dal fatto che l'erogazione avvenga in unica soluzione ovvero in ratei periodici, ma richiede di accertare se il "chiunque" abbia agito con gli "artifici" indicati dalla norme e si "sia rappresentato" e "abbia voluto conseguire indebitamente" erogazioni del tipo indicato dalla norma, in "misura superiore a Euro 3.999,96". La norma in tal modo ricostruita, rende manifestamente infondato il ricorso del pubblico ministero, anzitutto perchè fondato sulla configurabilità della "soglia", prevista nel secondo comma dell'art. 316 ter c.p. come "condizione obbiettiva di punibilità" e, in secondo luogo, dal ragionamento probatorio del giudice di merito volto in ogni caso a escludere la sussistenza del dolo.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Nel reato di indebita percezione di elargizioni a carico dello Stato, il superamento della soglia oltre la quale l'illecito amministrativo integra reato non è configurabile come "condizione obiettiva di punibilità", bensì è elemento costitutivo del reato e, come tale, richiede la rappresentazione e la volontà di ottenere la elargizione di una somma che configuri il reato. La condizione "obbiettiva" di punibilità prescinde dalla rappresentazione e volontà e anche dalla colpa, perchè ciò è in contrasto sia con la "rubrica" della norma "condizione obiettiva di punibilità" che con il suo testo là dove è previsto che nel caso in cui la punibilità è subordinata a una "...condizione, il colpevole risponde del reato, anche se l'evento, da cui dipende il verificarsi della condizione, non è da lui voluto". Ciò che esclude che il superamento della soglia possa costituire una "condizione obbiettiva di punibilità" è anzitutto che la "struttura" della norma incriminatrice, configurata come reato di danno e non di pericolo del quale il superamento della soglia rappresenti una progressione criminosa e poi la scelta di prevedere una "soglia" non risponde a quella di punire o meno il soggetto, bensì di diversamente punirlo con una "sanzione amministrativa" che potrebbe essere più afflittiva rispetto a quella penale, tanto per la "effettività" che la caratterizza anche per la tempestività dell'intervento. Insomma, si è in presenza di una scelta di opportunità volta a ridurre l'intervento penale. Ne discende che, nell'ipotesi in questione, la configurabilità del reato richiede il dolo e cioè la "rappresentazione e volontà" di percepire una somma "superiore a Euro 3.999,96", altrimenti il fatto non costituisce reato e non potrà che integrare un illecito amministrativo. Su tali premesse, la configurabilità del reato di cui all'art. 316 ter c.p. prescinde allora dal fatto che l'erogazione avvenga in unica soluzione ovvero in ratei periodici, ma richiede di accertare se il "chiunque" abbia agito con gli "artifici" indicati dalla norme e si "sia rappresentato" e "abbia voluto conseguire indebitamente" erogazioni del tipo indicato dalla norma, in "misura superiore a Euro 3.999,96". La norma in tal modo ricostruita, rende manifestamente infondato il ricorso del pubblico ministero, anzitutto perchè fondato sulla configurabilità della "soglia", prevista nel secondo comma dell'art. 316 ter c.p. come "condizione obbiettiva di punibilità" e, in secondo luogo, dal ragionamento probatorio del giudice di merito volto in ogni caso a escludere la sussistenza del dolo.
compensazione delle spese
Cass. civ., Sez. VI, 30 settembre 2015, n. 19392 - pubblicato il 5 ottobre 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
La nozione elastica di "giusti motivi" richiamata dall'art. 92 c.p.c. si presta a comprendere anche quelle situazioni in cui la decisione della controversia abbia richiesto la soluzione di questioni complesse, oggetto di una giurisprudenza oscillante, dalle quali sia poi derivata la soccombenza delle parte. La predetta circostanza deve ritenersi sussistente nell'ipotesi in cui il giudice di prime cure rilevi che il repentino mutamento della giurisprudenza sui mezzi di contestazione dei verbali di accertamento, sia stato tale da influire sul comportamento processuale della parte opponente, risultata poi soccombente sul punto. In tale contesto deve ritenersi, altresì, esente da censure la pronuncia del giudice di appello che ponga la reciproca soccombenza delle parti a fondamento della scelta di compensare anche le spese del giudizio di appello, conformandosi alle direttive di cui agli artt. 91 e 92 c.p.c.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
La nozione elastica di "giusti motivi" richiamata dall'art. 92 c.p.c. si presta a comprendere anche quelle situazioni in cui la decisione della controversia abbia richiesto la soluzione di questioni complesse, oggetto di una giurisprudenza oscillante, dalle quali sia poi derivata la soccombenza delle parte. La predetta circostanza deve ritenersi sussistente nell'ipotesi in cui il giudice di prime cure rilevi che il repentino mutamento della giurisprudenza sui mezzi di contestazione dei verbali di accertamento, sia stato tale da influire sul comportamento processuale della parte opponente, risultata poi soccombente sul punto. In tale contesto deve ritenersi, altresì, esente da censure la pronuncia del giudice di appello che ponga la reciproca soccombenza delle parti a fondamento della scelta di compensare anche le spese del giudizio di appello, conformandosi alle direttive di cui agli artt. 91 e 92 c.p.c.
SPESE GIUDIZIALI CIVILI
Cass. civ., Sez. III, 30 settembre 2015, n. 19520 - pubblicato il 5 ottobre 2015
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
La nozione di soccombenza reciproca, che consente la compensazione parziale o totale tra le parti delle spese processuali, sottende, anche in relazione al principio di causalità, una pluralità di domande contrapposte, accolte o rigettate e che si siano trovate in cumulo nel medesimo processo fra le stesse parti, ovvero anche l'accoglimento parziale dell'unica domanda proposta, allorché essa sia stata articolata in più capi e ne siano stati accolti uno od alcuni e rigettati gli altri, ovvero quando la parzialità dell'accoglimento sia meramente quantitativa e riguardi una domanda articolata in un unico capo.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
La nozione di soccombenza reciproca, che consente la compensazione parziale o totale tra le parti delle spese processuali, sottende, anche in relazione al principio di causalità, una pluralità di domande contrapposte, accolte o rigettate e che si siano trovate in cumulo nel medesimo processo fra le stesse parti, ovvero anche l'accoglimento parziale dell'unica domanda proposta, allorché essa sia stata articolata in più capi e ne siano stati accolti uno od alcuni e rigettati gli altri, ovvero quando la parzialità dell'accoglimento sia meramente quantitativa e riguardi una domanda articolata in un unico capo.
CONTRATTI BANCARI
Cass. civ., Sez. I, 29 settembre 2015, n. 19314 - pubblicato il 2 ottobre 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Le ragioni della nullità della clausola che prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito del correntista, integrate dalla violazione del divieto posto dall'art. 1283 c.c. e dall'assenza di usi contrari, non investono il solo profilo della periodizzazione trimestrale, ma si estendono alla pratica dell'anatocismo in sé e per sé considerata, indipendentemente dalla cadenza con cui la stessa venga applicata. Di talché deve escludersi la possibilità di riconoscere la legittimità della capitalizzazione annuale, in luogo di quella trimestrale.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Le ragioni della nullità della clausola che prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito del correntista, integrate dalla violazione del divieto posto dall'art. 1283 c.c. e dall'assenza di usi contrari, non investono il solo profilo della periodizzazione trimestrale, ma si estendono alla pratica dell'anatocismo in sé e per sé considerata, indipendentemente dalla cadenza con cui la stessa venga applicata. Di talché deve escludersi la possibilità di riconoscere la legittimità della capitalizzazione annuale, in luogo di quella trimestrale.
RECESSO PER GIUSTA CAUSA
Cass. civ.,Sez. lavoro, 29 settembre 2015, n. 19300 - pubblicato il 2 ottobre 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
L'istituto del recesso per giusta causa, previsto dall'art. 2119, comma 1, c.c., in relazione al contratto di lavoro subordinato, è applicabile anche al contratto di agenzia, sebbene in tal caso, ai fini della valutazione della gravità della condotta, deve tenersi conto che in quest'ultimo ambito il rapporto di fiducia assume una maggiore intensità rispetto al rapporto di lavoro subordinato. Ne consegue che ai fini della legittimità del recesso, deve ritenersi sufficiente un fatto di minore consistenza, secondo una valutazione rimessa al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente e correttamente motivata. (Nel caso concreto, tuttavia, deve affermarsi la erroneità della gravata pronuncia giudiziale nella parte in cui ha individuato una giusta causa nel recesso anticipato esercitato dall'agente, pur in assenza di alcun elemento concreto di specifica violazione dell'obbligo di correttezza e buona fede incombente a carico del preponente, all'uopo essendo insufficiente la tautologica affermazione della lesione della sua immagine professionale).
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
L'istituto del recesso per giusta causa, previsto dall'art. 2119, comma 1, c.c., in relazione al contratto di lavoro subordinato, è applicabile anche al contratto di agenzia, sebbene in tal caso, ai fini della valutazione della gravità della condotta, deve tenersi conto che in quest'ultimo ambito il rapporto di fiducia assume una maggiore intensità rispetto al rapporto di lavoro subordinato. Ne consegue che ai fini della legittimità del recesso, deve ritenersi sufficiente un fatto di minore consistenza, secondo una valutazione rimessa al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente e correttamente motivata. (Nel caso concreto, tuttavia, deve affermarsi la erroneità della gravata pronuncia giudiziale nella parte in cui ha individuato una giusta causa nel recesso anticipato esercitato dall'agente, pur in assenza di alcun elemento concreto di specifica violazione dell'obbligo di correttezza e buona fede incombente a carico del preponente, all'uopo essendo insufficiente la tautologica affermazione della lesione della sua immagine professionale).
sospensione condizionale
Cass. pen., Sez. VI, 8 settembre 2015, n. 38558 - pubblicato il 30 settembre 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Il danno criminale, rilevante nell'ambito della valutazione sulla concessione o meno della sospensione condizionale della pena, identificabile nelle conseguenze che ineriscono alla lesione o alla messa in pericolo del bene tutelato dalla norma penale violata, differisce dal danno civilistico coincidente, invece, con il danno che il reato arreca alle singole persone offese e del quale può essere chiesto il risarcimento.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Il danno criminale, rilevante nell'ambito della valutazione sulla concessione o meno della sospensione condizionale della pena, identificabile nelle conseguenze che ineriscono alla lesione o alla messa in pericolo del bene tutelato dalla norma penale violata, differisce dal danno civilistico coincidente, invece, con il danno che il reato arreca alle singole persone offese e del quale può essere chiesto il risarcimento.
mutamento di mansioni
Cass. civ., Sez. lavoro, 25 settembre 2015, n. 19037 - pubblicato il 30 settembre 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Sebbene l'art. 2103 c.c. precluda un'indiscriminata fungibilità di mansioni per il solo fatto di un accorpamento convenzionale, deve tuttavia rilevarsi come le clausole del contratto collettivo possano legittimare una fungibilità funzionale tra mansioni diverse al fine di sopperire a contingenti esigenze aziendali. Ne deriva che, in caso di nuovo assetto organizzativo disposto dall'imprenditore, comprensivo di una diversa classificazione del personale convenuta con le organizzazioni sindacali con la previsione di nuove categorie od aree professionali, destinate ad accorpare mansioni comuni a più profili professionali, una questione di violazione dell'art. 2103 c.c. può porsi solo se, in seguito al "riclassamento", il lavoratore viene adibito a nuove mansioni, compatibili con le declaratorie della nuova classificazione ma incompatibili con la sua storia professionale.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Sebbene l'art. 2103 c.c. precluda un'indiscriminata fungibilità di mansioni per il solo fatto di un accorpamento convenzionale, deve tuttavia rilevarsi come le clausole del contratto collettivo possano legittimare una fungibilità funzionale tra mansioni diverse al fine di sopperire a contingenti esigenze aziendali. Ne deriva che, in caso di nuovo assetto organizzativo disposto dall'imprenditore, comprensivo di una diversa classificazione del personale convenuta con le organizzazioni sindacali con la previsione di nuove categorie od aree professionali, destinate ad accorpare mansioni comuni a più profili professionali, una questione di violazione dell'art. 2103 c.c. può porsi solo se, in seguito al "riclassamento", il lavoratore viene adibito a nuove mansioni, compatibili con le declaratorie della nuova classificazione ma incompatibili con la sua storia professionale.
determinazione reddito d'impresa
Cass. civ., Sez. V, 25 settembre 2015, n. 19050 - pubblicato il 30 settembre 2015
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
In riferimento alla determinazione del reddito d'impresa, l'art. 62 del T.U.I.R. (articolo trasfuso nel nuovo art. 95 del D.P.R. n. 917 del 1986), che esclude l'ammissibilità di deduzioni a titolo di compenso per il lavoro prestato o l'opera svolta dall'imprenditore, limitando la deducibilità delle spese per prestazioni di lavoro a quelle sostenute per lavoro dipendente e per compensi spettanti agli amministratori di società di persone, non consente di dedurre dall'imponibile il compenso per il lavoro prestato e l'opera svolta dall'amministratore unico di società di capitali.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
In riferimento alla determinazione del reddito d'impresa, l'art. 62 del T.U.I.R. (articolo trasfuso nel nuovo art. 95 del D.P.R. n. 917 del 1986), che esclude l'ammissibilità di deduzioni a titolo di compenso per il lavoro prestato o l'opera svolta dall'imprenditore, limitando la deducibilità delle spese per prestazioni di lavoro a quelle sostenute per lavoro dipendente e per compensi spettanti agli amministratori di società di persone, non consente di dedurre dall'imponibile il compenso per il lavoro prestato e l'opera svolta dall'amministratore unico di società di capitali.
ARRICCHIMENTO SENZA CAUSA
Cass. civ., Sez. III, 22 settembre 2015, n. 18632 - pubblicato il 25 settembre 2015
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
L'azione generale di arricchimento ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell'altro, avvenuta senza giusta causa. In particolare, l'ingiustizia dell'arricchimento da parte di un convivente more uxorio nei confronti dell'altro è configurabile in presenza di prestazioni a vantaggio del primo, che esulano dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza, il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali della famiglia di fatto, e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza. La mancanza o la ingiustizia della causa non è, invece, invocabile qualora l'arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità, ovvero dell'adempimento di una obbligazione naturale.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
L'azione generale di arricchimento ha come presupposto la locupletazione di un soggetto a danno dell'altro, avvenuta senza giusta causa. In particolare, l'ingiustizia dell'arricchimento da parte di un convivente more uxorio nei confronti dell'altro è configurabile in presenza di prestazioni a vantaggio del primo, che esulano dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza, il cui contenuto va parametrato sulle condizioni sociali e patrimoniali della famiglia di fatto, e travalicanti i limiti di proporzionalità e di adeguatezza. La mancanza o la ingiustizia della causa non è, invece, invocabile qualora l'arricchimento sia conseguenza di un contratto, di un impoverimento remunerato, di un atto di liberalità, ovvero dell'adempimento di una obbligazione naturale.
RESPONSABILITà CIVILE PER FATTO ILLECITO DEL C.T.U.
Cass. civ., Sez. III, 18 settembre 2015, n. 18313 - pubblicato il 23 settembre 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
La responsabilità civile per fatto illecito del C.T.U. è disciplinata dall'art. 64 c.p.c., a norma del quale incombe sull'ausiliario del Giudice l'onere di risarcire i danni che abbia cagionato alle parti con la sua condotta colposa mentre il Ministero della Giustizia non può rispondere di tale condotta non essendo garante delle obbligazioni risarcitorie di questi. Il C.T.U. svolge, nell'ambito del processo, una pubblica funzione quale ausiliare del giudice, nell'interesse generale e superiore della giustizia, con responsabilità oltre che penale e disciplinare, anche civile; quest'ultima comporta, per lo stesso, l'obbligo di risarcire il danno che abbia cagionato in violazione dei doveri connessi al suo ufficio.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
La responsabilità civile per fatto illecito del C.T.U. è disciplinata dall'art. 64 c.p.c., a norma del quale incombe sull'ausiliario del Giudice l'onere di risarcire i danni che abbia cagionato alle parti con la sua condotta colposa mentre il Ministero della Giustizia non può rispondere di tale condotta non essendo garante delle obbligazioni risarcitorie di questi. Il C.T.U. svolge, nell'ambito del processo, una pubblica funzione quale ausiliare del giudice, nell'interesse generale e superiore della giustizia, con responsabilità oltre che penale e disciplinare, anche civile; quest'ultima comporta, per lo stesso, l'obbligo di risarcire il danno che abbia cagionato in violazione dei doveri connessi al suo ufficio.
INVALIDITà
Cass. civ., Sez. III, 18 settembre 2015, n. 18305 - pubblicato il 23 settembre 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
L'accertamento in un minore in età infantile che lo stato di invalidità permanente alla persona cagionato da responsabilità medica (nella specie sordità causata da non tempestiva diagnosi di meningite, stimata determinativa di invalidità nella misura del 30% derivante da cofosi bilaterale), sia rimediabile e sia in concreto rimediato tramite l'applicazione di una protesi (nella specie un impianto cocleare), non costituisce ragione sufficiente - per vizio di violazione dell'art. 1223 c.c., sotto il profilo della mancata sussunzione dello stato invalidante come evidenziatore di un danno conseguenza patrimoniale futuro da cosiddetta perdita - a giustificare l'esclusione dell'esistenza, in ragione dell'invalidità e sulla base di una valutazione prognostica, di un danno patrimoniale da lesione della capacità lavorativa del minore. Il dover svolgersi la vita del minore con la percezione della costante applicazione della protesi necessaria per sopperire al deficit derivante dalla invalidità è, invero, circostanza che di per sé contraddice e si oppone a quella esclusione, soprattutto qualora (come nella specie) si accompagni ad elementi desunti come sintomatici, nello stesso senso, delle modalità di vita del minore nel momento in cui si compie l'accertamento.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
L'accertamento in un minore in età infantile che lo stato di invalidità permanente alla persona cagionato da responsabilità medica (nella specie sordità causata da non tempestiva diagnosi di meningite, stimata determinativa di invalidità nella misura del 30% derivante da cofosi bilaterale), sia rimediabile e sia in concreto rimediato tramite l'applicazione di una protesi (nella specie un impianto cocleare), non costituisce ragione sufficiente - per vizio di violazione dell'art. 1223 c.c., sotto il profilo della mancata sussunzione dello stato invalidante come evidenziatore di un danno conseguenza patrimoniale futuro da cosiddetta perdita - a giustificare l'esclusione dell'esistenza, in ragione dell'invalidità e sulla base di una valutazione prognostica, di un danno patrimoniale da lesione della capacità lavorativa del minore. Il dover svolgersi la vita del minore con la percezione della costante applicazione della protesi necessaria per sopperire al deficit derivante dalla invalidità è, invero, circostanza che di per sé contraddice e si oppone a quella esclusione, soprattutto qualora (come nella specie) si accompagni ad elementi desunti come sintomatici, nello stesso senso, delle modalità di vita del minore nel momento in cui si compie l'accertamento.
POSSESSO E DETENZIONE
Cass. civ., Sez. I, 11 settembre 2015, n. 17971 - pubblicato il 18 settembre 2015
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
In ordine alla convivenza di fatto, in presenza di figli minori nati dai due conviventi, l'immobile adibito a casa familiare è assegnato al genitore collocatario dei predetti minori, anche se non proprietario dell'immobile o conduttore in virtù di rapporti di locazione o comunque autonomo titolare di una posizione giuridica qualificata rispetto all'immobile. Egli, altresì, in virtù dell'affectio che costituisce il nucleo costituzionalmente protetto della relazione di convivenza è comunque detentore qualificato dell'immobile ed esercita il diritto di godimento su di esso in posizione del tutto assimilabile al comodatario, anche quando proprietario esclusivo sia l'altro convivente.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
In ordine alla convivenza di fatto, in presenza di figli minori nati dai due conviventi, l'immobile adibito a casa familiare è assegnato al genitore collocatario dei predetti minori, anche se non proprietario dell'immobile o conduttore in virtù di rapporti di locazione o comunque autonomo titolare di una posizione giuridica qualificata rispetto all'immobile. Egli, altresì, in virtù dell'affectio che costituisce il nucleo costituzionalmente protetto della relazione di convivenza è comunque detentore qualificato dell'immobile ed esercita il diritto di godimento su di esso in posizione del tutto assimilabile al comodatario, anche quando proprietario esclusivo sia l'altro convivente.
TFR ED INDENNITà
Cass. civ., Sez. Lavoro, 11 settembre 2015, n. 17990 - pubblicato il 18 settembre 2015
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
L'art. 16 del CCNL Dirigenti Industria del 23 maggio 2000 riconosce il diritto del dirigente, che a seguito di mutamenti della propria attività sostanzialmente incidente sulla sua posizione, risolva il proprio rapporto di lavoro nel termine di 60 giorni, alla corresponsione, oltre del TFR, anche di un trattamento pari all'indennità sostitutiva del preavviso spettante in caso di licenziamento. Ebbene, trattasi di una norma che integra un'autonoma e diversa ipotesi di recesso, per il solo effetto del mutamento delle mansioni sostanzialmente incidente sulle sue posizioni, rispetto alla giusta causa di recesso, eventualmente integrata dal demansionamento del dirigente.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
L'art. 16 del CCNL Dirigenti Industria del 23 maggio 2000 riconosce il diritto del dirigente, che a seguito di mutamenti della propria attività sostanzialmente incidente sulla sua posizione, risolva il proprio rapporto di lavoro nel termine di 60 giorni, alla corresponsione, oltre del TFR, anche di un trattamento pari all'indennità sostitutiva del preavviso spettante in caso di licenziamento. Ebbene, trattasi di una norma che integra un'autonoma e diversa ipotesi di recesso, per il solo effetto del mutamento delle mansioni sostanzialmente incidente sulle sue posizioni, rispetto alla giusta causa di recesso, eventualmente integrata dal demansionamento del dirigente.
FALLIMENTO
Cass. Civ., Sez. I, 8 settembre 2015, n. 17787 - pubblicato il 18 settembre 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
L'Amministrazione finanziaria, come tutti gli altri creditori, debba in linea di principio rispettare il termine annuale di cui alla L. Fall., art. 101, per la presentazione delle istanza tardive di insinuazione senza che i diversi e più lunghi termini previsti per la formazione dei ruoli e la emissione delle cartelle possano costituire una esimente di carattere generale dal rispetto del citato termine di cui alla L. Fall., art. 101. In altri termini, una volta che l'amministrazione finanziaria abbia avuto conoscenza della dichiarazione di fallimento, la stessa deve immediatamente attivarsi per predisporre i titoli per la tempestiva insinuazione dei propri crediti al passivo in termini inferiori a quelli massimi attribuiti dalla legge per l'espletamento di tali incombenze.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
L'Amministrazione finanziaria, come tutti gli altri creditori, debba in linea di principio rispettare il termine annuale di cui alla L. Fall., art. 101, per la presentazione delle istanza tardive di insinuazione senza che i diversi e più lunghi termini previsti per la formazione dei ruoli e la emissione delle cartelle possano costituire una esimente di carattere generale dal rispetto del citato termine di cui alla L. Fall., art. 101. In altri termini, una volta che l'amministrazione finanziaria abbia avuto conoscenza della dichiarazione di fallimento, la stessa deve immediatamente attivarsi per predisporre i titoli per la tempestiva insinuazione dei propri crediti al passivo in termini inferiori a quelli massimi attribuiti dalla legge per l'espletamento di tali incombenze.
AGGRAVANTI AD EFFETTO SPECIALE
Cass. Pen., Sez. VI, 10 settembre 2015, n. 36687 - pubblicato il 18 settembre 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
L'art. 168 bis c.p. riproduce integralmente il "perimetro normativo" previsto dell'art. 550, commi 1 e 2, c.p.p. per individuare i delitti per i quali possa essere richiesta "la sospensione del processo con la messa alla prova", in tal modo caratterizzando il criterio "qualitativo", nel senso di stabilire "normativamente" i delitti per i quali non rileva che la pena sia anche stabilite da "aggravanti per le quali la legge prevede una specie di pena diversa da quella ordinaria" o da quelle "ad effetto speciale". Mentre, resta fermo il criterio "quantitativo" soggetto ai limiti di pena stabiliti e determinati ex art. 4 c.p.p. richiamato dall'art. 550, comma 1 c.p.p. e implicitamente fatto proprio dall'art. 168 bis c.p. per le ragioni anzidette.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
L'art. 168 bis c.p. riproduce integralmente il "perimetro normativo" previsto dell'art. 550, commi 1 e 2, c.p.p. per individuare i delitti per i quali possa essere richiesta "la sospensione del processo con la messa alla prova", in tal modo caratterizzando il criterio "qualitativo", nel senso di stabilire "normativamente" i delitti per i quali non rileva che la pena sia anche stabilite da "aggravanti per le quali la legge prevede una specie di pena diversa da quella ordinaria" o da quelle "ad effetto speciale". Mentre, resta fermo il criterio "quantitativo" soggetto ai limiti di pena stabiliti e determinati ex art. 4 c.p.p. richiamato dall'art. 550, comma 1 c.p.p. e implicitamente fatto proprio dall'art. 168 bis c.p. per le ragioni anzidette.
RIDUZIONE DEL CAPITALE SOCIALE
Cass. civ., Sez. VI, 10 settembre 2015, n. 17950 - pubblicato il 15 settembre 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
La disciplina di cui all'art. 2482-ter c.c. è diretta a tutelare non solo l'interesse dei singoli soci ad essere correttamente informati sull'andamento gestorio della società ma anche quello dei soggetti che entrano in rapporto con la stessa, atteso che quest'ultimi sono tenuti a conoscere la sua effettiva situazione patrimoniale e finanziaria.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
La disciplina di cui all'art. 2482-ter c.c. è diretta a tutelare non solo l'interesse dei singoli soci ad essere correttamente informati sull'andamento gestorio della società ma anche quello dei soggetti che entrano in rapporto con la stessa, atteso che quest'ultimi sono tenuti a conoscere la sua effettiva situazione patrimoniale e finanziaria.
DECORSO DELLA PRESCRIZIONE NEL PROCESSO PENALE
Cass. Pen., Sez. VI, 1 settembre 2015, n. 35797 - pubblicato il 15 settembre 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Il rinvio del processo per astensione dalle udienze dei vice procuratori onorari, ritualmente proclamata dall'associazione di appartenenza, non comporta la sospensione del corso della prescrizione.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Il rinvio del processo per astensione dalle udienze dei vice procuratori onorari, ritualmente proclamata dall'associazione di appartenenza, non comporta la sospensione del corso della prescrizione.
LICENZIAMENTO
Cass. civ., Sez. lavoro, 8 settembre 2015, n. 17777 - pubblicato l'11 settembre 2015
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
Qualora il lavoratore illegittimamente licenziato in regime di cd. tutela reale, quale è quello, applicabile ratione temporis, previsto dall'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (legge n. 300 del 1970), nel testo precedente le modifiche introdotte con la legge n. 92 del 2012, opti per l'indennità sostitutiva della reintegrazione, avvalendosi della facoltà prevista dal citato art. 18, comma 5, il rapporto di lavoro si estingue con la comunicazione al datore di lavoro di tale opzione senza che permanga, per il periodo successivo in cui la prestazione lavorativa non è dovuta dal lavoratore, né può essere pretesa dal datore di lavoro, alcun obbligo retributivo. Ne deriva che l'obbligo avente ad oggetto il pagamento di tale indennità è soggetto alla disciplina della mora debendi in caso di inadempimento, o ritardo nell'adempimento, delle obbligazioni pecuniarie del datore di lavoro, quale prevista dall'art. 429, comma 3, c.p.c., salva la prova, di cui è onerato il lavoratore di un danno ulteriore.
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Qualora il lavoratore illegittimamente licenziato in regime di cd. tutela reale, quale è quello, applicabile ratione temporis, previsto dall'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (legge n. 300 del 1970), nel testo precedente le modifiche introdotte con la legge n. 92 del 2012, opti per l'indennità sostitutiva della reintegrazione, avvalendosi della facoltà prevista dal citato art. 18, comma 5, il rapporto di lavoro si estingue con la comunicazione al datore di lavoro di tale opzione senza che permanga, per il periodo successivo in cui la prestazione lavorativa non è dovuta dal lavoratore, né può essere pretesa dal datore di lavoro, alcun obbligo retributivo. Ne deriva che l'obbligo avente ad oggetto il pagamento di tale indennità è soggetto alla disciplina della mora debendi in caso di inadempimento, o ritardo nell'adempimento, delle obbligazioni pecuniarie del datore di lavoro, quale prevista dall'art. 429, comma 3, c.p.c., salva la prova, di cui è onerato il lavoratore di un danno ulteriore.
Giurisdizione del giudice ordinario
e del giudice amministrativo
Cass. civ., Sez. Unite, 7 settembre 2015, n. 17684 - pubblicato l'11 settembre 2015
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
La controversia avente ad oggetto la lamentata violazione, da parte del conduttore, del diritto soggettivo di opzione ad esso spettante ex art. 3, D.L. n. 351 del 2001, convertito con modificazioni nella legge n. 410 del 2001, successivamente alla già formata e deliberata volontà dell'Amministrazione di alienare il bene, con l'attivazione del meccanismo previsto dallo stesso D.L. n. 351, è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario. In tale contesto, la richiesta di disapplicazione del provvedimento di revoca dell'offerta economica comunicata al conduttore per consentirgli l'esercizio del diritto, il quale sorge già al momento dell'inclusione del bene nel decreto ministeriale attuativo del suo trasferimento alla società veicolo, non assume prevalenza rispetto alla materia che deve essere scrutinata, ma ne costituisce solo un accertamento incidentale. La verifica demandata al giudice ordinario, in ordine all'accertamento della sussistenza o meno delle condizioni giuridiche previste dalla legge per l'esercizio del diritto, non implica, pertanto, alcun esame dei poteri autoritativi dell'Amministrazione, ma solo una verifica della regolare condizione dell'aspirante acquirente.
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La controversia avente ad oggetto la lamentata violazione, da parte del conduttore, del diritto soggettivo di opzione ad esso spettante ex art. 3, D.L. n. 351 del 2001, convertito con modificazioni nella legge n. 410 del 2001, successivamente alla già formata e deliberata volontà dell'Amministrazione di alienare il bene, con l'attivazione del meccanismo previsto dallo stesso D.L. n. 351, è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario. In tale contesto, la richiesta di disapplicazione del provvedimento di revoca dell'offerta economica comunicata al conduttore per consentirgli l'esercizio del diritto, il quale sorge già al momento dell'inclusione del bene nel decreto ministeriale attuativo del suo trasferimento alla società veicolo, non assume prevalenza rispetto alla materia che deve essere scrutinata, ma ne costituisce solo un accertamento incidentale. La verifica demandata al giudice ordinario, in ordine all'accertamento della sussistenza o meno delle condizioni giuridiche previste dalla legge per l'esercizio del diritto, non implica, pertanto, alcun esame dei poteri autoritativi dell'Amministrazione, ma solo una verifica della regolare condizione dell'aspirante acquirente.
CONDOMINIO
Cass. civ., Sez. II, 26 agosto 2015, n. 17145 - pubblicato il 9 settembre 2015
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
L'apertura di un varco nel muro perimetrale per esigenze del singolo condomino è consentita, quale uso più intenso del bene comune. Tale dato attiene alla normativa di cui agli artt. 1102 e 1120 c.c. che è, tuttavia, derogata da quella speciale contenuta nel R.D. n. 1165 del 1938.
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L'apertura di un varco nel muro perimetrale per esigenze del singolo condomino è consentita, quale uso più intenso del bene comune. Tale dato attiene alla normativa di cui agli artt. 1102 e 1120 c.c. che è, tuttavia, derogata da quella speciale contenuta nel R.D. n. 1165 del 1938.
sentenza straniera
Cass. Civ., Sez. I, 24 agosto 2015, n. 17112 - pubblicato il 9 settembre 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
La valutazione della congruità del termine concesso al convenuto per presentare la sua difesa a norma dell'art. 6 della Convenzione dell'Aja del 2 ottobre 1973 sulle obbligazioni alimentari deve essere vagliato non in base al suo acritico confronto con gli analoghi termini di comparizione, concessi al convenuto residente all'estero dall'art. 163-bis c.p.c., ma considerando se, una volta rispettato il diritto straniero, non capiti per avventura che quel termine, secondo la valutazione del giudice dell'ordinamento richiesto del riconoscimento, sia così esiguo da ledere i diritti essenziali alla difesa ed al contraddittorio, non dovendo poi affatto coincidere tutte le regole formali con quelle interne.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
La valutazione della congruità del termine concesso al convenuto per presentare la sua difesa a norma dell'art. 6 della Convenzione dell'Aja del 2 ottobre 1973 sulle obbligazioni alimentari deve essere vagliato non in base al suo acritico confronto con gli analoghi termini di comparizione, concessi al convenuto residente all'estero dall'art. 163-bis c.p.c., ma considerando se, una volta rispettato il diritto straniero, non capiti per avventura che quel termine, secondo la valutazione del giudice dell'ordinamento richiesto del riconoscimento, sia così esiguo da ledere i diritti essenziali alla difesa ed al contraddittorio, non dovendo poi affatto coincidere tutte le regole formali con quelle interne.
UTILIZZO DI STRUMENTI MUSICALI NEI BAR
Cass. Pen., Sez. III, 18 agosto 2015, n. 34920 - pubblicato il 9 settembre 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
L'attività di un bar regolarmente autorizzato dall'autorità amministrativa a rimanere aperto fino a tarda notte ed all'uso di strumenti musicali e di diffusione sonora, va classificata come esercizio di un "mestiere rumoroso", in quanto l'uso di tali strumenti è strettamente connesso e necessario all'esercizio dell'attività autorizzata, con la conseguenza che il superamento, mediante gli strumenti stessi, dei limiti massimi o differenziali di emissione del rumore integra l'illecito amministrativo di cui all'art. 10, comma 2, L. 26 ottobre 1995, n. 447.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
L'attività di un bar regolarmente autorizzato dall'autorità amministrativa a rimanere aperto fino a tarda notte ed all'uso di strumenti musicali e di diffusione sonora, va classificata come esercizio di un "mestiere rumoroso", in quanto l'uso di tali strumenti è strettamente connesso e necessario all'esercizio dell'attività autorizzata, con la conseguenza che il superamento, mediante gli strumenti stessi, dei limiti massimi o differenziali di emissione del rumore integra l'illecito amministrativo di cui all'art. 10, comma 2, L. 26 ottobre 1995, n. 447.
MEDIAZIONE OBBLIGATORIA
Cass. civ., Sez. VI, Ordinanza, 2 settembre 2015, n. 17480 - pubblicato l'8 settembre 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
La previsione della mediazione obbligatoria quale condizione di proponibilità della domanda non concerne, per materia, la controversia avente ad oggetto la richiesta di risarcimento danni conseguenti alla perdita del numero telefonico in relazione alla portabilità dell'utenza dal precedente gestore. Di talché, dalla previsione di cui agli artt. 3 e seguenti della legge n. 249 del 1997, secondo cui il tentativo obbligatorio di conciliazione deve svolgersi presso l'organismo del luogo in cui è ubicata la postazione fissa dell'utente finale ovvero del domicilio da questo indicato in sede contrattuale ex legge n. 249 del 1997, non può discendere che anche l'Autorità giudiziaria competente alla cognizione della controversia deve essere individuata secondo lo stesso criterio, alla luce della disposizione dell'art. 4, D.Lgs. n. 28 del 2010, né può conseguire il principio della necessaria coincidenza tra la competenza territoriale dell'organismo conciliativo e quella dell'ufficio giudiziario dinanzi al quale portare la controversia. Di talché la generica previsione della corrispondenza tra luogo di organismo di mediazione e giudice territorialmente competente a conoscere della controversia, indicata nell'art. 4, D.Lgs. n. 28 del 2010 per le cause non a mediazione obbligatoria, non può trovare applicazione nella controversia de qua che, essendo regolata dalla legge n. 249 del 1997 secondo un modulo di conciliazione preventiva obbligatorio, presuppone che sussista il rapporto di condizionamento tra previo esperimento della fase pre-giuidiziale e causa, rapporto non predicabile in base all'art. 2, D.Lgs. n. 28 citato. Inoltre assume rilievo dirimente la circostanza che la regola di corrispondenza tra luogo dell'organismo di conciliazione e luogo del giudice competente deve essere rovesciata, poiché in tal modo opinando si verificherebbe una distorsione delle regole processuali sulla competenza. Il meccanismo legislativo postula che sia dapprima individuato il foro giudiziale e solo di riflesso l'organismo a cui accedere in fase conciliativa.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
La previsione della mediazione obbligatoria quale condizione di proponibilità della domanda non concerne, per materia, la controversia avente ad oggetto la richiesta di risarcimento danni conseguenti alla perdita del numero telefonico in relazione alla portabilità dell'utenza dal precedente gestore. Di talché, dalla previsione di cui agli artt. 3 e seguenti della legge n. 249 del 1997, secondo cui il tentativo obbligatorio di conciliazione deve svolgersi presso l'organismo del luogo in cui è ubicata la postazione fissa dell'utente finale ovvero del domicilio da questo indicato in sede contrattuale ex legge n. 249 del 1997, non può discendere che anche l'Autorità giudiziaria competente alla cognizione della controversia deve essere individuata secondo lo stesso criterio, alla luce della disposizione dell'art. 4, D.Lgs. n. 28 del 2010, né può conseguire il principio della necessaria coincidenza tra la competenza territoriale dell'organismo conciliativo e quella dell'ufficio giudiziario dinanzi al quale portare la controversia. Di talché la generica previsione della corrispondenza tra luogo di organismo di mediazione e giudice territorialmente competente a conoscere della controversia, indicata nell'art. 4, D.Lgs. n. 28 del 2010 per le cause non a mediazione obbligatoria, non può trovare applicazione nella controversia de qua che, essendo regolata dalla legge n. 249 del 1997 secondo un modulo di conciliazione preventiva obbligatorio, presuppone che sussista il rapporto di condizionamento tra previo esperimento della fase pre-giuidiziale e causa, rapporto non predicabile in base all'art. 2, D.Lgs. n. 28 citato. Inoltre assume rilievo dirimente la circostanza che la regola di corrispondenza tra luogo dell'organismo di conciliazione e luogo del giudice competente deve essere rovesciata, poiché in tal modo opinando si verificherebbe una distorsione delle regole processuali sulla competenza. Il meccanismo legislativo postula che sia dapprima individuato il foro giudiziale e solo di riflesso l'organismo a cui accedere in fase conciliativa.
