BUONA FEDE E CORRETTEZZA
NOTA a Cassazione, sez. I Civile, sentenza 20 giugno – 1° ottobre 2012, n. 16667 LA MASSIMA “La circostanza che il creditore abbia tenuto un comportamento contrario al dovere di buona fede e correttezza contrattuale, tale da comportare la possibile liberazione del fideiussore dai propri obblighi di garanzia nei riguardi del creditore medesimo, può essere provata con ogni mezzo consentito dall'ordinamento, ivi compreso il ricorso a presunzioni, secondo la regola generale stabilita dagli artt. 2727 e 2729 c.c.”. LA NOTA Con la sentenza in commento i giudici di Piazza Cavour affrontano la dibattuta problematica riguardante il mancato rispetto dei principi di buona fede e correttezza in ambito di fideiussione per obbligazioni future. La vicenda processuale che ha determinato la pronuncia in esame trae origine da un ricorso della Banca Antonveneta accolto dal Tribunale di Ascoli Piceno, cui seguì un decreto ingiuntivo verso la locale Cooperativa di Lavoro fra gli Operai dell'Arte edile e nei confronti di alcuni fideiussori. Tra quest’ultimi vi era il Sig. A. C., al quale fu ordinato il pagamento in favore della suddetta Banca di una somma di L.40.000.000, a fronte di uno scoperto di conto corrente di importo maggiore. Il Sig. A. C. considerando il provvedimento infondato propose opposizione, che fu accolta dal tribunale, e in secondo grado dalla Corte d'appello di Ancona. La Banca Antonveneta, quindi, ricorse all’ultimo grado di giudizio per sentir pronunciare la cassazione della sentenza impugnata. Prima di esaminare la pronuncia della Suprema Corte e gli orientamenti giurisprudenziali precedenti occorre soffermarsi sulla nozione espressa dall’art. 1956 c.c., nonché sui canoni di buona fede e correttezza. L’art. 1956 c.c. statuisce che: ”Il fideiussore per un’obbligazione futura è liberato se il creditore, senza speciale autorizzazione del fideiussore, ha fatto credito al terzo, pur conoscendo che le condizioni patrimoniali di questo erano divenute tali da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito. Non è valida la preventiva rinuncia del fideiussore ad avvalersi della liberazione”. Gli indirizzi ermeneutici non presentano unanimità di pensiero riguardo alla necessità che la garanzia debba ricondursi all’obbligazione che verrà ad esistenza in dipendenza di un rapporto già in corso di formazione o di un vincolo giuridico preesistente, ovvero se possa farsi riferimento ad una obbligazione il cui processo di formazione non è ancora iniziato al momento dell'assunzione della garanzia fideiussoria. Occorre poi rammentare che nell’ambiente bancario dei paesi di civil law e di common law, s'è sviluppato un particolare tipo di garanzia personale per obbligazioni future: la fideiussione omnibus. Con essa, il fideiussore garantisce tutte le obbligazioni presenti e future del debitore venute ad esistenza nell'ambito di un rapporto di finanziamento che lega quest'ultimo, come imprenditore, alla banca. La fideiussione omnibus si connota per effetto della clausola a prima richiesta e senza eccezioni e della clausola “estensiva". Mentre con la prima si ordina al garante di pagare a semplice richiesta scritta della banca, senza poter sollevare nessuna delle eccezioni pertinenti al debito garantito; con la seconda, invece, si estende la copertura fideiussoria a tutti i debiti, indicando l’importo massimo della garanzia ex l. 17 febbraio 1992 n. 154, che un determinato soggetto si troverà ad avere nei confronti dell'istituto bancario. Per il fideiussore omnibus sono di grande interesse le informazioni sulla situazione economica del debitore: difatti, esse gli consentono di decidere se obbligarsi e, una volta stipulato il contratto, se recedere. Sul punto la l. 154/92 stabilisce l'obbligo dell'istituto di credito di comunicare al fideiussore, dietro sua richiesta, l'entità dell'esposizione complessiva del debitore quale risulta al momento della domanda. Se poi il fideiussore ottiene il consenso scritto del debitore principale a che gli siano comunicate ulteriori informazioni sull'esposizione stessa, la banca è tenuta a fornirgliele. Sulla base di tali considerazioni emerge il tema della “bona fides” oggettiva, cioè della reciproca lealtà di condotta, che deve regolare l’esecuzione, nonché la formazione ed