TESTAMENTO
Giudice tutelare Vercelli Decreto, 4 settembre 2015 - pubblicato l'8 settembre 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Il Giudice tutelare, laddove chiamato ad esprimersi sull'opportunità di privare il beneficiario di amministrazione di sostegno della capacità di negoziare validamente un testamento, dovrà approfondire: se il medesimo versi in condizioni di infermità o inferiorità tali da porlo in stato di facile raggirabilità e che non gli consentano di giovarsi di intervalli di lucidità; se comprenda in modo corretto o meno la natura dell'atto da compiersi; ancora, se vi possa essere indotto sulla scorta di percorso psicologico non corretto, alterato da indebiti fattori devianti esterni. Ciò potrà fare avendo riguardo, in via analogica, alle disposizioni che disciplinano l'attività notarile di raccolta degli atti - imponendo al rogante un'indagine sulla volontà delle parti - nonché a tutte le norme del codice civile che disciplinano l'invalidità successiva del testamento o delle singole disposizioni.
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Il Giudice tutelare, laddove chiamato ad esprimersi sull'opportunità di privare il beneficiario di amministrazione di sostegno della capacità di negoziare validamente un testamento, dovrà approfondire: se il medesimo versi in condizioni di infermità o inferiorità tali da porlo in stato di facile raggirabilità e che non gli consentano di giovarsi di intervalli di lucidità; se comprenda in modo corretto o meno la natura dell'atto da compiersi; ancora, se vi possa essere indotto sulla scorta di percorso psicologico non corretto, alterato da indebiti fattori devianti esterni. Ciò potrà fare avendo riguardo, in via analogica, alle disposizioni che disciplinano l'attività notarile di raccolta degli atti - imponendo al rogante un'indagine sulla volontà delle parti - nonché a tutte le norme del codice civile che disciplinano l'invalidità successiva del testamento o delle singole disposizioni.
mutuo
Cass. civ., Sez. III, 27 agosto 2015, n. 17194 - pubblicato il 1° settembre 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In materia di mutuo, la banca erogatrice che non consegna al mutuatario l'intera somma presa in prestito ma consegna allo stesso acconti rateali, non può avvalersi del contratto di mutuo come titolo esecutivo all'interno di una normale procedura esecutiva.
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In materia di mutuo, la banca erogatrice che non consegna al mutuatario l'intera somma presa in prestito ma consegna allo stesso acconti rateali, non può avvalersi del contratto di mutuo come titolo esecutivo all'interno di una normale procedura esecutiva.
ONORARIO DELL'AVVOCATO
Cass. civ., Sez. III, 27 agosto 2015, n. 17212 - pubblicato il 1° settembre 2015
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
L'Avvocato che nel procedimento speciale disciplinato dalla Legge 13 giugno 1942, n. 79 intenda vedersi riconosciuto il compenso del rimborso forfettario di cui all'art. 14 delle disposizioni generali della tariffa professionale forense deve richiederlo esplicitamente non potendo lo stesso essere liquidato d'ufficio dal Giudice.
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L'Avvocato che nel procedimento speciale disciplinato dalla Legge 13 giugno 1942, n. 79 intenda vedersi riconosciuto il compenso del rimborso forfettario di cui all'art. 14 delle disposizioni generali della tariffa professionale forense deve richiederlo esplicitamente non potendo lo stesso essere liquidato d'ufficio dal Giudice.
CONDOMINIO
Cass. civ., Sez. VI - 2 Ordinanza, 25 agosto 2015, n. 17130 - pubblicato il 31 agosto 2015
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
In tema di controversie condominiali, l'art. 23 c.p.c., introduce un foro speciale esclusivo, affermando, per esse, la competenza del giudice del luogo in cui si trova l'immobile condominiale. Il carattere esclusivo del foro, tuttavia, non significa che lo stesso sia anche inderogabile in quanto, le ipotesi di inderogabilità della competenza territoriale sono stabilite dall'art. 28 c.p.c. e non vi rientra il foro per le cause tra condomini. Quest'ultimo, infatti, è derogabile solo in presenza di un accordo tra le parti sul punto.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
In tema di controversie condominiali, l'art. 23 c.p.c., introduce un foro speciale esclusivo, affermando, per esse, la competenza del giudice del luogo in cui si trova l'immobile condominiale. Il carattere esclusivo del foro, tuttavia, non significa che lo stesso sia anche inderogabile in quanto, le ipotesi di inderogabilità della competenza territoriale sono stabilite dall'art. 28 c.p.c. e non vi rientra il foro per le cause tra condomini. Quest'ultimo, infatti, è derogabile solo in presenza di un accordo tra le parti sul punto.
ULTRA ED EXTRAPETITA
Cass. civ., Sez. II, 24 agosto 2015, n. 17075 - pubblicato il 27 agosto 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
La corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, che vincola il giudice ex art. 112 c.p.c., riguarda il petitum che va individuato con riferimento a quello che viene domandato sia in via principale che in via subordinata, in relazione al bene della vita che l'attore intende conseguire ed alle eccezioni all'uopo sollevate dal convenuto, ma non riguarda le ipotesi in cui il giudice, espressamente od implicitamente, dia al rapporto controverso od ai fatti che siano stati allegati, quale causa petendi dell'esperita azione, una qualificazione giuridica diversa da quella prospettata dalle parti. Ciò in virtù del potere-dovere del giudice di inquadrare nell'esatta disciplina giuridica gli atti ed i fatti oggetto della contestazione, a condizione che sia rispettato l'ambito delle questioni proposte e siano stati lasciati immutati il petitum e la causa petendi, senza introdurre nel tema controverso nuovi elementi di fatto.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
La corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, che vincola il giudice ex art. 112 c.p.c., riguarda il petitum che va individuato con riferimento a quello che viene domandato sia in via principale che in via subordinata, in relazione al bene della vita che l'attore intende conseguire ed alle eccezioni all'uopo sollevate dal convenuto, ma non riguarda le ipotesi in cui il giudice, espressamente od implicitamente, dia al rapporto controverso od ai fatti che siano stati allegati, quale causa petendi dell'esperita azione, una qualificazione giuridica diversa da quella prospettata dalle parti. Ciò in virtù del potere-dovere del giudice di inquadrare nell'esatta disciplina giuridica gli atti ed i fatti oggetto della contestazione, a condizione che sia rispettato l'ambito delle questioni proposte e siano stati lasciati immutati il petitum e la causa petendi, senza introdurre nel tema controverso nuovi elementi di fatto.
DEPOSIZIONE DELL'IMPUTATO
Cass. pen., Sez. Unite, 29 luglio 2015, n. 33583 - pubblicato il 27 agosto 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In sede di esame dibattimentale ai sensi dell'art. 210, comma 6, cod. proc. pen., di imputato di reato connesso ex art. 12, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., o collegato ex art. 371, comma 2, lett. b), cod. proc. pen., l'avvertimento di cui all'art. 64, comma 3, lett. c), deve essere dato non solo se il soggetto non ha reso in precedenza dichiarazioni concernenti la responsabilità dell'imputato (come testualmente prevede il comma 6 dell'art. 210), ma anche se egli abbia già deposto erga alios senza aver ricevuto tale avvertimento.
In sede di esame dibattimentale ai sensi dell'art. 210, comma 6, cod. proc. pen., di un imputato di reato connesso ex art. 12, comma 1, lett. c), o collegato ex art. 371, comma 2, lett. b), cod. proc. pen., a quello per cui si procede, il mancato avvertimento di cui all'art. 64, comma 3, lett. c), cod. proc. pen., determina la inutilizzabilità della deposizione testimoniale.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In sede di esame dibattimentale ai sensi dell'art. 210, comma 6, cod. proc. pen., di imputato di reato connesso ex art. 12, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., o collegato ex art. 371, comma 2, lett. b), cod. proc. pen., l'avvertimento di cui all'art. 64, comma 3, lett. c), deve essere dato non solo se il soggetto non ha reso in precedenza dichiarazioni concernenti la responsabilità dell'imputato (come testualmente prevede il comma 6 dell'art. 210), ma anche se egli abbia già deposto erga alios senza aver ricevuto tale avvertimento.
In sede di esame dibattimentale ai sensi dell'art. 210, comma 6, cod. proc. pen., di un imputato di reato connesso ex art. 12, comma 1, lett. c), o collegato ex art. 371, comma 2, lett. b), cod. proc. pen., a quello per cui si procede, il mancato avvertimento di cui all'art. 64, comma 3, lett. c), cod. proc. pen., determina la inutilizzabilità della deposizione testimoniale.
TRASPORTO
Cass. civ., Sez. I, 6 agosto 2015, n. 16554 - pubblicato il 26 agosto 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Stante quanto disposto dall'art. 1696 c.c., al fine di stabilire il danno conseguente alla perdita od all'avaria delle cose trasportate, il giudice di merito può legittimamente fare riferimento alle risultanze della fattura emessa dal mittente (venditore) nei confronti del destinatario (acquirente), dato che corrisponde ad una presunzione semplice che nei normali rapporti fra imprenditori commerciali venga praticato il prezzo di mercato, quando si tratti di merci che hanno una quotazione risultante da mercuriali o quanto meno da contrattazioni largamente generalizzate.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Stante quanto disposto dall'art. 1696 c.c., al fine di stabilire il danno conseguente alla perdita od all'avaria delle cose trasportate, il giudice di merito può legittimamente fare riferimento alle risultanze della fattura emessa dal mittente (venditore) nei confronti del destinatario (acquirente), dato che corrisponde ad una presunzione semplice che nei normali rapporti fra imprenditori commerciali venga praticato il prezzo di mercato, quando si tratti di merci che hanno una quotazione risultante da mercuriali o quanto meno da contrattazioni largamente generalizzate.
PENSIONE DI ANZIANITà E DI VECCHIAIA
Cass. civ., Sez. Lavoro, 6 agosto 2015, n. 16532 - pubblicato il 26 agosto 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
La decorrenza della pensione di anzianità, in base alle regole della "finestra" di cui alla legge n, 335 del 1995, art. 1, comma 29, e dell'art. 59, commi 6 e 8 della legge n. 449 del 1997, rappresenta un elemento costitutivo del diritto alla pensione, che si perfeziona soltanto nel momento in cui matura la data di decorrenza fissata dalla legge, a nulla rilevando, dunque, per l'insorgenza del diritto, che l'assicurato abbia prima di tale momento, conseguito il prescritto requisito contributivo e presentato domanda di pensione. La legge n. 353 del 1995 ha introdotto la separazione tra perfezionamento del requisito contributivo e tempo di decorrenza della pensione di anzianità; ciò comporta che il raggiungimento del requisito contributivo non è più sufficiente per la sussistenza del diritto alla pensione, richiedendosi, altresì, il decorso di un ulteriore periodo di tempo. In tal modo il momento in cui si perfeziona tale diritto, nel regime obbligatorio, diventa il momento in cui questo tempo è decorso e che va identificato nella data di apertura della "finestra" indicata caso per caso dalla legge.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
La decorrenza della pensione di anzianità, in base alle regole della "finestra" di cui alla legge n, 335 del 1995, art. 1, comma 29, e dell'art. 59, commi 6 e 8 della legge n. 449 del 1997, rappresenta un elemento costitutivo del diritto alla pensione, che si perfeziona soltanto nel momento in cui matura la data di decorrenza fissata dalla legge, a nulla rilevando, dunque, per l'insorgenza del diritto, che l'assicurato abbia prima di tale momento, conseguito il prescritto requisito contributivo e presentato domanda di pensione. La legge n. 353 del 1995 ha introdotto la separazione tra perfezionamento del requisito contributivo e tempo di decorrenza della pensione di anzianità; ciò comporta che il raggiungimento del requisito contributivo non è più sufficiente per la sussistenza del diritto alla pensione, richiedendosi, altresì, il decorso di un ulteriore periodo di tempo. In tal modo il momento in cui si perfeziona tale diritto, nel regime obbligatorio, diventa il momento in cui questo tempo è decorso e che va identificato nella data di apertura della "finestra" indicata caso per caso dalla legge.
AMMISSIONE AL PASSIVO
Cass. civ., Sez. I, 6 agosto 2015, n. 16553 - pubblicato il 26 agosto 2015
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
Il decreto di approvazione dello stato passivo, di cui all'art. 96 L.F., se non impugnato preclude ogni questione relativa all'esistenza del credito, alla sua entità, all'efficacia del titolo da cui deriva e all'esistenza di cause di prelazione. La sua intangibilià non ammette il riesame del credito da parte del giudice delegato in sede di distribuzione finale, mediante degradazione a chirografo, di un credito già ammesso in via ipotecaria.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
Il decreto di approvazione dello stato passivo, di cui all'art. 96 L.F., se non impugnato preclude ogni questione relativa all'esistenza del credito, alla sua entità, all'efficacia del titolo da cui deriva e all'esistenza di cause di prelazione. La sua intangibilià non ammette il riesame del credito da parte del giudice delegato in sede di distribuzione finale, mediante degradazione a chirografo, di un credito già ammesso in via ipotecaria.
atti amministrativi lesivi di interessi legittimi
Cass. civ., Sez. III, 31 luglio 2015, n. 16276 - pubblicato il 4 agosto 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Il pubblico impiegato che abbia adottato o concorso alla formazione, nell'esercizio delle proprie funzioni, di atti amministrativi lesivi di interessi legittimi, ne risponde nei confronti del terzo danneggiato dal provvedimento, non ostandovi il disposto del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 23, il quale, interpretato in modo costituzionalmente orientato, non esclude la responsabilità del pubblico dipendente per lesione di interessi legittimi.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Il pubblico impiegato che abbia adottato o concorso alla formazione, nell'esercizio delle proprie funzioni, di atti amministrativi lesivi di interessi legittimi, ne risponde nei confronti del terzo danneggiato dal provvedimento, non ostandovi il disposto del D.P.R. n. 3 del 1957, art. 23, il quale, interpretato in modo costituzionalmente orientato, non esclude la responsabilità del pubblico dipendente per lesione di interessi legittimi.
CASA DI LUSSO
Cass. civ., Sez. VI, 28 luglio 2015, n. 15960 - pubblicato il 31 luglio 2015
a cura di Studio Legale Riccio Libroia
Ai fini della qualificazione di un'abitazione come di lusso e dell'esclusione dai benefici fiscali in materia di IVA, correlati all'acquisto della prima casa, sono da considerarsi superfici utili alla suindicata qualificazione i vani adibiti a sala hobby ubicati nel piano interrato dell'abitazione, quelli adibiti a mansarda anche se con altezza inferiore a quella prevista dal piano regolatore e quelli utilizzati come deposito anche se manchino i rapporti areo-illuminanti.
a cura di Studio Legale Riccio Libroia
Ai fini della qualificazione di un'abitazione come di lusso e dell'esclusione dai benefici fiscali in materia di IVA, correlati all'acquisto della prima casa, sono da considerarsi superfici utili alla suindicata qualificazione i vani adibiti a sala hobby ubicati nel piano interrato dell'abitazione, quelli adibiti a mansarda anche se con altezza inferiore a quella prevista dal piano regolatore e quelli utilizzati come deposito anche se manchino i rapporti areo-illuminanti.
OCCUPAZIONE ABUSIVA
Cass. civ., Sez. III, 27 luglio 2015, n. 15757 - pubblicato il 31 luglio 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Il carattere abusivo dell'occupazione, quando determina la privazione del godimento diretto in essere o di quello che è certo vi sarebbe stato ed è stato precluso, risolvendosi nella perdita di un'utilitas, è stimabile economicamente e può essere commisurata a quanto si sarebbe potuto lucrare attraverso la concessione a titolo oneroso del godimento del bene. Solo in caso di mancanza di godimento diretto e di dimostrazione di impossibilità di realizzazione di un progetto di godimento diretto a causa dell'occupazione, questo criterio di liquidazione non è possibile; ma non lo è perchè la situazione di danno emergente in questo caso non esiste. Semmai, se si dimostri che alcuno avrebbe preso in locazione l'immobile e che, dunque, è rimasto precluso un utilizzo indiretto, si potrà dare un danno da lucro cessante.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Il carattere abusivo dell'occupazione, quando determina la privazione del godimento diretto in essere o di quello che è certo vi sarebbe stato ed è stato precluso, risolvendosi nella perdita di un'utilitas, è stimabile economicamente e può essere commisurata a quanto si sarebbe potuto lucrare attraverso la concessione a titolo oneroso del godimento del bene. Solo in caso di mancanza di godimento diretto e di dimostrazione di impossibilità di realizzazione di un progetto di godimento diretto a causa dell'occupazione, questo criterio di liquidazione non è possibile; ma non lo è perchè la situazione di danno emergente in questo caso non esiste. Semmai, se si dimostri che alcuno avrebbe preso in locazione l'immobile e che, dunque, è rimasto precluso un utilizzo indiretto, si potrà dare un danno da lucro cessante.
TRASPORTO AEREO - BAGAGLI
Cass. civ., Sez. III, 14 luglio 2015, n. 14667 - pubblicato il 31 luglio 2015
a cura di Eliana LIbroia - Foro di Nocera Inferiore
Ai sensi della Convenzione di Montreal del 28 maggio 1999 (recante l’unificazione di alcune norme sul trasporto aereo internazionale), ove il vettore aereo internazionale si renda responsabile del ritardo nella consegna al passeggero del proprio bagaglio (art. 19 della Convenzione), la limitazione della responsabilità risarcitoria dello stesso vettore fissata (nella misura di 1000 diritti speciali di prelievo per passeggero) dall’art. 22, n. 2, della Convenzione opera in riferimento al danno di qualsiasi natura patito dal passeggero medesimo e, dunque, sia nella sua componente meramente patrimoniale, che in quella non patrimoniale, da risarcirsi, quest’ultima, (allorquando, come nella specie, trovi applicazione il diritto interno) ai sensi dell’art. 2059 c.c., come conseguenza seria della lesione grave di diritti inviolabili della persona, costituzionalmente tutelati”.
a cura di Eliana LIbroia - Foro di Nocera Inferiore
Ai sensi della Convenzione di Montreal del 28 maggio 1999 (recante l’unificazione di alcune norme sul trasporto aereo internazionale), ove il vettore aereo internazionale si renda responsabile del ritardo nella consegna al passeggero del proprio bagaglio (art. 19 della Convenzione), la limitazione della responsabilità risarcitoria dello stesso vettore fissata (nella misura di 1000 diritti speciali di prelievo per passeggero) dall’art. 22, n. 2, della Convenzione opera in riferimento al danno di qualsiasi natura patito dal passeggero medesimo e, dunque, sia nella sua componente meramente patrimoniale, che in quella non patrimoniale, da risarcirsi, quest’ultima, (allorquando, come nella specie, trovi applicazione il diritto interno) ai sensi dell’art. 2059 c.c., come conseguenza seria della lesione grave di diritti inviolabili della persona, costituzionalmente tutelati”.
NOTIFICAZIONE NELLE MANI DEL PORTIERE
Cass. Pen., Sez. II, 20 luglio 2015, n. 31399 -
pubblicato il 30 luglio 2015
a cura di Studio Legale Riccio Libroia
In caso di notifica di atti al difensore dell'imputato eseguita con consegna di copia al portiere (o a chi ne fa le veci), l'ufficiale giudiziario ha l'obbligo di dare notizia al destinatario dell'avvenuta notificazione dell'atto a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento, atteso che la prescrizione di cui all'art. 157, comma 3, c.p.p. si applica anche per le notifiche da eseguire a soggetti diversi dall'imputato.
pubblicato il 30 luglio 2015
a cura di Studio Legale Riccio Libroia
In caso di notifica di atti al difensore dell'imputato eseguita con consegna di copia al portiere (o a chi ne fa le veci), l'ufficiale giudiziario ha l'obbligo di dare notizia al destinatario dell'avvenuta notificazione dell'atto a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento, atteso che la prescrizione di cui all'art. 157, comma 3, c.p.p. si applica anche per le notifiche da eseguire a soggetti diversi dall'imputato.
azzeramento punti della patente
Cass. Civ., Sez. Unite, 24 luglio 2015, n. 15573 - pubblicato il 30 luglio 2015
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
In tema di sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada, l'opposizione giurisdizionale, nelle forme previste dagli artt. 22 e 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689, ha natura di rimedio generale esperibile, salvo espressa previsione contraria, contro tutti i provvedimenti sanzionatori, ivi compresi quelli di sospensione della validità della patente di guida e quelli prodromici a tale sospensione, quali la decurtazione progressiva dei punti", sicché essi, ai sensi degli artt. 204-bis, 205 e 216, comma 5, del codice della strada rientrano nella competenza del giudice di pace.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
In tema di sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada, l'opposizione giurisdizionale, nelle forme previste dagli artt. 22 e 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689, ha natura di rimedio generale esperibile, salvo espressa previsione contraria, contro tutti i provvedimenti sanzionatori, ivi compresi quelli di sospensione della validità della patente di guida e quelli prodromici a tale sospensione, quali la decurtazione progressiva dei punti", sicché essi, ai sensi degli artt. 204-bis, 205 e 216, comma 5, del codice della strada rientrano nella competenza del giudice di pace.
cosa locata e incendio
Cass. civ., Sez. III, 27 luglio 2015, n. 15721 - pubblicato il 29 luglio 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
L'art. 1588 (coordinato con l'art. 1218) c.c., in base al quale il conduttore risponde della perdita e del deterioramento della cosa locata anche se derivante da incendio, qualora non provi che il fatto si sia verificato per causa a lui non imputabile, pone una presunzione di colpa a carico del conduttore, superabile con la dimostrazione che il conduttore abbia adempiuto agli obblighi di custodia a suo carico con la diligenza richiesta dal caso concreto, e che sia stata identificata in modo positivo la causa dell'incendio ed essa non sia a lui imputabile. Non attiene al contenuto della prova liberatoria, invece, ai fimi della liberazione dalla responsabilità contrattuale del conduttore verso il locatore per i danni subiti o il perimento della cosa locata, l'individuazione dei soggetti in concreto responsabili dell'incendio stesso".
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
L'art. 1588 (coordinato con l'art. 1218) c.c., in base al quale il conduttore risponde della perdita e del deterioramento della cosa locata anche se derivante da incendio, qualora non provi che il fatto si sia verificato per causa a lui non imputabile, pone una presunzione di colpa a carico del conduttore, superabile con la dimostrazione che il conduttore abbia adempiuto agli obblighi di custodia a suo carico con la diligenza richiesta dal caso concreto, e che sia stata identificata in modo positivo la causa dell'incendio ed essa non sia a lui imputabile. Non attiene al contenuto della prova liberatoria, invece, ai fimi della liberazione dalla responsabilità contrattuale del conduttore verso il locatore per i danni subiti o il perimento della cosa locata, l'individuazione dei soggetti in concreto responsabili dell'incendio stesso".
BRACCIALETTO ELETTRONICO
Cass. pen., Sez. II, 2 luglio 2015, n. 28115 - pubblicato il 29 luglio 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Qualora il giudice reputi che il cd. "braccialetto elettronico" sia una modalità di esecuzione degli arresti domiciliari necessaria ai fini della concedibilità della misura e, tuttavia, tale misura non possa essere concessa per la concreta mancanza di tale strumento di controllo da parte della PG o dell'Amministrazione penitenziaria, non sussiste alcun vulnus ai principi di cui agli artt. 3 e 13 Cost., nè alcuna violazione dei diritti della difesa, perchè l'impossibilità della concessione degli arresti domiciliari senza controllo elettronico a distanza dipende pur sempre dall'intensità delle esigenze cautelari e pertanto è ascrivibile alla persona dell'indagato.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Qualora il giudice reputi che il cd. "braccialetto elettronico" sia una modalità di esecuzione degli arresti domiciliari necessaria ai fini della concedibilità della misura e, tuttavia, tale misura non possa essere concessa per la concreta mancanza di tale strumento di controllo da parte della PG o dell'Amministrazione penitenziaria, non sussiste alcun vulnus ai principi di cui agli artt. 3 e 13 Cost., nè alcuna violazione dei diritti della difesa, perchè l'impossibilità della concessione degli arresti domiciliari senza controllo elettronico a distanza dipende pur sempre dall'intensità delle esigenze cautelari e pertanto è ascrivibile alla persona dell'indagato.
le prove nuove
dopo l'emissione del decreto ingiuntivo
Cass. civ., Sez. Unite, 10 luglio 2015, n. 14475 - pubblicato il 27 luglio 2015
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia & Partners
L'art. 345, terzo comma, c.p.c. (nel testo introdotto dall'art. 52 della legge 26 novembre 1990, n. 353, con decorrenza dal 30 aprile 1995), deve essere interpretato nel senso che, i documenti allegati alla richiesta di decreto ingiuntivo, anche qualora non siano stati nuovamente prodotti nella fase di opposizione, non possono essere considerati nuovi e pertanto, se allegati all'atto di appello contro la sentenza che ha definito il giudizio di primo grado, devono essere ritenuti ammissibili.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia & Partners
L'art. 345, terzo comma, c.p.c. (nel testo introdotto dall'art. 52 della legge 26 novembre 1990, n. 353, con decorrenza dal 30 aprile 1995), deve essere interpretato nel senso che, i documenti allegati alla richiesta di decreto ingiuntivo, anche qualora non siano stati nuovamente prodotti nella fase di opposizione, non possono essere considerati nuovi e pertanto, se allegati all'atto di appello contro la sentenza che ha definito il giudizio di primo grado, devono essere ritenuti ammissibili.
pedopornografia ed emule
Cass. pen., Sez. III, 15 luglio 2015, n. 30465 - pubblicato il 24 luglio 2015
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Nel delitto di diffusione di materiale pedopornografico di cui all'art. 600-ter, comma 3, c.p., per aversi l'elemento psicologico è necessario provare che il soggetto attivo abbia avuto quanto la voluntas di procurarsi il summenzionato materiale, ma anche la specifica volontà di distribuirlo, divulgarlo, diffonderlo o pubblicizzarlo. Circa la possibilità di procurarsi immagini attraverso l'impiego del programma di file sharing Emule, non può ritenersi provata la sussistenza del reato in ragione del tipo di software utilizzato, fondandosi unicamente sul dato quantitativo del materiale scaricato.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia & Partners
Nel delitto di diffusione di materiale pedopornografico di cui all'art. 600-ter, comma 3, c.p., per aversi l'elemento psicologico è necessario provare che il soggetto attivo abbia avuto quanto la voluntas di procurarsi il summenzionato materiale, ma anche la specifica volontà di distribuirlo, divulgarlo, diffonderlo o pubblicizzarlo. Circa la possibilità di procurarsi immagini attraverso l'impiego del programma di file sharing Emule, non può ritenersi provata la sussistenza del reato in ragione del tipo di software utilizzato, fondandosi unicamente sul dato quantitativo del materiale scaricato.
DANNO TANATOLOGICO
Cass. civ., Sez. Unite, 22 luglio 2015, n. 15350 - pubblicato il 24 luglio 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Non è risarcibile “iure hereditatis” il danno derivante da perdita della vita venutasi a verificare immediatamente dopo le lesioni subite dalla vittima di un incidente stradale.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Non è risarcibile “iure hereditatis” il danno derivante da perdita della vita venutasi a verificare immediatamente dopo le lesioni subite dalla vittima di un incidente stradale.
condominio
Cass. civ. Sez. II, 21 luglio 2015, n. 15327 - pubblicato il 24 luglio 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Nell'ambito dei rapporti condominiali i presupposti per l'attribuzione della proprietà comune e, quindi, dell'interesse ad agire dei condomini, vengono meno se le cose, i servizi e gli impianti destinati ad un uso comune per oggettivi caratteri materiali, sono necessari per l'esistenza e per l'uso, ovvero sono destinati all'uso e al servizio non di tutto l'edificio ma solo di alcune parti di esso. Dunque, controvertendosi in merito ad uno spazio comune, ovvero ad un cavedio posto in corrispondenza del primo piano del condominio, coperto con apposita soletta da uno dei condomini, sussiste l'interesse ad agire di tutti i condomini dello stabile per la tutela del decoro dello stesso. Ciò vale anche per i condomini proprietari di unità immobiliari non aventi affaccio sul cavedio.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Nell'ambito dei rapporti condominiali i presupposti per l'attribuzione della proprietà comune e, quindi, dell'interesse ad agire dei condomini, vengono meno se le cose, i servizi e gli impianti destinati ad un uso comune per oggettivi caratteri materiali, sono necessari per l'esistenza e per l'uso, ovvero sono destinati all'uso e al servizio non di tutto l'edificio ma solo di alcune parti di esso. Dunque, controvertendosi in merito ad uno spazio comune, ovvero ad un cavedio posto in corrispondenza del primo piano del condominio, coperto con apposita soletta da uno dei condomini, sussiste l'interesse ad agire di tutti i condomini dello stabile per la tutela del decoro dello stesso. Ciò vale anche per i condomini proprietari di unità immobiliari non aventi affaccio sul cavedio.
diritto comunitario e diritto interno
Cass. civ., Sez. lavoro, 16 luglio 2015, n. 14959 - pubblicato il 22 luglio 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In tema di rapporti tra diritto comunitario e diritto interno, fermo restando la competenza esclusiva della Corte di Giustizia Europea a pronunciarsi in via definitiva e vincolante sull'esistenza in concreto dei presupposti dell'efficacia diretta di una norma comunitaria, e fermo restando il dovere della Corte di Cassazione di chiedere in proposito, alla Corte di Giustizia, la pronuncia pregiudiziale, la violazione e falsa applicazione della norma comunitaria, efficace nell'ordinamento nazionale, rientra appieno nel parametro di legittimità di cui all'art. 360, comma 1°, n. 3, c.p.c., utilizzabile dal giudice della legittimità, a condizione della diretta efficacia della norma comunitaria, di cui si denunci la violazione o la falsa applicazione. Ne consegue, in tal caso, il potere della Corte di Cassazione di accertare, nell'esercizio della propria funzione, il contrasto tra norma comunitaria direttamente efficace e norma interna con essa collidente, risolvendola con il riconoscimento della prevalenza della prima sulla seconda.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In tema di rapporti tra diritto comunitario e diritto interno, fermo restando la competenza esclusiva della Corte di Giustizia Europea a pronunciarsi in via definitiva e vincolante sull'esistenza in concreto dei presupposti dell'efficacia diretta di una norma comunitaria, e fermo restando il dovere della Corte di Cassazione di chiedere in proposito, alla Corte di Giustizia, la pronuncia pregiudiziale, la violazione e falsa applicazione della norma comunitaria, efficace nell'ordinamento nazionale, rientra appieno nel parametro di legittimità di cui all'art. 360, comma 1°, n. 3, c.p.c., utilizzabile dal giudice della legittimità, a condizione della diretta efficacia della norma comunitaria, di cui si denunci la violazione o la falsa applicazione. Ne consegue, in tal caso, il potere della Corte di Cassazione di accertare, nell'esercizio della propria funzione, il contrasto tra norma comunitaria direttamente efficace e norma interna con essa collidente, risolvendola con il riconoscimento della prevalenza della prima sulla seconda.
VIOLENZA
Cass. pen., Sez. VI, 14 luglio 2015, n. 30436 - pubblicato il 22 luglio 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Il ricorso alla violenza, fosse pure per scopi "formativi", è radicalmente incompatibile con il concetto di educazione cui oggi deve intendersi riferito l'art. 571 c.p.. Il padre che reiteratamente percuote il figlio per educarlo, procurandogli lesioni gravi, risponde dunque del più grave reato di maltrattamenti in concorso con quello di lesioni aggravate.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Il ricorso alla violenza, fosse pure per scopi "formativi", è radicalmente incompatibile con il concetto di educazione cui oggi deve intendersi riferito l'art. 571 c.p.. Il padre che reiteratamente percuote il figlio per educarlo, procurandogli lesioni gravi, risponde dunque del più grave reato di maltrattamenti in concorso con quello di lesioni aggravate.
pubblico impiego
T.A.R. Lombardia, 7 luglio 2015, n. 922 - pubblicato il 20 luglio 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Il diritto al riposo compensativo che spetta ai dipendenti pubblici impedisce che lo svolgimento di attività lavorativa in giorni festivi possa comportare un'eccedenza rispetto al limite orario e, quindi, che possa porsi in concreto il problema della corresponsione di retribuzione per ore di lavoro straordinario in relazione alle prestazioni lavorative domenicali e festive.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Il diritto al riposo compensativo che spetta ai dipendenti pubblici impedisce che lo svolgimento di attività lavorativa in giorni festivi possa comportare un'eccedenza rispetto al limite orario e, quindi, che possa porsi in concreto il problema della corresponsione di retribuzione per ore di lavoro straordinario in relazione alle prestazioni lavorative domenicali e festive.
prove documentali
Cass. pen., Sez. II, 8 luglio 2015, n. 29061 - pubblicato il 20 luglio 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
I dati di carattere informatico contenuti in un computer, in quanto rappresentativi di cose, rientrano nella nozione di "prove documentali". L'estrazione di tali dati da un supporto informatico, tuttavia, è una operazione di natura meccanica e ripetibile infinite volte, non essendovi quindi i presupposti per configurarla quale accertamento tecnico irripetibile ai sensi dell'art. 360 c.p.p. La L. 18 marzo 2008, n. 48, infatti, ha previsto la possibilità di estrarre copia dei predetti dati informatici con modalità idonee a garantire la conformità dei dati acquisiti a quelli originali; occorrerà quindi esaminare in concreto, nell'ambito del procedimento di valutazione della prova, la eventuale avvenuta alterazione dei dati originali e la corrispondenza di quelli estratti rispetto ai dati autentici.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
I dati di carattere informatico contenuti in un computer, in quanto rappresentativi di cose, rientrano nella nozione di "prove documentali". L'estrazione di tali dati da un supporto informatico, tuttavia, è una operazione di natura meccanica e ripetibile infinite volte, non essendovi quindi i presupposti per configurarla quale accertamento tecnico irripetibile ai sensi dell'art. 360 c.p.p. La L. 18 marzo 2008, n. 48, infatti, ha previsto la possibilità di estrarre copia dei predetti dati informatici con modalità idonee a garantire la conformità dei dati acquisiti a quelli originali; occorrerà quindi esaminare in concreto, nell'ambito del procedimento di valutazione della prova, la eventuale avvenuta alterazione dei dati originali e la corrispondenza di quelli estratti rispetto ai dati autentici.
PROCEDIMENTO PER INGIUNZIONE
Cass. civ., Sez. I, 13 luglio 2015, n. 14582 - pubblicato il 16 luglio 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In materia di opposizione a decreto ingiuntivo, la produzione della copia notificata del decreto opposto è richiesta al solo fine di verificare la tempestività della proposta opposizione e non, invece, come condizione di ammissibilità della stessa.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In materia di opposizione a decreto ingiuntivo, la produzione della copia notificata del decreto opposto è richiesta al solo fine di verificare la tempestività della proposta opposizione e non, invece, come condizione di ammissibilità della stessa.
sicurezza sul lavoro
Cass. pen., Sez. III, 6 luglio 2015, n. 28577 - pubblicato il 16 luglio 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
La violazione dell'art. 18, comma 1, lett. l del T.U. n. 81 del 2008 non è prevista dalla legge come reato, costituendo una disposizione avente la finalità di indurre e stimolare nel destinatario un determinato comportamento virtuoso senza, però, che la sua violazione assurga al rango dell'illecito penale.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
La violazione dell'art. 18, comma 1, lett. l del T.U. n. 81 del 2008 non è prevista dalla legge come reato, costituendo una disposizione avente la finalità di indurre e stimolare nel destinatario un determinato comportamento virtuoso senza, però, che la sua violazione assurga al rango dell'illecito penale.
immissioni intollerabili
Cass. civ., Sez. VI, 10 luglio 2015, n. 14513 - pubblicato il 15 luglio 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In ipotesi di immissioni intollerabili, si è in presenza di un'attività illegittima, a fronte della quale non ha ragione d'essere un sacrificio al diritto di proprietà o di godimento, venendo in rilievo l'illiceità del fatto generatore del danno arrecato, secondo l'azione generale di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. E', dunque, evidente, come sottolineato nella fattispecie, che nella richiesta di danni da immissioni rumorose intollerabili rientra pienamente anche il risarcimento per la limitazione e compressione delle modalità di godimento del bene.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In ipotesi di immissioni intollerabili, si è in presenza di un'attività illegittima, a fronte della quale non ha ragione d'essere un sacrificio al diritto di proprietà o di godimento, venendo in rilievo l'illiceità del fatto generatore del danno arrecato, secondo l'azione generale di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. E', dunque, evidente, come sottolineato nella fattispecie, che nella richiesta di danni da immissioni rumorose intollerabili rientra pienamente anche il risarcimento per la limitazione e compressione delle modalità di godimento del bene.
sinistri
Cass. civ., Sez. VI, 10 luglio 2015, n. 14517 - pubblicato il 15 luglio 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In materia di danni correlati ad un sinistro stradale, il grado di invalidità permanente determinato da una lesione all'integrità psico-fisica, non determina automaticamente la riduzione percentuale della capacità lavorativa specifica del danneggiato né, conseguentemente, una diminuzione del correlato guadagno.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In materia di danni correlati ad un sinistro stradale, il grado di invalidità permanente determinato da una lesione all'integrità psico-fisica, non determina automaticamente la riduzione percentuale della capacità lavorativa specifica del danneggiato né, conseguentemente, una diminuzione del correlato guadagno.
LIBRI E SCRITTURE CONTABILI
Cass. civ., Sez. VI - Ordinanza, 10 luglio 2015, n. 14501 - pubblicato il 15 luglio 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
L'accertamento di tipo induttivo del reddito d'impresa, sulla base di dati e di notizie in possesso dell'Ufficio accertatore, può essere effettuato anche in caso di omessa tenuta delle scritture ausiliarie di magazzino ideonee a verificare la coerenza tra le variazioni intervenute nelle consistenze negli inventari annuali.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
L'accertamento di tipo induttivo del reddito d'impresa, sulla base di dati e di notizie in possesso dell'Ufficio accertatore, può essere effettuato anche in caso di omessa tenuta delle scritture ausiliarie di magazzino ideonee a verificare la coerenza tra le variazioni intervenute nelle consistenze negli inventari annuali.
Licenziamento disciplinare
Cass. civ., Sez. Lavoro, 10 luglio 2015, n. 14446 - pubblicato il 15 luglio 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In merito all'impugnazione del licenziamento disciplinare è infondata la censura volta a denunciare l'asserita violazione e falsa applicazione dell'art. 7 della legge n. 300 del 1970, relativamente all'omessa pubblicità nelle forme di legge, di precetti rilevanti sul piano disciplinare. Tale argomento si rivela, infatti, insuscettibile di smentire la nozione di "minimo etico", intendendosi, con essa, la possibilità per il lavoratore e per ogni persona comune, di rappresentarsi la contrarietà al lecito come ai principi di correttezza e buona fede, di un dato comportamento. La rilevanza della nozione di minimo etico deve esplicarsi in modo da determinare nel lavoratore la consapevolezza anche della misura della gravità della condotta e deve essere tale da riflettere una riprovevolezza sociale della condotta medesima in modo da legittimare la punibilità con la sanzione massima del licenziamento senza preavviso.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In merito all'impugnazione del licenziamento disciplinare è infondata la censura volta a denunciare l'asserita violazione e falsa applicazione dell'art. 7 della legge n. 300 del 1970, relativamente all'omessa pubblicità nelle forme di legge, di precetti rilevanti sul piano disciplinare. Tale argomento si rivela, infatti, insuscettibile di smentire la nozione di "minimo etico", intendendosi, con essa, la possibilità per il lavoratore e per ogni persona comune, di rappresentarsi la contrarietà al lecito come ai principi di correttezza e buona fede, di un dato comportamento. La rilevanza della nozione di minimo etico deve esplicarsi in modo da determinare nel lavoratore la consapevolezza anche della misura della gravità della condotta e deve essere tale da riflettere una riprovevolezza sociale della condotta medesima in modo da legittimare la punibilità con la sanzione massima del licenziamento senza preavviso.
imposte
Cass. civ., Sez. V, 8 luglio 2015, n. 14196 - pubblicato il 13 luglio 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Nell'ambito applicativo della disciplina di cui all'art. 16 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, un atto è considerato impositivo qualora sia destinato ad esprimere una pretesa fiscale nei confronti del contribuente, ciò a prescindere dalla qualificazione formale dell'atto stesso.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Nell'ambito applicativo della disciplina di cui all'art. 16 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, un atto è considerato impositivo qualora sia destinato ad esprimere una pretesa fiscale nei confronti del contribuente, ciò a prescindere dalla qualificazione formale dell'atto stesso.
stalking
Cass. Pen., Sez. V, 2 luglio 2015, n. 28225 - pubblicato il 13 luglio 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Non è adeguata la motivazione dell'ordinanza impositiva del divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa in assenza di qualsiasi specificazione sui medesimi, non essendo possibile al destinatario della misura conoscere preventivamente a quali luoghi egli non debba avvicinarsi in via assoluta.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Non è adeguata la motivazione dell'ordinanza impositiva del divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa in assenza di qualsiasi specificazione sui medesimi, non essendo possibile al destinatario della misura conoscere preventivamente a quali luoghi egli non debba avvicinarsi in via assoluta.
offerte anomale
Cons. di Stato, Sez. IV, 23 giugno 2015, n. 3137 - pubblicato l'8 luglio 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Negli appalti pubblici il soggetto a cui spetta la valutazione delle offerte anomale è la stazione appaltante, la quale ha ampia discrezionalità nel decidere, o meno, sull'attendibilità dell'offerta. La valutazione della commissione tecnica si limita solo ad analizzare le giustificazioni presentate dall'impresa partecipante. Inoltre la valutazione da parte della stazione appaltante, dell'attendibilità dell'offerta, è complessiva e non è finalizzata al singolo componente indicato.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Negli appalti pubblici il soggetto a cui spetta la valutazione delle offerte anomale è la stazione appaltante, la quale ha ampia discrezionalità nel decidere, o meno, sull'attendibilità dell'offerta. La valutazione della commissione tecnica si limita solo ad analizzare le giustificazioni presentate dall'impresa partecipante. Inoltre la valutazione da parte della stazione appaltante, dell'attendibilità dell'offerta, è complessiva e non è finalizzata al singolo componente indicato.
confisca del profitto dei reati tributari
Cass. Pen., Sez. III, 26 giugno 2015, n. 27072 - pubblicato l'8 luglio 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Nei procedimenti relativi a più reati commessi da pluralità di soggetti, una volta perduta l'individualità storica del profitto illecito, la sua confisca e il sequestro preventivo ad essa finalizzato possono interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l'intera entità del profitto accertato, ma l'espropriazione non può essere duplicata o comunque eccedere nel "quantum" l'ammontare complessivo del profitto che i responsabili hanno ricavato in relazione alla commissione di ciascun singolo illecito.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Nei procedimenti relativi a più reati commessi da pluralità di soggetti, una volta perduta l'individualità storica del profitto illecito, la sua confisca e il sequestro preventivo ad essa finalizzato possono interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l'intera entità del profitto accertato, ma l'espropriazione non può essere duplicata o comunque eccedere nel "quantum" l'ammontare complessivo del profitto che i responsabili hanno ricavato in relazione alla commissione di ciascun singolo illecito.
licenziamento
Cass. civ.,Sez. lavoro, 3 luglio 2015, n. 13692 - pubblicato l'8 luglio 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Il divieto di licenziamento sancito dall'art. 2 della legge n. 1204 del 1971 opera in relazione allo stato oggettivo di gravidanza o puerperio, implicando, ai sensi dell'art. 54, comma 5, del D.Lgs. n. 151 del 2001, la nullità del licenziamento intimato nonostante il divieto. Ciò detto, il termine di sessanta giorni per l'impugnazione del licenziamento previsto dall'art. 6 della legge n. 604 del 1966, norma eccezionale e non applicabile, pertanto, neanche in via analogica, ad ipotesi di nullità di licenziamenti non rientranti nella previsione della citata legge n. 604, non si applica ai licenziamenti previsti dall'art. 1 della legge n. 7 del 1963, nonché dal summenzionato art. 2 della legge n. 1204 del 1971, cui vanno invece applicati i principi generali ex artt. 1421 e 1422 c.c.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Il divieto di licenziamento sancito dall'art. 2 della legge n. 1204 del 1971 opera in relazione allo stato oggettivo di gravidanza o puerperio, implicando, ai sensi dell'art. 54, comma 5, del D.Lgs. n. 151 del 2001, la nullità del licenziamento intimato nonostante il divieto. Ciò detto, il termine di sessanta giorni per l'impugnazione del licenziamento previsto dall'art. 6 della legge n. 604 del 1966, norma eccezionale e non applicabile, pertanto, neanche in via analogica, ad ipotesi di nullità di licenziamenti non rientranti nella previsione della citata legge n. 604, non si applica ai licenziamenti previsti dall'art. 1 della legge n. 7 del 1963, nonché dal summenzionato art. 2 della legge n. 1204 del 1971, cui vanno invece applicati i principi generali ex artt. 1421 e 1422 c.c.
accertamento tecnico irripetibile
Cass. pen., Sez. II, 16 giugno 2015, n. 24998 - pubblicato il 6 luglio 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Non da luogo ad accertamento tecnico irripetibile la mera estrazione dei dati archiviati in un computer, trattandosi di operazione meramente meccanica, riproducibile per un numero indefinito di volte; poichè non esiste, ad oggi, uno standard prestabilito per la metodologia di trattamento ed analisi delle prove informatiche, l'eventuale alterazione dei dati informatici - e, quindi, la loro inutilizzabilità - a seguito di operazioni effettuate sugli hard disk o su altri supporti informatici, costituisce oggetto di un accertamento di fatto da parte del giudice di merito che, se congruamente motivato, non è suscettibile di censura in sede di legittimità
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Non da luogo ad accertamento tecnico irripetibile la mera estrazione dei dati archiviati in un computer, trattandosi di operazione meramente meccanica, riproducibile per un numero indefinito di volte; poichè non esiste, ad oggi, uno standard prestabilito per la metodologia di trattamento ed analisi delle prove informatiche, l'eventuale alterazione dei dati informatici - e, quindi, la loro inutilizzabilità - a seguito di operazioni effettuate sugli hard disk o su altri supporti informatici, costituisce oggetto di un accertamento di fatto da parte del giudice di merito che, se congruamente motivato, non è suscettibile di censura in sede di legittimità
testamento olografo
Cass. civ., Sez. Unite, 15 giugno 2015, n. 12307 - pubblicato il 6 luglio 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
La parte che contesti l'autenticità del testamento olografo deve proporre domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura, e l'onere della relativa prova, secondo i principi generali dettati in tema di accertamento negativo, grava sulla parte stessa.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
La parte che contesti l'autenticità del testamento olografo deve proporre domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura, e l'onere della relativa prova, secondo i principi generali dettati in tema di accertamento negativo, grava sulla parte stessa.
garanzie di libertà del difensore
Cass. Pen., Sez. I, 18 giugno 2015, n. 25848 - pubblicato il 2 luglio 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Le garanzie previste dall'art. 103 c.p.p. sono previste a favore del difensore in forza di specifico mandato conferitogli nelle forme di legge e non sono per la tutela personale e privilegiata del soggetto esercente la professione legale, essendo essenzialmente apprestate in funzione di garanzia del diritto di difesa dell'imputato.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Le garanzie previste dall'art. 103 c.p.p. sono previste a favore del difensore in forza di specifico mandato conferitogli nelle forme di legge e non sono per la tutela personale e privilegiata del soggetto esercente la professione legale, essendo essenzialmente apprestate in funzione di garanzia del diritto di difesa dell'imputato.
danno da perdita di chance
Cons. Stato, Sez. V, 30 giugno 2015, n. 3249 - pubblicato il 2 luglio 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In materia di danno da perdita di chance, il ricorrente ha l'onere di provare gli elementi atti a dimostrare, pur se solo in modo presuntivo e basato sul calcolo delle probabilità, la possibilità concreta che egli avrebbe avuto di conseguire il risultato sperato, atteso che la valutazione equitativa del danno, ai sensi dell'articolo 1226 del codice civile, presuppone che risulti comprovata l'esistenza di un danno risarcibile; in particolare, la lesione della possibilità concreta di ottenere un risultato favorevole presuppone che sussista una probabilità di successo (nella specie di vedersi aggiudicato l'appalto) almeno pari al 50 per cento, poiché, diversamente, diventerebbero risarcibili anche mere possibilità di successo, statisticamente non significative.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In materia di danno da perdita di chance, il ricorrente ha l'onere di provare gli elementi atti a dimostrare, pur se solo in modo presuntivo e basato sul calcolo delle probabilità, la possibilità concreta che egli avrebbe avuto di conseguire il risultato sperato, atteso che la valutazione equitativa del danno, ai sensi dell'articolo 1226 del codice civile, presuppone che risulti comprovata l'esistenza di un danno risarcibile; in particolare, la lesione della possibilità concreta di ottenere un risultato favorevole presuppone che sussista una probabilità di successo (nella specie di vedersi aggiudicato l'appalto) almeno pari al 50 per cento, poiché, diversamente, diventerebbero risarcibili anche mere possibilità di successo, statisticamente non significative.
REGOLAMENTO DI CONDOMINIO
Cass. civ., Sez. II, 17 giugno 2015, n. 12582 - pubblicato il 1° luglio 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Le norme di un regolamento di condominio, aventi natura contrattuale, essendo predisposte dall'unico originario proprietario dell'immobile ed accettate con i singoli atti di acquisto dai condomini ovvero adottate in sede assembleare con il consenso unanime di tutti i condomini, ben possono derogare od integrare la disciplina legale. Tali norme, in particolare, possono dare del concetto di decoro architettonico una definizione più rigorosa di quella accolta dall'art. 1120 c.c., sì da estendere il divieto di immutazione sino ad imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all'estetica, all'aspetto generale dell'edificio, quali esistenti nel momento della sua costruzione od in quello della manifestazione negoziale successiva. Ne deriva l'illegittimità di tutte le opere che violino quanto disposto dal regolamento condominiale.
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Le norme di un regolamento di condominio, aventi natura contrattuale, essendo predisposte dall'unico originario proprietario dell'immobile ed accettate con i singoli atti di acquisto dai condomini ovvero adottate in sede assembleare con il consenso unanime di tutti i condomini, ben possono derogare od integrare la disciplina legale. Tali norme, in particolare, possono dare del concetto di decoro architettonico una definizione più rigorosa di quella accolta dall'art. 1120 c.c., sì da estendere il divieto di immutazione sino ad imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all'estetica, all'aspetto generale dell'edificio, quali esistenti nel momento della sua costruzione od in quello della manifestazione negoziale successiva. Ne deriva l'illegittimità di tutte le opere che violino quanto disposto dal regolamento condominiale.
cancellazione della società di capitali
Cass. civ., Sez. V, 26 giugno 2015, n. 13259 - pubblicato il 1° luglio 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
La cancellazione della società di capitali dal registro delle imprese, pur provocando l'estinzione della società debitrice, relativamente alle cancellazioni successive all'entrata in vigore dell'art. 4 del D.Lgs. n. 6 del 2003, che modificando l'art. 2495, comma 2°, c.c., ha attribuito alla stessa efficacia costitutiva, comporta al tempo stesso, la sparizione dei debiti insoddisfatti che la società aveva nei confronti dei terzi, determinandosi un fenomeno successorio, in forza del quale i soci sono i titolari effettivi dei debiti sociali, nei limiti degli utili conseguiti con il riparto operato in seguito al bilancio finale di liquidazione.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
La cancellazione della società di capitali dal registro delle imprese, pur provocando l'estinzione della società debitrice, relativamente alle cancellazioni successive all'entrata in vigore dell'art. 4 del D.Lgs. n. 6 del 2003, che modificando l'art. 2495, comma 2°, c.c., ha attribuito alla stessa efficacia costitutiva, comporta al tempo stesso, la sparizione dei debiti insoddisfatti che la società aveva nei confronti dei terzi, determinandosi un fenomeno successorio, in forza del quale i soci sono i titolari effettivi dei debiti sociali, nei limiti degli utili conseguiti con il riparto operato in seguito al bilancio finale di liquidazione.
condominio
Cass. Civ., Sez. II, 5 giugno 2015, n. 11667 - pubblicato il 25 giugno 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Lo spazio sottostante al suolo su cui sorge un edificio in condominio, in mancanza di titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva ad uno dei condomini, deve considerarsi di proprietà comune, indipendentemente dalla sua destinazione (per il combinato disposto degli artt. 840 e 1117 c.c.).
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Lo spazio sottostante al suolo su cui sorge un edificio in condominio, in mancanza di titolo che ne attribuisca la proprietà esclusiva ad uno dei condomini, deve considerarsi di proprietà comune, indipendentemente dalla sua destinazione (per il combinato disposto degli artt. 840 e 1117 c.c.).
curatore fallimentare
Cass. civ., Sez. III, 22 giugno 2015, n. 12872 - pubblicato il 25 giugno 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Qualora il curatore fallimentare, commercialista, sia responsabile, ai sensi del combinato disposto dell'art. 38, comma 1, della legge fallimentare (R.D. n. 267 del 1942) ed art. 2043 c.c., del risarcimento di un danno ingiusto cagionato nello svolgimento della sua attività di ausiliare di giustizia, l'assicuratore della responsabilità civile per la sua attività professionale deve tenerlo indenne. Ciò perché l'attività di curatore fallimentare rientra tra le possibili attività professionali specificamente previste per i commercialisti dalla legge, tenuto conto che il professionista intellettuale non esaurisce la sua attività professionale nell'ambito tratteggiato dalle disposizioni codicistiche relative al contratto di prestazione d'opera intellettuale, ma continua a restare un professionista privato anche quando nell'ambito di tale attività espleta un incarico giudiziario, in relazione al quale svolge pubblici poteri.
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Qualora il curatore fallimentare, commercialista, sia responsabile, ai sensi del combinato disposto dell'art. 38, comma 1, della legge fallimentare (R.D. n. 267 del 1942) ed art. 2043 c.c., del risarcimento di un danno ingiusto cagionato nello svolgimento della sua attività di ausiliare di giustizia, l'assicuratore della responsabilità civile per la sua attività professionale deve tenerlo indenne. Ciò perché l'attività di curatore fallimentare rientra tra le possibili attività professionali specificamente previste per i commercialisti dalla legge, tenuto conto che il professionista intellettuale non esaurisce la sua attività professionale nell'ambito tratteggiato dalle disposizioni codicistiche relative al contratto di prestazione d'opera intellettuale, ma continua a restare un professionista privato anche quando nell'ambito di tale attività espleta un incarico giudiziario, in relazione al quale svolge pubblici poteri.
VIOLAZIONE DEGLI OBBLIGHI DI ASSISTENZA FAMILIARE
Cass. civ., Sez. III, 18 giugno 2015, n. 12614 - pubblicato il 23 giugno 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Vittima del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, di cui all'art. 570 c.p., può ritenersi qualunque membro della famiglia, e non solo l'avente diritto al sostentamento, in quanto il bene protetto dalla norma è il generale interesse dello Stato di salvaguardare la famiglia contro la violazione degli obblighi giuridici in essa tutelati e non quello di preservare il singolo interesse della persona avente diritto al sostentamento.
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Vittima del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, di cui all'art. 570 c.p., può ritenersi qualunque membro della famiglia, e non solo l'avente diritto al sostentamento, in quanto il bene protetto dalla norma è il generale interesse dello Stato di salvaguardare la famiglia contro la violazione degli obblighi giuridici in essa tutelati e non quello di preservare il singolo interesse della persona avente diritto al sostentamento.
CIRCOLAZIONE STRADALE
Corte cost., 18 giugno 2015, n. 113 - pubblicato il 23 giugno 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
È costituzionalmente illegittimo l'art. 45, comma 6, del C.d.S. (D.Lgs. n. 285 del 1992), in riferimento all'art. 3 Cost., nella parte in cui non prevede che tutte le apparecchiature impiegate nell'accertamento delle violazioni dei limiti di velocità siano sottoposte a verifiche periodiche di funzionalità e di taratura. Tale declaratoria di incostituzionalità deriva dal fatto che, in ordine alla predetta norma si è venuto a creare un costante orientamento giurisprudenziale, divenuto diritto vivente, secondo cui non si ravvisano ragioni per ritenere che la mancata previsione di controlli periodici della funzionalità delle apparecchiature in questione nella disciplina dell'accertamento delle violazioni ai limiti di velocità comporti vizi di legittimità costituzionale della pertinente normativa. Invero, una siffatta interpretazione collide con il principio di razionalità, sia nel senso di razionalità formale, ovvero del principio logico di non contraddizione, sia nel senso di razionalità pratica, ovvero di ragionevolezza. È, infatti, evidente che l'esonero da verifiche periodiche, o successive ad eventi di manutenzione, appare irragionevole, atteso che i fenomeni di obsolescenza e deterioramento, cui le apparecchiature in parola sono soggette, possono pregiudicare non solo l'affidabilità delle stesse, ma anche la fede pubblica che si ripone in un settore di significativa rilevanza sociale, quale quello della sicurezza stradale. Del resto, solo la custodia e la conservazione dell'affidabilità dell'omologazione e della taratura di tali strumentazioni consente di non ritenere pregiudicata oltre un limite ragionevole la certezza della rilevazione e dei sottesi rapporti giuridici.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
È costituzionalmente illegittimo l'art. 45, comma 6, del C.d.S. (D.Lgs. n. 285 del 1992), in riferimento all'art. 3 Cost., nella parte in cui non prevede che tutte le apparecchiature impiegate nell'accertamento delle violazioni dei limiti di velocità siano sottoposte a verifiche periodiche di funzionalità e di taratura. Tale declaratoria di incostituzionalità deriva dal fatto che, in ordine alla predetta norma si è venuto a creare un costante orientamento giurisprudenziale, divenuto diritto vivente, secondo cui non si ravvisano ragioni per ritenere che la mancata previsione di controlli periodici della funzionalità delle apparecchiature in questione nella disciplina dell'accertamento delle violazioni ai limiti di velocità comporti vizi di legittimità costituzionale della pertinente normativa. Invero, una siffatta interpretazione collide con il principio di razionalità, sia nel senso di razionalità formale, ovvero del principio logico di non contraddizione, sia nel senso di razionalità pratica, ovvero di ragionevolezza. È, infatti, evidente che l'esonero da verifiche periodiche, o successive ad eventi di manutenzione, appare irragionevole, atteso che i fenomeni di obsolescenza e deterioramento, cui le apparecchiature in parola sono soggette, possono pregiudicare non solo l'affidabilità delle stesse, ma anche la fede pubblica che si ripone in un settore di significativa rilevanza sociale, quale quello della sicurezza stradale. Del resto, solo la custodia e la conservazione dell'affidabilità dell'omologazione e della taratura di tali strumentazioni consente di non ritenere pregiudicata oltre un limite ragionevole la certezza della rilevazione e dei sottesi rapporti giuridici.
Risoluzione del contratto per inadempimento
Cass. civ., Sez. II, 16 giugno 2015, n. 12417 - pubblicato il 19 giugno 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Nella valutazione della non scarsa importanza dell'inadempimento è necessario considerare il peso oggettivo della mancata prestazione sull'equilibrio contrattuale, dovendo altresì, dal punto di vista soggettivo, considerare l'interesse del creditore alla prestazione mancata. Si precisa, dunque, che ciò che rileva è l'importanza dell'inadempimento con riferimento all'interesse del creditore da valutarsi non solo con riferimento alla sua entità, criterio in sé astratto ed avente la funzione di impedire uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale, ma anche in concreto tenuto conto di elementi soggettivi che pure incidono sull'importanza dell'inadempimento.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Nella valutazione della non scarsa importanza dell'inadempimento è necessario considerare il peso oggettivo della mancata prestazione sull'equilibrio contrattuale, dovendo altresì, dal punto di vista soggettivo, considerare l'interesse del creditore alla prestazione mancata. Si precisa, dunque, che ciò che rileva è l'importanza dell'inadempimento con riferimento all'interesse del creditore da valutarsi non solo con riferimento alla sua entità, criterio in sé astratto ed avente la funzione di impedire uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale, ma anche in concreto tenuto conto di elementi soggettivi che pure incidono sull'importanza dell'inadempimento.
Contratto a termine
Cass. civ., Sez. Lavoro, 16 giugno 2015, n. 12432 - pubblicato il 19 giugno 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In ordine alle assunzioni a termine ex art. 1, comma 2, lett. e) della legge n. 230 del 1962, come modificato dalla legge n. 266 del 1977, non solo è necessaria la ricorrenza contestuale dei requisiti della temporaneità e della specificità, ma che l'assunzione sia relativa a soggetti il cui apporto lavorativo si inserisca, con vincolo di necessità diretta, anche se complementare e strumentale, nello specifico spettacolo o programma. Ne deriva l'insufficienza, ai fini dell'integrazione del legittimo ricorso al contratto a tempo determinato della mera qualifica tecnica od artistica del personale correlata alla produzione di spettacoli o programmi radiofonici o televisivi, occorrendo che l'apporto del peculiare contributo professionale, tecnico od artistico del soggetto esterno sia necessario per il buon funzionamento dello spettacolo, in quanto non sostituibile con le prestazioni del personale di ruolo dell'azienda.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In ordine alle assunzioni a termine ex art. 1, comma 2, lett. e) della legge n. 230 del 1962, come modificato dalla legge n. 266 del 1977, non solo è necessaria la ricorrenza contestuale dei requisiti della temporaneità e della specificità, ma che l'assunzione sia relativa a soggetti il cui apporto lavorativo si inserisca, con vincolo di necessità diretta, anche se complementare e strumentale, nello specifico spettacolo o programma. Ne deriva l'insufficienza, ai fini dell'integrazione del legittimo ricorso al contratto a tempo determinato della mera qualifica tecnica od artistica del personale correlata alla produzione di spettacoli o programmi radiofonici o televisivi, occorrendo che l'apporto del peculiare contributo professionale, tecnico od artistico del soggetto esterno sia necessario per il buon funzionamento dello spettacolo, in quanto non sostituibile con le prestazioni del personale di ruolo dell'azienda.
Accertamento fiscale
Cass. civ., Sez. V, 12 giugno 2015, n. 12276 - pubblicato il 17 giugno 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
La presunzione, sancita dall'art. 51, comma 2, n. 7, D.P.R. n. 633 del 1972, in virtù della quale le movimentazioni bancarie di denaro, risultanti dai dati acquisiti dall'Ufficio, si presumono conseguenza di operazioni imponibili, può essere vinta dal contribuente solo con la prova liberatoria che dei movimenti egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, ovvero che questi non si riferiscono ad operazioni imponibili, nonché con la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero alla loro estraneità alla sua attività, con conseguente non rilevanza fiscale delle stesse. In relazione ai conti intestati ai soci, in particolare, la riferibilità alla società contribuente delle somme movimentate sui conti intestati ai soci, o anche ai loro congiunti, può essere giustificata da alcun elementi sintomatici, quali la ristretta compagine sociale ed il rapporto di stretta contiguità familiare tra l'amministrazione, o i soci, ed i loro congiunti intestatari dei conti bancari sottoposti a verifica.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
La presunzione, sancita dall'art. 51, comma 2, n. 7, D.P.R. n. 633 del 1972, in virtù della quale le movimentazioni bancarie di denaro, risultanti dai dati acquisiti dall'Ufficio, si presumono conseguenza di operazioni imponibili, può essere vinta dal contribuente solo con la prova liberatoria che dei movimenti egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, ovvero che questi non si riferiscono ad operazioni imponibili, nonché con la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero alla loro estraneità alla sua attività, con conseguente non rilevanza fiscale delle stesse. In relazione ai conti intestati ai soci, in particolare, la riferibilità alla società contribuente delle somme movimentate sui conti intestati ai soci, o anche ai loro congiunti, può essere giustificata da alcun elementi sintomatici, quali la ristretta compagine sociale ed il rapporto di stretta contiguità familiare tra l'amministrazione, o i soci, ed i loro congiunti intestatari dei conti bancari sottoposti a verifica.
Responsabilità professionale
Cass. civ., Sez. III, 12 giugno 2015, n. 12205 - pubblicato il 17 giugno 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
La circostanza che l'intervento medico non preceduto dall'acquisizione del consenso informato da parte del paziente si sia poi rilevato risolutivo della patologia di cui era affetto il medesimo non è idonea di per sé ad eliminare i danni cagionati al paziente per non avere espresso il proprio consenso, considerato che il beneficio tratto dall'esecuzione dell'intervento non può compensare la perdita della possibilità di eseguirne uno meno demolitorio e nemmeno uno che, se eseguito da altri, avrebbe potuto provocare meno sofferenza. Altresì, quantunque l'intervento effettuato risultasse l'unico possibile, tanto che seppure eseguito altrove o successivamente, esso avrebbe avuto identica consistenza ed identici effetti, la verificazione del beneficio derivante dalla sua esecuzione non potrebbe comunque compensare almeno la perdita della possibilità per il paziente di non sottoporsi all'intervento de quo, essendo tale possibilità appunto garantita e preservata dal diritto al consenso informato.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
La circostanza che l'intervento medico non preceduto dall'acquisizione del consenso informato da parte del paziente si sia poi rilevato risolutivo della patologia di cui era affetto il medesimo non è idonea di per sé ad eliminare i danni cagionati al paziente per non avere espresso il proprio consenso, considerato che il beneficio tratto dall'esecuzione dell'intervento non può compensare la perdita della possibilità di eseguirne uno meno demolitorio e nemmeno uno che, se eseguito da altri, avrebbe potuto provocare meno sofferenza. Altresì, quantunque l'intervento effettuato risultasse l'unico possibile, tanto che seppure eseguito altrove o successivamente, esso avrebbe avuto identica consistenza ed identici effetti, la verificazione del beneficio derivante dalla sua esecuzione non potrebbe comunque compensare almeno la perdita della possibilità per il paziente di non sottoporsi all'intervento de quo, essendo tale possibilità appunto garantita e preservata dal diritto al consenso informato.
INTERPRETAZIONE DEL CONTRATTO
Cass. civ., Sez. III, 10 giugno 2015, n. 12082 - pubblicato il 15 giugno 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Le valutazioni del giudice di merito, relativamente all'interpretazione del contratto, è sindacabile limitatamente all'ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizio di motivazione. Ai fini della ricerca della comune volontà dei contraenti il principale strumento cui far riferimento è il tenore letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto, con la conseguente preclusione del ricorso ad altri criteri interpretativi, quando la comune volontà delle stesse emerga in maniera certa ed immediata dalle espressioni adoperate e sia talmente chiara da precludere la ricerca di una volontà diversa.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Le valutazioni del giudice di merito, relativamente all'interpretazione del contratto, è sindacabile limitatamente all'ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizio di motivazione. Ai fini della ricerca della comune volontà dei contraenti il principale strumento cui far riferimento è il tenore letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto, con la conseguente preclusione del ricorso ad altri criteri interpretativi, quando la comune volontà delle stesse emerga in maniera certa ed immediata dalle espressioni adoperate e sia talmente chiara da precludere la ricerca di una volontà diversa.
AMMISSIONE AL PASSIVO
Cass. civ., Sez. I, 10 giugno 2015, n. 12047 - pubblicato il 15 giugno 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Il giudizio di opposizione allo stato passivo ha natura impugnatoria ed è retto dal principio di immutabilità della domanda, pur non configurandosi come appello, ma quale procedimento autonomo, integralmente regolato dall'art. 99 della legge fallimentare (R.D. n. 267 del 1942). Detto giudizio si presenta a carattere tipicamente sostitutivo, tale da promuovere il diretto riesame delle stesse situazioni fatte valere con la domanda di ammissione al passivo, né comporta la necessità di far valere specifici motivi di gravame, stante la inapplicabilità della normativa propria del giudizio di appello. Il giudizio in parola, pertanto, non attribuisce al giudice dell'opposizione la devoluzione piena ed automatica del contenzioso, ma onera il ricorrente della censura del provvedimento, con le preclusioni previste dalla richiamata norma. Proposta, dunque, opposizione allo stato passivo in conseguenza della mancata ammissione del credito vantato dal professionista per l'attività stragiudiziale prestata nei confronti del soggetto poi fallito, in quanto unitariamente considerata con l'attività giudiziale, fatta valere con l'opposizione la sussistenza dell'attività predetta e richiesta la determinazione degli onorari sia per la fase stragiudiziale che per quella giudiziale, è legittimo il riesame, da parte del giudice del gravame, di entrambi i profili (nella specie respinto il primo, in quanto ritenuta non provata la prestazione di attività stragiudiziale, ed accolto il secondo limitatamente all'unica attività riconosciuta, ovvero quella giudiziale).
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Il giudizio di opposizione allo stato passivo ha natura impugnatoria ed è retto dal principio di immutabilità della domanda, pur non configurandosi come appello, ma quale procedimento autonomo, integralmente regolato dall'art. 99 della legge fallimentare (R.D. n. 267 del 1942). Detto giudizio si presenta a carattere tipicamente sostitutivo, tale da promuovere il diretto riesame delle stesse situazioni fatte valere con la domanda di ammissione al passivo, né comporta la necessità di far valere specifici motivi di gravame, stante la inapplicabilità della normativa propria del giudizio di appello. Il giudizio in parola, pertanto, non attribuisce al giudice dell'opposizione la devoluzione piena ed automatica del contenzioso, ma onera il ricorrente della censura del provvedimento, con le preclusioni previste dalla richiamata norma. Proposta, dunque, opposizione allo stato passivo in conseguenza della mancata ammissione del credito vantato dal professionista per l'attività stragiudiziale prestata nei confronti del soggetto poi fallito, in quanto unitariamente considerata con l'attività giudiziale, fatta valere con l'opposizione la sussistenza dell'attività predetta e richiesta la determinazione degli onorari sia per la fase stragiudiziale che per quella giudiziale, è legittimo il riesame, da parte del giudice del gravame, di entrambi i profili (nella specie respinto il primo, in quanto ritenuta non provata la prestazione di attività stragiudiziale, ed accolto il secondo limitatamente all'unica attività riconosciuta, ovvero quella giudiziale).
Rapporto di lavoro
Cass. civ., Sez. Lavoro, 8 giugno 2015, n. 11789 - pubblicato l'11 giugno 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In merito alla condanna in solido, del Ministero delle Finanze e dell'Agenzia del Territorio, al risarcimento dei danni conseguenti agli atti vessatori e di sottile persecuzione, cui il lavoratore, affetto da un'infiammazione delle vie aeree, risulti sottoposto e nei cui confronti non risulti adottata alcuna cautela per evitare l'esposizione al fumo passivo provocato sia dagli utenti dell'ufficio, sia dagli altri colleghi ed anzi risulti destinatario di una progressiva emarginazione da parte dei colleghi e considerato soggetto petulante e meticoloso, sul piano umano e professionale, è infondato l'assunto difensivo con il quale gli enti pubblici, datori di lavoro, si limitino a negare l'adozione di condotte mobilizzanti nei confronti del lavoratore, prospettando invece una successiva serie di iniziative atte a tutelare il dipendente per risolvere il problema. Tale condotta non appare idonea ad escludere l'illiceità del comportamento posto in essere nei confronti del lavoratore, incidendo, al massimo, sulla ripartizione interna della responsabilità di ciascun datore di lavoro coobbligato in solido al risarcimento, trattandosi di lavoratore transitato da un ufficio pubblico ad un altro.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In merito alla condanna in solido, del Ministero delle Finanze e dell'Agenzia del Territorio, al risarcimento dei danni conseguenti agli atti vessatori e di sottile persecuzione, cui il lavoratore, affetto da un'infiammazione delle vie aeree, risulti sottoposto e nei cui confronti non risulti adottata alcuna cautela per evitare l'esposizione al fumo passivo provocato sia dagli utenti dell'ufficio, sia dagli altri colleghi ed anzi risulti destinatario di una progressiva emarginazione da parte dei colleghi e considerato soggetto petulante e meticoloso, sul piano umano e professionale, è infondato l'assunto difensivo con il quale gli enti pubblici, datori di lavoro, si limitino a negare l'adozione di condotte mobilizzanti nei confronti del lavoratore, prospettando invece una successiva serie di iniziative atte a tutelare il dipendente per risolvere il problema. Tale condotta non appare idonea ad escludere l'illiceità del comportamento posto in essere nei confronti del lavoratore, incidendo, al massimo, sulla ripartizione interna della responsabilità di ciascun datore di lavoro coobbligato in solido al risarcimento, trattandosi di lavoratore transitato da un ufficio pubblico ad un altro.
Inseminazione artificiale
Corte cost., 5 giugno 2015, n. 96 - pubblicato l'11 giugno 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Sono costituzionalmente illegittimi, per contrasto con gli artt. 3 e 32 Cost., gli artt. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1, della legge n. 40 del 2004 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), nella parte in cui non consentono il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili, rispondenti ai criteri di gravità di cui all'art. 6, comma 1, lett. b), della legge n. 194 del 1978 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza), accertate da apposite strutture pubbliche. Il contrasto con l'art. 3 Cost. sussiste in virtù dell'insuperabile aspetto di irragionevolezza dell'indiscriminato divieto, che le denunciate disposizioni oppongono, all'accesso alla PMA, con diagnosi preimpianto, da parte di coppie fertili affette da gravi patologie genetiche ereditarie, suscettibili di trasmettere al nascituro rilevanti anomalie o malformazioni, laddove è, invece, consentito a tali coppie di perseguire l'obiettivo di procreare un figlio non affetto dalla patologia predetta, attraverso la, innegabilmente più traumatica, modalità dell'interruzione volontaria di gravidanze naturali. Sussiste a tal riguardo anche il contrasto con l'art. 32 Cost., poiché il sistema normativo non consente di fare acquisire prima alla donna una informazione che le permetterebbe di evitare di assumere dopo una decisione ben più pregiudizievole per la sua salute, quella, appunto, dell'interruzione volontaria della gravidanza.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Sono costituzionalmente illegittimi, per contrasto con gli artt. 3 e 32 Cost., gli artt. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1, della legge n. 40 del 2004 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), nella parte in cui non consentono il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili, rispondenti ai criteri di gravità di cui all'art. 6, comma 1, lett. b), della legge n. 194 del 1978 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza), accertate da apposite strutture pubbliche. Il contrasto con l'art. 3 Cost. sussiste in virtù dell'insuperabile aspetto di irragionevolezza dell'indiscriminato divieto, che le denunciate disposizioni oppongono, all'accesso alla PMA, con diagnosi preimpianto, da parte di coppie fertili affette da gravi patologie genetiche ereditarie, suscettibili di trasmettere al nascituro rilevanti anomalie o malformazioni, laddove è, invece, consentito a tali coppie di perseguire l'obiettivo di procreare un figlio non affetto dalla patologia predetta, attraverso la, innegabilmente più traumatica, modalità dell'interruzione volontaria di gravidanze naturali. Sussiste a tal riguardo anche il contrasto con l'art. 32 Cost., poiché il sistema normativo non consente di fare acquisire prima alla donna una informazione che le permetterebbe di evitare di assumere dopo una decisione ben più pregiudizievole per la sua salute, quella, appunto, dell'interruzione volontaria della gravidanza.
notifica all'imputato
Cass. pen., Sez. VI, 25 maggio 2015, n. 21848 - pubblicato l'8 giugno 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
L'inosservanza delle modalità previste dall'art. 156 c.p.p. per la notifica all'imputato detenuto del decreto di citazione a giudizio si risolve in una nullità assoluta ed insanabile ai sensi dell'art. 179 c.p.p., senza che assuma rilievo l'eventuale conoscenza dell'udienza dibattimentale che l'imputato abbia in altro modo acquisito.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
L'inosservanza delle modalità previste dall'art. 156 c.p.p. per la notifica all'imputato detenuto del decreto di citazione a giudizio si risolve in una nullità assoluta ed insanabile ai sensi dell'art. 179 c.p.p., senza che assuma rilievo l'eventuale conoscenza dell'udienza dibattimentale che l'imputato abbia in altro modo acquisito.
clausole del regolamento condominiale
Cass. civ., Sez. II, 27 marzo 2015, n. 6299 - pubblicato l'8 giugno 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Le clausole del regolamento condominiale di natura contrattuale, possono imporre limitazioni ai poteri e alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti di loro esclusiva proprietà purchè siano enunciate in modo chiaro ed esplicito, e sono vincolanti per gli acquirenti dei singoli appartamenti qualora, indipendentemente dalla trascrizione, nell'atto di acquisto si sia fatto riferimento al regolamento di condominio, che - seppure non inserito materialmente - deve ritenersi conosciuto o accettato in base al richiamo o alla menzione di esso nel contratto.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Le clausole del regolamento condominiale di natura contrattuale, possono imporre limitazioni ai poteri e alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti di loro esclusiva proprietà purchè siano enunciate in modo chiaro ed esplicito, e sono vincolanti per gli acquirenti dei singoli appartamenti qualora, indipendentemente dalla trascrizione, nell'atto di acquisto si sia fatto riferimento al regolamento di condominio, che - seppure non inserito materialmente - deve ritenersi conosciuto o accettato in base al richiamo o alla menzione di esso nel contratto.