l’interpretazione del contratto. La “bona fides” oggettiva va tenuta distinta dalla buona fede in senso soggettivo, la quale è definita dall'art. 1147 c.c. come ignoranza di ledere l'altrui diritto e si risolve quindi in uno stato soggettivo [Cass. civ., Sez. I, 20/04/1994, n. 3775; Trib. Milano 30.6.1997]. La buona fede oggettiva impone, a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio, il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra parte, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali e da quanto espressamente stabilito da singole disposizioni di legge (Cass. civ., Sez I, 22-01-2009, n. 1618; Cass. civ., S.U., 25-11-2008, n. 28065; Cass. civ., Sez I, 05-11-1999, n. 12310). A partire dagli anni '70 si è progressivamente affermato un filone dottrinale, confermato dalla giurisprudenza, secondo cui la clausola generale di buona fede opera tanto sul piano dei comportamenti del debitore e del creditore nell’ambito del singolo rapporto obbligatorio, quanto sul piano del complessivo assetto di interessi sottostanti all’esecuzione di un contratto, concretandosi nel dovere di ciascun contraente di cooperare alla realizzazione dell’interesse della controparte e ponendosi come limite di ogni situazione, attiva o passiva, negozialmente attribuita, ponendo così in essere un’integrazione del contenuto e degli effetti del contratto (Cass. civ., Sez. II, 05-03-2009, n. 5348; Cass. civ., Sez. III, 12-04-2006, n. 8619; Cass. civ., Sez. II, 18-10-2004, n. 20399; Cass. civ., Sez. II, 06/12/2000, n. 15505;Cass. civ., Sez. L., 08/02/1999, n. 1078; Cass. civ., Sez. I, 22/05/1997, n. 4598). Declinata in tal modo, è evidente come la buona fede presenti un legame diretto con il canone della correttezza, che l’art. 1175 c.c. qualifica quale obbligo gravante su creditore e debitore nell'esecuzione del rapporto obbligatorio. È necessario rammentare come la dottrina abbia tentato di creare un criterio di distinzione tra le due voci: a) nella diversità del soggetto cui le norme sarebbero indirizzate (il creditore - nonostante il riferimento testuale anche al debitore - nel caso dell'art. 1175 c.c. ed il debitore nel caso dell'art. 1375 c.c.); b) nell'ambito dei rapporti obbligatori disciplinati (quelli contrattuali per l’art. 1375 c.c. e quelli non contrattuali per l’art. 1175 c.c.); c) nella tipologia di condotte imposte (negative nel caso dell'art. 1175 c.c. e positive nel caso dell'art. 1375 c.c.). Prevale, tuttavia, la tesi della coincidenza tra correttezza e buona fede, le quali avrebbero quindi un unico contenuto. Gli indirizzi ermeneutici contraddistinguono, poi, i concetti di buona fede e correttezza in termini di situazioni di necessità, ovverosia di doveri di comportamento corretto, leale, positivi (di cooperazione: art. 1375 c.c.) o negativi (di astensione: artt. 1175 c.c.). Altra corrente di pensiero, invece, configura tali precetti quali obblighi volti a conformare la posizione assunta dai contraenti. Tali obblighi si suddividono in due categorie: 1)obblighi accessori di prestazione,implicanti il compimento di tutti quegli atti i quali, anche se non esplicitamente dedotti nel contratto, risultino indispensabili per l'attuazione di un rapporto obbligatorio; 2) obblighi strumentali di protezione o di sicurezza, volti alla conservazione della persona o della cosa della controparte o fondati su un'esigenza di avviso o di informazione reciproca. Da quanto affermato sino ad ora si deduce che i principi di buona fede e correttezza nell’esecuzione e nell’interpretazione dei contratti mostrano la loro rilevanza sia sul piano dell’individuazione degli obblighi contrattuali, sia su quello del bilanciamento dei contrapposti interessi delle parti. In merito al primo aspetto, essi obbligano le parti ad adempiere obblighi anche non espressamente previsti dal contratto o dalla legge, ove ciò sia necessario per preservare gli interessi della controparte; relativamente al secondo profilo, permettono al giudice di intervenire anche in senso modificativo o integrativo sul contenuto del contratto, qualora ciò sia necessario per garantire l’equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l’abuso del diritto (Cass. civ., Sez. III, 18-09-2009, n. 20106). Sul mancato rispetto della buona fede e della correttezza in ambito