Informatica giuridica
Cass. pen. Sez. Unite, 26 marzo 2015 - 24 aprile 2015, n. 17325 - pubblicato l'8 giugno 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Il luogo di consumazione del delitto di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico, di cui all'art. 615-ter c.p., è quello nel quale si trova il soggetto che effettua l'introduzione abusiva o vi si mantiene abusivamente.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Il luogo di consumazione del delitto di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico, di cui all'art. 615-ter c.p., è quello nel quale si trova il soggetto che effettua l'introduzione abusiva o vi si mantiene abusivamente.
SURROGAZIONE
Cass. civ., Sez. Lavoro, 3 giugno 2015, n. 11478 - pubblicato l'8 giugno 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In tema di diritto alla surroga non può ammettersi che il creditore in surroga goda di una posizione diversa e più favorevole rispetto a quella che sarebbe spettata al creditore cui si è surrogato.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In tema di diritto alla surroga non può ammettersi che il creditore in surroga goda di una posizione diversa e più favorevole rispetto a quella che sarebbe spettata al creditore cui si è surrogato.
Notificazione al procuratore
Cass. civ., Sez. VI, 1° giugno 2015, n. 11333 - pubblicato il 5 giugno 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In tema di notificazione della sentenza ai fini del decorso del termine breve di impugnazione, quando il difensore agente al di fuori del circondario di iscrizione, avendo eletto domicilio in un Comune diverso da quello sede dell'Ufficio giudiziario adito, si debba considerare ex lege domiciliato presso la cancelleria ai sensi dell'art. 82 del R.D. n. 37 del 1934, si deve ritenere che tale domiciliazione, essendo prevista nell'interesse della controparte, implichi a carico di quest'ultima non già l'obbligo, ma solo la facoltà di notificare presso la cancelleria, potendo a sua scelta anche notificare presso il domicilio (sebbene irritualmente) eletto. Di talché, qualora detta parte eserciti quest'ultima scelta con l'attivazione del procedimento notificatorio presso il domicilio irritualmente eletto, si deve considerare che abbia rinunciato ad avvalersi della possibilità di notificazione presso la cancelleria, potendosi tale possibilità recuperare solo se il procedimento notificatorio così attivato non risulti perfezionato nei confronti del destinatario. Ne deriva che, se la notificazione della sentenza sia eseguita dal punto di vista del notificante presso il domicilio irritualmente eletto e solo in un momento successivo sempre dal punto di vista del notificante presso la cancelleria ed entrambe le notifiche si perfezionino dal punto di vista del destinatario, la notifica idonea a far decorrere il termine breve è solo la prima, ancorché nei confronti del destinatario si sia perfezionata dopo l'altra, dato che l'attività notificatoria a quest'ultima relativa è stata compiuta senza che ve ne fosse la facoltà, che era stata per fatto concludente rinunciata.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In tema di notificazione della sentenza ai fini del decorso del termine breve di impugnazione, quando il difensore agente al di fuori del circondario di iscrizione, avendo eletto domicilio in un Comune diverso da quello sede dell'Ufficio giudiziario adito, si debba considerare ex lege domiciliato presso la cancelleria ai sensi dell'art. 82 del R.D. n. 37 del 1934, si deve ritenere che tale domiciliazione, essendo prevista nell'interesse della controparte, implichi a carico di quest'ultima non già l'obbligo, ma solo la facoltà di notificare presso la cancelleria, potendo a sua scelta anche notificare presso il domicilio (sebbene irritualmente) eletto. Di talché, qualora detta parte eserciti quest'ultima scelta con l'attivazione del procedimento notificatorio presso il domicilio irritualmente eletto, si deve considerare che abbia rinunciato ad avvalersi della possibilità di notificazione presso la cancelleria, potendosi tale possibilità recuperare solo se il procedimento notificatorio così attivato non risulti perfezionato nei confronti del destinatario. Ne deriva che, se la notificazione della sentenza sia eseguita dal punto di vista del notificante presso il domicilio irritualmente eletto e solo in un momento successivo sempre dal punto di vista del notificante presso la cancelleria ed entrambe le notifiche si perfezionino dal punto di vista del destinatario, la notifica idonea a far decorrere il termine breve è solo la prima, ancorché nei confronti del destinatario si sia perfezionata dopo l'altra, dato che l'attività notificatoria a quest'ultima relativa è stata compiuta senza che ve ne fosse la facoltà, che era stata per fatto concludente rinunciata.
Licenziamento per giusta causa
Cass. civ., Sez. lavoro, 28 maggio 2015, n. 11056 - pubblicato il 4 giugno 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
La giusta causa di licenziamento è nozione legale ed il giudice non è vincolato dalle previsioni del contratto collettivo. Ed infatti, il giudice può ritenere sussistente la giusta causa per un grave inadempimento o per un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile allorché tale grave inadempimento o tale grave comportamento, secondo un apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, abbia fatto venire meno il rapporto fiduciario tra il datore di lavoro e lavoratore. Altresì, può il giudice escludere che il comportamento del lavoratore costituisca di fatto una giusta causa, pur essendo qualificato tale dal contratto collettivo, tenuto conto delle circostanze concrete che lo hanno caratterizzato.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
La giusta causa di licenziamento è nozione legale ed il giudice non è vincolato dalle previsioni del contratto collettivo. Ed infatti, il giudice può ritenere sussistente la giusta causa per un grave inadempimento o per un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile allorché tale grave inadempimento o tale grave comportamento, secondo un apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, abbia fatto venire meno il rapporto fiduciario tra il datore di lavoro e lavoratore. Altresì, può il giudice escludere che il comportamento del lavoratore costituisca di fatto una giusta causa, pur essendo qualificato tale dal contratto collettivo, tenuto conto delle circostanze concrete che lo hanno caratterizzato.
Spese della comunione e del condominio
Cass. civ., Sez. I, 28 maggio 2015, n. 11024 - pubblicato il 4 giugno 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Le spese condominiali rientrano tra le spese ordinarie e straordinarie relative ad un immobile, essendo il carattere della ordinarietà o della straordinarietà del tutto indipendente dal carattere condominiale o individuale delle spese inerenti ad un immobile. Ciò che a tal fine rileva è l'inerenza a quest'ultimo, la quale non può essere esclusa in relazione alle spese condominiali per il solo fatto che queste attengono a parti comuni dell'edificio, piuttosto che alle singole unità di proprietà individuale, ostandovi la stretta connessione delle parti di proprietà comune con quelle di proprietà individuale. Del resto, le stesse spese condominiali sono suscettibili di essere qualificate, a seconda dei casi, come ordinarie o straordinarie.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Le spese condominiali rientrano tra le spese ordinarie e straordinarie relative ad un immobile, essendo il carattere della ordinarietà o della straordinarietà del tutto indipendente dal carattere condominiale o individuale delle spese inerenti ad un immobile. Ciò che a tal fine rileva è l'inerenza a quest'ultimo, la quale non può essere esclusa in relazione alle spese condominiali per il solo fatto che queste attengono a parti comuni dell'edificio, piuttosto che alle singole unità di proprietà individuale, ostandovi la stretta connessione delle parti di proprietà comune con quelle di proprietà individuale. Del resto, le stesse spese condominiali sono suscettibili di essere qualificate, a seconda dei casi, come ordinarie o straordinarie.
Sorveglianza sul lavoratore
Cass. civ., Sez. lavoro, 27 maggio 2015, n. 10955 - pubblicato il 30 maggio 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Sono ammissibili i controlli difensivi occulti, anche ad opera di personale estraneo all'organizzazione aziendale, qualora diretti all'accertamento di comportamenti illeciti diversi dal mero inadempimento della prestazione lavorativa, sotto il profilo quantitativo e qualitativo. Resta ferma, in ogni caso, la necessaria esplicazione delle attività di accertamento mediante modalità non eccessivamente invasive, oltre che rispettose delle garanzie di libertà e dignità dei dipendenti, con le quali deve contemperarsi l'interesse del datore di lavoro al controllo ed alla difesa dell'organizzazione produttiva aziendale. In tale contesto è legittima l'attività di controllo posta in essere dal responsabile del personale, a ciò autorizzato dai vertici aziendali, consistita nella creazione di un falso profilo su un social network al fine di verificare la presenza su tale piattaforma del prestatore durante l'orario di lavoro, in quanto avente ad oggetto non l'attività lavorativa più propriamente detta ed il suo esatto adempimento, bensì l'eventuale perpetrazione di comportamenti illeciti, già manifestati, da parte del dipendente. Il controllo difensivo, destinato pertanto a riscontrare e sanzionare un comportamento del prestatore idoneo a ledere il patrimonio aziendale, viene esercitato, dunque, ex post e sollecitato da episodi già occorsi (specificamente il riscontro della violazione da parte del dipendente della disposizione aziendale che vieta l'uso del telefono cellulare e lo svolgimento di attività extralavorativa durante l'orario di servizio), di talché la fattispecie si pone al di fuori della previsione di cui all'art. 4 della legge n. 300 del 1970
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Sono ammissibili i controlli difensivi occulti, anche ad opera di personale estraneo all'organizzazione aziendale, qualora diretti all'accertamento di comportamenti illeciti diversi dal mero inadempimento della prestazione lavorativa, sotto il profilo quantitativo e qualitativo. Resta ferma, in ogni caso, la necessaria esplicazione delle attività di accertamento mediante modalità non eccessivamente invasive, oltre che rispettose delle garanzie di libertà e dignità dei dipendenti, con le quali deve contemperarsi l'interesse del datore di lavoro al controllo ed alla difesa dell'organizzazione produttiva aziendale. In tale contesto è legittima l'attività di controllo posta in essere dal responsabile del personale, a ciò autorizzato dai vertici aziendali, consistita nella creazione di un falso profilo su un social network al fine di verificare la presenza su tale piattaforma del prestatore durante l'orario di lavoro, in quanto avente ad oggetto non l'attività lavorativa più propriamente detta ed il suo esatto adempimento, bensì l'eventuale perpetrazione di comportamenti illeciti, già manifestati, da parte del dipendente. Il controllo difensivo, destinato pertanto a riscontrare e sanzionare un comportamento del prestatore idoneo a ledere il patrimonio aziendale, viene esercitato, dunque, ex post e sollecitato da episodi già occorsi (specificamente il riscontro della violazione da parte del dipendente della disposizione aziendale che vieta l'uso del telefono cellulare e lo svolgimento di attività extralavorativa durante l'orario di servizio), di talché la fattispecie si pone al di fuori della previsione di cui all'art. 4 della legge n. 300 del 1970
Guida in stato di ebbrezza
Cass. Pen., Sez. I, 18 maggio 2015, n. 20460 - pubblicato il 28 maggio 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In caso di non corretta esecuzione delle prescrizioni in materia di lavoro di pubblica utilità, che non raggiungono il livello che determina l'applicazione della sanzione penale di cui all'art. 56 D.Lgs. n. 274 del 2000, l'attività di lavoro compiuta in precedenza, con esito favorevole, deve essere computata come espiazione della pena in quel particolare arco temporale; il periodo di lavoro residuo dovrà, invece, essere tradotto in pena detentiva ed essere così espiata dall'interessato.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In caso di non corretta esecuzione delle prescrizioni in materia di lavoro di pubblica utilità, che non raggiungono il livello che determina l'applicazione della sanzione penale di cui all'art. 56 D.Lgs. n. 274 del 2000, l'attività di lavoro compiuta in precedenza, con esito favorevole, deve essere computata come espiazione della pena in quel particolare arco temporale; il periodo di lavoro residuo dovrà, invece, essere tradotto in pena detentiva ed essere così espiata dall'interessato.
fASCICOLO DI PARTE
Cass. civ., Sez. I, 25 maggio 2015, n. 10741 - pubblicato il 28 maggio 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Il Giudice ha il dovere di decidere la causa allo stati degli atti qualora il fascicolo regolarmente ritirato dalla parte (nella specie appellante) ai sensi dell'art. 169 c.p.c., non risulti nuovamente depositato, né reperito al momento della decisione (nella specie resa ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c.), in difetto di annotazioni di cancelleria e di ulteriori allegazioni indiziarie, rese al riguardo dalla parte priva del fascicolo contenente le sue produzioni, attinenti a fatti che rendano doverosi gli accertamenti presso la propria cancelleria. In ipotesi siffatte, pertanto, il giudice non è tenuto a rimettere la causa sul ruolo al fine di consentire alla parte di ovviare alla carenza riscontrata, ma ha il dovere di decidere la causa allo stato degli atti.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Il Giudice ha il dovere di decidere la causa allo stati degli atti qualora il fascicolo regolarmente ritirato dalla parte (nella specie appellante) ai sensi dell'art. 169 c.p.c., non risulti nuovamente depositato, né reperito al momento della decisione (nella specie resa ai sensi dell'art. 281-sexies c.p.c.), in difetto di annotazioni di cancelleria e di ulteriori allegazioni indiziarie, rese al riguardo dalla parte priva del fascicolo contenente le sue produzioni, attinenti a fatti che rendano doverosi gli accertamenti presso la propria cancelleria. In ipotesi siffatte, pertanto, il giudice non è tenuto a rimettere la causa sul ruolo al fine di consentire alla parte di ovviare alla carenza riscontrata, ma ha il dovere di decidere la causa allo stato degli atti.
procura alle liti
Cass. civ. Sez. I, 19 maggio 2015, n. 10196 - pubblicato il 22 maggio 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
La nomina, nel corso del giudizio, di un secondo procuratore non autorizza, di per sé sola, in difetto di univoche espressioni contrarie, a presumere che la stessa sia fatta in sostituzione del primo procuratore. In ipotesi siffatte deve, invece, presumersi che sia stato aggiunto al primo un secondo procuratore e che ognuno di essi sia munito di pieni poteri di rappresentanza processuale della parte. Il principio secondo il quale la volontà di revocare il precedente mandato deve essere espressa, costituisce un corollario interpretativo dell'art. 1716 c.c., relativo alla natura tipicamente disgiunta del mandato ed alla conseguente necessità di provarne in concreto il carattere congiunto. La presunzione in questione non può essere superata dalla designazione di un nuovo procuratore, non potendo tale atto essere ritenuto una manifestazione tacita della volontà di revoca; tale opzione è, invero, disancorata dall'ordinaria disciplina legale del mandato, che costituisce il sistema di principi mediante il quale integrare il regime giuridico processuale della procura alle liti.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
La nomina, nel corso del giudizio, di un secondo procuratore non autorizza, di per sé sola, in difetto di univoche espressioni contrarie, a presumere che la stessa sia fatta in sostituzione del primo procuratore. In ipotesi siffatte deve, invece, presumersi che sia stato aggiunto al primo un secondo procuratore e che ognuno di essi sia munito di pieni poteri di rappresentanza processuale della parte. Il principio secondo il quale la volontà di revocare il precedente mandato deve essere espressa, costituisce un corollario interpretativo dell'art. 1716 c.c., relativo alla natura tipicamente disgiunta del mandato ed alla conseguente necessità di provarne in concreto il carattere congiunto. La presunzione in questione non può essere superata dalla designazione di un nuovo procuratore, non potendo tale atto essere ritenuto una manifestazione tacita della volontà di revoca; tale opzione è, invero, disancorata dall'ordinaria disciplina legale del mandato, che costituisce il sistema di principi mediante il quale integrare il regime giuridico processuale della procura alle liti.
parti comuni dell'edificio
Cass. civ., Sez. II, 19 maggio 2015, n. 10209 - pubblicato il 22 maggio 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
I balconi aggettanti dell'edificio condominiale, costituendo un prolungamento della corrispondente unità immobiliare, appartengono in via esclusiva al proprietario di questa. Costituiscono, invece, beni comuni a tutti, i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore, quando si inseriscono nel prospetto dell'edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
I balconi aggettanti dell'edificio condominiale, costituendo un prolungamento della corrispondente unità immobiliare, appartengono in via esclusiva al proprietario di questa. Costituiscono, invece, beni comuni a tutti, i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore, quando si inseriscono nel prospetto dell'edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole.
sPESE PROCESSUALI
Cass. Civ., Sez. lavoro, 13 maggio 2015, n. 9807 - pubblicato il 19 maggio 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Allorché il debitore abbia pagato per intero la somma indicata nel titolo esecutivo, comprensiva delle spese processuali ivi liquidate, il creditore non può, successivamente a tale pagamento, intimare precetto, sulla base dello stesso titolo, per il pagamento delle spese processuali sostenute dopo l'emissione di quest'ultimo e necessarie per la sua notificazione, dovendo, per tali spese, esperire l'azione di cognizione ordinaria; ed invero, una volta che l'obbligazione derivante dal titolo sia stata adempiuta, il titolo medesimo perde la propria efficacia esecutiva, con conseguente impossibilità giuridica della notifica del precetto.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Allorché il debitore abbia pagato per intero la somma indicata nel titolo esecutivo, comprensiva delle spese processuali ivi liquidate, il creditore non può, successivamente a tale pagamento, intimare precetto, sulla base dello stesso titolo, per il pagamento delle spese processuali sostenute dopo l'emissione di quest'ultimo e necessarie per la sua notificazione, dovendo, per tali spese, esperire l'azione di cognizione ordinaria; ed invero, una volta che l'obbligazione derivante dal titolo sia stata adempiuta, il titolo medesimo perde la propria efficacia esecutiva, con conseguente impossibilità giuridica della notifica del precetto.
messa alla prova
Cass. Pen., Sez. II, 4 maggio 2015, n. 18265 - pubblicato il 15 maggio 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Quando il processo è ormai giunto davanti al giudice dell'impugnazione, perché vi è stata una decisione che ha definito il primo grado di giudizio, non vi è spazio sistematico alcuno per dare ingresso ad una procedura che è strutturalmente alternativa ad ogni tipo di giudizio di merito su una determinata imputazione. Ne consegue che, dato il decorso del termine utile di cui all'art. 464-bis c.p.p., la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova deve ritenersi inammissibile sia nel giudizio di appello che, ancor più, nel giudizio di legittimità.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Quando il processo è ormai giunto davanti al giudice dell'impugnazione, perché vi è stata una decisione che ha definito il primo grado di giudizio, non vi è spazio sistematico alcuno per dare ingresso ad una procedura che è strutturalmente alternativa ad ogni tipo di giudizio di merito su una determinata imputazione. Ne consegue che, dato il decorso del termine utile di cui all'art. 464-bis c.p.p., la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova deve ritenersi inammissibile sia nel giudizio di appello che, ancor più, nel giudizio di legittimità.
Decorrenza dei termini
per impugnare atti regolamentari
T.A.R. Campania, Sez. III, 11 maggio 2015, n. 2601 - pubblicato il 15 maggio 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Il termine decadenziale per l'impugnativa di una deliberazione comunale o provinciale decorre dalla data di notificazione o comunicazione dell'atto, o da quella dell'effettiva piena conoscenza, per i soggetti direttamente contemplati nell'atto o immediatamente incisi dai suoi effetti, anche se in esso non contemplati, mentre per i terzi il termine decorre dalla data della relativa pubblicazione all'albo pretorio.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Il termine decadenziale per l'impugnativa di una deliberazione comunale o provinciale decorre dalla data di notificazione o comunicazione dell'atto, o da quella dell'effettiva piena conoscenza, per i soggetti direttamente contemplati nell'atto o immediatamente incisi dai suoi effetti, anche se in esso non contemplati, mentre per i terzi il termine decorre dalla data della relativa pubblicazione all'albo pretorio.
TRUFFA
Cass. pen., Sez. VI, 9 aprile 2015, n. 17655 - pubblicato il 14 maggio 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Relativamente al reato di truffa, la creazione di un pericolo immaginario, quale modalità dell'azione ingannatoria, è prevista specificamente dall'art. 640, comma 2°, n. 2, c.p., come circostanza aggravante dell'artificio o del raggiro volto ad ottenere una prestazione economica. Ove il reato sia commesso da un P.U. che abbia abusato della sua funzione e dei doveri inerenti alla carica, si configura l'ulteriore circostanza aggravante di cui all'art. 61, n. 9, c.p.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Relativamente al reato di truffa, la creazione di un pericolo immaginario, quale modalità dell'azione ingannatoria, è prevista specificamente dall'art. 640, comma 2°, n. 2, c.p., come circostanza aggravante dell'artificio o del raggiro volto ad ottenere una prestazione economica. Ove il reato sia commesso da un P.U. che abbia abusato della sua funzione e dei doveri inerenti alla carica, si configura l'ulteriore circostanza aggravante di cui all'art. 61, n. 9, c.p.
Cause di incandidabilità a Presidente della Regione
T.A.R. Campania, Sez. II, 8 maggio 2015, n. 2590 - pubblicato il 14 maggio 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Il condannato con una sentenza penale non definitiva sospeso di diritto dalla carica di Sindaco non versa, ai sensi dell'art. 7 D.Lgs. 31 dicembre 2012, n. 235, in un'ipotesi di incandidabilità per la differente carica di Presidente della Regione. La conseguenza dell'elezione alla carica di Presidente della Regione di un soggetto incandidabile a causa dell'esistenza di una condanna penale a suo carico non è la caducazione dell'intera competizione elettorale, bensì la nullità dell'elezione dell'interessato.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Il condannato con una sentenza penale non definitiva sospeso di diritto dalla carica di Sindaco non versa, ai sensi dell'art. 7 D.Lgs. 31 dicembre 2012, n. 235, in un'ipotesi di incandidabilità per la differente carica di Presidente della Regione. La conseguenza dell'elezione alla carica di Presidente della Regione di un soggetto incandidabile a causa dell'esistenza di una condanna penale a suo carico non è la caducazione dell'intera competizione elettorale, bensì la nullità dell'elezione dell'interessato.
RISARCIMENTO DEL DANNO
Cass. civ., Sez. III, 8 maggio 2015, n. 9320 - pubblicato il 14 maggio 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Il risarcimento del danno derivante da fatto illecito deve avvenire in base alle regole poste dall'art. 1223 c.c., avendo riguardo alla "perdita subita" dal danneggiato che non si identifica con il diritto leso, ma costituisce la conseguenza della lesione. Il danno risarcibile è, dunque, la perdita causata dalla lesione di un interesse giuridicamente protetto. La distinzione concettuale tra la lesione dell'interesse e la perdita che ne deriva determina molteplici conseguenze pratiche in quanto, se è vero che il danno non può mai consistere nella mera lesione del diritto in sé e per sé considerata, dovendo provocare un pregiudizio economico, dall'altro la lesione d'un solo interesse può provocare sia pregiudizi diversi, (come nel caso della lesione dell'interesse all'integrità fisica da cui può provocare sia un danno biologico, sia un danno patrimoniale), sia un pregiudizio unitario.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Il risarcimento del danno derivante da fatto illecito deve avvenire in base alle regole poste dall'art. 1223 c.c., avendo riguardo alla "perdita subita" dal danneggiato che non si identifica con il diritto leso, ma costituisce la conseguenza della lesione. Il danno risarcibile è, dunque, la perdita causata dalla lesione di un interesse giuridicamente protetto. La distinzione concettuale tra la lesione dell'interesse e la perdita che ne deriva determina molteplici conseguenze pratiche in quanto, se è vero che il danno non può mai consistere nella mera lesione del diritto in sé e per sé considerata, dovendo provocare un pregiudizio economico, dall'altro la lesione d'un solo interesse può provocare sia pregiudizi diversi, (come nel caso della lesione dell'interesse all'integrità fisica da cui può provocare sia un danno biologico, sia un danno patrimoniale), sia un pregiudizio unitario.
Licenziamento disciplinare
Cass. Civ., Sez. lavoro, 7 maggio 2015, n. 9223 - pubblicato il 13 maggio 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In materia di licenziamenti disciplinari, deve escludersi che, ove un determinato comportamento del lavoratore, invocato dal datore di lavoro come giusta causa di licenziamento, sia contemplato dal contratto collettivo come integrante una specifica infrazione disciplinare cui corrisponda una sanzione conservativa, essa possa formare oggetto di una autonoma e più grave valutazione del giudice, a meno che non accerti che le parti non avevano inteso escludere, per i casi di maggiore gravità, la possibilità della sanzione espulsiva.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In materia di licenziamenti disciplinari, deve escludersi che, ove un determinato comportamento del lavoratore, invocato dal datore di lavoro come giusta causa di licenziamento, sia contemplato dal contratto collettivo come integrante una specifica infrazione disciplinare cui corrisponda una sanzione conservativa, essa possa formare oggetto di una autonoma e più grave valutazione del giudice, a meno che non accerti che le parti non avevano inteso escludere, per i casi di maggiore gravità, la possibilità della sanzione espulsiva.
rapporto di lavoro nel settore sanitario
Cass. Civ., Sez. lavoro, 5 maggio 2015, n. 8934 - pubblicato l'11 maggio 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In materia di rapporti di lavoro pubblico nel settore sanitario, disciplinati a seguito della privatizzazione dalla contrattazione collettiva nazionale, anche in deroga a previsioni di legge o regolamento, la previsione della disciplina collettiva del comparto sanità secondo cui il dipendente assunto a tempo indeterminato è soggetto ad un periodo di prova, consente l'esecuzione della prova anche nel caso di assunzione di un lavoratore che in precedenza aveva stipulato un contratto a termine, ancorché avesse superato la relativa prova, avendo le parti ritenuto utile e comunque funzionale all'interesse pubblico l'espletamento della prova in vista della costituzione di un rapporto a tempo indeterminato.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In materia di rapporti di lavoro pubblico nel settore sanitario, disciplinati a seguito della privatizzazione dalla contrattazione collettiva nazionale, anche in deroga a previsioni di legge o regolamento, la previsione della disciplina collettiva del comparto sanità secondo cui il dipendente assunto a tempo indeterminato è soggetto ad un periodo di prova, consente l'esecuzione della prova anche nel caso di assunzione di un lavoratore che in precedenza aveva stipulato un contratto a termine, ancorché avesse superato la relativa prova, avendo le parti ritenuto utile e comunque funzionale all'interesse pubblico l'espletamento della prova in vista della costituzione di un rapporto a tempo indeterminato.
DELITTO DI FALSO
Cass. Pen., Sez. V, 7 maggio 2015, n. 19040 - pubblicato l'11 maggio 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
L'alterazione della copia fotostatica di un documento, priva di attestazione di autenticità, esibita come tale e senza farla valere come originale, non integra il delitto di falsità materiale, in considerazione del fatto che la copia, pur avendo la funzione di assumere l'apparenza dell'originale, mantiene tuttavia la sua natura di mera riproduzione e non può acquisire una valenza probatoria equiparabile a quella di un documento originale, se non attraverso l'attestazione di conformità legalmente appostavi.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
L'alterazione della copia fotostatica di un documento, priva di attestazione di autenticità, esibita come tale e senza farla valere come originale, non integra il delitto di falsità materiale, in considerazione del fatto che la copia, pur avendo la funzione di assumere l'apparenza dell'originale, mantiene tuttavia la sua natura di mera riproduzione e non può acquisire una valenza probatoria equiparabile a quella di un documento originale, se non attraverso l'attestazione di conformità legalmente appostavi.
Separazione - Famiglia
Cass. Civ., Sez. I, 30 aprile 2015, n. 8839 - pubblicato l'8 maggio 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Una volta accertato il difetto del presupposto della domanda proposta ai sensi dell'art. 156 c.c., ossia il dedotto peggioramento delle condizioni economiche dell'attore, il giudice deve rigettare la domanda di revisione delle condizioni economiche dell'accordo di separazione consensuale dei coniugi.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Una volta accertato il difetto del presupposto della domanda proposta ai sensi dell'art. 156 c.c., ossia il dedotto peggioramento delle condizioni economiche dell'attore, il giudice deve rigettare la domanda di revisione delle condizioni economiche dell'accordo di separazione consensuale dei coniugi.
DIRITTO PENALE DEL LAVORO
Cass. Pen., Sez. IV, 29 aprile 2015, n. 18073 - pubblicato l'8 maggio 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Datore di lavoro, dirigente e impresa appaltante rispondono della morte del dipendente della cooperativa appaltatrice che, durante la pausa per la cena, cade accidentalmente su un nastro mobile non adeguatamente protetto e muore. Nonostante l'attività del lavoratore non avesse niente a che fare con il nastro stesso i profili di colpa contestati agli imputati attengono alla mancanza di misure di sicurezza (blocchi e ripari delle parti mobili del nastro), all'omessa predisposizione di un documento di valutazione dei rischi da interferenze, nonché alla carenza di formazione dei lavoratori.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Datore di lavoro, dirigente e impresa appaltante rispondono della morte del dipendente della cooperativa appaltatrice che, durante la pausa per la cena, cade accidentalmente su un nastro mobile non adeguatamente protetto e muore. Nonostante l'attività del lavoratore non avesse niente a che fare con il nastro stesso i profili di colpa contestati agli imputati attengono alla mancanza di misure di sicurezza (blocchi e ripari delle parti mobili del nastro), all'omessa predisposizione di un documento di valutazione dei rischi da interferenze, nonché alla carenza di formazione dei lavoratori.
Università
Cons. Stato, Sez. VI, 4 maggio 2015, n. 2228 - pubblicato il 7 maggio 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Deve ritenersi meritevole di accoglimento la richiesta dello studente che – da iscritto in corso di laurea dell'area medico-chirurgica presso università straniere – ha chiesto il trasferimento, con riconoscimento della carriera e la iscrizione ad anni di corso successivi al primo, presso università italiane. Ai fini del suddetto trasferimento, infatti, non può essere assunto come parametro di riferimento l'obbligo del test di ingresso previsto per il primo anno, salvo restando, in ogni caso, il potere/dovere dell'Università di concreta valutazione del "periodo" di formazione svolto all'estero e salvo altresì il rispetto ineludibile del numero di posti disponibili per trasferimento, così come fissato dall'Università stessa per ogni anno accademico in sede di programmazione, in relazione a ciascun anno di corso.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Deve ritenersi meritevole di accoglimento la richiesta dello studente che – da iscritto in corso di laurea dell'area medico-chirurgica presso università straniere – ha chiesto il trasferimento, con riconoscimento della carriera e la iscrizione ad anni di corso successivi al primo, presso università italiane. Ai fini del suddetto trasferimento, infatti, non può essere assunto come parametro di riferimento l'obbligo del test di ingresso previsto per il primo anno, salvo restando, in ogni caso, il potere/dovere dell'Università di concreta valutazione del "periodo" di formazione svolto all'estero e salvo altresì il rispetto ineludibile del numero di posti disponibili per trasferimento, così come fissato dall'Università stessa per ogni anno accademico in sede di programmazione, in relazione a ciascun anno di corso.
CONTRATTO DI ASSICURAZIONE
Cass. civ., Sez. III, 4 maggio 2015, n. 8892 - pubblicato il 7 maggio 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
La sentenza di condanna emessa nei confronti dell'impresa designata ex art. 29 della legge n. 990 del 1969, può essere legittimamente oggetto di impugnazione da parte dell'impresa assicuratrice posta in liquidazione coatta amministrativa, ancorché non sia stata pronunciata nei suoi confronti. La predetta decisione, invero, pur avendo natura di mero accertamento del credito del danneggiato nei confronti dell'impresa predetta, essendo preclusa ai sensi della legge fallimentare una sentenza di condanna, la pone in stato di soccombenza. L'impresa designata, infatti, dopo aver risarcito il danno, è surrogata, per l'importo pagato, nei diritti del danneggiato verso l'impresa posta in liquidazione, acquisendo il diritto all'insinuazione nel relativo passivo.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
La sentenza di condanna emessa nei confronti dell'impresa designata ex art. 29 della legge n. 990 del 1969, può essere legittimamente oggetto di impugnazione da parte dell'impresa assicuratrice posta in liquidazione coatta amministrativa, ancorché non sia stata pronunciata nei suoi confronti. La predetta decisione, invero, pur avendo natura di mero accertamento del credito del danneggiato nei confronti dell'impresa predetta, essendo preclusa ai sensi della legge fallimentare una sentenza di condanna, la pone in stato di soccombenza. L'impresa designata, infatti, dopo aver risarcito il danno, è surrogata, per l'importo pagato, nei diritti del danneggiato verso l'impresa posta in liquidazione, acquisendo il diritto all'insinuazione nel relativo passivo.
condominio
Cass. civ. Sez. VI, 4 maggio 2015, n. 8857 - pubblicato il 7 maggio 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
L'uso più intenso della cosa comune può estrinsecarsi in un limitato uso esclusivo della medesima, poiché l'utilizzo va rapportato alla funzione della res communis, di talché se esso non incide sulla sostanziale fruibilità della cosa da parte degli altri condomini, deve ritenersi pienamente legittimo. Al contrario opinando si perverrebbe ad affermare la legittimazione di azioni sostanzialmente emulative, perché prive di apprezzabile interesse, da parte del singolo condomino nei confronti del comunità condominiale. (Nel caso concreto deve condividersi l'approdo interpretativo della Corte di merito, nella parte in cui ha posto a parametro della compatibilità del limite del pari uso della cosa comune, la decisione unanime dei presenti in assemblea di consentire la prosecuzione dell'utilizzo della stessa, in tal modo evidenziando la mancanza di lesività della condotta censurata, consistita nell'apposizione di un condizionatore sulla parete esterna dell'edificio condominiale).
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
L'uso più intenso della cosa comune può estrinsecarsi in un limitato uso esclusivo della medesima, poiché l'utilizzo va rapportato alla funzione della res communis, di talché se esso non incide sulla sostanziale fruibilità della cosa da parte degli altri condomini, deve ritenersi pienamente legittimo. Al contrario opinando si perverrebbe ad affermare la legittimazione di azioni sostanzialmente emulative, perché prive di apprezzabile interesse, da parte del singolo condomino nei confronti del comunità condominiale. (Nel caso concreto deve condividersi l'approdo interpretativo della Corte di merito, nella parte in cui ha posto a parametro della compatibilità del limite del pari uso della cosa comune, la decisione unanime dei presenti in assemblea di consentire la prosecuzione dell'utilizzo della stessa, in tal modo evidenziando la mancanza di lesività della condotta censurata, consistita nell'apposizione di un condizionatore sulla parete esterna dell'edificio condominiale).
separazione - Famiglia
Cass. Civ., Sez. I, 29 aprile 2015, n. 8713 - pubblicato il 6 maggio 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Al fine di pronunciare la separazione, il giudice è tenuto a verificare, in base ai fatti obiettivi emersi, ivi compreso il comportamento processuale delle parti, l'esistenza, anche in un solo coniuge, di una condizione di disaffezione al matrimonio tale da rendere incompatibile, allo stato, pur a prescindere da elementi di addebitabilità da parte dell'altro, la convivenza. Ove tale situazione di intollerabilità si verifichi, anche rispetto ad un solo coniuge, deve ritenersi che questi abbia diritto di chiedere la separazione: con la conseguenza che la relativa domanda, costituendo esercizio di un suo diritto, non può costituire ragione d'addebito.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Al fine di pronunciare la separazione, il giudice è tenuto a verificare, in base ai fatti obiettivi emersi, ivi compreso il comportamento processuale delle parti, l'esistenza, anche in un solo coniuge, di una condizione di disaffezione al matrimonio tale da rendere incompatibile, allo stato, pur a prescindere da elementi di addebitabilità da parte dell'altro, la convivenza. Ove tale situazione di intollerabilità si verifichi, anche rispetto ad un solo coniuge, deve ritenersi che questi abbia diritto di chiedere la separazione: con la conseguenza che la relativa domanda, costituendo esercizio di un suo diritto, non può costituire ragione d'addebito.
decreto penale di condanna
Cass. Pen., Sez. IV, 24 aprile 2015, n. 17175 - pubblicato il 5 maggio 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In tema di restituzione nel termine ex art. 175 c.p.p., è onere dell'imputato offrire la dimostrazione circa il momento in cui è venuto a conoscenza del provvedimento mentre spetta al giudice verificare che lo stesso non abbia avuto tempestiva cognizione dello stesso, pur rimanendo a carico dell'istante le conseguenze del mancato superamento dell'incertezza circa l'effettiva conoscenza del provvedimento ritualmente notificato.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In tema di restituzione nel termine ex art. 175 c.p.p., è onere dell'imputato offrire la dimostrazione circa il momento in cui è venuto a conoscenza del provvedimento mentre spetta al giudice verificare che lo stesso non abbia avuto tempestiva cognizione dello stesso, pur rimanendo a carico dell'istante le conseguenze del mancato superamento dell'incertezza circa l'effettiva conoscenza del provvedimento ritualmente notificato.
RESPONSABILITà DEL NOTAIO
Cass. civ., Sez. II, 27 aprile 2015, n. 8493 - pubblicato il 30 aprile 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Il procedimento disciplinare a carico dei notai si fonda sul principio accusatorio, di talché la prova degli addebiti contestati è posta a carico dell'organo che ha promosso il procedimento, mentre la prova della configurabilità di una circostanza esimente è a carico del professionista incolpato. Ne consegue che in ipotesi di contestazione concernente l'avvenuta redazione di un numero elevato di atti in sequenza, con tempi molto ravvicinati tra una stipula e l'altra, l'onere di provare la predisposizione del lavoro preparatorio e dei preventivi necessari contatti diretti con le parti, grava sul professionista, unico soggetto in grado di fornire la stessa.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Il procedimento disciplinare a carico dei notai si fonda sul principio accusatorio, di talché la prova degli addebiti contestati è posta a carico dell'organo che ha promosso il procedimento, mentre la prova della configurabilità di una circostanza esimente è a carico del professionista incolpato. Ne consegue che in ipotesi di contestazione concernente l'avvenuta redazione di un numero elevato di atti in sequenza, con tempi molto ravvicinati tra una stipula e l'altra, l'onere di provare la predisposizione del lavoro preparatorio e dei preventivi necessari contatti diretti con le parti, grava sul professionista, unico soggetto in grado di fornire la stessa.
Nullità e inesistenza della sentenza
Cass. civ., Sez. III, 27 aprile 2015, n. 8481 - pubblicato il 30 aprile 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
La mancata redazione dell'originale della sentenza da parte del cancelliere, mediante scrittura autografa propria, ovvero mediante scritturazione da parte del dattilografo di ruolo, tuttora prescritta dall'art. 118, comma 1, disp.att.c.p.c., pur integrando inosservanza della forma prescritta, non determina nullità della pronuncia qualora positivamente valutata ai sensi dell'art. 156, comma 3, c.p.c., non essendo la prescrizione formale comminata espressamente a pena di nullità. L'espresso principio trova applicazione anche nell'ipotesi in cui la sentenza vergata di pugno dal relatore risulti di non facile comprensione in sede di prima lettura, ma successivamente leggibile nella sua integralità, anche a seguito della naturale affinazione della percezione visiva del carattere da parte di chi rilegge nuovamente il testo.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
La mancata redazione dell'originale della sentenza da parte del cancelliere, mediante scrittura autografa propria, ovvero mediante scritturazione da parte del dattilografo di ruolo, tuttora prescritta dall'art. 118, comma 1, disp.att.c.p.c., pur integrando inosservanza della forma prescritta, non determina nullità della pronuncia qualora positivamente valutata ai sensi dell'art. 156, comma 3, c.p.c., non essendo la prescrizione formale comminata espressamente a pena di nullità. L'espresso principio trova applicazione anche nell'ipotesi in cui la sentenza vergata di pugno dal relatore risulti di non facile comprensione in sede di prima lettura, ma successivamente leggibile nella sua integralità, anche a seguito della naturale affinazione della percezione visiva del carattere da parte di chi rilegge nuovamente il testo.
opere pubbliche
Cons. Stato, Sez. V, 27 aprile 2015, n. 2157 - pubblicato il 30 aprile 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Il sindacato giurisdizionale sul giudizio di anomalia dell'offerta deve arrestarsi sulla soglia data dalla verifica di logicità e ragionevolezza della valutazione svolta dalla stazione appaltante, superata la quale non è possibile giungere fino a rivalutare in via autonoma e diretta la congruità dell'offerta presentata, così da dare luogo a un'alternativa in ipotesi maggiormente plausibile rispetto all'esito del sub-procedimento di verifica.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Il sindacato giurisdizionale sul giudizio di anomalia dell'offerta deve arrestarsi sulla soglia data dalla verifica di logicità e ragionevolezza della valutazione svolta dalla stazione appaltante, superata la quale non è possibile giungere fino a rivalutare in via autonoma e diretta la congruità dell'offerta presentata, così da dare luogo a un'alternativa in ipotesi maggiormente plausibile rispetto all'esito del sub-procedimento di verifica.
scioglimento del consiglio comunale
Cons. di Stato, Sez. III, 24 aprile 2015, n. 2054 - pubblicato il 28 aprile 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Nei procedimenti volti allo scioglimento del Consiglio Comunale per infiltrazioni mafiose, ex art. 143 D.Lgs. n. 267 del 2000, non è necessaria la comunicazione dell'avvio del procedimento, tenuto conto della natura preventiva e cautelare del decreto di scioglimento, della circostanza che gli interessi coinvolti non concernono, se non indirettamente, persone ma riguardano piuttosto la complessiva operatività dell'ente locale, nonché delle esigenze di celerità del procedimento e della difficile ipotizzabilità di una collaborazione procedimentale che è preclusa anche dalla riservatezza degli elementi documentali (e prettamente indiziari) su cui si basa il procedimento.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Nei procedimenti volti allo scioglimento del Consiglio Comunale per infiltrazioni mafiose, ex art. 143 D.Lgs. n. 267 del 2000, non è necessaria la comunicazione dell'avvio del procedimento, tenuto conto della natura preventiva e cautelare del decreto di scioglimento, della circostanza che gli interessi coinvolti non concernono, se non indirettamente, persone ma riguardano piuttosto la complessiva operatività dell'ente locale, nonché delle esigenze di celerità del procedimento e della difficile ipotizzabilità di una collaborazione procedimentale che è preclusa anche dalla riservatezza degli elementi documentali (e prettamente indiziari) su cui si basa il procedimento.
pedopornografia
Cass. Pen., Sez. III, 20 aprile 2015, n. 16340 - pubblicato il 28 aprile 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Risponde della più grave tra le ipotesi di pornografia minorile - la produzione - chi invia foto pedopornografiche dal suo profilo di Facebook alla bacheca del profilo Facebook di un utente della rete che abbia circa 150 contatti perché, in questo caso, la natura aperta del social network, vera e propria "piazza telematica", impone di presumere il pericolo di diffusione del materiale illecito.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Risponde della più grave tra le ipotesi di pornografia minorile - la produzione - chi invia foto pedopornografiche dal suo profilo di Facebook alla bacheca del profilo Facebook di un utente della rete che abbia circa 150 contatti perché, in questo caso, la natura aperta del social network, vera e propria "piazza telematica", impone di presumere il pericolo di diffusione del materiale illecito.
circolazione stradale
Cass. civ. Sez. VI - 2, 16 aprile 2015, n. 7765 - pubblicato il 22 aprile 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In relazione agli illeciti amministrativi conseguenti a violazioni del C.d.S. (D.Lgs. n. 285 del 1992), deve considerarsi tempestiva la notificazione del verbale di contestazione se, nel termine di centocinquanta giorni dall'accertamento, previsto dall'art. 201 del C.d.S., tale atto sia stato consegnato all'ufficio postale, essendo irrilevante la data di ricezione da parte del destinatario.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In relazione agli illeciti amministrativi conseguenti a violazioni del C.d.S. (D.Lgs. n. 285 del 1992), deve considerarsi tempestiva la notificazione del verbale di contestazione se, nel termine di centocinquanta giorni dall'accertamento, previsto dall'art. 201 del C.d.S., tale atto sia stato consegnato all'ufficio postale, essendo irrilevante la data di ricezione da parte del destinatario.
sequestro preventivo per equivalente
Cass. pen., Sez. II, 25 marzo 2015, n. 15804 - pubblicato il 22 aprile 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
E' legittimo il sequestro preventivo per equivalente di beni conferiti in trust dal disponente (nella specie indagato per reati di associazione a delinquere, per reati tributari, per bancarotta fraudolenta e riciclaggio), nell'ipotesi in cui emergano diversi elementi fattuali che rendano evidente la volontà meramente frodatoria (sotto il profilo della simulazione) di sottrarre i beni alla pretesa ablatoria dello Stato. Assumono a tal fine rilievo elementi quali la costituzione di un trust che vede come beneficiari gli stretti familiari del disponente, la natura gratuita dell'atto, la natura di atto unilaterale non recettizio, che esime il Pubblico Ministero anche dal provare l'intento fraudolento (e dunque l'accordo simulatorio fittizio o reale che sia) nei confronti dell'avente causa di un negozio bilaterale, la natura di negozio fiduciario del trust, che lo assimila, mutatis mutandis, all'interposizione reale, le conseguenze pratiche e fattuali (nel caso concreto i beni di proprietà dell'indagato soggetti a confisca sono rimasti sempre in ambito familiare) ed il periodo in cui viene effettuata la modifica rilevante per escludere ogni potere di ingerenza del disponente.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
E' legittimo il sequestro preventivo per equivalente di beni conferiti in trust dal disponente (nella specie indagato per reati di associazione a delinquere, per reati tributari, per bancarotta fraudolenta e riciclaggio), nell'ipotesi in cui emergano diversi elementi fattuali che rendano evidente la volontà meramente frodatoria (sotto il profilo della simulazione) di sottrarre i beni alla pretesa ablatoria dello Stato. Assumono a tal fine rilievo elementi quali la costituzione di un trust che vede come beneficiari gli stretti familiari del disponente, la natura gratuita dell'atto, la natura di atto unilaterale non recettizio, che esime il Pubblico Ministero anche dal provare l'intento fraudolento (e dunque l'accordo simulatorio fittizio o reale che sia) nei confronti dell'avente causa di un negozio bilaterale, la natura di negozio fiduciario del trust, che lo assimila, mutatis mutandis, all'interposizione reale, le conseguenze pratiche e fattuali (nel caso concreto i beni di proprietà dell'indagato soggetti a confisca sono rimasti sempre in ambito familiare) ed il periodo in cui viene effettuata la modifica rilevante per escludere ogni potere di ingerenza del disponente.
omesso versamento dell'assegno divorzile
Cass. Pen., Sez. VI, 16 aprile 2015, n. 15918 - pubblicato il 22 aprile 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Per il delitto di omesso versamento dell'assegno divorzile si procede d'ufficio, in quanto il rinvio che ha fatto il legislatore speciale all'art. 570, comma 3, c.p., si riferisce esclusivamente al trattamento sanzionatorio e non anche alla relativa condizione di procedibilità, il quale, in deroga ai principi generali, prevede la procedibilità a querela della persona offesa, salvo nei casi previsti dal numero 1 e, quando il fatto è commesso nei confronti di minori, dal n. 2 del comma 2 della suddetta disposizione contenuta nel codice penale. Va annullata, pertanto, la sentenza di merito che dichiara l'estinzione del reato per intervenuta remissione della querela.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Per il delitto di omesso versamento dell'assegno divorzile si procede d'ufficio, in quanto il rinvio che ha fatto il legislatore speciale all'art. 570, comma 3, c.p., si riferisce esclusivamente al trattamento sanzionatorio e non anche alla relativa condizione di procedibilità, il quale, in deroga ai principi generali, prevede la procedibilità a querela della persona offesa, salvo nei casi previsti dal numero 1 e, quando il fatto è commesso nei confronti di minori, dal n. 2 del comma 2 della suddetta disposizione contenuta nel codice penale. Va annullata, pertanto, la sentenza di merito che dichiara l'estinzione del reato per intervenuta remissione della querela.
Risarcimento danni
Cass. Civ., Sez. III, 10 aprile 2015, n. 7193 - pubblicato il 22 aprile 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
La domanda di risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, proposta dal danneggiato nei confronti del soggetto responsabile, comprende necessariamente tutte le voci che compongono il danno ed in particolare il lucro cessante, pur se non contiene alcuna precisazione in tal senso.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
La domanda di risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, proposta dal danneggiato nei confronti del soggetto responsabile, comprende necessariamente tutte le voci che compongono il danno ed in particolare il lucro cessante, pur se non contiene alcuna precisazione in tal senso.
consumatore e foro esclusivo
Cass. Civ., Sez. VI - 2, Ord., 30 marzo 2015, n. 6333 - pubblicato il 22 aprile 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In tema di controversie tra consumatore e professionista, ai fini della individuazione del foro esclusivo del consumatore, la nozione di residenza deve intendersi in senso non formale, ovvero corrispondente alle risultanze dei registri anagrafici, bensì sostanziale, quale luogo di dimora abituale, a norma all'art. 43 c.c.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In tema di controversie tra consumatore e professionista, ai fini della individuazione del foro esclusivo del consumatore, la nozione di residenza deve intendersi in senso non formale, ovvero corrispondente alle risultanze dei registri anagrafici, bensì sostanziale, quale luogo di dimora abituale, a norma all'art. 43 c.c.
ASSEGNO CIRCOLARE
Cass. Civ., Sez. I, 16 aprile 2015, n. 7761 - pubblicato il 21 aprile 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
L'assegno circolare, pur costituendo un mezzo di pagamento, in quanto il creditore non ha normalmente ragione di dubitare della regolarità e dell'autenticità del titolo né un apprezzabile interesse a pretendere l'adempimento in danaro, conserva la natura di titolo di credito, la cui consegna non equivale al pagamento, essendo l'estinzione dell'obbligazione subordinata al buon fine dell'assegno, salvo che risulti una diversa volontà delle parti.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
L'assegno circolare, pur costituendo un mezzo di pagamento, in quanto il creditore non ha normalmente ragione di dubitare della regolarità e dell'autenticità del titolo né un apprezzabile interesse a pretendere l'adempimento in danaro, conserva la natura di titolo di credito, la cui consegna non equivale al pagamento, essendo l'estinzione dell'obbligazione subordinata al buon fine dell'assegno, salvo che risulti una diversa volontà delle parti.
LAVORO
Cass. civ., Sez. lavoro, 17 aprile 2015, n. 7899 - pubblicato il 21 aprile 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
E' viziato il licenziamento intimato nel periodo in cui il lavoratore gode del regime di stabilità reale, ossia di non licenziabilità se non per giusta causa o giustificato motivo in quanto solo il raggiungimento dei limiti d'età massima prevista dall'art. 11 della legge n. 604 del 1966, determina la cessazione del regime di stabilità del rapporto di lavoro e dunque, la libertà del recesso del datore di lavoro. Tale presupposto deve sussistere al momento in cui quest'ultimo manifesta la relativa volontà, non essendo sufficiente che sussista alla data fissata per l'estinzione del rapporto. Ne consegue che il licenziamento intimato prima del venir meno della garanzia della stabilità, è illegittimo in mancanza di giusta causa o giustificato motivo di recesso e non può assumere efficacia per il periodo successivo.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
E' viziato il licenziamento intimato nel periodo in cui il lavoratore gode del regime di stabilità reale, ossia di non licenziabilità se non per giusta causa o giustificato motivo in quanto solo il raggiungimento dei limiti d'età massima prevista dall'art. 11 della legge n. 604 del 1966, determina la cessazione del regime di stabilità del rapporto di lavoro e dunque, la libertà del recesso del datore di lavoro. Tale presupposto deve sussistere al momento in cui quest'ultimo manifesta la relativa volontà, non essendo sufficiente che sussista alla data fissata per l'estinzione del rapporto. Ne consegue che il licenziamento intimato prima del venir meno della garanzia della stabilità, è illegittimo in mancanza di giusta causa o giustificato motivo di recesso e non può assumere efficacia per il periodo successivo.
CONDOMINIO
Cass. civ., Sez. II, 10 aprile 2015, n. 7262 - pubblicato il 20 aprile 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
La destinazione all'uso ed al godimento comune di taluni servizi, beni o parti dell'edificio comune, risultante dall'attitudine funzionale del bene al servizio dell'edificio, considerato nella sua unità, e al godimento collettivo, fanno presumere, in mancanza di specifica previsione contraria del titolo esecutivo, la condominialità, a prescindere dal fatto che il bene sia o possa essere utilizzato da tutti i condomini, ovvero solo da taluni di essi. (Nella specie il Giudice di merito, ai fini dell'affermazione della comproprietà dell'area in discussione a tutti gli assegnatati, ha ritenuto rilevanti elementi quali lo stato originario di asservimento dell'area all'uso pubblico, perdurante al momento degli assegni a singoli soci della cooperativa, l'annotazione del numero di unità negoziali e di soggetti a favore nella nota di trascrizione, l'adiacenza di esse ad un terreno comune, il rapporto di servizio delle singole porzioni per l'acceso alle frazioni adiacenti e la funzione di raccolta delle acque provenienti dagli scarichi nelle terrazze di proprietà esclusive).
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
La destinazione all'uso ed al godimento comune di taluni servizi, beni o parti dell'edificio comune, risultante dall'attitudine funzionale del bene al servizio dell'edificio, considerato nella sua unità, e al godimento collettivo, fanno presumere, in mancanza di specifica previsione contraria del titolo esecutivo, la condominialità, a prescindere dal fatto che il bene sia o possa essere utilizzato da tutti i condomini, ovvero solo da taluni di essi. (Nella specie il Giudice di merito, ai fini dell'affermazione della comproprietà dell'area in discussione a tutti gli assegnatati, ha ritenuto rilevanti elementi quali lo stato originario di asservimento dell'area all'uso pubblico, perdurante al momento degli assegni a singoli soci della cooperativa, l'annotazione del numero di unità negoziali e di soggetti a favore nella nota di trascrizione, l'adiacenza di esse ad un terreno comune, il rapporto di servizio delle singole porzioni per l'acceso alle frazioni adiacenti e la funzione di raccolta delle acque provenienti dagli scarichi nelle terrazze di proprietà esclusive).
condominio
Cass. civ., Sez. II, 14 aprile 2015, n. 7457 - pubblicato il 20 aprile 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Nel caso di condominio minimo non si applicano le norme sul funzionamento dell'assemblea condominiale, ma quelle relative all'amministrazione di beni oggetto di comunione in generale. Il rimborso delle spese per la conservazione delle parti comuni anticipate da un condominio resta, tuttavia, disciplinato dall'art. 1134 c.c., che riconosce il diritto al rimborso in favore del condomino che abbia sostenuto spese per le cose comuni nella sola ipotesi in cui si tratti di spesa urgente e non anche dall'art. 1110 c.c., che fa riferimento al diritto al rimborso delle spese semplicemente necessarie per la conservazione delle cose comuni.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Nel caso di condominio minimo non si applicano le norme sul funzionamento dell'assemblea condominiale, ma quelle relative all'amministrazione di beni oggetto di comunione in generale. Il rimborso delle spese per la conservazione delle parti comuni anticipate da un condominio resta, tuttavia, disciplinato dall'art. 1134 c.c., che riconosce il diritto al rimborso in favore del condomino che abbia sostenuto spese per le cose comuni nella sola ipotesi in cui si tratti di spesa urgente e non anche dall'art. 1110 c.c., che fa riferimento al diritto al rimborso delle spese semplicemente necessarie per la conservazione delle cose comuni.
Locazione di cose
Cass. civ., Sez. III, 13 aprile 2015, n. 7352 - pubblicato il 16 aprile 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Il conduttore espulso può ritenersi garantito da azioni pretestuose del locatore attraverso la possibilità, prevista dall'art. 31, della legge n. 392 del 1978 (Equo canone), di scegliere tra la reintegrazione nel godimento del bene alle condizioni del contratto con l'ulteriore rimborso delle spese di trasloco e degli altri oneri supportati ed il risarcimento del danno, determinato nella entità massima. Nella citata previsione legislativa, pertanto, le spese di trasloco sono tipizzate rispetto all'ipotesi della scelta della reintegrazione nel godimento del bene e partecipano del carattere ripristinatorio in forma specifica del rimedio dell'inadempimento. Il loro normale accedere a questa forma di reintegrazione del conduttore leso non comporta che detto rimborso sia inderogabilmente collegato al ripristino del contratto di locazione. Non osta, quindi, a che le spese di trasloco costituiscono una voce di danno patito qualora il conduttore abbia scelto di essere risarcito per equivalente. L'allegazione da parte del danneggiato delle spese sopportate per il trasloco diventa, pertanto, nell'ambito della domanda di risarcimento del danno, uno dei modi di prova della precisa entità del danno subito.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Il conduttore espulso può ritenersi garantito da azioni pretestuose del locatore attraverso la possibilità, prevista dall'art. 31, della legge n. 392 del 1978 (Equo canone), di scegliere tra la reintegrazione nel godimento del bene alle condizioni del contratto con l'ulteriore rimborso delle spese di trasloco e degli altri oneri supportati ed il risarcimento del danno, determinato nella entità massima. Nella citata previsione legislativa, pertanto, le spese di trasloco sono tipizzate rispetto all'ipotesi della scelta della reintegrazione nel godimento del bene e partecipano del carattere ripristinatorio in forma specifica del rimedio dell'inadempimento. Il loro normale accedere a questa forma di reintegrazione del conduttore leso non comporta che detto rimborso sia inderogabilmente collegato al ripristino del contratto di locazione. Non osta, quindi, a che le spese di trasloco costituiscono una voce di danno patito qualora il conduttore abbia scelto di essere risarcito per equivalente. L'allegazione da parte del danneggiato delle spese sopportate per il trasloco diventa, pertanto, nell'ambito della domanda di risarcimento del danno, uno dei modi di prova della precisa entità del danno subito.
compravendita immobiliare
Cass. Civ., Sez. III, 10 aprile 2015, n. 7178 - pubblicato il 16 aprile 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Il mediatore professionale è tenuto all'obbligo di verificare tutte le informazioni a lui note e comunque acquisibili con l'uso della diligenza professionale del caso. Il mediatore, infatti, non può limitarsi a trasmettere informazioni non verificate, o peggio che si rifiutato di verificare. In caso di inadempimento, la colpa è presunta ed incombe sul mediatore l'onere di provare o l'inesistenza dell'inadempimento o l'inimputabilità a se medesimo.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Il mediatore professionale è tenuto all'obbligo di verificare tutte le informazioni a lui note e comunque acquisibili con l'uso della diligenza professionale del caso. Il mediatore, infatti, non può limitarsi a trasmettere informazioni non verificate, o peggio che si rifiutato di verificare. In caso di inadempimento, la colpa è presunta ed incombe sul mediatore l'onere di provare o l'inesistenza dell'inadempimento o l'inimputabilità a se medesimo.
Infortuni sul lavoro
Cass. Pen., Sez. IV, 1° aprile 2015, n. 13858 - pubblicato il 16 aprile 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Nelle imprese di grandi dimensioni non è possibile attribuire tout court all'organo di vertice la responsabilità per l'inosservanza della normativa di sicurezza, occorrendo sempre apprezzare non solo l'apparato organizzativo che si è costituito, sì da poter risalire, all'interno di questo, al responsabile di settore, ma anche se l'organo di vertice sia stato messo in condizioni di intervenire, in quanto portato a conoscenza della prassi lavorativa vigente in azienda pericolosa per la salute dei lavoratori.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Nelle imprese di grandi dimensioni non è possibile attribuire tout court all'organo di vertice la responsabilità per l'inosservanza della normativa di sicurezza, occorrendo sempre apprezzare non solo l'apparato organizzativo che si è costituito, sì da poter risalire, all'interno di questo, al responsabile di settore, ma anche se l'organo di vertice sia stato messo in condizioni di intervenire, in quanto portato a conoscenza della prassi lavorativa vigente in azienda pericolosa per la salute dei lavoratori.
LAVORO
Cass. civ., Sez. lavoro, 10 aprile 2015, n. 7281 - pubblicato il 15 aprile 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In caso di accertata illegittimità del trasferimento del contratto di lavoro, la prosecuzione dell'attività lavorativa con la società acquirente il ramo di azienda, con conservazione di tutti i diritti derivanti, non consente la configurabilità di un danno da licenziamento illegittimo in capo al lavoratore, non essendo intervenuto alcun allontanamento dal posto di lavoro. In ipotesi siffatte il prestatore può chiedere il risarcimento del danno per la illegittima cessione del rapporto di lavoro secondo le norme codicistiche sull'illecito contrattuale e non già secondo la disciplina speciale posta dall'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (L. n. 300 del 1970). L'illecito contrattuale sussistente a carico del datore di lavoro, pertanto, dà luogo ad una obbligazione risarcitoria in favore del lavoratore in presenza della prova del danno (nella specie non ravvisabile poiché il rapporto è proseguito con la società acquirente del ramo di azienda, con conservazione per gli stessi di tutti i diritti derivanti).
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In caso di accertata illegittimità del trasferimento del contratto di lavoro, la prosecuzione dell'attività lavorativa con la società acquirente il ramo di azienda, con conservazione di tutti i diritti derivanti, non consente la configurabilità di un danno da licenziamento illegittimo in capo al lavoratore, non essendo intervenuto alcun allontanamento dal posto di lavoro. In ipotesi siffatte il prestatore può chiedere il risarcimento del danno per la illegittima cessione del rapporto di lavoro secondo le norme codicistiche sull'illecito contrattuale e non già secondo la disciplina speciale posta dall'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (L. n. 300 del 1970). L'illecito contrattuale sussistente a carico del datore di lavoro, pertanto, dà luogo ad una obbligazione risarcitoria in favore del lavoratore in presenza della prova del danno (nella specie non ravvisabile poiché il rapporto è proseguito con la società acquirente del ramo di azienda, con conservazione per gli stessi di tutti i diritti derivanti).
stupefacenti
Cass. pen., Sez. VI, 17 marzo 2015, n. 13334 - pubblicato il 14 aprile 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In tema di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, i parametri indicati all'art. 73, comma 1-bis, lett. a), per valutare la destinazione della sostanza ad uso non esclusivamente personale, costituiscono criteri di valutazione probatoria che non vanno considerati singolarmente ed isolatamente. Ne discende che non è sufficiente la sussistenza di uno solo di essi per ritenere la detenzione penalmente rilevante in quanto, anche in presenza di quantitativi di stupefacenti non esigui ovvero di confezioni plurime, il giudice può valutare se le modalità di presentazione e le altre circostanze dell'azione siano tali da escludere un uso non esclusivamente personale.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In tema di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, i parametri indicati all'art. 73, comma 1-bis, lett. a), per valutare la destinazione della sostanza ad uso non esclusivamente personale, costituiscono criteri di valutazione probatoria che non vanno considerati singolarmente ed isolatamente. Ne discende che non è sufficiente la sussistenza di uno solo di essi per ritenere la detenzione penalmente rilevante in quanto, anche in presenza di quantitativi di stupefacenti non esigui ovvero di confezioni plurime, il giudice può valutare se le modalità di presentazione e le altre circostanze dell'azione siano tali da escludere un uso non esclusivamente personale.
Locazione
Cass. civ., Sez. III, 07 aprile 2015, n. 6895 - pubblicato il 10 aprile 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In materia locatizia la contestazione del locatore in relazione all'esistenza o alla rilevanza dei giusti motivi invocati dal conduttore a fondamento del diritto di recesso di cui all'art. 27 della legge 27 luglio 1978, n. 392 introduce una mera azione di accertamento, diretta a stabilire l'esistenza dei detti motivi al momento del recesso, e non un'azione costitutiva finalizzata ad ottenere una sentenza che dichiari il recedente sciolto dal contratto.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In materia locatizia la contestazione del locatore in relazione all'esistenza o alla rilevanza dei giusti motivi invocati dal conduttore a fondamento del diritto di recesso di cui all'art. 27 della legge 27 luglio 1978, n. 392 introduce una mera azione di accertamento, diretta a stabilire l'esistenza dei detti motivi al momento del recesso, e non un'azione costitutiva finalizzata ad ottenere una sentenza che dichiari il recedente sciolto dal contratto.
confisca per equivalente
Cass. Pen., Sez. II, 27 marzo 2015, n. 13017 - pubblicato il 10 aprile 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Quando il reato è prescritto non può essere applicata la confisca per equivalente, in ragione del contenuto afflittivo e della natura punitiva che contraddistingue tale misura. Tuttavia si deve osservare come di recente, con riferimento alla confisca urbanistica, avente anch'essa contenuto afflittivo e natura punitiva, la Corte costituzionale abbia affermato che non esiste incompatibilità logica o giuridica tra la sentenza che rileva la prescrizione di un reato e un pieno accertamento di responsabilità, lasciando intendere che in presenza di una estinzione del reato per prescrizione è sempre possibile confiscare i beni, quale che sia la confisca che viene in gioco.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Quando il reato è prescritto non può essere applicata la confisca per equivalente, in ragione del contenuto afflittivo e della natura punitiva che contraddistingue tale misura. Tuttavia si deve osservare come di recente, con riferimento alla confisca urbanistica, avente anch'essa contenuto afflittivo e natura punitiva, la Corte costituzionale abbia affermato che non esiste incompatibilità logica o giuridica tra la sentenza che rileva la prescrizione di un reato e un pieno accertamento di responsabilità, lasciando intendere che in presenza di una estinzione del reato per prescrizione è sempre possibile confiscare i beni, quale che sia la confisca che viene in gioco.
IMPOSTE
Cass. civ., Sez. V, 2 aprile 2015, n. 6743 - pubblicato il 9 aprile 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
L'art. 28, comma 4, del D.Lgs. n. 175 del 2014, recante disposizioni di natura sostanziale sulla capacità della società cancellata dal registro delle imprese, non ha efficacia retroattiva e, pertanto, il differimento quinquennale (operante nei soli confronti dell'Amministrazione finanziaria e degli altri enti creditori o di riscossione indicati nello stesso comma, con riguardo a tributi o contributi) degli effetti dell'estinzione derivanti dall'art. 2495, comma 2, c.c., si applica esclusivamente ai casi in cui la richiesta di cancellazione della società dal registro delle imprese (richiesta costituente il presupposto di tale differimento) sia presentata nella vigenza di detto D.Lgs. n. 175 (ovvero il 13 dicembre 2014 o successivamente).
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
L'art. 28, comma 4, del D.Lgs. n. 175 del 2014, recante disposizioni di natura sostanziale sulla capacità della società cancellata dal registro delle imprese, non ha efficacia retroattiva e, pertanto, il differimento quinquennale (operante nei soli confronti dell'Amministrazione finanziaria e degli altri enti creditori o di riscossione indicati nello stesso comma, con riguardo a tributi o contributi) degli effetti dell'estinzione derivanti dall'art. 2495, comma 2, c.c., si applica esclusivamente ai casi in cui la richiesta di cancellazione della società dal registro delle imprese (richiesta costituente il presupposto di tale differimento) sia presentata nella vigenza di detto D.Lgs. n. 175 (ovvero il 13 dicembre 2014 o successivamente).
spese giudiziali civili
Cass. civ., Sez. I, 3 aprile 2015, n. 6860 - pubblicato il 9 aprile 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
La parte che all'esito di un giudizio veda accolta, seppur solo parzialmente, la propria domanda non può essere condannata al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte soccombente a meno abbia violato con il proprio comportamento i principi di lealtà e probità di cui all'art. 88 c.p.c.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
La parte che all'esito di un giudizio veda accolta, seppur solo parzialmente, la propria domanda non può essere condannata al pagamento delle spese processuali sostenute dalla parte soccombente a meno abbia violato con il proprio comportamento i principi di lealtà e probità di cui all'art. 88 c.p.c.
INfortuni sul lavoro
Cass. pen., Sez. III, 24 febbraio 2015, n. 12228 - pubblicato il 7 aprile 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, sebbene l'obbligo di cooperazione tra committente ed appaltatore previsto specificamente dall'art. 7, comma 2, D.Lgs. n. 626 del 1994, non esiga che il committente intervenga costantemente in supplenza dell'appaltatore quando questi ometta di adottare le prescritte misure di prevenzione, deve, tuttavia, ritenersi che quando l'omissione sia immediatamente percepibile, consistendo nella palese violazione delle norme antinfortunistiche, il committente che è in grado di accorgersi della inadeguatezza delle misure predette, senza particolari indagini (come nella specie), è anch'esso responsabile delle conseguenze dell'infortunio eventualmente determinatosi.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, sebbene l'obbligo di cooperazione tra committente ed appaltatore previsto specificamente dall'art. 7, comma 2, D.Lgs. n. 626 del 1994, non esiga che il committente intervenga costantemente in supplenza dell'appaltatore quando questi ometta di adottare le prescritte misure di prevenzione, deve, tuttavia, ritenersi che quando l'omissione sia immediatamente percepibile, consistendo nella palese violazione delle norme antinfortunistiche, il committente che è in grado di accorgersi della inadeguatezza delle misure predette, senza particolari indagini (come nella specie), è anch'esso responsabile delle conseguenze dell'infortunio eventualmente determinatosi.
condominio
Trib. Nocera Inferiore, Sez. II, 10 aprile 2013 - pubblicato il 7 aprile 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Il condominio di un edificio, quale custode dei beni e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno, e risponde in base all'art. 2051 c.c. dei danni da queste cagionati, e sempre che il fatto generatore del danno sia dovuto alle caratteristiche intrinseche dell'edificio o della parte condominiale e non ad altri fattori che causano effettivamente il danno.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Il condominio di un edificio, quale custode dei beni e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno, e risponde in base all'art. 2051 c.c. dei danni da queste cagionati, e sempre che il fatto generatore del danno sia dovuto alle caratteristiche intrinseche dell'edificio o della parte condominiale e non ad altri fattori che causano effettivamente il danno.
Truffa
Cass. Pen., Sez. II, 25 marzo 2015, n. 12601 - pubblicato il 7 aprile 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In tema di truffa contrattuale, versandosi al cospetto di un delitto a cooperazione artificiosa della vittima, l'eventuale negligenza o scarsa accortezza del soggetto passivo del reato non riveste mai efficacia scriminante o anche solo attenuante.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In tema di truffa contrattuale, versandosi al cospetto di un delitto a cooperazione artificiosa della vittima, l'eventuale negligenza o scarsa accortezza del soggetto passivo del reato non riveste mai efficacia scriminante o anche solo attenuante.
INfortuni sul lavoro
Cass. civ., Sez. Lavoro, 1° aprile 2015, n. 6631 - pubblicato il 7 aprile 2015
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia & Partners
Sul datore di lavoro grava l'obbligo, ai sensi dell'art. 2087 c.c., di assicurare la condizioni di lavoro idonee a garantire la sicurezza delle lavorazioni e lo stesso è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa, le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie per tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori. La violazione di tale obbligo legittima i lavoratori a non eseguire la prestazione, eccependo l'inadempimento del datore di lavoro, fermo restando il diritto alla retribuzione, non potendo essi subire le conseguenze negative derivanti dalla condotta inadempiente del datore di lavoro.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia & Partners
Sul datore di lavoro grava l'obbligo, ai sensi dell'art. 2087 c.c., di assicurare la condizioni di lavoro idonee a garantire la sicurezza delle lavorazioni e lo stesso è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa, le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie per tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori. La violazione di tale obbligo legittima i lavoratori a non eseguire la prestazione, eccependo l'inadempimento del datore di lavoro, fermo restando il diritto alla retribuzione, non potendo essi subire le conseguenze negative derivanti dalla condotta inadempiente del datore di lavoro.
separazione dei coniugi
Cass. civ., Sez. I, 23 maggio 2014, n. 11516 - pubblicato il 31 marzo 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Grava sulla parte che richieda, per l'inosservanza dell'obbligo di fedeltà, l'addebito della separazione all'altro coniuge l'onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre, è onere di chi eccepisce l'inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi dell'infedeltà nella determinazione dell'intollerabilità della convivenza, provare le circostanze su cui l'eccezione si fonda, vale a dire l'anteriorità della crisi matrimoniale all'accertata infedeltà.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Grava sulla parte che richieda, per l'inosservanza dell'obbligo di fedeltà, l'addebito della separazione all'altro coniuge l'onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre, è onere di chi eccepisce l'inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi dell'infedeltà nella determinazione dell'intollerabilità della convivenza, provare le circostanze su cui l'eccezione si fonda, vale a dire l'anteriorità della crisi matrimoniale all'accertata infedeltà.
distanze legali
Trib. Nocera Inferiore, Sez. II, 20 maggio 2013 - pubblicato il 31 marzo 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In tema di distanze legali, i balconi costituiti da solette aggettanti scoperte di apprezzabile profondità ed ampiezza, rientrano nel computo delle distanze tra le costruzioni.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In tema di distanze legali, i balconi costituiti da solette aggettanti scoperte di apprezzabile profondità ed ampiezza, rientrano nel computo delle distanze tra le costruzioni.
mutuo
Trib. Reggio Emilia. Sez. II, 25 febbraio 2015 - pubblicato il 30 marzo 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
L'attore che chiede la restituzione di somme date a mutuo è tenuto a provare, ai sensi del primo comma dell'art. 2697 c.c., gli elementi costitutivi della domanda, e quindi non solo la consegna, ma anche il titolo della stessa, dal quale derivi l'obbligo della reclamata restituzione, senza che la contestazione del convenuto - il quale, riconoscendo di aver ricevuto la somma, deduca una diversa ragione della dazione di essa - si tramuti in eccezione in senso sostanziale, sì da invertire l'onere della prova.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
L'attore che chiede la restituzione di somme date a mutuo è tenuto a provare, ai sensi del primo comma dell'art. 2697 c.c., gli elementi costitutivi della domanda, e quindi non solo la consegna, ma anche il titolo della stessa, dal quale derivi l'obbligo della reclamata restituzione, senza che la contestazione del convenuto - il quale, riconoscendo di aver ricevuto la somma, deduca una diversa ragione della dazione di essa - si tramuti in eccezione in senso sostanziale, sì da invertire l'onere della prova.
condominio: legittimazione processuale
Cons. Stato, Sez. V, 24 luglio 2014, n. 3933 - pubblicato il 27 marzo 2015
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia & Partners
In un condominio edilizio, mentre la proprietà delle cose comuni va riferita pro quota ai singoli partecipanti, la loro gestione è riferibile al condominio stesso in qualità di centro d'imputazione di interessi, ossia come figura organizzativa che si colloca nel vasto spazio che separa le persone fisiche dalle persone giuridiche; pertanto, il condominio, nella persona dell'amministratore nell'esercizio dei poteri conferitigli dall'assemblea, è legittimato, al pari di ciascun condomino, ad impugnare le previsioni urbanistiche lesive della proprietà comune.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia & Partners
In un condominio edilizio, mentre la proprietà delle cose comuni va riferita pro quota ai singoli partecipanti, la loro gestione è riferibile al condominio stesso in qualità di centro d'imputazione di interessi, ossia come figura organizzativa che si colloca nel vasto spazio che separa le persone fisiche dalle persone giuridiche; pertanto, il condominio, nella persona dell'amministratore nell'esercizio dei poteri conferitigli dall'assemblea, è legittimato, al pari di ciascun condomino, ad impugnare le previsioni urbanistiche lesive della proprietà comune.
utili extracontabili
Cass. civ., Sez. VI, 24 marzo 2015, n. 5925 - pubblicato il 27 marzo 2015
a cura di Eliana Libroia
In tema di accertamento del maggior reddito, nella presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili di una società a ristretta base sociale, il fatto noto che sorregge la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili non è costituito dalla sussistenza di questi ultimi, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale. La sussistenza di utili extracontabili, in sostanza, costituisce il presupposto non della presunzione di distribuzione degli stessi tra i soci, ma dell'accertamento della concreta percezione di una determinata somma, da ciascun socio, in ragione della sua quota di partecipazione agli utili sociali. Pertanto, la circostanza che l'accertamento degli utili extracontabili di una società a ristretta base azionaria sia contenuto in un atto impositivo non definitivo o in una sentenza non passata in giudicato incide non sulla operatività della presunzione di distribuzione di tali utili fra i soci, bensì sulla individuazione dell'oggetto di tale distribuzione e la causa relativa all'accertamento dei redditi non dichiarati della società viene a trovarsi in rapporto di pregiudizialità con le cause relative all'accertamento di maggiori redditi da partecipazione dei singoli soci o al recupero dell' omesso versamento delle ritenute alla fonte sui dividendi derivanti ai soci dalla distribuzione dei suddetti utili extracontabili.
a cura di Eliana Libroia
In tema di accertamento del maggior reddito, nella presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili di una società a ristretta base sociale, il fatto noto che sorregge la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili non è costituito dalla sussistenza di questi ultimi, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale. La sussistenza di utili extracontabili, in sostanza, costituisce il presupposto non della presunzione di distribuzione degli stessi tra i soci, ma dell'accertamento della concreta percezione di una determinata somma, da ciascun socio, in ragione della sua quota di partecipazione agli utili sociali. Pertanto, la circostanza che l'accertamento degli utili extracontabili di una società a ristretta base azionaria sia contenuto in un atto impositivo non definitivo o in una sentenza non passata in giudicato incide non sulla operatività della presunzione di distribuzione di tali utili fra i soci, bensì sulla individuazione dell'oggetto di tale distribuzione e la causa relativa all'accertamento dei redditi non dichiarati della società viene a trovarsi in rapporto di pregiudizialità con le cause relative all'accertamento di maggiori redditi da partecipazione dei singoli soci o al recupero dell' omesso versamento delle ritenute alla fonte sui dividendi derivanti ai soci dalla distribuzione dei suddetti utili extracontabili.
giusta causa di licenziamento
Cass. civ., Sez. Lavoro, 24 marzo 2015, n. 5878 - pubblicato il 27 marzo 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
La giusta causa di licenziamento, quale fatto che non consente neppure la prosecuzione provvisoria del rapporto, è una nozione che la legge configura con una disposizione di limitato contenuto, delineante un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Ne deriva che tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro eventuale disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
La giusta causa di licenziamento, quale fatto che non consente neppure la prosecuzione provvisoria del rapporto, è una nozione che la legge configura con una disposizione di limitato contenuto, delineante un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Ne deriva che tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro eventuale disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge.
procedimento per ingiunzione: competenza
Cass. civ., Sez. VI - Ordinanza, 23 marzo 2015, n. 5810 - pubblicato il 26 marzo 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
La disposizione di cui all'art. 637, comma 3, c.p.c., nella parte in cui attribuisce all'avvocato la possibilità di individuare un foro facoltativo e concorrente con quello di cui ai precedenti commi della medesima norma, ai fini del recupero in via monitoria dei suoi crediti per prestazioni professionali, e, dunque, consente al professionista di agire dinanzi al giudice del luogo in cui ha sede il consiglio dell'ordine al cui albo egli è iscritto al momento della proposizione del ricorso, deve ritenersi vigente anche in conseguenza della novella apportata alla materia dall'art. 14, D.Lgs. n. 150 del 2011. La competenza a conoscere l'opposizione a tale decreto rimane territorialmente riservata al giudice che ha messo il provvedimento, cui già appartiene funzionalmente ed inderogabilmente ai sensi dell'art. 645 c.p.c.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
La disposizione di cui all'art. 637, comma 3, c.p.c., nella parte in cui attribuisce all'avvocato la possibilità di individuare un foro facoltativo e concorrente con quello di cui ai precedenti commi della medesima norma, ai fini del recupero in via monitoria dei suoi crediti per prestazioni professionali, e, dunque, consente al professionista di agire dinanzi al giudice del luogo in cui ha sede il consiglio dell'ordine al cui albo egli è iscritto al momento della proposizione del ricorso, deve ritenersi vigente anche in conseguenza della novella apportata alla materia dall'art. 14, D.Lgs. n. 150 del 2011. La competenza a conoscere l'opposizione a tale decreto rimane territorialmente riservata al giudice che ha messo il provvedimento, cui già appartiene funzionalmente ed inderogabilmente ai sensi dell'art. 645 c.p.c.