fideiussorio si riscontra nella civilistica italiana un orientamento consolidato. Quando la banca concede finanziamenti al debitore principale, pur conoscendone le difficoltà economiche, fidando nella solvibilità del fideiussore, senza informare quest'ultimo dell'aumentato rischio e senza chiederne la preventiva autorizzazione, incorre in violazione degli obblighi generici e specifici di correttezza e di buona fede contrattuale. (Cass. civ., Sez. I, 21/02/2006, n. 3761; Cass. civ., Sez. I, 11/01/2006, n. 394; Cass. civ., Sez. I, 18/07/1989, n. 3362). Gli Ermellini, creando un continuum logico con quanto sostenuto in passato, con sentenza n. 16667 del 1° ottobre 2012 hanno affermato che la circostanza che il creditore abbia tenuto un comportamento contrario al dovere di buona fede e correttezza contrattuale, tale da comportare la possibile liberazione del fideiussore dai propri obblighi di garanzia nei riguardi del creditore medesimo, può essere provata con ogni mezzo consentito dall'ordinamento, ivi compreso il ricorso a presunzioni, secondo la regola generale stabilita dagli artt. 2727 e 2729 c.c. Tale conclusione deriva essenzialmente da due ordini di motivi. In primo luogo, si ritiene possibile desumere dal contenuto della domanda proposta nell'atto di opposizione a decreto ingiuntivo l'eccezione di comportamento contrario a buona fede della banca creditrice. Infatti, la prova per presunzioni costituisce prova “completa” alla quale il giudice di merito può legittimamente ricorrere, anche in via esclusiva, nell’esercizio del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, di controllarne l’attendibilità, di scegliere, tra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione (Cass. civ., Sez. I, 22-05-2007, n. 11847). Il convincimento del giudice di merito sulla verità di un fatto può fondarsi su una presunzione se ritenuta di tale precisione e gravità da rendere inattendibili gli altri elementi di giudizio ad esso contrari, alla sola condizione che egli fornisca del convincimento così attinto una giustificazione adeguata e logicamente non contraddittoria (Cass. civ., Sez. III, 18-04-2007, n. 9245) Allorquando la prova addotta sia costituita da presunzioni, rientra nei compiti del giudice del merito il giudizio circa l’idoneità degli elementi presuntivi a consentire illazioni che ne discendano secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit, essendo il relativo apprezzamento sottratto al controllo in sede di legittimità se sorretto da motivazione immune da vizi logici o giuridici e, in particolare, ispirato al principio secondo il quale i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza, richiesti dalla legge, devono essere ricavati in relazione al complesso degli indizi, soggetti a una valutazione globale, e non con riferimento singolare a ciascuno di questi, pur senza omettere un apprezzamento così frazionato, al fine di vagliare preventivamente la rilevanza dei vari indizi e di individuare quelli ritenuti significativi e da ricomprendere nel suddetto contesto articolato e globale (Cass. civ., Sez. III, 10-11-2003, n. 16831) In secondo luogo, i giudici di piazza Cavour hanno ritenuto privo di diritto il principio secondo cui, quando si tratti per il fideiussore di fornire la prova di un comportamento del debitore principale contrario al principio di buona fede, dovrebbe escludersi la possibilità che tale prova sia fornita mediante presunzioni, poiché nulla consente di affermare che il “thema probandum” soffra di particolari limitazioni legali, sia quanto agli strumenti mediante i quali la parte interessata può assolvere il proprio onere, sia in ordine alle risultanze sulle quali il giudice è in grado di radicare il proprio convincimento. In conclusione, la Suprema Corte ha enunciato il principio in virtù del quale non meritano la copertura della fideiussione i prestiti concessi dalla banca in mala fede, cioè, con la consapevolezza che il debitore non sarebbe stato in grado di restituirli e con la certezza di poter contare esclusivamente sulla solvibilità del garante. Detto altrimenti, si ha mala fede della banca quando essa, nel concedere credito, trasferisce sul fideiussore rischi che essa stessa non avrebbe mai corso. Gaetano Riccio |
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