RESPONSABILITà CIVILE
Trib. Salerno, Sez. I, 27 luglio 2013 - pubblicato il 26 marzo 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Custode in ordine alle parti comuni di un condominio è il condominio stesso, che è obbligato ad adottare tutte le misure al fine di evitare che le cose comuni rechino pregiudizi ad alcuno e nei confronti del quale anche il condomino che abbia sofferto un danno collegato a tali parti può proporre l'azione risarcitoria ex art. 2051 c.c., anche nell'ipotesi in cui tali danni siano imputabili a difetti costruttivi dello stabile. Il condominio di un edificio, infatti, quale custode dei beni e servizi comuni, risponde dei danni che ne sono provocati, ai sensi dell'art. 2051 c.c. ancorché i danni derivano da vizi costruttivi (art. 1669 c.c.) comportanti la concorrente responsabilità di terzi, in quanto il proprietario-custode di un bene immobile è responsabile per i danni cagionati dal bene, anche se le caratteristiche dannose sono state create da altri, perché è appunto lui che mantiene nella cosa le caratteristiche medesime, pur essendo obbligato ad eliminarle, in virtù del fondamentale precetto del neminem laedere. Tale precetto fa, infatti, obbligo a chi detiene, a qualunque titolo una cosa (e quindi anche al proprietario possessore) di adattare tutte le misure necessarie affinché questa non arrechi pregiudizio ad alcuno ed il detto obbligo sussiste indubbiamente (salve le eventuali azioni di rivalsa), anche se le condizioni per le quali la cosa ha acquistato attitudine a produrre danno siano state poste in essere da altri. Se il proprietario possessore omette di adottare le misure necessarie per l'eliminazione delle caratteristiche dannose della cosa e questa produce in effetti danni, è nell'omissione da lui compiuta che consiste la condotta colpevole, la quale (indipendentemente dall'eventuale concorrente responsabilità dei terzi) obbliga, a norma dell'art. 2051 c.c., al risarcimento del danno cagionato.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Custode in ordine alle parti comuni di un condominio è il condominio stesso, che è obbligato ad adottare tutte le misure al fine di evitare che le cose comuni rechino pregiudizi ad alcuno e nei confronti del quale anche il condomino che abbia sofferto un danno collegato a tali parti può proporre l'azione risarcitoria ex art. 2051 c.c., anche nell'ipotesi in cui tali danni siano imputabili a difetti costruttivi dello stabile. Il condominio di un edificio, infatti, quale custode dei beni e servizi comuni, risponde dei danni che ne sono provocati, ai sensi dell'art. 2051 c.c. ancorché i danni derivano da vizi costruttivi (art. 1669 c.c.) comportanti la concorrente responsabilità di terzi, in quanto il proprietario-custode di un bene immobile è responsabile per i danni cagionati dal bene, anche se le caratteristiche dannose sono state create da altri, perché è appunto lui che mantiene nella cosa le caratteristiche medesime, pur essendo obbligato ad eliminarle, in virtù del fondamentale precetto del neminem laedere. Tale precetto fa, infatti, obbligo a chi detiene, a qualunque titolo una cosa (e quindi anche al proprietario possessore) di adattare tutte le misure necessarie affinché questa non arrechi pregiudizio ad alcuno ed il detto obbligo sussiste indubbiamente (salve le eventuali azioni di rivalsa), anche se le condizioni per le quali la cosa ha acquistato attitudine a produrre danno siano state poste in essere da altri. Se il proprietario possessore omette di adottare le misure necessarie per l'eliminazione delle caratteristiche dannose della cosa e questa produce in effetti danni, è nell'omissione da lui compiuta che consiste la condotta colpevole, la quale (indipendentemente dall'eventuale concorrente responsabilità dei terzi) obbliga, a norma dell'art. 2051 c.c., al risarcimento del danno cagionato.
RICETTAZIONE E INCAUTO ACQUISTO
Cass. pen., Sez. II, 21 novembre 2014, n. 10746 - pubblicato il 25 marzo 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Le operazioni di trasferimento di imponenti somme di denaro, concretizzatesi nel versamento di assegni circolari sul conto corrente del prevenuto, tutti emessi su conti correnti intestati ad una società inesistente (in quanto priva di qualsiasi struttura e contabilità) nei confronti di terze persone (nella specie individuate con nomi di fantasia) e da queste apparentemente girati e consegnati al medesimo prevenuto in virtù di un rapporto fiduciario, successivamente da questi versati su conti correnti in Italia ed all'estero con quasi immediato prelievo delle somme così movimentate, integrano gli estremi della condotta prevista e punita dall'art. 648-bis c.p. Tali operazioni, invero, devono ritenersi del tutto prive di causa e di documentazione, nonché di giustificazione alcuna da parte del prevenuto, in quanto idonee a far perdere le tracce dei flussi finanziari interessati dal trasferimento e ad ostacolare l'accertamento della provenienza illecita del denaro successivamente versato al beneficiario reale dell'operazione, consentendo, altresì, a questi di percepire denaro pulito in luogo dei capitali di cui agli assegni circolari chiaramente provenienti da delitto. In presenza della descritta condotta delittuosa, il concreto intento di lucro può essere invocato a rafforzare l'elemento psicologico del reato, ma non anche per escluderlo, sulla base del presupposto che il dolo specifico, e quindi il fine di lucro, è richiesto per la sussistenza del reato di ricettazione e non anche per quello di riciclaggio.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Le operazioni di trasferimento di imponenti somme di denaro, concretizzatesi nel versamento di assegni circolari sul conto corrente del prevenuto, tutti emessi su conti correnti intestati ad una società inesistente (in quanto priva di qualsiasi struttura e contabilità) nei confronti di terze persone (nella specie individuate con nomi di fantasia) e da queste apparentemente girati e consegnati al medesimo prevenuto in virtù di un rapporto fiduciario, successivamente da questi versati su conti correnti in Italia ed all'estero con quasi immediato prelievo delle somme così movimentate, integrano gli estremi della condotta prevista e punita dall'art. 648-bis c.p. Tali operazioni, invero, devono ritenersi del tutto prive di causa e di documentazione, nonché di giustificazione alcuna da parte del prevenuto, in quanto idonee a far perdere le tracce dei flussi finanziari interessati dal trasferimento e ad ostacolare l'accertamento della provenienza illecita del denaro successivamente versato al beneficiario reale dell'operazione, consentendo, altresì, a questi di percepire denaro pulito in luogo dei capitali di cui agli assegni circolari chiaramente provenienti da delitto. In presenza della descritta condotta delittuosa, il concreto intento di lucro può essere invocato a rafforzare l'elemento psicologico del reato, ma non anche per escluderlo, sulla base del presupposto che il dolo specifico, e quindi il fine di lucro, è richiesto per la sussistenza del reato di ricettazione e non anche per quello di riciclaggio.
indebita percezione di
erogazioni a danno dello Stato
Cass. pen., Sez. II, 10 marzo 2015, n. 11475 - pubblicato il 24 marzo 2015
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia & Partners
Sussiste il delitto di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, ai sensi dell'art. 326-ter c.p. e non invece quello di truffa o appropriazione indebita, nel caso in cui il datore di lavoro, esponendo falsamente di aver corrisposto al lavoratore somme di denaro a titolo di indennità di malattia, maternità o assegni familiari, a titolo di anticipazioni effettuate per conto dell'ente previdenziale, ottenga dall'ente pubblico il conguaglio di dette somme, fittiziamente indicate, con quelle da lui dovute al medesimo istituto previdenziale, a titolo di contributi previdenziali ed assistenziali.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia & Partners
Sussiste il delitto di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, ai sensi dell'art. 326-ter c.p. e non invece quello di truffa o appropriazione indebita, nel caso in cui il datore di lavoro, esponendo falsamente di aver corrisposto al lavoratore somme di denaro a titolo di indennità di malattia, maternità o assegni familiari, a titolo di anticipazioni effettuate per conto dell'ente previdenziale, ottenga dall'ente pubblico il conguaglio di dette somme, fittiziamente indicate, con quelle da lui dovute al medesimo istituto previdenziale, a titolo di contributi previdenziali ed assistenziali.
Lastrici solari e tetto
Cass. civ., Sez. II, 5 marzo 2015, n. 4501 - pubblicato il 24 marzo 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In merito alla presunzione di comproprietà del lastrico solare, posta dall'art. 1117 c.c., si rileva come detta norma, in ragione del carattere non tassativo dell'elencazione, non sancisce una mera presunzione di condominialità, ma afferma in maniera positiva detta natura, che può escludersi in forza di un titolo specifico, avente forma scritta. La norma in esame, quindi, non si limita ad affermare, quanto alle terrazze di copertura, una mera presunzione di comproprietà tra i condomini, salvo prova contraria, ma formula l'espressa individuazione delle parti comuni, superabile solo dalle opposte risultanza di un determinato titolo e non opera relativamente alle cose che, per le loro caratteristiche strutturali, risultino destinate oggettivamente al servizio esclusivo della singola unità immobiliare.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In merito alla presunzione di comproprietà del lastrico solare, posta dall'art. 1117 c.c., si rileva come detta norma, in ragione del carattere non tassativo dell'elencazione, non sancisce una mera presunzione di condominialità, ma afferma in maniera positiva detta natura, che può escludersi in forza di un titolo specifico, avente forma scritta. La norma in esame, quindi, non si limita ad affermare, quanto alle terrazze di copertura, una mera presunzione di comproprietà tra i condomini, salvo prova contraria, ma formula l'espressa individuazione delle parti comuni, superabile solo dalle opposte risultanza di un determinato titolo e non opera relativamente alle cose che, per le loro caratteristiche strutturali, risultino destinate oggettivamente al servizio esclusivo della singola unità immobiliare.
comunione e condominio
Trib. Firenze, Sez. II, 10 ottobre 2014 - pubblicato il 24 marzo 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Qualora la natura del bene comune non ne permette il simultaneo godimento da parte di tutti i comproprietari, l'uso comune può realizzarsi o in maniera indiretta oppure mediante avvicendamento; ma fino a quando non vi sia richiesta di un uso turnario da parte di altri comproprietari, il semplice godimento esclusivo da parte di taluno non può provocare un danno ingiusto nei confronti di coloro che hanno mostrato acquiescenza all'altrui uso esclusivo, quando non risulti provato che i beneficiari del godimento esclusivo del bene ne avessero tratto un vantaggio patrimoniale.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Qualora la natura del bene comune non ne permette il simultaneo godimento da parte di tutti i comproprietari, l'uso comune può realizzarsi o in maniera indiretta oppure mediante avvicendamento; ma fino a quando non vi sia richiesta di un uso turnario da parte di altri comproprietari, il semplice godimento esclusivo da parte di taluno non può provocare un danno ingiusto nei confronti di coloro che hanno mostrato acquiescenza all'altrui uso esclusivo, quando non risulti provato che i beneficiari del godimento esclusivo del bene ne avessero tratto un vantaggio patrimoniale.
Catasto
Cass. civ., Sez. VI, 19 marzo 2015, n. 5580 - pubblicato il 24 marzo 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
L'atto con il quale l'Amministrazione disattende le indicazioni del contribuente circa il classamento di un fabbricato, deve contenere una adeguata, ancorché sommaria, motivazione che delimiti l'oggetto della successiva ed eventuale controversia giudiziaria. Qualora l'attribuzione della rendita catastale avvenga a seguito della procedura DOCFA, in particolare, l'obbligo di motivazione dell'avviso di classamento è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita, solo se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano disattesi dall'Ufficio e l'eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni classati; in caso contrario la motivazione dovrà essere maggiormente approfondita. Consegue a quanto innanzi la illegittimità della decisione giudiziaria che, rispetto ad un accertamento nel quale l'Ufficio si sia limitato ad affermare, all'interno di una tabella, gli elementi descrittivi ed i valori unitari attribuiti in rettifica rispetto alla proposta della parte contribuente, ritenga la esistenza di un completo apparato motivazionale, ancorché privo di tutti quegli elementi posti a base dell'accertamento e dettagliatamente esposti dall'Amministrazione solo nel corso del giudizio.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
L'atto con il quale l'Amministrazione disattende le indicazioni del contribuente circa il classamento di un fabbricato, deve contenere una adeguata, ancorché sommaria, motivazione che delimiti l'oggetto della successiva ed eventuale controversia giudiziaria. Qualora l'attribuzione della rendita catastale avvenga a seguito della procedura DOCFA, in particolare, l'obbligo di motivazione dell'avviso di classamento è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita, solo se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano disattesi dall'Ufficio e l'eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni classati; in caso contrario la motivazione dovrà essere maggiormente approfondita. Consegue a quanto innanzi la illegittimità della decisione giudiziaria che, rispetto ad un accertamento nel quale l'Ufficio si sia limitato ad affermare, all'interno di una tabella, gli elementi descrittivi ed i valori unitari attribuiti in rettifica rispetto alla proposta della parte contribuente, ritenga la esistenza di un completo apparato motivazionale, ancorché privo di tutti quegli elementi posti a base dell'accertamento e dettagliatamente esposti dall'Amministrazione solo nel corso del giudizio.
impossessarsi del telefono della fidanzata?
é rapina!
Cass. Pen., Sez. II, 19 marzo 2015, n. 11467 - pubblicato il 24 marzo 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Nel reato di rapina sussiste l'ingiustizia del profitto quando l'agente, impossessandosi della cosa altrui (nella specie, un telefono cellulare), persegua esclusivamente una utilità morale, consistente nel prendere cognizione dei messaggi che la persona offesa abbia ricevuto da altro soggetto, trattandosi di finalità antigiuridica in quanto, violando il diritto alla riservatezza, incide sul bene primario dell'autodeterminazione della persona nella sfera delle relazioni umane.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Nel reato di rapina sussiste l'ingiustizia del profitto quando l'agente, impossessandosi della cosa altrui (nella specie, un telefono cellulare), persegua esclusivamente una utilità morale, consistente nel prendere cognizione dei messaggi che la persona offesa abbia ricevuto da altro soggetto, trattandosi di finalità antigiuridica in quanto, violando il diritto alla riservatezza, incide sul bene primario dell'autodeterminazione della persona nella sfera delle relazioni umane.
CONFISCA
IMPOSTE E TASSE IN GENERE
Cass. pen., Sez. IV, 24 febbraio 2015, n. 11164 - pubblicato il 23 marzo 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In tema di reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, prevista dagli artt. 1, comma 143 della legge n. 244 del 2007 e 322-ter c.p., non può essere disposto sui beni dell'ente, ad eccezione del caso in cui questo sia privo di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso il quale il reo agisca come effettivo titolare dei beni.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In tema di reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, prevista dagli artt. 1, comma 143 della legge n. 244 del 2007 e 322-ter c.p., non può essere disposto sui beni dell'ente, ad eccezione del caso in cui questo sia privo di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso il quale il reo agisca come effettivo titolare dei beni.
Possesso
Cass. civ., Sez. II, 18 marzo 2015, n. 5412 - pubblicato il 23 marzo 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In tema di compossesso, il godimento esclusivo della cosa comune da parte di uno dei compossessori, non è di per sé idoneo a far ritenere lo stato di fatto così come determinatosi, funzionale all'esercizio del possesso ad usucapionem e non anche conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte del compossessore; risulta invece, necessaria ai fini dell'usucapione la manifestazione di un dominio esclusivo. Ne consegue la correttezza della decisione giudiziale che escluda la configurabilità della fattispecie acquisitiva sul presupposto che sia carente la prova di un possesso esclusivo da parte dei compossessori del bene comune (così come statuito nell'ipotesi concreta).
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In tema di compossesso, il godimento esclusivo della cosa comune da parte di uno dei compossessori, non è di per sé idoneo a far ritenere lo stato di fatto così come determinatosi, funzionale all'esercizio del possesso ad usucapionem e non anche conseguenza di un atteggiamento di mera tolleranza da parte del compossessore; risulta invece, necessaria ai fini dell'usucapione la manifestazione di un dominio esclusivo. Ne consegue la correttezza della decisione giudiziale che escluda la configurabilità della fattispecie acquisitiva sul presupposto che sia carente la prova di un possesso esclusivo da parte dei compossessori del bene comune (così come statuito nell'ipotesi concreta).
convocazione assemblea condominiale
Trib. Genova, Sez. III, 23 ottobre 2014 - pubblicato il 23 marzo 2015
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
Costituisce vizio di convocazione dell'assemblea condominiale, l'inoltro del relativo avviso dalla posta elettronica certificata dell'amministratore, all'indirizzo di posta elettronica non certificata del condomino. In tal senso, invero, posto che successivamente alla novella introdotta con la legge n. 220 del 2012, il chiaro testo della disposizione di cui all'art. 66, Disp.att.c.c. induce a ritenere che il legislatore abbia inteso tipizzare le forme di comunicazione, limitandole a quelle che garantiscono la effettiva conoscibilità della convocazione stessa, la predetta forma di comunicazione non risulta contemplata dalla citata disposizione e, dunque, deve ritenersi non regolare, in quanto inidonea a garantire la effettiva conoscenza della convocazione da parte del destinatario.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
Costituisce vizio di convocazione dell'assemblea condominiale, l'inoltro del relativo avviso dalla posta elettronica certificata dell'amministratore, all'indirizzo di posta elettronica non certificata del condomino. In tal senso, invero, posto che successivamente alla novella introdotta con la legge n. 220 del 2012, il chiaro testo della disposizione di cui all'art. 66, Disp.att.c.c. induce a ritenere che il legislatore abbia inteso tipizzare le forme di comunicazione, limitandole a quelle che garantiscono la effettiva conoscibilità della convocazione stessa, la predetta forma di comunicazione non risulta contemplata dalla citata disposizione e, dunque, deve ritenersi non regolare, in quanto inidonea a garantire la effettiva conoscenza della convocazione da parte del destinatario.
impugnazione delle deliberazioni
Trib. Nocera Inferiore, Sez. II, 19 giugno 2014 - pubblicato il 23 marzo 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Sono annullabili, nei termini previsti dall'art. 1137 c.c., le delibere assembleari contrarie alla legge o al regolamento di condominio, tra cui quelle che non rispettano le norme che disciplinano il procedimento, come, ad esempio, la convocazione dei partecipanti o la richiesta di qualificate maggioranze per formare la volontà dell'organo collegiale in relazione all'oggetto della delibera da approvare.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Sono annullabili, nei termini previsti dall'art. 1137 c.c., le delibere assembleari contrarie alla legge o al regolamento di condominio, tra cui quelle che non rispettano le norme che disciplinano il procedimento, come, ad esempio, la convocazione dei partecipanti o la richiesta di qualificate maggioranze per formare la volontà dell'organo collegiale in relazione all'oggetto della delibera da approvare.
spese della comunione e del condominio
Trib. Napoli, 07 aprile 2011 - pubblicato il 23 marzo 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Non sussistendo la solidarietà passiva rispetto alle obbligazioni gravanti sul condominio, i singoli condomini sono tenuti pro quota, ma l'eccezione di parziarietà va accolta allorché il condomino abbia assolto all'onere, sullo stesso incombente in base al principio cd. di vicinanza della prova, di individuare la quota di sua pertinenza del debito complessivo.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Non sussistendo la solidarietà passiva rispetto alle obbligazioni gravanti sul condominio, i singoli condomini sono tenuti pro quota, ma l'eccezione di parziarietà va accolta allorché il condomino abbia assolto all'onere, sullo stesso incombente in base al principio cd. di vicinanza della prova, di individuare la quota di sua pertinenza del debito complessivo.
parti comuni dell'edificio
Trib. Napoli, Sez. VIII, 31 ottobre 2013 - pubblicato il 20 marzo 2015
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia & Partners
Le parti dell'edificio condominiale deputate a preservare l'immobile da agenti atmosferici e dalle infiltrazioni di acqua, sia piovana che sotterranea, rientrano, per la loro funzione, fra le cose comuni, le cui spese di conservazione sono assoggettate alla ripartizione tra i condomini, in misura proporzionale al valore delle singole proprietà esclusive, ex art. 1123 c.c.. La proprietà ed il possesso comune di lastrici solari e tetti in capo al condominio, salvo prova contraria, comporta la legittimazione passiva del medesimo nel giudizio avente ad oggetto l'azione per responsabilità extracontrattuale promossa dal conduttore di locali dell'edificio medesimo per danni sofferti a causa di infiltrazioni di acqua dal tetto dello stabile, salva, nel merito, l'efficacia liberatoria della prova, a carico del condominio, che l'effettiva disponibilità e quindi l'obbligo di manutenzione del tetto stesso competeva ad altro soggetto in forza di un diverso rapporto.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia & Partners
Le parti dell'edificio condominiale deputate a preservare l'immobile da agenti atmosferici e dalle infiltrazioni di acqua, sia piovana che sotterranea, rientrano, per la loro funzione, fra le cose comuni, le cui spese di conservazione sono assoggettate alla ripartizione tra i condomini, in misura proporzionale al valore delle singole proprietà esclusive, ex art. 1123 c.c.. La proprietà ed il possesso comune di lastrici solari e tetti in capo al condominio, salvo prova contraria, comporta la legittimazione passiva del medesimo nel giudizio avente ad oggetto l'azione per responsabilità extracontrattuale promossa dal conduttore di locali dell'edificio medesimo per danni sofferti a causa di infiltrazioni di acqua dal tetto dello stabile, salva, nel merito, l'efficacia liberatoria della prova, a carico del condominio, che l'effettiva disponibilità e quindi l'obbligo di manutenzione del tetto stesso competeva ad altro soggetto in forza di un diverso rapporto.
nullità delle delibere condominiale
Trib. Salerno, Sez. I, 25 settembre 2013 - pubblicato il 20 marzo 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In tema di condominio sono affette da nullità, che può essere fatta valere anche dal condomino che le ha votate, le delibere condominiali attraverso le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i criteri di ripartizione delle spese comuni in difformità da quanto previsto dall'art. 1123 c.c. o dal regolamento condominiale contrattuale, essendo necessario per esse il consenso unanime dei condomini, mentre sono annullabili, con impugnativa ex art. 1137,ultimo comma, c.c., le delibere con cui l'assemblea, nell'esercizio delle attribuzioni previste dall'art. 1135 n. 2 e 3 c.c., determina in concreto la ripartizione delle spese medesime in difformità dai criteri di cui all'art. 1123 c.c.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In tema di condominio sono affette da nullità, che può essere fatta valere anche dal condomino che le ha votate, le delibere condominiali attraverso le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i criteri di ripartizione delle spese comuni in difformità da quanto previsto dall'art. 1123 c.c. o dal regolamento condominiale contrattuale, essendo necessario per esse il consenso unanime dei condomini, mentre sono annullabili, con impugnativa ex art. 1137,ultimo comma, c.c., le delibere con cui l'assemblea, nell'esercizio delle attribuzioni previste dall'art. 1135 n. 2 e 3 c.c., determina in concreto la ripartizione delle spese medesime in difformità dai criteri di cui all'art. 1123 c.c.
condominio parziale
Trib. Salerno, Sez. I, 25 settembre 2013 - pubblicato il 20 marzo 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Ricorre la figura del condominio cd. parziale allorché, all'interno del Condominio, costituito da un complesso immobiliare formato da un insieme di edifici raggruppati in blocchi, talune cose - qualificate come comuni ex art. 1137 c.c. - siano per oggettivi caratteri materiali e funzionali, destinate non all'uso o al servizio di tutto il complesso immobiliare ma di una sola parte o di alcune unità abitative di esso, con conseguente obbligo di pagamento delle spese solo per coloro che da tali beni traggono utilità.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Ricorre la figura del condominio cd. parziale allorché, all'interno del Condominio, costituito da un complesso immobiliare formato da un insieme di edifici raggruppati in blocchi, talune cose - qualificate come comuni ex art. 1137 c.c. - siano per oggettivi caratteri materiali e funzionali, destinate non all'uso o al servizio di tutto il complesso immobiliare ma di una sola parte o di alcune unità abitative di esso, con conseguente obbligo di pagamento delle spese solo per coloro che da tali beni traggono utilità.
mancata apertura conto corrente
Trib. Salerno, Sez. I, 3 maggio 2011 - pubblicato il 19 marzo 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Integra un'ipotesi di grave irregolarità, legittimante la revoca dell'amministratore di condominio, la mancata apertura ed utilizzazione da parte dell'amministratore di un conto corrente, bancario o postale, intestato al condominio, sul quale far transitare le somme ricevute a qualunque titolo dai condomini o da terzi, nonché quelle a qualsiasi titolo erogate per conto del condominio.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Integra un'ipotesi di grave irregolarità, legittimante la revoca dell'amministratore di condominio, la mancata apertura ed utilizzazione da parte dell'amministratore di un conto corrente, bancario o postale, intestato al condominio, sul quale far transitare le somme ricevute a qualunque titolo dai condomini o da terzi, nonché quelle a qualsiasi titolo erogate per conto del condominio.
recupero spese
Trib. Nocera Inferiore, Sez. II, 7 febbraio 2012 - pubblicato il 19 marzo 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In tema di condominio, per il recupero delle somme anticipate nell'interesse del condominio, l'amministratore ha l'obbligo di presentare un rendiconto che può legittimamente dirsi adempiuto quando il mandatario abbia fornito la relativa prova attraverso i necessari documenti giustificativi non soltanto della somma incassata e dell'entità causale degli esborsi, ma anche di tutti gli elementi di fatto funzionali alla individuazione ed al vaglio delle modalità di esecuzione dell'incarico, onde stabilire se il suo operato si sia adeguato, o meno, a criteri di buona amministrazione.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In tema di condominio, per il recupero delle somme anticipate nell'interesse del condominio, l'amministratore ha l'obbligo di presentare un rendiconto che può legittimamente dirsi adempiuto quando il mandatario abbia fornito la relativa prova attraverso i necessari documenti giustificativi non soltanto della somma incassata e dell'entità causale degli esborsi, ma anche di tutti gli elementi di fatto funzionali alla individuazione ed al vaglio delle modalità di esecuzione dell'incarico, onde stabilire se il suo operato si sia adeguato, o meno, a criteri di buona amministrazione.
infortuni sul lavoro
Cass. civ., Sez. Unite, 16 marzo 2015, n. 5160 - pubblicato il 19 marzo 2015
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
In tema di infortuni sul lavoro, il termine triennale di prescrizione dell'azione di regresso dell'Inail nei confronti del datore di lavoro, nell'ipotesi in cui non sia stato iniziato alcun procedimento penale a carico di quest'ultimo, decorre dal momento di liquidazione dell'indennizzo al danneggiato. L'Inail, con l'azione di regresso disciplinata dagli artt. 10 e 11 del D.P.R. n. 1124 del 1965, agendo contro il datore di lavoro dell'assicurato infortunato, fa valere in giudizio un diritto proprio, nascente direttamente dal rapporto assicurativo, spiegando un'azione nei confronti del datore di lavoro che abbia violato la normativa sulla sicurezza sul lavoro. Tale azione è assimilabile ad un'azione risarcitoria promossa dall'infortunato, tanto che il diritto è esercitato entro i limiti del complessivo danno civilistico ed è funzionalizzato a sanzionare il datore di lavoro consentendo all'Istituto previdenziale di recuperare quanto corrisposto al danneggiato.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia
In tema di infortuni sul lavoro, il termine triennale di prescrizione dell'azione di regresso dell'Inail nei confronti del datore di lavoro, nell'ipotesi in cui non sia stato iniziato alcun procedimento penale a carico di quest'ultimo, decorre dal momento di liquidazione dell'indennizzo al danneggiato. L'Inail, con l'azione di regresso disciplinata dagli artt. 10 e 11 del D.P.R. n. 1124 del 1965, agendo contro il datore di lavoro dell'assicurato infortunato, fa valere in giudizio un diritto proprio, nascente direttamente dal rapporto assicurativo, spiegando un'azione nei confronti del datore di lavoro che abbia violato la normativa sulla sicurezza sul lavoro. Tale azione è assimilabile ad un'azione risarcitoria promossa dall'infortunato, tanto che il diritto è esercitato entro i limiti del complessivo danno civilistico ed è funzionalizzato a sanzionare il datore di lavoro consentendo all'Istituto previdenziale di recuperare quanto corrisposto al danneggiato.
tabelle millesimali
Cass. Civ., Sez. II, 23 aprile 2014, n. 9232 - pubblicato il 19 marzo 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In tema di condominio, l'atto di approvazione delle tabelle millesimali, al pari di quello di revisione delle stesse, non ha natura negoziale; ne consegue che il medesimo non deve essere approvato con il consenso unanime dei condomini, essendo a tal fine sufficiente la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136, comma 2, c.c. (conf. Cass. Civ., Sez. II, 25 settembre 2013, n. 21950; Cass. Civ., Sez. Unite, 9 agosto 2010, n. 18477).
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In tema di condominio, l'atto di approvazione delle tabelle millesimali, al pari di quello di revisione delle stesse, non ha natura negoziale; ne consegue che il medesimo non deve essere approvato con il consenso unanime dei condomini, essendo a tal fine sufficiente la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136, comma 2, c.c. (conf. Cass. Civ., Sez. II, 25 settembre 2013, n. 21950; Cass. Civ., Sez. Unite, 9 agosto 2010, n. 18477).
controversie condominiali:
la legittimazione passiva dell'amministratore
non incontra limiti
Cass. Civ., Sez. II, 4 febbraio 2014, n. 2438 - pubblicato il 19 marzo 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Ai sensi dell'art. 1131, 2° comma, c.c., la legittimazione passiva dell'amministratore del condominio sussiste, senza alcuna limitazione ed estendendosi anche in ordine alla interposizione d'ogni mezzo di gravame che si renda eventualmente necessario, per qualsiasi azione, anche di natura reale, promossa da terzi (od anche dal singolo condomino) relativamente alle parti comuni dell'edificio, avendo in tal caso l'amministratore il solo obbligo, di mera rilevanza interna e non incidente sui suoi poteri rappresentativi processuali, di riferire all'assemblea, con la conseguenza che la sua presenza in giudizio esclude la necessità del litisconsorzio nei confronti di tutti i condomini (nella specie, sulla base di tali principi, la Suprema corte ha escluso la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti dei condomini in relazione a un'azione di rivendicazione di porzione di terreno proposta da un terzo nei confronti del condominio in persona dell'amministratore) (conf. Cass. civ., Sez. II, 10 novembre 2010, n. 22886).
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Ai sensi dell'art. 1131, 2° comma, c.c., la legittimazione passiva dell'amministratore del condominio sussiste, senza alcuna limitazione ed estendendosi anche in ordine alla interposizione d'ogni mezzo di gravame che si renda eventualmente necessario, per qualsiasi azione, anche di natura reale, promossa da terzi (od anche dal singolo condomino) relativamente alle parti comuni dell'edificio, avendo in tal caso l'amministratore il solo obbligo, di mera rilevanza interna e non incidente sui suoi poteri rappresentativi processuali, di riferire all'assemblea, con la conseguenza che la sua presenza in giudizio esclude la necessità del litisconsorzio nei confronti di tutti i condomini (nella specie, sulla base di tali principi, la Suprema corte ha escluso la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti dei condomini in relazione a un'azione di rivendicazione di porzione di terreno proposta da un terzo nei confronti del condominio in persona dell'amministratore) (conf. Cass. civ., Sez. II, 10 novembre 2010, n. 22886).
responsabilità dell'amministratore di condominio
e criteri di imputazione
Cass. pen., Sez. IV, 7 ottobre 2014, n. 46340 - pubblicato il 18 marzo 2015
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia & Partners
Il coinvolgimento di un tecnico qualificato nell'indagine sulla sicurezza dei manufatti ben può esonerare da responsabilità l'amministratore che sull'apprezzamento del proprio consulente abbia fatto affidamento più nel caso di specie fa riferimento ad una vicenda in cui l'imputato, amministratore di un condominio, era stato rinviato a giudizio e condannato per la morte di due operai che stavano eseguendo alcuni lavori condominiali.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia & Partners
Il coinvolgimento di un tecnico qualificato nell'indagine sulla sicurezza dei manufatti ben può esonerare da responsabilità l'amministratore che sull'apprezzamento del proprio consulente abbia fatto affidamento più nel caso di specie fa riferimento ad una vicenda in cui l'imputato, amministratore di un condominio, era stato rinviato a giudizio e condannato per la morte di due operai che stavano eseguendo alcuni lavori condominiali.
Comunione e condominio
Cass. pen., Sez. V, 27 giugno 2014, n. 46498 - pubblicato il 18 marzo 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
La critica nei confronti di un condomino può legittimamente estrinsecarsi all'interno di un'assemblea condominiale o nei rapporti con l'amministratore, ma non può di certo legittimare affermazioni offensive rivolte nei confronti di terzi, tanto più se ignari ospiti della persona offesa (con riferimento alla condotta di colui che aveva definito un condomino "moroso" e "aduso a non pagare le rate condominiali").
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
La critica nei confronti di un condomino può legittimamente estrinsecarsi all'interno di un'assemblea condominiale o nei rapporti con l'amministratore, ma non può di certo legittimare affermazioni offensive rivolte nei confronti di terzi, tanto più se ignari ospiti della persona offesa (con riferimento alla condotta di colui che aveva definito un condomino "moroso" e "aduso a non pagare le rate condominiali").
infortuni sul lavoro
Cass. civ., Sez. lavoro, 12 marzo 2015, n. 4992 - pubblicato il 18 marzo 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali, trova applicazione l'art. 41 c.p., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell'equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta l'efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell'evento, salvo che il nesso eziologico sia interrotto dalla sopravvenienza di un fattore idoneo, da solo, a produrre l'evento, facendo degradare le cause antecedenti a semplici occasioni.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali, trova applicazione l'art. 41 c.p., per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell'equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta l'efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell'evento, salvo che il nesso eziologico sia interrotto dalla sopravvenienza di un fattore idoneo, da solo, a produrre l'evento, facendo degradare le cause antecedenti a semplici occasioni.
Condominio: Conflitto d'interessi
Cass. Civ., Sez. II, 16 dicembre 2014, n. 26427 - pubblicato il 16 marzo 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
L'ordinamento giuscivilistico, pur riconoscendo al condominio una sia pur limitata personalità giuridica, attribuisce pur tuttavia ad esso potestà e poteri di carattere sostanziale e processuale, desumibili dalla disciplina della sua struttura e dai suoi organi, così che deve ritenersi applicabile, quanto al computo della maggioranza della relativa assemblea, la norma dettata in materia di società, per il conflitto di interessi, con conseguente esclusione dal diritto di voto di tutti quei condomini che, rispetto ad una deliberazione assembleare, si pongano come portatori di interessi propri, in potenziale conflitto con quello del condominio. Ai fini della invalidità della delibera assembleare, peraltro, tale conflitto non è configurabile qualora non sia possibile identificare, in concreto, una sicura divergenza tra ragioni personali che potrebbero concorrere a determinare la volontà dei soci di maggioranza ed interesse istituzionale del condominio. (conf. Cass. civ. Sez. II, 18 maggio 2001, n. 6853).
Ancora in maniera più esplicita per Cass. civ., Sez. II, 16 maggio 2011, n. 10754 in tema di validità delle delibere assembleari condominiali, sussiste il conflitto d'interessi ove sia dedotta e dimostrata in concreto una sicura divergenza tra specifiche ragioni personali di determinati singoli condomini, il cui voto abbia concorso a determinare la necessaria maggioranza ed un parimenti specifico contrario interesse istituzionale del condominio.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
L'ordinamento giuscivilistico, pur riconoscendo al condominio una sia pur limitata personalità giuridica, attribuisce pur tuttavia ad esso potestà e poteri di carattere sostanziale e processuale, desumibili dalla disciplina della sua struttura e dai suoi organi, così che deve ritenersi applicabile, quanto al computo della maggioranza della relativa assemblea, la norma dettata in materia di società, per il conflitto di interessi, con conseguente esclusione dal diritto di voto di tutti quei condomini che, rispetto ad una deliberazione assembleare, si pongano come portatori di interessi propri, in potenziale conflitto con quello del condominio. Ai fini della invalidità della delibera assembleare, peraltro, tale conflitto non è configurabile qualora non sia possibile identificare, in concreto, una sicura divergenza tra ragioni personali che potrebbero concorrere a determinare la volontà dei soci di maggioranza ed interesse istituzionale del condominio. (conf. Cass. civ. Sez. II, 18 maggio 2001, n. 6853).
Ancora in maniera più esplicita per Cass. civ., Sez. II, 16 maggio 2011, n. 10754 in tema di validità delle delibere assembleari condominiali, sussiste il conflitto d'interessi ove sia dedotta e dimostrata in concreto una sicura divergenza tra specifiche ragioni personali di determinati singoli condomini, il cui voto abbia concorso a determinare la necessaria maggioranza ed un parimenti specifico contrario interesse istituzionale del condominio.
condominio: innovazioni cose comuni
Cass. Civ., Sez. II, 23 febbraio 2015, n. 3509 - pubblicato il 16 marzo 2015
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia & Partners
In tema di condominio, per innovazioni delle cose comuni devono intendersi non tutte le modificazioni (qualunque "opus novum"), ma solamente quelle modifiche che, determinando l'alterazione dell'entità materiale o il mutamento della destinazione originaria, comportano che le parti comuni, in seguito all'attività o alle opere eseguite, presentino una diversa consistenza materiale ovvero vengano ad essere utilizzate per fini diversi da quelli precedenti.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia & Partners
In tema di condominio, per innovazioni delle cose comuni devono intendersi non tutte le modificazioni (qualunque "opus novum"), ma solamente quelle modifiche che, determinando l'alterazione dell'entità materiale o il mutamento della destinazione originaria, comportano che le parti comuni, in seguito all'attività o alle opere eseguite, presentino una diversa consistenza materiale ovvero vengano ad essere utilizzate per fini diversi da quelli precedenti.
notifica via pec
Cass. pen., Sez, IV, 6 marzo 2015 - pubblicato il 16 marzo 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
La notifica mediante posta elettronica certificata è valida ed efficace, trattandosi di uno strumento di comunicazione di atti ed avvisi a soggetti diversi dall'imputato previsto direttamente dalla legge, per cui il destinatario dell'atto non può eccepire di non aver letto il messaggio o di non averlo ricevuto per difficoltà tecniche o malfunzionamenti della rete telefonica o telematica presso lo studio professionale.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
La notifica mediante posta elettronica certificata è valida ed efficace, trattandosi di uno strumento di comunicazione di atti ed avvisi a soggetti diversi dall'imputato previsto direttamente dalla legge, per cui il destinatario dell'atto non può eccepire di non aver letto il messaggio o di non averlo ricevuto per difficoltà tecniche o malfunzionamenti della rete telefonica o telematica presso lo studio professionale.
nomina e revoca
dell'amministratore di condominio
Trib. Roma, Sez. V, 21 ottobre 2014 - pubblicato il 14 marzo 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
La disposizione dell'art. 1136, comma 4, c.c., la quale richiede per la deliberazione dell'assemblea del condominio di edifici riguardante la nomina o la revoca dell'amministratore la maggioranza qualificata di cui al comma 2, è applicabile anche per la deliberazione di conferma dell'amministratore dopo la scadenza del mandato.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
La disposizione dell'art. 1136, comma 4, c.c., la quale richiede per la deliberazione dell'assemblea del condominio di edifici riguardante la nomina o la revoca dell'amministratore la maggioranza qualificata di cui al comma 2, è applicabile anche per la deliberazione di conferma dell'amministratore dopo la scadenza del mandato.
competenza e giurisdizione civile
Cass. civ., Sez. VI, 11 marzo 2015, n. 4818 - pubblicato il 13 marzo 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Nel processo tributario, tra due cause aventi ad oggetto l'una l'impugnazione di una cartella di pagamento e l'altra l'avviso di accertamento, non è configurabile il rapporto di continenza di cui all'art. 39, comma 2, c.p.c., attesa la diversità della "causa petendi" e del "thema decidendum"; la cartella di pagamento, infatti, è impugnabile solo per vizi propri e non per vizi di merito relativi all'avviso di accertamento i quali, invece, sono proponibili solo nel diverso giudizio promosso per il suo annullamento.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Nel processo tributario, tra due cause aventi ad oggetto l'una l'impugnazione di una cartella di pagamento e l'altra l'avviso di accertamento, non è configurabile il rapporto di continenza di cui all'art. 39, comma 2, c.p.c., attesa la diversità della "causa petendi" e del "thema decidendum"; la cartella di pagamento, infatti, è impugnabile solo per vizi propri e non per vizi di merito relativi all'avviso di accertamento i quali, invece, sono proponibili solo nel diverso giudizio promosso per il suo annullamento.
revoca amministratore di condominio
Cass. civ., Sez. II, 18 aprile 2014, n. 9082 - pubblicato il 12 marzo 2015
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia & Partners
L'assemblea condominiale ben può procedere, in ogni tempo e indipendentemente da una giusta causa, alla nomina di un nuovo amministratore senza avere preventivamente revocato quello uscente, ciò comportando la revoca tacita del mandato conferito a quest'ultimo.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia & Partners
L'assemblea condominiale ben può procedere, in ogni tempo e indipendentemente da una giusta causa, alla nomina di un nuovo amministratore senza avere preventivamente revocato quello uscente, ciò comportando la revoca tacita del mandato conferito a quest'ultimo.
il termine del mandato dell'amministratore
Trib. Milano, Sez. XIII, 8 febbraio 2013 - pubblicato il 12 marzo 2015
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia & Partners
In materia condominiale i poteri dell'amministratore terminano, di regola, con la fine del mandato. L'istituto della prorogatio imperii è stato enucleato dalla giurisprudenza per ovviare a quelle situazioni di inaccettabile stallo di gestione, derivanti dalla cessazione della carica di un amministratore, senza che ci sia la repentina nomina di un nuovo amministratore da parte dell'assemblea. Lo scopo è quello di garantire la tutela della collettività condominiale che potrebbe trovarsi esposta al pericolo di stasi della necessaria attività ordinaria.
Sul punto giova osservare che l'amministratore di condominio dura in carica un anno (dal 1° gennaio al 31 dicembre), se viene riconfermato la durata dell'incarico è sempre limitata all'anno civile, cioè, indipendentemente dalla data di nomina o di riconferma l'amministratore termina il suo incarico il 31 dicembre. Dopo la scadenza rimane in carica per mera prorogatio, ma deve convocare l'assemblea per il rinnovo della carica o per la nomina di un nuovo amministratore (ex artt. 1129 c.c., 1135 c.c., 66 disp. att. c.c.).
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia & Partners
In materia condominiale i poteri dell'amministratore terminano, di regola, con la fine del mandato. L'istituto della prorogatio imperii è stato enucleato dalla giurisprudenza per ovviare a quelle situazioni di inaccettabile stallo di gestione, derivanti dalla cessazione della carica di un amministratore, senza che ci sia la repentina nomina di un nuovo amministratore da parte dell'assemblea. Lo scopo è quello di garantire la tutela della collettività condominiale che potrebbe trovarsi esposta al pericolo di stasi della necessaria attività ordinaria.
Sul punto giova osservare che l'amministratore di condominio dura in carica un anno (dal 1° gennaio al 31 dicembre), se viene riconfermato la durata dell'incarico è sempre limitata all'anno civile, cioè, indipendentemente dalla data di nomina o di riconferma l'amministratore termina il suo incarico il 31 dicembre. Dopo la scadenza rimane in carica per mera prorogatio, ma deve convocare l'assemblea per il rinnovo della carica o per la nomina di un nuovo amministratore (ex artt. 1129 c.c., 1135 c.c., 66 disp. att. c.c.).
LOCAZIONE
Cass. civ., Sez. III, 22 ottobre 2014, n. 22346 - pubblicato l'11 marzo 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Il rapporto che nasce dal contratto di locazione e che si instaura tra locatore e conduttore ha natura personale, con la conseguenza che chiunque abbia la disponibilità di fatto del bene, in base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico, può validamente concederlo in locazione, onde la relativa legittimazione è riconoscibile anche in capo al detentore di fatto, a meno che la detenzione non sia stata acquistata illecitamente. (Nella specie, la S.C., nel confermare la decisione con cui il giudice di merito aveva affermato la legittimazione del locatore, ha rilevato non solo il difetto di allegazione, da parte del conduttore, dell'illeceità dell'altrui detenzione, bensì l'esistenza, nella documentazione prodotta dal ricorrente, di una scrittura privata con la quale la società proprietaria del bene riconosceva il locatore come il "solo arbitro" dello stesso).
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Il rapporto che nasce dal contratto di locazione e che si instaura tra locatore e conduttore ha natura personale, con la conseguenza che chiunque abbia la disponibilità di fatto del bene, in base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico, può validamente concederlo in locazione, onde la relativa legittimazione è riconoscibile anche in capo al detentore di fatto, a meno che la detenzione non sia stata acquistata illecitamente. (Nella specie, la S.C., nel confermare la decisione con cui il giudice di merito aveva affermato la legittimazione del locatore, ha rilevato non solo il difetto di allegazione, da parte del conduttore, dell'illeceità dell'altrui detenzione, bensì l'esistenza, nella documentazione prodotta dal ricorrente, di una scrittura privata con la quale la società proprietaria del bene riconosceva il locatore come il "solo arbitro" dello stesso).
LOCAZIONE
Cass. civ., Sez. III, 5 dicembre 2014, n. 25736 - pubblicato l'11 marzo 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Il diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale sorge a condizione che il rapporto sia sciolto per volontà unilaterale del locatore e il conduttore non sia inadempiente, a tal fine non rilevando il ritardo nella riconsegna dell'immobile dopo la cessazione del rapporto in quanto l'obbligazione del conduttore al rilascio dell'immobile e quella del locatore alla corresponsione dell'indennità di avviamento, pur dipendenti e reciprocamente esigibili, sorgono quando il rapporto è già cessato e si collocano dunque fuori dal sinallagma contrattuale.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Il diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale sorge a condizione che il rapporto sia sciolto per volontà unilaterale del locatore e il conduttore non sia inadempiente, a tal fine non rilevando il ritardo nella riconsegna dell'immobile dopo la cessazione del rapporto in quanto l'obbligazione del conduttore al rilascio dell'immobile e quella del locatore alla corresponsione dell'indennità di avviamento, pur dipendenti e reciprocamente esigibili, sorgono quando il rapporto è già cessato e si collocano dunque fuori dal sinallagma contrattuale.
istruzione
Cons. Stato (Ad. Plen.), 28 gennaio 2015, n. 1 - pubblicato il 10 marzo 2015
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia & Partners
La necessità di superare il test di ingresso per accedere a facoltà a numero chiuse in atenei universitari italiani prevista per l'accesso al primo anno di corso non vige per i trasferimenti da Università estere in corso di studi, salvo il potere/dovere dell'Università di concreta valutazione, sulla base dei parametri sopra indicati, del "periodo" di formazione svolto all'estero e salvo altresì il rispetto ineludibile del numero di posti disponibili per trasferimento, così come fissato dall'Università stessa per ogni accademico in sede di programmazione, in relazione a ciascun anno di corso.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia & Partners
La necessità di superare il test di ingresso per accedere a facoltà a numero chiuse in atenei universitari italiani prevista per l'accesso al primo anno di corso non vige per i trasferimenti da Università estere in corso di studi, salvo il potere/dovere dell'Università di concreta valutazione, sulla base dei parametri sopra indicati, del "periodo" di formazione svolto all'estero e salvo altresì il rispetto ineludibile del numero di posti disponibili per trasferimento, così come fissato dall'Università stessa per ogni accademico in sede di programmazione, in relazione a ciascun anno di corso.
sinistri stradali
Cass. civ., Sez. III, 4 novembre 2014, n. 23434 - pubblicato il 10 marzo 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In tema di sinistri stradali causati da veicoli non identificati, la presentazione di una denuncia o di una querela contro ignoti non è condizione di proponibilità dell'azione di risarcimento del danno esperita, ai sensi dell'art. 19 della legge 24 dicembre 1969, n. 990 ("ratione temporis" applicabile), nei confronti dell'impresa designata dal Fondo di garanzia per le vittime della strada, né il danneggiato è tenuto ad attivarsi per identificare il veicolo in quanto l'accertamento giudiziale, nel cui contesto la presentazione o meno della denuncia o della querela costituisce un mero indizio, non riguarda la diligenza della vittima nel consentire l'individuazione del responsabile, ma la circostanza che il sinistro stesso sia stato effettivamente provocato da un veicolo non identificato.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In tema di sinistri stradali causati da veicoli non identificati, la presentazione di una denuncia o di una querela contro ignoti non è condizione di proponibilità dell'azione di risarcimento del danno esperita, ai sensi dell'art. 19 della legge 24 dicembre 1969, n. 990 ("ratione temporis" applicabile), nei confronti dell'impresa designata dal Fondo di garanzia per le vittime della strada, né il danneggiato è tenuto ad attivarsi per identificare il veicolo in quanto l'accertamento giudiziale, nel cui contesto la presentazione o meno della denuncia o della querela costituisce un mero indizio, non riguarda la diligenza della vittima nel consentire l'individuazione del responsabile, ma la circostanza che il sinistro stesso sia stato effettivamente provocato da un veicolo non identificato.
sinistri stradali
Cass. civ., Sez. III, 18 novembre 2014, n. 24469 - pubblicato il 9 marzo 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In tema di risarcimento del danno da circolazione dei veicoli a motore, l'applicazione del principio solidaristico di rilievo sovranazionale "vulneratus ante omnia reficiendus", impone in sede sostanziale l'interpretazione delle norme di legge che disciplinano l'assicurazione r.c.a. in modo coerente con la finalità di tutela della vittima, e comporta in sede processuale che il giudice deve compiere ogni sforzo, nei limiti del principio dispositivo e dei poteri attribuitigli dall'ordinamento, per l'accertamento della verità e la liquidazione del danno patito dalla vittima. (Nella specie, la S.C. ha annullato la sentenza impugnata, censurandone la contraddittorietà, perché, da un lato, aveva respinto la domanda risarcitoria avanzata dagli eredi della vittima, per mancanza di prova che il loro congiunto non fosse alla guida di un veicolo coinvolto in un sinistro stradale, mentre, dall'altro, aveva negato l'ammissione delle prove orali offerte dalle parti, tese a dimostrare chi fosse il conducente del mezzo).
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In tema di risarcimento del danno da circolazione dei veicoli a motore, l'applicazione del principio solidaristico di rilievo sovranazionale "vulneratus ante omnia reficiendus", impone in sede sostanziale l'interpretazione delle norme di legge che disciplinano l'assicurazione r.c.a. in modo coerente con la finalità di tutela della vittima, e comporta in sede processuale che il giudice deve compiere ogni sforzo, nei limiti del principio dispositivo e dei poteri attribuitigli dall'ordinamento, per l'accertamento della verità e la liquidazione del danno patito dalla vittima. (Nella specie, la S.C. ha annullato la sentenza impugnata, censurandone la contraddittorietà, perché, da un lato, aveva respinto la domanda risarcitoria avanzata dagli eredi della vittima, per mancanza di prova che il loro congiunto non fosse alla guida di un veicolo coinvolto in un sinistro stradale, mentre, dall'altro, aveva negato l'ammissione delle prove orali offerte dalle parti, tese a dimostrare chi fosse il conducente del mezzo).
Condominio
Cass. civ., Sez. III, 12 febbraio 2015, n. 2761 - pubblicato il 7 marzo 2015
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia & Partners
La consulenza tecnica può costituire essa stessa fonte oggettiva di prova, allorché si risolva in uno strumento, oltre che di valutazione tecnica, anche di accertamento di situazioni di fatto rilevabili solo con il ricorso a determinate cognizioni tecniche e percepibili con l'ausilio di specifiche strumentazioni tecniche
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia & Partners
La consulenza tecnica può costituire essa stessa fonte oggettiva di prova, allorché si risolva in uno strumento, oltre che di valutazione tecnica, anche di accertamento di situazioni di fatto rilevabili solo con il ricorso a determinate cognizioni tecniche e percepibili con l'ausilio di specifiche strumentazioni tecniche
IMPOSTA REDDITO PERSONE FISICHE E GIURIDICHE
Cass. pen. Sez. I, 11 febbraio 2015, n. 8585 - pubblicato il 7 marzo 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Determina la violazione del contraddittorio la valutazione del carteggio dell'Ufficio campione penale, acquisito mediante ordinanza fuori udienza, successivamente alla riserva della decisione, e non ammesso prima che le parti rassegnassero le proprie conclusioni. Tale violazione discende dall'inosservanza delle disposizioni di cui agli articoli 127, comma 3, e 666, comma 4, cod. proc. pen., concernenti «la partecipazione al procedimento» del Pubblico Ministero, e la «assistenza» del condannato, entrambe necessarie nei procedimenti di esecuzione. La partecipazione del Pubblico Ministero e del difensore riveste, infatti, carattere funzionale e non può ritenersi integrata dalla mera presenza fisica del magistrato o dell'avvocato alla udienza camerale, essendo invece necessario che alle parti sia assicurata la possibilità di interloquire su ogni profilo dell'oggetto della decisione col correlativo divieto per il giudice di porre a base del provvedimento prove non ammesse nel contraddittorio.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Determina la violazione del contraddittorio la valutazione del carteggio dell'Ufficio campione penale, acquisito mediante ordinanza fuori udienza, successivamente alla riserva della decisione, e non ammesso prima che le parti rassegnassero le proprie conclusioni. Tale violazione discende dall'inosservanza delle disposizioni di cui agli articoli 127, comma 3, e 666, comma 4, cod. proc. pen., concernenti «la partecipazione al procedimento» del Pubblico Ministero, e la «assistenza» del condannato, entrambe necessarie nei procedimenti di esecuzione. La partecipazione del Pubblico Ministero e del difensore riveste, infatti, carattere funzionale e non può ritenersi integrata dalla mera presenza fisica del magistrato o dell'avvocato alla udienza camerale, essendo invece necessario che alle parti sia assicurata la possibilità di interloquire su ogni profilo dell'oggetto della decisione col correlativo divieto per il giudice di porre a base del provvedimento prove non ammesse nel contraddittorio.
diritti civili e politici
Cass. civ. Sez. VI - 4 marzo 2015, n. 4435 - pubblicato il 6 marzo 2015
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia & Partners
La Convenzione EDU contempla, all'art. 6, due aree di tutela dei diritti fondamentali dell'uomo, quella civile e quella penale, e prevede all'art. 1 del Protocollo addizionale che la protezione della proprietà non pregiudica il diritto degli Stati di applicare la disciplina necessaria ad assicurare il pagamento delle imposte o di altri tributi, dunque, l'equa riparazione prevista dalla legge nazionale per le violazione dell'art. 6, paragrafo 1 CEDU non è riferibile ai casi di durata irragionevole di controversie che involgano l'esistenza e l'esercizio della potestà impositiva dello Stato. La revoca delle agevolazioni fiscali per il venir meno delle relative condizioni sanziona la condotta del contribuente attraverso il recupero della dimensione originaria dell'obbligo tributario, l'accertamento del quale costituisce oggetto di un giudizio in cui viene in rilievo la potestà impositiva dello Stato. La relativa controversia, pertanto, esula sia da un ambito sostanzialmente penale, essendo da ricusare la semplicistica equazione, quoad effectum, tra sanzione e pena, sia da un residuo contesto civilistico, poiché riguarda, appunto, la legittimità del provvedimento di revoca, e con essa il ripristino dell'obbligazione tributaria, e non già profili civilistici puramente consequenziali.
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La Convenzione EDU contempla, all'art. 6, due aree di tutela dei diritti fondamentali dell'uomo, quella civile e quella penale, e prevede all'art. 1 del Protocollo addizionale che la protezione della proprietà non pregiudica il diritto degli Stati di applicare la disciplina necessaria ad assicurare il pagamento delle imposte o di altri tributi, dunque, l'equa riparazione prevista dalla legge nazionale per le violazione dell'art. 6, paragrafo 1 CEDU non è riferibile ai casi di durata irragionevole di controversie che involgano l'esistenza e l'esercizio della potestà impositiva dello Stato. La revoca delle agevolazioni fiscali per il venir meno delle relative condizioni sanziona la condotta del contribuente attraverso il recupero della dimensione originaria dell'obbligo tributario, l'accertamento del quale costituisce oggetto di un giudizio in cui viene in rilievo la potestà impositiva dello Stato. La relativa controversia, pertanto, esula sia da un ambito sostanzialmente penale, essendo da ricusare la semplicistica equazione, quoad effectum, tra sanzione e pena, sia da un residuo contesto civilistico, poiché riguarda, appunto, la legittimità del provvedimento di revoca, e con essa il ripristino dell'obbligazione tributaria, e non già profili civilistici puramente consequenziali.
sequestro preventivo
Cass. pen. Sez. II, 18 febbraio 2015, n. 9392 - pubblicato il 6 marzo 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In ordine al sequestro preventivo per equivalente, sebbene non sia richiesta l'acquisizione di un quadro probatorio serio come per le misure cautelari personali, non è sufficiente prospettare un fatto costituente reato, limitandosi alla sua mera enunciazione e descrizione. Altresì, il giudice del riesame, nonostante non possa sindacare la fondatezza e/o l'attendibilità degli elementi probatori addotti dall'accusa a sostegno della misura cautelare, deve comunque effettuare un raffronto tra la fattispecie astratta (legale) e quella concreta (reale), così da imporre il suo potere demolitorio nei soli casi in cui la difformità sia rilevabile ictu oculi ovvero nei casi in cui gli elementi probatori non siano pertinenti od utilizzabili.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In ordine al sequestro preventivo per equivalente, sebbene non sia richiesta l'acquisizione di un quadro probatorio serio come per le misure cautelari personali, non è sufficiente prospettare un fatto costituente reato, limitandosi alla sua mera enunciazione e descrizione. Altresì, il giudice del riesame, nonostante non possa sindacare la fondatezza e/o l'attendibilità degli elementi probatori addotti dall'accusa a sostegno della misura cautelare, deve comunque effettuare un raffronto tra la fattispecie astratta (legale) e quella concreta (reale), così da imporre il suo potere demolitorio nei soli casi in cui la difformità sia rilevabile ictu oculi ovvero nei casi in cui gli elementi probatori non siano pertinenti od utilizzabili.
marchi
Cass. civ. Sez. I, 4 marzo 2015, n. 4386 - pubblicato il 5 marzo 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
La tutela contro la contraffazione di marchi è configurabile solo fra prodotti identici o affini, cioè appartenenti allo stesso genere, in relazione alla loro intrinseca natura, alla clientela cui sono destinati, ai bisogni che intendono soddisfare. Tale affinità implica la comunanza di una qualità ontologica dei prodotti e non la mera appartenenza degli stessi ad un medesimo ambito di origine culturale o di costume. In tal senso, non può ritenersi esaustivo il giudizio di affinità formulato dal giudice del merito concernente il raffronto tra beni costituiti da cataloghi stampati, contenenti la elencazione di prodotti messi in vendita ed i relativi prezzi e da un quotidiano a diffusione gratuita, contenente articoli di cronaca, politica, costume ed altro, qualora non sufficientemente argomentato e talora lacunoso in ordine all'esame delle diverse esigenze dei consumatori, che l'uno e l'altro prodotto tendono a soddisfare. La motivazione resa al riguardo, inoltre, non può ritenersi sufficientemente argomentata in difetto dell'analisi del pubblico di riferimento dei due prodotti, né del tipo di bisogno che essi intendono soddisfare, nonché in mancanza della specificazione della differenza esistente tra una informazione specializzata ed una generalista (come nella specie).
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
La tutela contro la contraffazione di marchi è configurabile solo fra prodotti identici o affini, cioè appartenenti allo stesso genere, in relazione alla loro intrinseca natura, alla clientela cui sono destinati, ai bisogni che intendono soddisfare. Tale affinità implica la comunanza di una qualità ontologica dei prodotti e non la mera appartenenza degli stessi ad un medesimo ambito di origine culturale o di costume. In tal senso, non può ritenersi esaustivo il giudizio di affinità formulato dal giudice del merito concernente il raffronto tra beni costituiti da cataloghi stampati, contenenti la elencazione di prodotti messi in vendita ed i relativi prezzi e da un quotidiano a diffusione gratuita, contenente articoli di cronaca, politica, costume ed altro, qualora non sufficientemente argomentato e talora lacunoso in ordine all'esame delle diverse esigenze dei consumatori, che l'uno e l'altro prodotto tendono a soddisfare. La motivazione resa al riguardo, inoltre, non può ritenersi sufficientemente argomentata in difetto dell'analisi del pubblico di riferimento dei due prodotti, né del tipo di bisogno che essi intendono soddisfare, nonché in mancanza della specificazione della differenza esistente tra una informazione specializzata ed una generalista (come nella specie).
Espropriazione per pubblica utilita'
Cons. Stato, Sez. IV, 27 gennaio 2015, n. 341 - pubblicato il 2 marzo 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In virtù di quanto previsto dagli artt. 11 e 16 D.P.R. n. 327/2001 (T.U. Espropriazione per p.u.), al proprietario del bene sul quale si intende apporre il vincolo preordinato all'esproprio deve essere inviato l'avviso dell'avvio del procedimento e del deposito degli atti di cui al comma 1 (ossia quelli volti a promuovere l'adozione dell'atto dichiarativo di pubblica utilità), con l'indicazione del nominativo del responsabile del procedimento, a nulla rilevando che l'interessato abbia avuto comunque conoscenza del procedimento.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In virtù di quanto previsto dagli artt. 11 e 16 D.P.R. n. 327/2001 (T.U. Espropriazione per p.u.), al proprietario del bene sul quale si intende apporre il vincolo preordinato all'esproprio deve essere inviato l'avviso dell'avvio del procedimento e del deposito degli atti di cui al comma 1 (ossia quelli volti a promuovere l'adozione dell'atto dichiarativo di pubblica utilità), con l'indicazione del nominativo del responsabile del procedimento, a nulla rilevando che l'interessato abbia avuto comunque conoscenza del procedimento.
condominio
Cass. civ., Sez. II, 3 febbraio 2015, n. 1898 - pubblicato il 24 febbraio 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Costituisce innovazione vietata al singolo condomino, ex art. 1120 c.c., quella realizzata sull'impianto termico centralizzato, nonché mutamento di destinazione della cosa comune, e concretizzatasi nella chiusura di una intercapedine antincendio tale da costringere l'ente di gestione a dismettere l'impianto termico ed a sospendere il servizio di riscaldamento.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
Costituisce innovazione vietata al singolo condomino, ex art. 1120 c.c., quella realizzata sull'impianto termico centralizzato, nonché mutamento di destinazione della cosa comune, e concretizzatasi nella chiusura di una intercapedine antincendio tale da costringere l'ente di gestione a dismettere l'impianto termico ed a sospendere il servizio di riscaldamento.
Diritto del lavoro
Cass. civ., Sez. Lavoro, 19 febbraio 2015, n. 3323 - pubblicato il 24 febbraio 2015
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia & Partners
In tema di controversie di lavoro l'onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi, imposto a pena di improcedibilità del ricorso per cassazione, è soddisfatto solo quando il ricorrente depositi la documentazione anzidetta, non potendo ritenersi sufficiente, a tal fine, la mera allegazione dell'intero fascicolo di parte del giudizio di merito in cui sia stato effettuato il deposito di detti atti o siano state allegate per estratto le norme dei contratti collettivi. In tal caso, la S.C., ove rilevasse la presenza dei contratti e degli accordi collettivi nei fascicoli del giudizio di merito, non potrebbe comunque procedere con l'esame di essi, non essendo stati depositati nel procedimento di cassazione.
a cura dello Studio Legale Riccio Libroia & Partners
In tema di controversie di lavoro l'onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi, imposto a pena di improcedibilità del ricorso per cassazione, è soddisfatto solo quando il ricorrente depositi la documentazione anzidetta, non potendo ritenersi sufficiente, a tal fine, la mera allegazione dell'intero fascicolo di parte del giudizio di merito in cui sia stato effettuato il deposito di detti atti o siano state allegate per estratto le norme dei contratti collettivi. In tal caso, la S.C., ove rilevasse la presenza dei contratti e degli accordi collettivi nei fascicoli del giudizio di merito, non potrebbe comunque procedere con l'esame di essi, non essendo stati depositati nel procedimento di cassazione.
condominio
Cass. civ., Sez. II, 8 gennaio 2015, n. 40 - pubblicato il 23 febbraio 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In materia condominiale le azioni reali esperibili contro i singoli condomini o nei confronti di terzi, al fine di ottenere statuizioni relative alla titolarità, al contenuto o alla tutela dei diritti reali dei condomini su cose o parti dell'edificio condominiale, e non rientranti nel novero degli atti meramente conservativi, possono essere esperite dall'amministratore solo previa autorizzazione dell'assemblea condominiale, da adottarsi a maggioranza qualificata. Ne discende la ritualità dell'azione intentata dal Condominio, previa autorizzazione dell'assemblea, adottata all'unanimità dei presenti.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
In materia condominiale le azioni reali esperibili contro i singoli condomini o nei confronti di terzi, al fine di ottenere statuizioni relative alla titolarità, al contenuto o alla tutela dei diritti reali dei condomini su cose o parti dell'edificio condominiale, e non rientranti nel novero degli atti meramente conservativi, possono essere esperite dall'amministratore solo previa autorizzazione dell'assemblea condominiale, da adottarsi a maggioranza qualificata. Ne discende la ritualità dell'azione intentata dal Condominio, previa autorizzazione dell'assemblea, adottata all'unanimità dei presenti.
condominio
Cass. civ., Sez. II, 29 gennaio 2015, n. 1680 - pubblicato il 20 febbraio 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
L'art. 1117 c.c. reca un'elencazione non tassativa ma esemplificativa delle cose comuni, essendo tali, salvo risulti diversamente dal titolo, anche quelle aventi un'oggettiva e concreta destinazione al servizio comune di tutte o di una parte soltanto delle unità immobiliari di proprietà individuale. In tale ultimo caso, inverandosi l'esistenza di un cd. condominio parziale, deve ritenersi nulla, per violazione della norma imperativa di cui all'art. 1118, comma 2, c.c., la clausola del contratto di vendita di una singola unità immobiliare che escluda la coeva cessione della comproprietà su una o più cose comuni.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
L'art. 1117 c.c. reca un'elencazione non tassativa ma esemplificativa delle cose comuni, essendo tali, salvo risulti diversamente dal titolo, anche quelle aventi un'oggettiva e concreta destinazione al servizio comune di tutte o di una parte soltanto delle unità immobiliari di proprietà individuale. In tale ultimo caso, inverandosi l'esistenza di un cd. condominio parziale, deve ritenersi nulla, per violazione della norma imperativa di cui all'art. 1118, comma 2, c.c., la clausola del contratto di vendita di una singola unità immobiliare che escluda la coeva cessione della comproprietà su una o più cose comuni.
MARCHI
Cass. civ., Sez. I, 17 febbraio 2015, n. 3118 - pubblicato il 20 febbraio 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
L'apprezzamento in merito alla confondibilità tra segni distintivi similari, è riservato al giudice di merito, le cui valutazioni si sottraggono al controllo di legittimità, ove adeguatamente motivate. La premessa logica di siffatto apprezzamento è la qualificazione del marchio anteriore come marchio forte o debole. Per i marchi forti, la contraffazione imputabile al marchio successivo e similare, non viene meno non solo quando le varianti o le modificazioni siano lievi, ma neppure quando siano consistenti e rilevanti, sempreché vi sia appropriazione dell'identità sostanziale ovvero del nucleo ideologico espressivo caratterizzante l'attitudine individualizzante di quello anteriore. Vale a dire che quando per effetto delle varianti il nucleo ideologico espressivo che è proprio del marchio anteriore resti impregiudicato e cioè non confondibile con il secondo, la tutela del primo si arresta, non essendo consentito ad un'impresa titolare di un marchio, anche forte, di vietare ad un'altra l'uso di un marchio similare ma non confondibile, quando resti immutata la capacità distintiva dei suoi prodotti rispetto a quelli dell'altra impresa.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
L'apprezzamento in merito alla confondibilità tra segni distintivi similari, è riservato al giudice di merito, le cui valutazioni si sottraggono al controllo di legittimità, ove adeguatamente motivate. La premessa logica di siffatto apprezzamento è la qualificazione del marchio anteriore come marchio forte o debole. Per i marchi forti, la contraffazione imputabile al marchio successivo e similare, non viene meno non solo quando le varianti o le modificazioni siano lievi, ma neppure quando siano consistenti e rilevanti, sempreché vi sia appropriazione dell'identità sostanziale ovvero del nucleo ideologico espressivo caratterizzante l'attitudine individualizzante di quello anteriore. Vale a dire che quando per effetto delle varianti il nucleo ideologico espressivo che è proprio del marchio anteriore resti impregiudicato e cioè non confondibile con il secondo, la tutela del primo si arresta, non essendo consentito ad un'impresa titolare di un marchio, anche forte, di vietare ad un'altra l'uso di un marchio similare ma non confondibile, quando resti immutata la capacità distintiva dei suoi prodotti rispetto a quelli dell'altra impresa.
abuso di ufficio: cartella clinica
Cass. pen., Sez. VI, 13 gennaio 2015, n. 6075 - pubblicato il 20 febbraio 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In ordine al reato di cui all'art. 328 c.p., si rileva come la cartella clinica sia un atto pubblico, la cui definitiva ed ufficiale formazione è rimessa al responsabile del reparto, quale pubblico ufficiale, che è tenuto con la sua sottoscrizione ad accertarne la completezza e regolarità. Il predetto documento rappresenta, in maniera necessariamente congruente sul piano temporale con l'attività compiuta, l'indicazione di tutti gli interventi effettuati sul paziente ed assolve a plurime funzioni, tutte fondate sulla necessità di ricostruire ex post, a qualsiasi fine, l'appropriatezza degli interventi, per valutarne gli effetti, la possibile sinergia con ulteriori iniziative sanitarie e, quindi, consentire l'adeguatezza di queste ultime, tutte ricollegabili alla tutela della salute. Stante l'importanza di tale documento, esso deve essere sempre formato senza ritardo, risultando la sua formazione sempre funzionale a ragioni di sanità, con la conseguenza che il sanitario deve, in caso di istanza di rilascio della relativa cartella clinica, attivarsi immediatamente, considerato che, invero, la formazione della cartella dovrebbe precedere la richiesta in parola. Ne deriva che, in caso di inattività del soggetto tenuto a compilare la cartella, è configurabile il reato in parola.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In ordine al reato di cui all'art. 328 c.p., si rileva come la cartella clinica sia un atto pubblico, la cui definitiva ed ufficiale formazione è rimessa al responsabile del reparto, quale pubblico ufficiale, che è tenuto con la sua sottoscrizione ad accertarne la completezza e regolarità. Il predetto documento rappresenta, in maniera necessariamente congruente sul piano temporale con l'attività compiuta, l'indicazione di tutti gli interventi effettuati sul paziente ed assolve a plurime funzioni, tutte fondate sulla necessità di ricostruire ex post, a qualsiasi fine, l'appropriatezza degli interventi, per valutarne gli effetti, la possibile sinergia con ulteriori iniziative sanitarie e, quindi, consentire l'adeguatezza di queste ultime, tutte ricollegabili alla tutela della salute. Stante l'importanza di tale documento, esso deve essere sempre formato senza ritardo, risultando la sua formazione sempre funzionale a ragioni di sanità, con la conseguenza che il sanitario deve, in caso di istanza di rilascio della relativa cartella clinica, attivarsi immediatamente, considerato che, invero, la formazione della cartella dovrebbe precedere la richiesta in parola. Ne deriva che, in caso di inattività del soggetto tenuto a compilare la cartella, è configurabile il reato in parola.
CONDOMINIO
Cass. civ., Sez. II, 5 febbraio 2015, n. 2109 - pubblicato il 19 febbraio 2015
a cura di Studio Legale Riccio & Libroia
Costituisce effettiva lesione del decoro architettonico di un edificio condominiale, la realizzazione sull'ultimo piano, sul terrazzo di proprietà esclusiva del condomino, di un nuovo corpo di fabbrica (specificamente costituito da una veranda), che nulla ha a che fare, secondo le condivise prospettazioni del consulente d'ufficio, con la composizione prevista dal progettista, che è posto in maniera occasionale rispetto a quella previsione e che incombe sulla facciata principale dell'edificio. Una simile descrizione del manufatto esprime, invero, irrecuperabilmente la compromissione delle linee architettoniche e dell'aspetto armonico del fabbricato condominiale, dovendosi in tal modo intendere la completa differenziazione progettuale, la illogica sovrapposizione e la evidenza strutturale. L'opera predetta rientra concettualmente nella nozione di intervento sulla porzione di piano di proprietà personale, in quanto inerente ad un bene esclusivo come quelli menzionati nell'art. 1122 c.c., che non deve essere oggetto di modifiche che rechino danno alla cosa comune.
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Costituisce effettiva lesione del decoro architettonico di un edificio condominiale, la realizzazione sull'ultimo piano, sul terrazzo di proprietà esclusiva del condomino, di un nuovo corpo di fabbrica (specificamente costituito da una veranda), che nulla ha a che fare, secondo le condivise prospettazioni del consulente d'ufficio, con la composizione prevista dal progettista, che è posto in maniera occasionale rispetto a quella previsione e che incombe sulla facciata principale dell'edificio. Una simile descrizione del manufatto esprime, invero, irrecuperabilmente la compromissione delle linee architettoniche e dell'aspetto armonico del fabbricato condominiale, dovendosi in tal modo intendere la completa differenziazione progettuale, la illogica sovrapposizione e la evidenza strutturale. L'opera predetta rientra concettualmente nella nozione di intervento sulla porzione di piano di proprietà personale, in quanto inerente ad un bene esclusivo come quelli menzionati nell'art. 1122 c.c., che non deve essere oggetto di modifiche che rechino danno alla cosa comune.
condominio
Cass. civ., Sez. II, 6 ottobre 2014, n. 20985 - pubblicato il 18 febbraio 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In materia condominiale costituisce innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato, come tale vietata, non solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull'aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l'edificio. La relativa valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità ove non presenti vizi di motivazione. Al fine di accertare la legittimità, ai sensi dell'art. 1120, comma 2°, c.c., dell'innovazione eseguita dal proprietario di un piano o di una porzione di piano, in corrispondenza della sua proprietà esclusiva, è irrilevante che l'autorità preposta alla indicata tutela abbia autorizzata l'opera.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In materia condominiale costituisce innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato, come tale vietata, non solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull'aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l'edificio. La relativa valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità ove non presenti vizi di motivazione. Al fine di accertare la legittimità, ai sensi dell'art. 1120, comma 2°, c.c., dell'innovazione eseguita dal proprietario di un piano o di una porzione di piano, in corrispondenza della sua proprietà esclusiva, è irrilevante che l'autorità preposta alla indicata tutela abbia autorizzata l'opera.
SEGRETO
Cass. pen., Sez. V, 29 ottobre 2014, n. 52075 - pubblicato il 16 febbraio 2015
a cura di Studio Legale Riccio Libroia & Partners
In merito alla violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza, la nozione di giusta causa, alla cui assenza l'art. 616, comma 2, c.p., subordina la punibilità della rivelazione del contenuto della corrispondenza, non è fornita dal legislatore ed è, dunque, affidata al concetto generico di giustizia che la locuzione stessa presuppone e che il giudice, pertanto, deve determinare di volta in volta con riguardo alla liceità, sotto il profilo etico e sciale, dei motivi che determinano il soggetto ad un certo atto o comportamento (conf. cass. sent. 8838 del 1997).
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In merito alla violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza, la nozione di giusta causa, alla cui assenza l'art. 616, comma 2, c.p., subordina la punibilità della rivelazione del contenuto della corrispondenza, non è fornita dal legislatore ed è, dunque, affidata al concetto generico di giustizia che la locuzione stessa presuppone e che il giudice, pertanto, deve determinare di volta in volta con riguardo alla liceità, sotto il profilo etico e sciale, dei motivi che determinano il soggetto ad un certo atto o comportamento (conf. cass. sent. 8838 del 1997).
Lavoro
Cass. civ., Sez. III, 22 ottobre 2014, n. 22346 - pubblicato il 12 febbraio 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Il rapporto che nasce dal contratto di locazione e che si instaura tra locatore e conduttore ha natura personale, con la conseguenza che chiunque abbia la disponibilità di fatto del bene, in base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico, può validamente concederlo in locazione, onde la relativa legittimazione è riconoscibile anche in capo al detentore di fatto, a meno che la detenzione non sia stata acquistata illecitamente. (Nella specie, la S.C., nel confermare la decisione con cui il giudice di merito aveva affermato la legittimazione del locatore, ha rilevato non solo il difetto di allegazione, da parte del conduttore, dell'illeceità dell'altrui detenzione, bensì l'esistenza, nella documentazione prodotta dal ricorrente, di una scrittura privata con la quale la società proprietaria del bene riconosceva il locatore come il "solo arbitro" dello stesso).
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
Il rapporto che nasce dal contratto di locazione e che si instaura tra locatore e conduttore ha natura personale, con la conseguenza che chiunque abbia la disponibilità di fatto del bene, in base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico, può validamente concederlo in locazione, onde la relativa legittimazione è riconoscibile anche in capo al detentore di fatto, a meno che la detenzione non sia stata acquistata illecitamente. (Nella specie, la S.C., nel confermare la decisione con cui il giudice di merito aveva affermato la legittimazione del locatore, ha rilevato non solo il difetto di allegazione, da parte del conduttore, dell'illeceità dell'altrui detenzione, bensì l'esistenza, nella documentazione prodotta dal ricorrente, di una scrittura privata con la quale la società proprietaria del bene riconosceva il locatore come il "solo arbitro" dello stesso).
peculato
Cass. pen., Sez. VI, 24/09/2014, n. 46282 - pubblicato il 11 febbraio 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In caso di uso indebito, per scopi personali, dell'utenza telefonica di cui il pubblico ufficiale abbia la disponibilità per ragioni d'ufficio, ciascuna telefonata compiuta con l'apparecchio di servizio integra un'autonoma condotta di peculato d'uso, rispetto alla quale dovrà dunque essere compiuta la verifica di offensività e, quindi, di rilevanza penale del fatto; ciò salvo che, per l'unitario contesto spazio-temporale, le plurime chiamate non possano ritenersi integrare un'unica ed indivisibile condotta la questione verte su una vicenda in cui l'imputata, direttrice di un carcere, era stata condannata per aver indebitamente fatto uso reiterato del telefono dell'ufficio per fini personali.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In caso di uso indebito, per scopi personali, dell'utenza telefonica di cui il pubblico ufficiale abbia la disponibilità per ragioni d'ufficio, ciascuna telefonata compiuta con l'apparecchio di servizio integra un'autonoma condotta di peculato d'uso, rispetto alla quale dovrà dunque essere compiuta la verifica di offensività e, quindi, di rilevanza penale del fatto; ciò salvo che, per l'unitario contesto spazio-temporale, le plurime chiamate non possano ritenersi integrare un'unica ed indivisibile condotta la questione verte su una vicenda in cui l'imputata, direttrice di un carcere, era stata condannata per aver indebitamente fatto uso reiterato del telefono dell'ufficio per fini personali.
Assicurazione
Cass. civ., Sez. III, 31 ottobre 2014, n. 23149 - pubblicato il 10 febbraio 2015
a cura di Studio Legale Riccio Libroia & Partners
In tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, per le scadenze successive al pagamento del primo premio (o della relativa prima rata) di cui all'articolo 1901, secondo comma, cod. civ., l'effetto sospensivo dell'assicurazione per l'ipotesi di pagamento effettuato dopo il quindicesimo giorno dalla scadenza della rata precedente cessa a partire dalle ore 24.00 della data del pagamento, e non comporta l'immediata riattivazione del rapporto assicurativo dal momento in cui il pagamento è stato effettuato, trovando applicazione analogica la disposizione del primo comma del medesimo articolo - dettata per l'ipotesi del mancato pagamento del primo premio o della prima rata - secondo cui l'assicurazione resta sospesa fino alle ore ventiquattro del giorno in cui il contraente paga quanto è da lui dovuto. Ne consegue che ove il premio successivo al primo sia stato pagato dopo la scadenza del periodo di tolleranza di giorni quindici di cui all'articolo 1901 cod. civ. (espressamente richiamato nell'articolo 7 della legge 24 dicembre 1969, n.990), la garanzia assicurativa non è operante per il sinistro verificatosi il giorno stesso del pagamento.
a cura di Studio Legale Riccio Libroia & Partners
In tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore, per le scadenze successive al pagamento del primo premio (o della relativa prima rata) di cui all'articolo 1901, secondo comma, cod. civ., l'effetto sospensivo dell'assicurazione per l'ipotesi di pagamento effettuato dopo il quindicesimo giorno dalla scadenza della rata precedente cessa a partire dalle ore 24.00 della data del pagamento, e non comporta l'immediata riattivazione del rapporto assicurativo dal momento in cui il pagamento è stato effettuato, trovando applicazione analogica la disposizione del primo comma del medesimo articolo - dettata per l'ipotesi del mancato pagamento del primo premio o della prima rata - secondo cui l'assicurazione resta sospesa fino alle ore ventiquattro del giorno in cui il contraente paga quanto è da lui dovuto. Ne consegue che ove il premio successivo al primo sia stato pagato dopo la scadenza del periodo di tolleranza di giorni quindici di cui all'articolo 1901 cod. civ. (espressamente richiamato nell'articolo 7 della legge 24 dicembre 1969, n.990), la garanzia assicurativa non è operante per il sinistro verificatosi il giorno stesso del pagamento.
misure cautelari personali
Cass. pen., Sez. VI, 26 novembre 2014, n. 51151 - pubblicato il 9 febbraio 2015
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In tema di misure cautelari l'art. 292, comma 2° c.p.p., prevede a pena di nullità, che sia soddisfatto il requisito della descrizione sommaria del fatto con l'indicazione delle norme di legge che si assumono violate. Tale requisito può soddisfarsi con un'enunciazione dell'accusa anche riassuntiva, che presenti un minimo di ragionevole specificità quanto alle concrete modalità di realizzazione della condotta, rispetto alla norma violata ed al tempo della sua commissione.
a cura di Eliana Libroia - Foro di Nocera Inferiore
In tema di misure cautelari l'art. 292, comma 2° c.p.p., prevede a pena di nullità, che sia soddisfatto il requisito della descrizione sommaria del fatto con l'indicazione delle norme di legge che si assumono violate. Tale requisito può soddisfarsi con un'enunciazione dell'accusa anche riassuntiva, che presenti un minimo di ragionevole specificità quanto alle concrete modalità di realizzazione della condotta, rispetto alla norma violata ed al tempo della sua commissione.
CONDOMINIO
Affittacamere in condominio - pubblicato il 6 febbraio 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
La Seconda Sezione della Corte di Cassazione con la sentenza del 20 novembre 2014, n. 24707 ha affermato il seguente principio di diritto: “In materia condominiale, il regolamento non può impedire ai condomini la destinazione delle unità abitative per l'esercizio dell'attività di bed and breakfast, non comportando, l'utilizzo degli appartamenti a tale scopo, il cambio di destinazione d'uso ai fini urbanistici. Non sussiste, peraltro, alcuna incompatibilità della destinazione alberghiera con quella prescritta dalla norma del regolamento condominiale, ove l'attività di bed and breakfast non comporti conseguenze pregiudizievoli per gli altri condomini”.
Al riguardo, occorre rammentare come un condomino avesse adibito la propria abitazione ad attività di affittacamere, mentre il regolamento condominiale sanciva espressamente come gli appartamenti potessero essere impiegati solamente per uso abitativo o come studio professionale.
Conseguentemente, il condominio aveva citato in giudizio il condomino evidenziando il divieto desumibile dal summenzionato regolamento.
Il convenuto, tuttavia, aveva eccepito che l'attività di affittacamere non potesse in alcun modo ritenersi lesiva della disciplina regolamentare considerato che non era rilevabile un mutamento di destinazione d’uso dell’appartamento.
Se il primo grado si era concluso con la vittoria del condominio, invece, in secondo grado le sorti del giudizio vennero rovesciate poiché la Corte d’Appello di Roma accolse la tesi difensiva del condomino statuendo la legittimità nell’esercitare l'attività di affittacamere.
Nel dettaglio, in appello chiarito che l'attività di affittacamere non aveva comportato una modificazione della destinazione di uso per civile abitazione delle unità immobiliari, “risultava inammissibile un'interpretazione estensiva del disposto all'art. 6 del regolamento condominiale che riservasse ai soli proprietari, ai loro congiunti e ai singoli privati professionisti il godimento delle unità immobiliari site nel complesso condominiale, considerato altresì che la concreta applicazione della suddetta norma da parte dei condomini si era rivelata più permissiva di quanto derivante dalla stretta interpretazione letterale del disposto regolamentare”.
A seguito della proposizione del ricorso in cassazione da parte del condominio, gli Ermellini ritennero come il ragionamento del giudice di secondo grado non fosse in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie.
Di conseguenza, il Palazzaccio rigettava il ricorso del condominio.
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
La Seconda Sezione della Corte di Cassazione con la sentenza del 20 novembre 2014, n. 24707 ha affermato il seguente principio di diritto: “In materia condominiale, il regolamento non può impedire ai condomini la destinazione delle unità abitative per l'esercizio dell'attività di bed and breakfast, non comportando, l'utilizzo degli appartamenti a tale scopo, il cambio di destinazione d'uso ai fini urbanistici. Non sussiste, peraltro, alcuna incompatibilità della destinazione alberghiera con quella prescritta dalla norma del regolamento condominiale, ove l'attività di bed and breakfast non comporti conseguenze pregiudizievoli per gli altri condomini”.
Al riguardo, occorre rammentare come un condomino avesse adibito la propria abitazione ad attività di affittacamere, mentre il regolamento condominiale sanciva espressamente come gli appartamenti potessero essere impiegati solamente per uso abitativo o come studio professionale.
Conseguentemente, il condominio aveva citato in giudizio il condomino evidenziando il divieto desumibile dal summenzionato regolamento.
Il convenuto, tuttavia, aveva eccepito che l'attività di affittacamere non potesse in alcun modo ritenersi lesiva della disciplina regolamentare considerato che non era rilevabile un mutamento di destinazione d’uso dell’appartamento.
Se il primo grado si era concluso con la vittoria del condominio, invece, in secondo grado le sorti del giudizio vennero rovesciate poiché la Corte d’Appello di Roma accolse la tesi difensiva del condomino statuendo la legittimità nell’esercitare l'attività di affittacamere.
Nel dettaglio, in appello chiarito che l'attività di affittacamere non aveva comportato una modificazione della destinazione di uso per civile abitazione delle unità immobiliari, “risultava inammissibile un'interpretazione estensiva del disposto all'art. 6 del regolamento condominiale che riservasse ai soli proprietari, ai loro congiunti e ai singoli privati professionisti il godimento delle unità immobiliari site nel complesso condominiale, considerato altresì che la concreta applicazione della suddetta norma da parte dei condomini si era rivelata più permissiva di quanto derivante dalla stretta interpretazione letterale del disposto regolamentare”.
A seguito della proposizione del ricorso in cassazione da parte del condominio, gli Ermellini ritennero come il ragionamento del giudice di secondo grado non fosse in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie.
Di conseguenza, il Palazzaccio rigettava il ricorso del condominio.
Diritto penale: furto
Il furto commesso a scuola equivale al furto in abitazione - pubblicato il 5 febbraio 2015
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
I giudici del Palazzaccio con provvedimento giurisdizionale datato 24 novembre 2014, n. 48734 ribadendo quanto affermato dalla giurisprudenza recente (Cass. pen., Sez. V, 15 febbraio 2011, n. 1018; Cass. pen., Sez. V, 18 settembre 2007, n. 43089) hanno statuito che il reato di furto in abitazione di cui all’art. 624-bis c.p. può riscontrarsi anche nell’eventualità in cui il furto sia compiuto in un istituto destinato ad attività di pubblico interesse, quale l’istruzione degli allievi, giacché quest’ultimo si configura quale privata dimora in cui le persone si trattengono, seppur in modo transitorio, per il compimento di atti di vita privata.
Attraverso l’inserimento nel tessuto normativo dell’art. 624-bis c.p. il legislatore si è posto quale proposito di estendere la portata dell’originaria previsione del furto in abitazione di cui all’art. 625, n. 1, c.p., includendovi anche i luoghi in cui si compiono:
a) attività lavorative;
b) le farmacie (Cass. pen., Sez. IV, 25 giugno 2009, n. 37908);
c) le sagrestie (Cass. pen., Sez. IV, 30 settembre 2008, n. 40245);
d) i bar (Cass. pen., Sez. V, 2 luglio 2010, n. 30957).
a cura di Gaetano Riccio - Foro di Salerno
I giudici del Palazzaccio con provvedimento giurisdizionale datato 24 novembre 2014, n. 48734 ribadendo quanto affermato dalla giurisprudenza recente (Cass. pen., Sez. V, 15 febbraio 2011, n. 1018; Cass. pen., Sez. V, 18 settembre 2007, n. 43089) hanno statuito che il reato di furto in abitazione di cui all’art. 624-bis c.p. può riscontrarsi anche nell’eventualità in cui il furto sia compiuto in un istituto destinato ad attività di pubblico interesse, quale l’istruzione degli allievi, giacché quest’ultimo si configura quale privata dimora in cui le persone si trattengono, seppur in modo transitorio, per il compimento di atti di vita privata.
Attraverso l’inserimento nel tessuto normativo dell’art. 624-bis c.p. il legislatore si è posto quale proposito di estendere la portata dell’originaria previsione del furto in abitazione di cui all’art. 625, n. 1, c.p., includendovi anche i luoghi in cui si compiono:
a) attività lavorative;
b) le farmacie (Cass. pen., Sez. IV, 25 giugno 2009, n. 37908);
c) le sagrestie (Cass. pen., Sez. IV, 30 settembre 2008, n. 40245);
d) i bar (Cass. pen., Sez. V, 2 luglio 2010, n. 30957).
Diritto civile: locazione
Locazione: il fondo morosi incolpevoli - pubblicato il 3 febbraio 2015
a cura di Gaetano Riccio – Foro di Salerno
Il 5 dicembre 2014 il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia, ha firmato il Decreto denominato “Incremento della dotazione del Fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli”, il quale è stato pubblicato sulla G.U. del 20 gennaio 2015, n. 15.
Nel dettaglio, il Decreto ha stabilito come il fondo di cui si discorre debba erogare una cifra pari a 15,73 milioni di euro in più rispetto a quanto statuito per l’anno appena trascorso che consente alle Regioni di avere a disposizione una somma complessiva che si aggira attorno ai 36 milioni di euro.
Nel dettaglio, è sancito come il 70% delle risorse economiche debba essere ripartito fra tutte le Regioni, mentre la somma residua, pari a 4,719 milioni di euro, debba essere assegnata in favore di quegli Enti regionali che avevano in passato posto in essere misure di sostegno alla morosità incolpevole all’interno del proprio ambito territoriale.
In proposito, le Regioni che usufruiranno di tale premialità sono:
a) il Piemonte;
b) la Lombardia;
c) la Liguria;
d) l’Emilia Romagna;
e) la Toscana;
f) l’Umbria;
g) le Marche;
h) il Lazio;
i) la Campania;
l) la Puglia.
Oltre a ciò, bisogna rammentare l’esistenza di un secondo fondo a tutela degli inquilini relativo al pagamento dei canoni di locazione, in virtù del quale è somministrato un contributo monetario agli inquilini nell’eventualità in cui l’affitto sia superiore ad una forbice tra il 14% e il 24% del reddito percepito.
Infine, il decreto sugli affitti stabilisce come una quota pari a 25 milioni debba essere serbata in favore delle famiglie disagiate.
a cura di Gaetano Riccio – Foro di Salerno
Il 5 dicembre 2014 il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell’economia, ha firmato il Decreto denominato “Incremento della dotazione del Fondo destinato agli inquilini morosi incolpevoli”, il quale è stato pubblicato sulla G.U. del 20 gennaio 2015, n. 15.
Nel dettaglio, il Decreto ha stabilito come il fondo di cui si discorre debba erogare una cifra pari a 15,73 milioni di euro in più rispetto a quanto statuito per l’anno appena trascorso che consente alle Regioni di avere a disposizione una somma complessiva che si aggira attorno ai 36 milioni di euro.
Nel dettaglio, è sancito come il 70% delle risorse economiche debba essere ripartito fra tutte le Regioni, mentre la somma residua, pari a 4,719 milioni di euro, debba essere assegnata in favore di quegli Enti regionali che avevano in passato posto in essere misure di sostegno alla morosità incolpevole all’interno del proprio ambito territoriale.
In proposito, le Regioni che usufruiranno di tale premialità sono:
a) il Piemonte;
b) la Lombardia;
c) la Liguria;
d) l’Emilia Romagna;
e) la Toscana;
f) l’Umbria;
g) le Marche;
h) il Lazio;
i) la Campania;
l) la Puglia.
Oltre a ciò, bisogna rammentare l’esistenza di un secondo fondo a tutela degli inquilini relativo al pagamento dei canoni di locazione, in virtù del quale è somministrato un contributo monetario agli inquilini nell’eventualità in cui l’affitto sia superiore ad una forbice tra il 14% e il 24% del reddito percepito.
Infine, il decreto sugli affitti stabilisce come una quota pari a 25 milioni debba essere serbata in favore delle famiglie disagiate.
DIRITTO DEL LAVORO: ASSENZA INGIUSTIFICATA
Assenza ingiustificata del lavoratore e dimissioni - pubblicato il 30 gennaio 2015
a cura di Gaetano Riccio – Foro di Salerno
Con la pronuncia del 21 gennaio 2015, n. 1025 i giudici di Piazza Cavour conformandosi ai provvedimenti giurisdizionali pronunciati il 2 luglio 2013, n. 16507 – 9 settembre 2011, n. 18523 – 20 maggio 2000, n. 6604, hanno sostenuto che “Alle parti non è consentito di attribuire a determinati comportamenti del lavoratore il valore ed il significato negoziale di manifestazione implicita o per facta concludentia della volontà di dimettersi, senza possibilità di prova contraria”.
Nel dettaglio, gli Ermellini ritengono che il recesso dal rapporto di lavoro subordinato possa manifestarsi solamente in due modalità quali:
a) il licenziamento intimato dal datore di lavoro;
b) e le dimissioni rassegnate dal lavoratore.
La Suprema Corte, perciò, rileva l’impossibilità per le parti contraenti, siano esse collettive o individuali, di inserire una terza species di recesso fondato su di un comportamento, ritenuto significativo dell'intenzione di recedere, che non sia, tuttavia, manifestazione concreta della volontà del soggetto e, per il quale, non sia prevista una prova contraria.
Infatti, questo modus agendi è inammissibile ai fini della risoluzione del rapporto di lavoro.
In particolare, nel caso posto alla sua attenzione la Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso di parte datoriale, ha confermato la sentenza impugnata con la quale il giudice d’appello statuì l'illegittimità del licenziamento intimato dal datore di lavoro imponendo a quest’ultimo, altresì, la reintegrazione del dipendente nell’impresa.
a cura di Gaetano Riccio – Foro di Salerno
Con la pronuncia del 21 gennaio 2015, n. 1025 i giudici di Piazza Cavour conformandosi ai provvedimenti giurisdizionali pronunciati il 2 luglio 2013, n. 16507 – 9 settembre 2011, n. 18523 – 20 maggio 2000, n. 6604, hanno sostenuto che “Alle parti non è consentito di attribuire a determinati comportamenti del lavoratore il valore ed il significato negoziale di manifestazione implicita o per facta concludentia della volontà di dimettersi, senza possibilità di prova contraria”.
Nel dettaglio, gli Ermellini ritengono che il recesso dal rapporto di lavoro subordinato possa manifestarsi solamente in due modalità quali:
a) il licenziamento intimato dal datore di lavoro;
b) e le dimissioni rassegnate dal lavoratore.
La Suprema Corte, perciò, rileva l’impossibilità per le parti contraenti, siano esse collettive o individuali, di inserire una terza species di recesso fondato su di un comportamento, ritenuto significativo dell'intenzione di recedere, che non sia, tuttavia, manifestazione concreta della volontà del soggetto e, per il quale, non sia prevista una prova contraria.
Infatti, questo modus agendi è inammissibile ai fini della risoluzione del rapporto di lavoro.
In particolare, nel caso posto alla sua attenzione la Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso di parte datoriale, ha confermato la sentenza impugnata con la quale il giudice d’appello statuì l'illegittimità del licenziamento intimato dal datore di lavoro imponendo a quest’ultimo, altresì, la reintegrazione del dipendente nell’impresa.
DIRITTO CIVILE: RENT TO BUY
Rent to buy – pubblicato il 29 gennaio 2015
a cura di Gaetano Riccio – Foro di Salerno
Il D.L. 12 settembre 2014, n. 133 recante “Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive”, meglio noto ai più sotto la denominazione “Decreto Sblocca Italia”, disciplina nell’art. 23 i contratti di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili sancendo nel comma 1 che: “I contratti, diversi dalla locazione finanziaria, che prevedono l’immediata concessione del godimento di un immobile, con diritto per il conduttore di acquistarlo entro un termine determinato imputando al corrispettivo del trasferimento la parte di canone indicata nel contratto, sono trascritti ai sensi dell’art. 2645-bis c.c. La trascrizione produce anche i medesimi effetti di quella di cui all’art. 2643, co. 1, n. 8), c.c.”.
Con il summenzionato decreto è volto nuovamente l’interesse sul cd. rent to buy espresso dalla possibilità di acquistare casa versando, dapprima, un canone d’affitto e, successivamente, al momento dell’acquisto, il pagamento del correlativo valore.
È palese, allora, che il novello contratto si configuri quale estrinsecazione di una locazione e di una prevendita finalizzata a consentire al futuro acquirente di usufruire sin dall’inizio del godimento dell’immobile.
Al riguardo, quando il compratore decide di acquistare l’immobile può scomputare dalla somma finale parte del canone pagato in precedenza.
Per comprendere appieno tale situazione è necessario rilevare come il Consiglio del Notariato abbia presentato il seguente esempio: “Si consideri la vendita di un appartamento per il prezzo di 100.000 €. Il canone mensile è convenuto in 1.000 € mensili. Una parte di questo prezzo, ad esempio 500 €, viene dato per il godimento del bene, come se fosse un normale affitto. E questa parte si “perde”, proprio come in una normale locazione. Il residuo, cioè i 500 € mancanti, si imputano al prezzo (cioè sono come un acconto sul prezzo di vendita), per cui hanno come effetto quello di ridurre il prezzo finale di vendita. Se dopo 5 anni il conduttore deciderà di acquistare il bene non dovrà pagare 100.000 €, ma 70.000 €, perché 30.000 sono già stati pagati con parte dei canoni”.
È facile intuire come il rent to buy abbia una duplice finalità, quale:
a) permettere ai cittadini di acquistare casa;
b) nonché consentire ai costruttori di diminuire l’ingente quantitativo di immobili invenduti.
In proposito, è bene rammentare come il relativo contratto possa essere oggetto di trascrizione nei Registri Immobiliari per l’intervallo temporale di durata del rent to buy e, ad ogni modo, non superiore ai 10 anni.
Giacché la trascrizione del rent to buy ha un effetto prenotativo sull’acquisto dell’immobile, eventuali creditori della parte alienante non potranno iscrivere ipoteca su quest’ultimo né, tantomeno, pignorarlo.
Inoltre, considerato che in capo al conduttore non sussiste alcun obbligo, ma solamente la facoltà di acquistare il bene, qualora l’affittuario decida di non comprare casa, il proprietario potrà agire trattenendo totalmente o parzialmente la maggiorazione dell’affitto.
Il contratto de quo può essere utilizzato anche per:
a) negozi;
b) uffici;
c) capannoni;
d) negozi;
e) terreni;
f) immobili in costruzione.
Circa quest’ultimo aspetto, per le imprese di costruzione il rent to buy potrebbe configurarsi quale modalità di pagamento delle rate del mutuo originariamente contratto per la costruzione.
Ancora, nell’eventualità in cui si verifichi il fallimento dell’impresa costruttrice il contratto continua a valere in quanto la vendita non è soggetta a revocatoria fallimentare, a patto che:
a) sia stato concordato un giusto prezzo;
b) e si tratti di abitazione principale del conduttore o dei suoi parenti.
Infine, relativamente alle imposte da pagare attualmente non è dato rilevare da un punto di vista tributario una disciplina specifica.
Sul punto, però, il notariato ritiene che nel periodo del godimento, le imposte connesse al possesso dell’immobile siano a carico del proprietario, mentre le spese di trascrizione del contratto nei registri immobiliari a carico dell’acquirente.
a cura di Gaetano Riccio – Foro di Salerno
Il D.L. 12 settembre 2014, n. 133 recante “Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive”, meglio noto ai più sotto la denominazione “Decreto Sblocca Italia”, disciplina nell’art. 23 i contratti di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili sancendo nel comma 1 che: “I contratti, diversi dalla locazione finanziaria, che prevedono l’immediata concessione del godimento di un immobile, con diritto per il conduttore di acquistarlo entro un termine determinato imputando al corrispettivo del trasferimento la parte di canone indicata nel contratto, sono trascritti ai sensi dell’art. 2645-bis c.c. La trascrizione produce anche i medesimi effetti di quella di cui all’art. 2643, co. 1, n. 8), c.c.”.
Con il summenzionato decreto è volto nuovamente l’interesse sul cd. rent to buy espresso dalla possibilità di acquistare casa versando, dapprima, un canone d’affitto e, successivamente, al momento dell’acquisto, il pagamento del correlativo valore.
È palese, allora, che il novello contratto si configuri quale estrinsecazione di una locazione e di una prevendita finalizzata a consentire al futuro acquirente di usufruire sin dall’inizio del godimento dell’immobile.
Al riguardo, quando il compratore decide di acquistare l’immobile può scomputare dalla somma finale parte del canone pagato in precedenza.
Per comprendere appieno tale situazione è necessario rilevare come il Consiglio del Notariato abbia presentato il seguente esempio: “Si consideri la vendita di un appartamento per il prezzo di 100.000 €. Il canone mensile è convenuto in 1.000 € mensili. Una parte di questo prezzo, ad esempio 500 €, viene dato per il godimento del bene, come se fosse un normale affitto. E questa parte si “perde”, proprio come in una normale locazione. Il residuo, cioè i 500 € mancanti, si imputano al prezzo (cioè sono come un acconto sul prezzo di vendita), per cui hanno come effetto quello di ridurre il prezzo finale di vendita. Se dopo 5 anni il conduttore deciderà di acquistare il bene non dovrà pagare 100.000 €, ma 70.000 €, perché 30.000 sono già stati pagati con parte dei canoni”.
È facile intuire come il rent to buy abbia una duplice finalità, quale:
a) permettere ai cittadini di acquistare casa;
b) nonché consentire ai costruttori di diminuire l’ingente quantitativo di immobili invenduti.
In proposito, è bene rammentare come il relativo contratto possa essere oggetto di trascrizione nei Registri Immobiliari per l’intervallo temporale di durata del rent to buy e, ad ogni modo, non superiore ai 10 anni.
Giacché la trascrizione del rent to buy ha un effetto prenotativo sull’acquisto dell’immobile, eventuali creditori della parte alienante non potranno iscrivere ipoteca su quest’ultimo né, tantomeno, pignorarlo.
Inoltre, considerato che in capo al conduttore non sussiste alcun obbligo, ma solamente la facoltà di acquistare il bene, qualora l’affittuario decida di non comprare casa, il proprietario potrà agire trattenendo totalmente o parzialmente la maggiorazione dell’affitto.
Il contratto de quo può essere utilizzato anche per:
a) negozi;
b) uffici;
c) capannoni;
d) negozi;
e) terreni;
f) immobili in costruzione.
Circa quest’ultimo aspetto, per le imprese di costruzione il rent to buy potrebbe configurarsi quale modalità di pagamento delle rate del mutuo originariamente contratto per la costruzione.
Ancora, nell’eventualità in cui si verifichi il fallimento dell’impresa costruttrice il contratto continua a valere in quanto la vendita non è soggetta a revocatoria fallimentare, a patto che:
a) sia stato concordato un giusto prezzo;
b) e si tratti di abitazione principale del conduttore o dei suoi parenti.
Infine, relativamente alle imposte da pagare attualmente non è dato rilevare da un punto di vista tributario una disciplina specifica.
Sul punto, però, il notariato ritiene che nel periodo del godimento, le imposte connesse al possesso dell’immobile siano a carico del proprietario, mentre le spese di trascrizione del contratto nei registri immobiliari a carico dell’acquirente.
DIRITTO PENALE
FIDANZATA NON CONVIVENTE
E MORTE DA INCIDENTE STRADALE
Fidanzata non convivente e morte da incidente stradale - pubblicato il 28 gennaio 2015
a cura di Studio Legale Riccio Libroia & Partners
In materia di morte da incidente stradale gli Ermellini hanno recentemente sancito l’importante principio di diritto secondo cui anche la fidanzata non convivente può invocare un danno non patrimoniale.
Nella specie, Cass. pen., Sez. IV, 16 ottobre 2014, n. 46351 ha affermato che "In tema di risarcibilità dei pregiudizi di natura non patrimoniale conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona, il riferimento ai "prossimi congiunti" della vittima primaria, quali soggetti danneggiati iure proprio, deve essere inteso nel senso che, in presenza di un saldo e duraturo legame affettivo tra questi ultimi e la vittima, è proprio la lesione che colpisce tale peculiare situazione affettiva a connotare l'ingiustizia del danno e a rendere risarcibili le conseguenze pregiudizievoli che ne siano derivate (se e in quanto queste siano allegate e dimostrate quale danno-conseguenza), a prescindere dall'esistenza di rapporti di parentela o affinità giuridicamente rilevanti come tali".
a cura di Studio Legale Riccio Libroia & Partners
In materia di morte da incidente stradale gli Ermellini hanno recentemente sancito l’importante principio di diritto secondo cui anche la fidanzata non convivente può invocare un danno non patrimoniale.
Nella specie, Cass. pen., Sez. IV, 16 ottobre 2014, n. 46351 ha affermato che "In tema di risarcibilità dei pregiudizi di natura non patrimoniale conseguenti alla lesione di un diritto inviolabile della persona, il riferimento ai "prossimi congiunti" della vittima primaria, quali soggetti danneggiati iure proprio, deve essere inteso nel senso che, in presenza di un saldo e duraturo legame affettivo tra questi ultimi e la vittima, è proprio la lesione che colpisce tale peculiare situazione affettiva a connotare l'ingiustizia del danno e a rendere risarcibili le conseguenze pregiudizievoli che ne siano derivate (se e in quanto queste siano allegate e dimostrate quale danno-conseguenza), a prescindere dall'esistenza di rapporti di parentela o affinità giuridicamente rilevanti come tali".
Diritto civile: separazione e negoziazione assistita
Separazione e negoziazione assistita - pubblicato il 26 gennaio 2015
Negoziazione assistita: le nuove formule per gli accordi di separazione e divorzio
Il Ministero dell'Interno ha approvato con il D.M. 9 dicembre 2014 (di cui è stata data comunicazione in Gazzetta Ufficiale il 9 gennaio 2015) una serie di nuove formule per gli adempimenti degli ufficiali dello stato civile in seguito all'entrata in vigore della L. 10 novembre 2014, n. 162 di conversione del D.L. 12 settembre 2014, n. 132 in materia di separazione personale e negoziazione assistita.
a cura di Studio Legale Riccio Libroia & Partners
Nella Gazzetta Ufficiale n. 6 del 9 gennaio 2015 è stato oggetto di pubblicazione un comunicato del Ministero dell'Interno con cui è stato reso noto che con decreto del Ministro dell'interno del 9 dicembre 2014 sono state approvate le formule per la redazione degli atti dello stato civile in seguito all'entrata in vigore della L. 10 novembre 2014, n. 162 di conversione del D.L. 12 settembre 2014, n. 132.
Il D.M. 9 dicembre 2014 modifica pertanto il D.M. 5 aprile 2002 (recante approvazione delle formule per la redazione degli atti dello stato civile) sulla base degli artt. 6 e 12 del citato D.L. n. 132 del 2014, che ha introdotto disposizioni in materia di separazione personale, scioglimento del matrimonio, cessazione degli effetti civili del matrimonio, nonché di modifica delle condizioni di separazione o divorzio.
Il decreto introduce una serie di formule utili per gli adempimenti degli uffici dello stato civile relativi alle iscrizioni e trascrizioni nei registri dello stato civile ed alle annotazioni negli atti di nascita e di matrimonio.
In particolare, le modifiche consistono nell'aggiunta di:
1) cinque formule relative agli accordi di separazione personale, di scioglimento del matrimonio, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, nonché di modifica delle condizioni di separazione o divorzio;
2) sei formule relative all'annotazione degli accordi di separazione, divorzio e modifica delle condizioni in precedenza fissate conclusi innanzi all'ufficiale dello stato civile o tramite convenzione di negoziazione assistita;
3) una formula relativa alla trascrizione della convenzione di negoziazione assistita trasmessa dagli avvocati delle parti e conclusa per la soluzione consensuale di separazione personale, o di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, o di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.
Negoziazione assistita: le nuove formule per gli accordi di separazione e divorzio
Il Ministero dell'Interno ha approvato con il D.M. 9 dicembre 2014 (di cui è stata data comunicazione in Gazzetta Ufficiale il 9 gennaio 2015) una serie di nuove formule per gli adempimenti degli ufficiali dello stato civile in seguito all'entrata in vigore della L. 10 novembre 2014, n. 162 di conversione del D.L. 12 settembre 2014, n. 132 in materia di separazione personale e negoziazione assistita.
a cura di Studio Legale Riccio Libroia & Partners
Nella Gazzetta Ufficiale n. 6 del 9 gennaio 2015 è stato oggetto di pubblicazione un comunicato del Ministero dell'Interno con cui è stato reso noto che con decreto del Ministro dell'interno del 9 dicembre 2014 sono state approvate le formule per la redazione degli atti dello stato civile in seguito all'entrata in vigore della L. 10 novembre 2014, n. 162 di conversione del D.L. 12 settembre 2014, n. 132.
Il D.M. 9 dicembre 2014 modifica pertanto il D.M. 5 aprile 2002 (recante approvazione delle formule per la redazione degli atti dello stato civile) sulla base degli artt. 6 e 12 del citato D.L. n. 132 del 2014, che ha introdotto disposizioni in materia di separazione personale, scioglimento del matrimonio, cessazione degli effetti civili del matrimonio, nonché di modifica delle condizioni di separazione o divorzio.
Il decreto introduce una serie di formule utili per gli adempimenti degli uffici dello stato civile relativi alle iscrizioni e trascrizioni nei registri dello stato civile ed alle annotazioni negli atti di nascita e di matrimonio.
In particolare, le modifiche consistono nell'aggiunta di:
1) cinque formule relative agli accordi di separazione personale, di scioglimento del matrimonio, di cessazione degli effetti civili del matrimonio, nonché di modifica delle condizioni di separazione o divorzio;
2) sei formule relative all'annotazione degli accordi di separazione, divorzio e modifica delle condizioni in precedenza fissate conclusi innanzi all'ufficiale dello stato civile o tramite convenzione di negoziazione assistita;
3) una formula relativa alla trascrizione della convenzione di negoziazione assistita trasmessa dagli avvocati delle parti e conclusa per la soluzione consensuale di separazione personale, o di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, o di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio.