NEWS DI GIURISPRUDENZA
ESPROPRIAZIONE FORZATA
Cass. civ., Sez. Unite, 14 dicembre 2020, n. 28387 - pubblicato il 16 dicembre 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
Nel procedimento di espropriazione e vendita forzata immobiliare, il decreto di trasferimento del bene, recante l'ordine di cancellazione dei gravami sul medesimo (tra cui i pignoramenti e le ipoteche), determina il trasferimento del diritto oggetto della procedura espropriativa libero da quei pesi e quindi la contestuale estinzione dei medesimi vincoli, dei quali il Conservatore dei registri immobiliari (oggi Ufficio provinciale del territorio - Servizio di pubblicità immobiliare, istituito presso l'Agenzia delle Entrate) è tenuto ad eseguire la cancellazione immediatamente, in ogni caso indipendentemente dal decorso del termine di proponibilità delle opposizioni esecutive a norma dell'art. 617 c.p.c.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
Nel procedimento di espropriazione e vendita forzata immobiliare, il decreto di trasferimento del bene, recante l'ordine di cancellazione dei gravami sul medesimo (tra cui i pignoramenti e le ipoteche), determina il trasferimento del diritto oggetto della procedura espropriativa libero da quei pesi e quindi la contestuale estinzione dei medesimi vincoli, dei quali il Conservatore dei registri immobiliari (oggi Ufficio provinciale del territorio - Servizio di pubblicità immobiliare, istituito presso l'Agenzia delle Entrate) è tenuto ad eseguire la cancellazione immediatamente, in ogni caso indipendentemente dal decorso del termine di proponibilità delle opposizioni esecutive a norma dell'art. 617 c.p.c.
REMISSIONE DEL DEBITO
Cass. civ., Sez. III, Ord., 14 dicembre 2020, n. 28439 - pubblicato il 16 dicembre 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
La remissione del debito, quale causa di estinzione delle obbligazioni, esige che la volontà abdicativa del creditore sia espressa in modo inequivoco; un comportamento tacito, pertanto, può ritenersi indice della volontà del creditore di rinunciare al proprio credito solo quando non possa avere alcun'altra giustificazione razionale, se non quella di rimettere al debitore la sua obbligazione. Ne consegue che i crediti di una società commerciale estinta non possono ritenersi rinunciati per il solo fatto che non siano stati evidenziati nel bilancio finale di liquidazione, a meno che tale omissione non sia accompagnati da ulteriori circostanze tali da non consentire dubbi sul fatto che l'omessa appostazione in bilancio altra causa non potesse avere, se non la volontà della società di rinunciare a quel credito.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
La remissione del debito, quale causa di estinzione delle obbligazioni, esige che la volontà abdicativa del creditore sia espressa in modo inequivoco; un comportamento tacito, pertanto, può ritenersi indice della volontà del creditore di rinunciare al proprio credito solo quando non possa avere alcun'altra giustificazione razionale, se non quella di rimettere al debitore la sua obbligazione. Ne consegue che i crediti di una società commerciale estinta non possono ritenersi rinunciati per il solo fatto che non siano stati evidenziati nel bilancio finale di liquidazione, a meno che tale omissione non sia accompagnati da ulteriori circostanze tali da non consentire dubbi sul fatto che l'omessa appostazione in bilancio altra causa non potesse avere, se non la volontà della società di rinunciare a quel credito.
PROVA TESTIMONIALE
Cass. civ., Sez. I, Ord., 3 dicembre 2020, n. 27703 - pubblicato il 7 dicembre 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
La facoltà di astensione riconosciuta all'avvocato si inscrive nella tutela del diritto di difesa inteso in senso ampio, proprio perché è destinata a garantire la piena esplicazione del diritto di difesa, consentendo che ad un difensore tecnico possano, senza alcuna remora, essere resi noti fatti e circostanze la cui conoscenza é necessaria o utile per l'esercizio di un efficace ministero difensivo e, quindi, l'avvocato può avvalersene riguardo alle conoscenze acquisite in ogni fase dell'attività professionale, sia contenziosa che non (come nel caso in esame, in cui l'attività professionale prestata era di tipo stragiudiziale), di guisa che il presupposto oggettivo connesso allo svolgimento dell'attività professionale non può ritenersi circoscritto alla sola ipotesi in cui egli abbia assunto la veste di difensore nel processo, nel qual caso - peraltro - ricorrerebbe una incompatibilità a testimoniare.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
La facoltà di astensione riconosciuta all'avvocato si inscrive nella tutela del diritto di difesa inteso in senso ampio, proprio perché è destinata a garantire la piena esplicazione del diritto di difesa, consentendo che ad un difensore tecnico possano, senza alcuna remora, essere resi noti fatti e circostanze la cui conoscenza é necessaria o utile per l'esercizio di un efficace ministero difensivo e, quindi, l'avvocato può avvalersene riguardo alle conoscenze acquisite in ogni fase dell'attività professionale, sia contenziosa che non (come nel caso in esame, in cui l'attività professionale prestata era di tipo stragiudiziale), di guisa che il presupposto oggettivo connesso allo svolgimento dell'attività professionale non può ritenersi circoscritto alla sola ipotesi in cui egli abbia assunto la veste di difensore nel processo, nel qual caso - peraltro - ricorrerebbe una incompatibilità a testimoniare.
TRATTAMENTO ECONOMICO DI MATERNITA'
Cass. civ., Sez. lavoro, Ord., 2 dicembre 2020, n. 27552 - pubblicato il 7 dicembre 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
La disciplina del calcolo del trattamento economico di maternità e, dunque, delle modalità di determinazione del quantum, si rinviene esclusivamente nell'art. 23, D.Lgs. n. 151 del 2001 che richiama solo gli elementi che concorrono a determinare la base di calcolo delle indennità economiche di malattia mentre nulla dice in ordine alla misura della loro computabilità. Ciò perché la norma stabilisce una specifica disciplina di calcolo, prevedendo espressamente che la retribuzione parametro, da prendere a riferimento per determinare, nella misura dell'80 per cento di essa (come stabilito dal precedente art. 22), l'indennità medesima (recte di malattia), sia costituita dalla "retribuzione media globale giornaliera" che si ottiene dividendo per trenta l'importo totale della retribuzione del mese precedente a quello nel corso del quale ha avuto inizio il congedo.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
La disciplina del calcolo del trattamento economico di maternità e, dunque, delle modalità di determinazione del quantum, si rinviene esclusivamente nell'art. 23, D.Lgs. n. 151 del 2001 che richiama solo gli elementi che concorrono a determinare la base di calcolo delle indennità economiche di malattia mentre nulla dice in ordine alla misura della loro computabilità. Ciò perché la norma stabilisce una specifica disciplina di calcolo, prevedendo espressamente che la retribuzione parametro, da prendere a riferimento per determinare, nella misura dell'80 per cento di essa (come stabilito dal precedente art. 22), l'indennità medesima (recte di malattia), sia costituita dalla "retribuzione media globale giornaliera" che si ottiene dividendo per trenta l'importo totale della retribuzione del mese precedente a quello nel corso del quale ha avuto inizio il congedo.
PROVVEDIMENTI D'URGENZA
Corte cost., 26 novembre 2020, n. 253 - pubblicato il 2 dicembre 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
In tema di provvedimenti d'urgenza, anche se la parte convenuta nel procedimento sommario, che proponga una domanda riconvenzionale soggetta a riserva di collegialità, legata a quella principale da un nesso di pregiudizialità, non ha diritto al "simultaneus processus", neppure quest'ultimo le può essere precluso dalla pronuncia di inammissibilità prevista dall'art. 702 ter, comma 2, ultimo periodo c.p.c., dovendo poter il giudice valutare le ragioni del convenuto a fronte di quelle dell'attore e, all'esito, mutare il rito indirizzando la cognizione delle due domande congiuntamente nello stesso processo secondo il rito ordinario, piuttosto che tenerle distinte dichiarando inammissibile la domanda riconvenzionale. Pertanto, in caso di connessione per pregiudizialità necessaria, il giudice deve poter valutare la domanda riconvenzionale e mutare il rito fissando l'udienza di cui all'art. 183 c.p.c., come nell'ipotesi, prevista dall'art. 702 ter, comma 3 c.p.c., in cui le difese svolte dalle parti richiedano un'istruzione non sommaria. Va, pertanto, dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 702 ter, comma 2, ultimo periodo c.p.c.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
In tema di provvedimenti d'urgenza, anche se la parte convenuta nel procedimento sommario, che proponga una domanda riconvenzionale soggetta a riserva di collegialità, legata a quella principale da un nesso di pregiudizialità, non ha diritto al "simultaneus processus", neppure quest'ultimo le può essere precluso dalla pronuncia di inammissibilità prevista dall'art. 702 ter, comma 2, ultimo periodo c.p.c., dovendo poter il giudice valutare le ragioni del convenuto a fronte di quelle dell'attore e, all'esito, mutare il rito indirizzando la cognizione delle due domande congiuntamente nello stesso processo secondo il rito ordinario, piuttosto che tenerle distinte dichiarando inammissibile la domanda riconvenzionale. Pertanto, in caso di connessione per pregiudizialità necessaria, il giudice deve poter valutare la domanda riconvenzionale e mutare il rito fissando l'udienza di cui all'art. 183 c.p.c., come nell'ipotesi, prevista dall'art. 702 ter, comma 3 c.p.c., in cui le difese svolte dalle parti richiedano un'istruzione non sommaria. Va, pertanto, dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 702 ter, comma 2, ultimo periodo c.p.c.
CTU
Cass. civ., Sez. III, Ord., 18 novembre 2020, n. 26304 - pubblicato il 23 novembre 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
In tema di consulenza tecnica di ufficio, ai sensi degli artt. 194, comma 2, c.p.c. e 90, comma 1, disp. att. cod. proc. civ., alle parti va data comunicazione del giorno, ora e luogo di inizio delle operazioni peritali, senza che l'omissione (anche di una) di simili comunicazioni sia, di per sè, ragione di nullità della consulenza stessa, che si realizza soltanto quando, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, ne sia derivato un pregiudizio del diritto di difesa per non essere state le parti poste in grado, nemmeno successivamente, di intervenire alle operazioni.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
In tema di consulenza tecnica di ufficio, ai sensi degli artt. 194, comma 2, c.p.c. e 90, comma 1, disp. att. cod. proc. civ., alle parti va data comunicazione del giorno, ora e luogo di inizio delle operazioni peritali, senza che l'omissione (anche di una) di simili comunicazioni sia, di per sè, ragione di nullità della consulenza stessa, che si realizza soltanto quando, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, ne sia derivato un pregiudizio del diritto di difesa per non essere state le parti poste in grado, nemmeno successivamente, di intervenire alle operazioni.
BANCHE
Cass. civ., Sez. Unite, Ord., 16/ novembre 2020, n. 25953 - pubblicato il 23 novembre 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
Le controversie relative alle domande proposte da investitori e azionisti nei confronti delle autorità di vigilanza (Banca d'Italia e CONSOB) per i danni conseguenti alla mancata, inadeguata o ritardata vigilanza su banche e intermediari sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, non venendo in rilievo la contestazione di poteri amministrativi, ma di comportamenti "doverosi" posti a tutela del risparmio, che non investono scelte ed atti autoritativi, essendo tali autorità tenute a rispondere delle conseguenze della violazione dei canoni comportamentali della diligenza, prudenza e perizia, nonché delle norme di legge e regolamentari relative al corretto svolgimento dell'attività di vigilanza, quali espressione del principio generale del neminem laedere.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
Le controversie relative alle domande proposte da investitori e azionisti nei confronti delle autorità di vigilanza (Banca d'Italia e CONSOB) per i danni conseguenti alla mancata, inadeguata o ritardata vigilanza su banche e intermediari sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, non venendo in rilievo la contestazione di poteri amministrativi, ma di comportamenti "doverosi" posti a tutela del risparmio, che non investono scelte ed atti autoritativi, essendo tali autorità tenute a rispondere delle conseguenze della violazione dei canoni comportamentali della diligenza, prudenza e perizia, nonché delle norme di legge e regolamentari relative al corretto svolgimento dell'attività di vigilanza, quali espressione del principio generale del neminem laedere.
APPELLO
Cass. civ., Sez. lavoro, 4 novembre 2020, n. 24604 - pubblicato il 9 novembre 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
Gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla legge n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere, a pena d'inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra tuttavia l'utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di "revisio prioris instantiae" del giudizio di appello, il quale mantiene la propria diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
Gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla legge n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere, a pena d'inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra tuttavia l'utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di "revisio prioris instantiae" del giudizio di appello, il quale mantiene la propria diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata.
ICI
Cass. civ., Sez. V, 4 novembre 2020, n. 24538 - pubblicato il 6 novembre 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
In tema di Ici, ai fini della spettanza della detrazione e dell'applicazione dell'aliquota ridotta prevista per le "abitazioni principali", nell'ipotesi in cui due coniugi non separati legalmente abbiano la propria abitazione in due differenti immobili, il nucleo familiare (inteso come unità distinta ed automa rispetto ai suoi singoli componenti) resta unico, ed unica, pertanto, potrà essere anche l'abitazione principale ad esso riferibile, con la conseguenza che il contribuente, il quale dimori in un immobile di cui sia proprietario (o titolare di altro diritto reale), non avrà alcun diritto all'agevolazione se tale immobile non costituisca anche dimora abituale dei suoi familiari. Nell’ipotesi, invece, in cui risulti accertato che il trasferimento della dimora abituale di uno dei coniugi sia avvenuto per la frattura del rapporto di convivenza, cioè per una situazione di fatto consistente nella inconciliabilità della prosecuzione della convivenza, sotto lo stesso tetto, delle persone legate dal rapporto coniugale, con conseguente superamento della presunzione di coincidenza tra casa coniugale e abitazione principale, la frattura del rapporto di convivenza tra i coniugi, intesa quale separazione di fatto, comporta una disgregazione del nucleo familiare e, conseguentemente, l'abitazione principale non potrà essere più identificata con la casa coniugale.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
In tema di Ici, ai fini della spettanza della detrazione e dell'applicazione dell'aliquota ridotta prevista per le "abitazioni principali", nell'ipotesi in cui due coniugi non separati legalmente abbiano la propria abitazione in due differenti immobili, il nucleo familiare (inteso come unità distinta ed automa rispetto ai suoi singoli componenti) resta unico, ed unica, pertanto, potrà essere anche l'abitazione principale ad esso riferibile, con la conseguenza che il contribuente, il quale dimori in un immobile di cui sia proprietario (o titolare di altro diritto reale), non avrà alcun diritto all'agevolazione se tale immobile non costituisca anche dimora abituale dei suoi familiari. Nell’ipotesi, invece, in cui risulti accertato che il trasferimento della dimora abituale di uno dei coniugi sia avvenuto per la frattura del rapporto di convivenza, cioè per una situazione di fatto consistente nella inconciliabilità della prosecuzione della convivenza, sotto lo stesso tetto, delle persone legate dal rapporto coniugale, con conseguente superamento della presunzione di coincidenza tra casa coniugale e abitazione principale, la frattura del rapporto di convivenza tra i coniugi, intesa quale separazione di fatto, comporta una disgregazione del nucleo familiare e, conseguentemente, l'abitazione principale non potrà essere più identificata con la casa coniugale.
DONAZIONE
Cass. civ., Sez. VI - 1 Ord., 15 ottobre 2020, n. 22341 - pubblicato il 20 ottobre 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
Esula dalla competenza del tribunale specializzato in materia d'impresa la controversia relativa alla domanda di revocazione di una donazione, pur quando essa abbia avuto ad oggetto, diretto o indiretto, partecipazioni sociali, laddove l'attore lamenti, ai sensi dell'art. 801 c.c., condotte foriere della caducazione del contratto per la violazione degli elementari obblighi verso il donante ivi previsti, onde le vicende societarie vi restino affatto estranee.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
Esula dalla competenza del tribunale specializzato in materia d'impresa la controversia relativa alla domanda di revocazione di una donazione, pur quando essa abbia avuto ad oggetto, diretto o indiretto, partecipazioni sociali, laddove l'attore lamenti, ai sensi dell'art. 801 c.c., condotte foriere della caducazione del contratto per la violazione degli elementari obblighi verso il donante ivi previsti, onde le vicende societarie vi restino affatto estranee.
LICENZIAMENTO
Cass. civ., Sez. lavoro, Ord., 14 ottobre 2020, n. 22217 - pubblicato il 19 ottobre 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
In tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, la platea dei lavoratori interessati alla riduzione di personale può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore ove ricorrano oggettive esigenze tecnico-produttive, tuttavia è necessario che queste siano coerenti con le indicazioni contenute nella comunicazione di cui all'art. 4, 3 comma della legge n. 223 del 1991 ed è onere del datore di lavoro provare il fatto che giustifica il più ristretto ambito nel quale la scelta è stata effettuata. Ben può quindi il datore di lavoro circoscrivere ad una unità produttiva la platea dei lavoratori da licenziare ma deve indicare nella comunicazione ex art. 4, comma 3, della legge n. 223 del 1991, sia le ragioni che limitino i licenziamenti ai dipendenti dell'unità o settore in questione, sia le ragioni per cui non, ritenga di ovviarvi con il trasferimento ad unità produttive vicine, ciò al fine di consentire alle organizzazioni sindacali di verificare l'effettiva necessità dei programmati licenziamenti. Qualora, nella comunicazione si faccia generico riferimento alla situazione generale del complesso aziendale, senza alcuna specificazione delle unità produttive da sopprimere, i licenziamenti intimati sono illegittimi per violazione dell'obbligo di specifica indicazione delle oggettive esigenze aziendali.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
In tema di licenziamento collettivo per riduzione di personale, la platea dei lavoratori interessati alla riduzione di personale può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o settore ove ricorrano oggettive esigenze tecnico-produttive, tuttavia è necessario che queste siano coerenti con le indicazioni contenute nella comunicazione di cui all'art. 4, 3 comma della legge n. 223 del 1991 ed è onere del datore di lavoro provare il fatto che giustifica il più ristretto ambito nel quale la scelta è stata effettuata. Ben può quindi il datore di lavoro circoscrivere ad una unità produttiva la platea dei lavoratori da licenziare ma deve indicare nella comunicazione ex art. 4, comma 3, della legge n. 223 del 1991, sia le ragioni che limitino i licenziamenti ai dipendenti dell'unità o settore in questione, sia le ragioni per cui non, ritenga di ovviarvi con il trasferimento ad unità produttive vicine, ciò al fine di consentire alle organizzazioni sindacali di verificare l'effettiva necessità dei programmati licenziamenti. Qualora, nella comunicazione si faccia generico riferimento alla situazione generale del complesso aziendale, senza alcuna specificazione delle unità produttive da sopprimere, i licenziamenti intimati sono illegittimi per violazione dell'obbligo di specifica indicazione delle oggettive esigenze aziendali.
CONTRATTO DI LOCAZIONE
Cass. civ., Sez. VI, Ord., 5 ottobre 2020, n. 21326 - pubblicato l'8 ottobre 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
Il giudizio sulla risolubilità per inadempimento di un contratto di locazione ex art. 1455 c.c. non coinvolge soltanto l'elemento oggettivo della mancata prestazione, bensì anche aspetti soggettivi, costituiti dal comportamento della parte inadempiente, dall'importanza per il locatore della mancata corresponsione dei canoni e dall'entità del turbamento causato all'equilibrio del rapporto sinallagmatico.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
Il giudizio sulla risolubilità per inadempimento di un contratto di locazione ex art. 1455 c.c. non coinvolge soltanto l'elemento oggettivo della mancata prestazione, bensì anche aspetti soggettivi, costituiti dal comportamento della parte inadempiente, dall'importanza per il locatore della mancata corresponsione dei canoni e dall'entità del turbamento causato all'equilibrio del rapporto sinallagmatico.
DANNO SUBITO DAL LAVORATORE
Cass. civ., Sez. lavoro, Ord., 5 ottobre 2020, n. 21315 - pubblicato il 6 ottobre 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
In materia di pubblico impiego privatizzato, il danno subito dal lavoratore nell'ipotesi di contratto di lavoro nullo per violazione delle disposizioni che regolano le assunzioni alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni, di cui sia chiesto il risarcimento ai sensi dell'art. 36, comma 5 del D.Lgs. n. 165 del 2001 non coincide con le retribuzioni ed i correlati oneri contributivi e previdenziali, dal momento che tali voci sono comunque dovute, in virtù del principio di corrispettività di cui all'art. 2126 c.c., per le prestazioni eseguite durante lo svolgimento in via di fatto del rapporto di lavoro.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
In materia di pubblico impiego privatizzato, il danno subito dal lavoratore nell'ipotesi di contratto di lavoro nullo per violazione delle disposizioni che regolano le assunzioni alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni, di cui sia chiesto il risarcimento ai sensi dell'art. 36, comma 5 del D.Lgs. n. 165 del 2001 non coincide con le retribuzioni ed i correlati oneri contributivi e previdenziali, dal momento che tali voci sono comunque dovute, in virtù del principio di corrispettività di cui all'art. 2126 c.c., per le prestazioni eseguite durante lo svolgimento in via di fatto del rapporto di lavoro.
CONGEDO DI MATERNITA'
Cass. civ., Sez. lavoro, Ord., 29 settembre 2020, n. 20673 - pubblicato il 3 ottobre 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
L'art. 22 del D.Lgs. n. 151 del 2001 disciplina, in generale, il trattamento economico e normativo del congedo di maternità, stabilendo, quanto a quello economico, che lo stesso sia "pari all'80% della retribuzione" e, quanto agli aspetti normativi, che il trattamento sia corrisposto con le modalità di cui all'art. 1 del decreto legge 30 dicembre 1979, n. 663, e con gli stessi criteri previsti per l'erogazione delle prestazioni dell'assicurazione obbligatoria contro le malattie. Il rinvio ai criteri previsti per l'erogazione delle prestazioni dell'assicurazione obbligatoria contro le malattie deve intendersi riferito esclusivamente agli istituti che disciplinano l'indennità di malattia, come, per esempio, in tema di domanda amministrativa o di regime prescrizionale. Per il resto, l'indennità di malattia gode di una propria disciplina autonoma in ordine alla specifica indicazione dell'evento protetto, dei soggetti beneficiari e del livello di prestazioni garantite all'avente diritto. Soprattutto, vi è differenza tra le due tutele in ragione delle modalità di finanziamento. La disciplina del calcolo del trattamento economico di maternità, e dunque delle modalità di determinazione del quantum, si rinviene, infatti, esclusivamente nel successivo art. 23 che, come correttamente interpretato dalla Corte d'appello, richiama solo gli elementi (id est voci retributive) che concorrono a determinare la base di calcolo delle indennità economiche di malattia, mentre nulla dice in ordine alla misura della loro computabilità.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
L'art. 22 del D.Lgs. n. 151 del 2001 disciplina, in generale, il trattamento economico e normativo del congedo di maternità, stabilendo, quanto a quello economico, che lo stesso sia "pari all'80% della retribuzione" e, quanto agli aspetti normativi, che il trattamento sia corrisposto con le modalità di cui all'art. 1 del decreto legge 30 dicembre 1979, n. 663, e con gli stessi criteri previsti per l'erogazione delle prestazioni dell'assicurazione obbligatoria contro le malattie. Il rinvio ai criteri previsti per l'erogazione delle prestazioni dell'assicurazione obbligatoria contro le malattie deve intendersi riferito esclusivamente agli istituti che disciplinano l'indennità di malattia, come, per esempio, in tema di domanda amministrativa o di regime prescrizionale. Per il resto, l'indennità di malattia gode di una propria disciplina autonoma in ordine alla specifica indicazione dell'evento protetto, dei soggetti beneficiari e del livello di prestazioni garantite all'avente diritto. Soprattutto, vi è differenza tra le due tutele in ragione delle modalità di finanziamento. La disciplina del calcolo del trattamento economico di maternità, e dunque delle modalità di determinazione del quantum, si rinviene, infatti, esclusivamente nel successivo art. 23 che, come correttamente interpretato dalla Corte d'appello, richiama solo gli elementi (id est voci retributive) che concorrono a determinare la base di calcolo delle indennità economiche di malattia, mentre nulla dice in ordine alla misura della loro computabilità.
SCIOGLIMENTO SOCIETA'
Cass. civ., Sez. I, 29 settembre 2020, n. 20625 - pubblicato il 2 ottobre 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
La deliberazione di scioglimento anticipato di una società può essere invalidata, in difetto delle ragioni tipiche all'uopo previste, sotto il profilo dell'abuso della regola di maggioranza, quando risulti arbitrariamente o fraudolentemente preordinata dai soci maggioritari al solo fine di perseguire interessi divergenti da quelli societari, ovvero di ledere gli interessi degli altri soci. La relativa prova incombe sul socio di minoranza il quale dovrà a tal fine indicare i "sintomi" di illiceità della delibera, deducibili non solo da elementi di fatto esistenti al momento della sua approvazione, ma anche da circostanze verificatesi successivamente, in modo da consentire al giudice di verificarne le reali motivazioni e accertare se effettivamente abuso vi sia stato. Peraltro, all'infuori della ipotesi di un esercizio "ingiustificato" ovvero "fraudolento" del potere di voto ad opera dei soci maggioritari, resta preclusa ogni possibilità di controllo in sede giudiziaria sui motivi che hanno indotto la maggioranza alla votazione della delibera di scioglimento anticipato della società, essendo insindacabili le esigenze relative all'economia individuale del socio che possano averlo indotto a votare per tale soluzione dissolutiva.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
La deliberazione di scioglimento anticipato di una società può essere invalidata, in difetto delle ragioni tipiche all'uopo previste, sotto il profilo dell'abuso della regola di maggioranza, quando risulti arbitrariamente o fraudolentemente preordinata dai soci maggioritari al solo fine di perseguire interessi divergenti da quelli societari, ovvero di ledere gli interessi degli altri soci. La relativa prova incombe sul socio di minoranza il quale dovrà a tal fine indicare i "sintomi" di illiceità della delibera, deducibili non solo da elementi di fatto esistenti al momento della sua approvazione, ma anche da circostanze verificatesi successivamente, in modo da consentire al giudice di verificarne le reali motivazioni e accertare se effettivamente abuso vi sia stato. Peraltro, all'infuori della ipotesi di un esercizio "ingiustificato" ovvero "fraudolento" del potere di voto ad opera dei soci maggioritari, resta preclusa ogni possibilità di controllo in sede giudiziaria sui motivi che hanno indotto la maggioranza alla votazione della delibera di scioglimento anticipato della società, essendo insindacabili le esigenze relative all'economia individuale del socio che possano averlo indotto a votare per tale soluzione dissolutiva.
SEPARAZIONE DEI CONIUGI
Cass. civ., Sez. VI - 1, Ord., 16 settembre 2020, n. 19299 - pubblicato il 22 settembre 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
In tema di separazione personale, l'art. 155 c.c., nell'imporre a ciascuno dei coniugi l'obbligo di provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito, individua, quali elementi da tenere in conto nella determinazione dell'assegno, oltre alle esigenze dei figli, il tenore di vita dallo stesso goduto in costanza di convivenza, i tempi di permanenza presso ciascuno di essi e la valenza economica dei compiti domestici e di cura da loro assunti, nonché, appunto, le risorse economiche di entrambi i genitori.
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In tema di separazione personale, l'art. 155 c.c., nell'imporre a ciascuno dei coniugi l'obbligo di provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito, individua, quali elementi da tenere in conto nella determinazione dell'assegno, oltre alle esigenze dei figli, il tenore di vita dallo stesso goduto in costanza di convivenza, i tempi di permanenza presso ciascuno di essi e la valenza economica dei compiti domestici e di cura da loro assunti, nonché, appunto, le risorse economiche di entrambi i genitori.
ONORARI
Cass. civ., Sez. VI - 2 Ord., 10 settembre 2020, n. 18791 - pubblicato il 15 settembre 2020
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L'art. 12, comma 1, D.M. n. 55 del 2014 prevede che, ai fini della liquidazione del compenso spettante al difensore per le prestazioni professionali dallo stesso rese nel giudizio penale, si tiene conto, tra l'altro, "del numero di udienze, pubbliche o camerali, diverse da quelle di mero rinvio, e del tempo necessario all'espletamento delle attività medesime". Il tempo occorrente per lo svolgimento della prestazione professionale, quindi, purché svolta in udienza che non sia di mero rinvio, rileva unicamente ai fini della quantificazione del compenso conseguentemente maturato ma non può in alcun modo comportare che, in ragione dell'asserita brevità temporale di esecuzione della stessa, il compenso relativo possa essere addirittura negato.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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L'art. 12, comma 1, D.M. n. 55 del 2014 prevede che, ai fini della liquidazione del compenso spettante al difensore per le prestazioni professionali dallo stesso rese nel giudizio penale, si tiene conto, tra l'altro, "del numero di udienze, pubbliche o camerali, diverse da quelle di mero rinvio, e del tempo necessario all'espletamento delle attività medesime". Il tempo occorrente per lo svolgimento della prestazione professionale, quindi, purché svolta in udienza che non sia di mero rinvio, rileva unicamente ai fini della quantificazione del compenso conseguentemente maturato ma non può in alcun modo comportare che, in ragione dell'asserita brevità temporale di esecuzione della stessa, il compenso relativo possa essere addirittura negato.
IL PROCESSO PENALE AI TEMPI DEL CORONAVIRUS:
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ESECUZIONE FORZATA
Cass. civ., Sez. VI - 3, Ord., 31 agosto 2020, n. 18065 - pubblicato il 3 settembre 2020
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Foro di Nocera Inferiore
In tema di opposizione a cartella esattoriale, nei rapporti tra esecutato opponente ed agente della riscossione non costituisce, di per sé sola considerata, presupposto per la compensazione la circostanza dell'ascrivibilità della soccombenza, nella pure dispiegata opposizione, a vizi o condotte dell'ente creditore, atteso che l'istituzionale posizione di procedente necessario per legge, in un processo esecutivo caratterizzato dalla scissione tra il potere di agire e la titolarità del diritto da eseguire, lungi dall'esonerare l'agente, lo fonda quale unica controparte necessaria dell'opposizione e quindi, salva la sua facoltà di chiamare in causa l'ente creditore per farsene manlevare, quale legittimato passivo della condanna alle spese in caso di vittorioso esito dell'opposizione.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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In tema di opposizione a cartella esattoriale, nei rapporti tra esecutato opponente ed agente della riscossione non costituisce, di per sé sola considerata, presupposto per la compensazione la circostanza dell'ascrivibilità della soccombenza, nella pure dispiegata opposizione, a vizi o condotte dell'ente creditore, atteso che l'istituzionale posizione di procedente necessario per legge, in un processo esecutivo caratterizzato dalla scissione tra il potere di agire e la titolarità del diritto da eseguire, lungi dall'esonerare l'agente, lo fonda quale unica controparte necessaria dell'opposizione e quindi, salva la sua facoltà di chiamare in causa l'ente creditore per farsene manlevare, quale legittimato passivo della condanna alle spese in caso di vittorioso esito dell'opposizione.
ONERE DELLA PROVA
Cass. civ., Sez. lavoro, Ord., 31 agosto 2020, n. 18132 - pubblicato il 2 settembre 2020
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Foro di Nocera Inferiore
L'art. 2087 c.c. non configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro, di natura contrattuale, va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento; ne consegue che incombe al lavoratore che lamenti di avere subìto, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare, oltre all'esistenza di tale danno, la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'una e l'altra e, solo se il lavoratore abbia fornito tale prova, sussiste per il datore di lavoro l'onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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L'art. 2087 c.c. non configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro, di natura contrattuale, va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento; ne consegue che incombe al lavoratore che lamenti di avere subìto, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare, oltre all'esistenza di tale danno, la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'una e l'altra e, solo se il lavoratore abbia fornito tale prova, sussiste per il datore di lavoro l'onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi.
MISURE CAUTELARI PERSONALI
Cass. pen., Sez. feriale, 18 agosto 2020, n. 24022 - pubblicato il 1° settembre 2020
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Foro di Nocera Inferiore
In tema di misure cautelari personali, ai fini della valutazione delle esigenze cautelari in relazione al delitto di bancarotta fraudolenta, il tempo trascorso dalla commissione del fatto deve, in ogni caso, essere determinato avendo riguardo all'epoca in cui le condotte illecite sono state poste in essere e non al momento in cui è intervenuta la dichiarazione giudiziale di insolvenza, la quale, anche se determina il momento consumativo del reato, non costituisce riferimento utile per vagliare il comportamento dell'indagato, ai sensi dell'art. 274 c.p.p. collocandosi fuori della sua sfera volitiva.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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In tema di misure cautelari personali, ai fini della valutazione delle esigenze cautelari in relazione al delitto di bancarotta fraudolenta, il tempo trascorso dalla commissione del fatto deve, in ogni caso, essere determinato avendo riguardo all'epoca in cui le condotte illecite sono state poste in essere e non al momento in cui è intervenuta la dichiarazione giudiziale di insolvenza, la quale, anche se determina il momento consumativo del reato, non costituisce riferimento utile per vagliare il comportamento dell'indagato, ai sensi dell'art. 274 c.p.p. collocandosi fuori della sua sfera volitiva.
NASCITA INDESIDERATA
Cass. civ., Sez. III, 6 luglio 2020, n. 13881 - pubblicato il 9 luglio 2020
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Nel giudizio avente ad oggetto il risarcimento del danno cosiddetto da nascita indesiderata (ricorrente quando, a causa del mancato rilievo da parte del sanitario dell'esistenza di malformazioni congenite del feto, la gestante perda la possibilità di abortire) è onere della parte attrice allegare e dimostrare, con riguardo alla sua concreta situazione, la sussistenza delle condizioni legittimanti l'interruzione della gravidanza ai sensi dell'art. 6, comma 1, lett. b) della L. 22 maggio 1978 n. 194, ovvero che la conoscibilità, da parte della stessa, dell'esistenza di rilevanti anomalie o malformazioni del feto avrebbe generato uno stato patologico tale da mettere in pericolo la sua salute fisica o psichica.
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Nel giudizio avente ad oggetto il risarcimento del danno cosiddetto da nascita indesiderata (ricorrente quando, a causa del mancato rilievo da parte del sanitario dell'esistenza di malformazioni congenite del feto, la gestante perda la possibilità di abortire) è onere della parte attrice allegare e dimostrare, con riguardo alla sua concreta situazione, la sussistenza delle condizioni legittimanti l'interruzione della gravidanza ai sensi dell'art. 6, comma 1, lett. b) della L. 22 maggio 1978 n. 194, ovvero che la conoscibilità, da parte della stessa, dell'esistenza di rilevanti anomalie o malformazioni del feto avrebbe generato uno stato patologico tale da mettere in pericolo la sua salute fisica o psichica.
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RICORSO IN CASSAZIONE
Cass. civ., Sez. VI, Ord., 24 giugno 2020, n. 12387 - pubblicato il 30 giugno 2020
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In tema di ricorso per cassazione, il "fatto storico" di cui all'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. è accadimento fenomenico esterno alla dinamica propria del processo, ossia a quella sequela di atti ed attività disciplinate dal codice di rito che, dunque, viene a caratterizzare diversa natura e portata del "fatto processuale", il quale segna il differente ambito del vizio deducibile, in sede di legittimità, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. La C.T.U. è, pertanto, un atto processuale che svolge funzione di ausilio del giudice nella valutazione dei fatti e degli elementi acquisiti (consulenza c.d. deducente) ovvero, in determinati casi (come in ambito di responsabilità sanitaria), assurge a fonte di prova dell'accertamento dei fatti (consulenza c.d. percipiente). Ne consegue che la C.T.U. costituisce l'elemento istruttorio da cui è possibile trarre il "fatto storico", rilevato e/o accertato dal consulente, il cui esame il giudice del merito abbia omesso e che la parte è tenuta ad indicare sufficientemente.
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In tema di ricorso per cassazione, il "fatto storico" di cui all'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. è accadimento fenomenico esterno alla dinamica propria del processo, ossia a quella sequela di atti ed attività disciplinate dal codice di rito che, dunque, viene a caratterizzare diversa natura e portata del "fatto processuale", il quale segna il differente ambito del vizio deducibile, in sede di legittimità, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. La C.T.U. è, pertanto, un atto processuale che svolge funzione di ausilio del giudice nella valutazione dei fatti e degli elementi acquisiti (consulenza c.d. deducente) ovvero, in determinati casi (come in ambito di responsabilità sanitaria), assurge a fonte di prova dell'accertamento dei fatti (consulenza c.d. percipiente). Ne consegue che la C.T.U. costituisce l'elemento istruttorio da cui è possibile trarre il "fatto storico", rilevato e/o accertato dal consulente, il cui esame il giudice del merito abbia omesso e che la parte è tenuta ad indicare sufficientemente.
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TUTELA DELLE CONDIZIONI DI LAVORO
Cass. civ., Sez. VI Lavoro, Ord., 24 giugno 2020, n. 12465 - pubblicato il 30 giugno 2020
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Foro di Nocera Inferiore
In tema di sicurezza sul lavoro, il committente (datore di lavoro), che affida lavori all'interno della propria azienda ad imprese appaltatrici, ha l'obbligo di verificare l'idoneità tecnico-professionale delle stesse imprese appaltatrici in relazione ai lavori affidati in appalto; di fornire agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente di lavoro in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività; di cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto; di coordinare gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori (informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze). Gli stessi obblighi, discendenti dall'art. 2087 c.c. e dall'art. 7 del D.Lgs. 19 settembre 1994 n. 626, sono posti parimenti a carico dell'appaltatore sub-committente, in quanto anch'egli responsabile di una scelta di per sé rischiosa secondo la legge (quel1a del1'ulteriore segmentazione del1'attività produttiva) che incide, elevandoli, sui rischi relativi al processo produttivo; tanto più quando mantenga sotto il proprio controllo un'area aziendale e metta a disposizione dei subappaltatori proprie macchine pericolose.
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In tema di sicurezza sul lavoro, il committente (datore di lavoro), che affida lavori all'interno della propria azienda ad imprese appaltatrici, ha l'obbligo di verificare l'idoneità tecnico-professionale delle stesse imprese appaltatrici in relazione ai lavori affidati in appalto; di fornire agli stessi soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell'ambiente di lavoro in cui sono destinati ad operare e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate in relazione alla propria attività; di cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione e protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull'attività lavorativa oggetto dell'appalto; di coordinare gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori (informandosi reciprocamente anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze). Gli stessi obblighi, discendenti dall'art. 2087 c.c. e dall'art. 7 del D.Lgs. 19 settembre 1994 n. 626, sono posti parimenti a carico dell'appaltatore sub-committente, in quanto anch'egli responsabile di una scelta di per sé rischiosa secondo la legge (quel1a del1'ulteriore segmentazione del1'attività produttiva) che incide, elevandoli, sui rischi relativi al processo produttivo; tanto più quando mantenga sotto il proprio controllo un'area aziendale e metta a disposizione dei subappaltatori proprie macchine pericolose.
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SEPARAZIONE PERSONALE
Cass. civ., Sez. III, Ord., 22 giugno 2020, n. 12114 - pubblicato il 22 giugno 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
Nel rapporto di godimento di alloggio adibito a residenza familiare assegnato al socio di cooperativa edilizia di categoria con finalità mutualistica, succede ex lege, in caso di separazione personale, sia essa giudiziale o consensuale, alle stesse condizioni, il coniuge assegnatario del diritto di godimento sulla casa coniugale.
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Nel rapporto di godimento di alloggio adibito a residenza familiare assegnato al socio di cooperativa edilizia di categoria con finalità mutualistica, succede ex lege, in caso di separazione personale, sia essa giudiziale o consensuale, alle stesse condizioni, il coniuge assegnatario del diritto di godimento sulla casa coniugale.
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PERMESSI PREMIO
Corte cost., 12 giugno 2020, n. 113 - pubblicato il 16 giugno 2020
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Foro di Nocera Inferiore
In tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti, l'art. 30-ter, comma 7, ordin. penit. è costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede, mediante rinvio al precedente art. 30-bis, che il provvedimento relativo ai permessi premio è soggetto a reclamo al tribunale di sorveglianza entro ventiquattro ore dalla sua comunicazione, anziché prevedere a tal fine il termine di quindici giorni, tanto per l'interessato quanto per il pubblico ministero, restando fermo il rinvio alle procedure di cui all'art. 30-bis ordin. penit. per ogni profilo diverso dal termine per il reclamo.
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In tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti, l'art. 30-ter, comma 7, ordin. penit. è costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede, mediante rinvio al precedente art. 30-bis, che il provvedimento relativo ai permessi premio è soggetto a reclamo al tribunale di sorveglianza entro ventiquattro ore dalla sua comunicazione, anziché prevedere a tal fine il termine di quindici giorni, tanto per l'interessato quanto per il pubblico ministero, restando fermo il rinvio alle procedure di cui all'art. 30-bis ordin. penit. per ogni profilo diverso dal termine per il reclamo.
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RESPONSABILITà DEL NOTAIO
Cass. civ., Sez. III, 12 giugno 2020, n. 11296 - pubblicato il 16 giugno 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
Per il notaio cui sia richiesta la preparazione e stesura di un atto pubblico di trasferimento immobiliare, la preventiva verifica della libertà e disponibilità del bene e, più in generale, delle risultanze dei registri immobiliari attraverso la loro visura, costituisce, salva espressa dispensa per concorde volontà delle parti, obbligo derivante dall'incarico conferitogli dal cliente e, quindi, fa parte dell'oggetto della prestazione d'opera professionale, poiché l'opera di cui è richiesto non si riduce al mero compito di accertamento della volontà delle parti, ma si estende a quelle attività preparatorie e successive necessarie perché sia assicurata la serietà e certezza dell'atto giuridico da rogarsi ed, in particolare, la sua attitudine ad assicurare il conseguimento dello scopo tipico di esso e del risultato pratico voluto dalle parti partecipanti alla stipula dell'atto medesimo. Conseguentemente, l'inosservanza dei suddetti obblighi accessori da parte del notaio da luogo a responsabilità ex contractu per inadempimento dell'obbligazione di prestazione d'opera intellettuale, a nulla rilevando che la legge professionale non contenga alcun esplicito riferimento a tale peculiare forma di responsabilità, e, stante il suddetto obbligo, non è ontologicamente configurabile il concorso colposo del danneggiato ex art. 1227 c.c.
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Per il notaio cui sia richiesta la preparazione e stesura di un atto pubblico di trasferimento immobiliare, la preventiva verifica della libertà e disponibilità del bene e, più in generale, delle risultanze dei registri immobiliari attraverso la loro visura, costituisce, salva espressa dispensa per concorde volontà delle parti, obbligo derivante dall'incarico conferitogli dal cliente e, quindi, fa parte dell'oggetto della prestazione d'opera professionale, poiché l'opera di cui è richiesto non si riduce al mero compito di accertamento della volontà delle parti, ma si estende a quelle attività preparatorie e successive necessarie perché sia assicurata la serietà e certezza dell'atto giuridico da rogarsi ed, in particolare, la sua attitudine ad assicurare il conseguimento dello scopo tipico di esso e del risultato pratico voluto dalle parti partecipanti alla stipula dell'atto medesimo. Conseguentemente, l'inosservanza dei suddetti obblighi accessori da parte del notaio da luogo a responsabilità ex contractu per inadempimento dell'obbligazione di prestazione d'opera intellettuale, a nulla rilevando che la legge professionale non contenga alcun esplicito riferimento a tale peculiare forma di responsabilità, e, stante il suddetto obbligo, non è ontologicamente configurabile il concorso colposo del danneggiato ex art. 1227 c.c.
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DONAZIONE
Cass. civ., Sez. V, 4 giugno 2020, n. 10561 - pubblicato il 9 giugno 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
L'Agenzia delle Entrate deve dare la prova dell'uso strumentale della donazione per evitare il pagamento dell'imposta sulla plusvalenza maturata dal donante. Non può ritenersi sufficiente per tale dimostrazione la semplice sequenza temporale fra i due atti (donazione-permuta), di per sé non idonea a dimostrare l'esistenza di un'interposizione fittizia di persona, come tale soggetta a plusvalenza.
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L'Agenzia delle Entrate deve dare la prova dell'uso strumentale della donazione per evitare il pagamento dell'imposta sulla plusvalenza maturata dal donante. Non può ritenersi sufficiente per tale dimostrazione la semplice sequenza temporale fra i due atti (donazione-permuta), di per sé non idonea a dimostrare l'esistenza di un'interposizione fittizia di persona, come tale soggetta a plusvalenza.
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PRESTITO DI AZIONI
Cass. civ., Sez. V, 4 giugno 2020, n. 10551 - pubblicato il 9 giugno 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
L'operazione di stock lending, ossia il prestito di azioni con previsione a favore del mutuatario del diritto all'incasso dei dividendi dietro versamento al mutuante di una commissione (corrispondente, o meno, all'ammontare dei dividendi riscossi), realizza il medesimo fenomeno economico dell'usufrutto di azioni, senza che rilevi, ai fini tributari, che in un caso si verta su un diritto reale e, nell'altro, su un diritto di credito, sicchè è soggetta ai limiti previsti dall'art. 109, co. 8, D.P.R. n. 917/1986, restando il versamento della commissione costo indeducibile.
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L'operazione di stock lending, ossia il prestito di azioni con previsione a favore del mutuatario del diritto all'incasso dei dividendi dietro versamento al mutuante di una commissione (corrispondente, o meno, all'ammontare dei dividendi riscossi), realizza il medesimo fenomeno economico dell'usufrutto di azioni, senza che rilevi, ai fini tributari, che in un caso si verta su un diritto reale e, nell'altro, su un diritto di credito, sicchè è soggetta ai limiti previsti dall'art. 109, co. 8, D.P.R. n. 917/1986, restando il versamento della commissione costo indeducibile.
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EFFETTI DEL FALLIMENTO
Cass. civ., Sez. V, 28 maggio 2020, n. 10108 - pubblicato il 3 giugno 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
La speciale disciplina relativa al fallimento opera in un regime di spossessamento pieno dell'imprenditore insolvente, laddove in caso di procedura di concordato preventivo i beni dell'imprenditore insolvente o in crisi restano di proprietà dell'imprenditore, sotto la vigilanza degli organi della procedura (c.d. spossessamento attenuato). Difatti, il commissario giudiziale (organo della procedura) ha compiti di mera vigilanza e il liquidatore giudiziale, nominato in caso di concordato per cessione dei beni, si occupa della liquidazione dei beni del debitore, senza far venir meno la figura dell'imprenditore o degli organi sociali, che continuano ad essere soggetti passivi degli obblighi tributari e di contabilità. Il liquidatore non ha la legittimazione ad agire o resistere, in relazione ai giudizi, compresi quelli tributari, di accertamento delle ragioni di credito e pagamento dei relativi debiti, ancorché influenti sul riparto che segue le operazioni di liquidazione, potendo, al più, spiegare intervento, in quanto la legittimazione processuale spetta all'imprenditore sottoposto al concordato preventivo.
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La speciale disciplina relativa al fallimento opera in un regime di spossessamento pieno dell'imprenditore insolvente, laddove in caso di procedura di concordato preventivo i beni dell'imprenditore insolvente o in crisi restano di proprietà dell'imprenditore, sotto la vigilanza degli organi della procedura (c.d. spossessamento attenuato). Difatti, il commissario giudiziale (organo della procedura) ha compiti di mera vigilanza e il liquidatore giudiziale, nominato in caso di concordato per cessione dei beni, si occupa della liquidazione dei beni del debitore, senza far venir meno la figura dell'imprenditore o degli organi sociali, che continuano ad essere soggetti passivi degli obblighi tributari e di contabilità. Il liquidatore non ha la legittimazione ad agire o resistere, in relazione ai giudizi, compresi quelli tributari, di accertamento delle ragioni di credito e pagamento dei relativi debiti, ancorché influenti sul riparto che segue le operazioni di liquidazione, potendo, al più, spiegare intervento, in quanto la legittimazione processuale spetta all'imprenditore sottoposto al concordato preventivo.
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VIOLAZIONE DELLA BUONA FEDE E DELLA CORRETTEZZA
Cass. civ., Sez. I, 28 maggio 2020, n. 10096 - pubblicato il 3 giugno 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
In tema di società, la violazione delle regole generali di buona fede e correttezza, che presiedono anche all'esplicarsi del principio di maggioranza nelle deliberazioni degli organi collegiali, il quale non opera senza limiti intrinseci, dovendo comunque la maggioranza operare nel rispetto dei diritti di tutti i soci, oltre che a fondamento di un'azione di annullamento della deliberazione societaria, ai sensi dell'art. 2377 c.c., può condurre ad eccessi ed abusi di potere da parte del socio di maggioranza (o di chi abbia il relativo diritto di voto), idonei a far sorgere l'obbligo di risarcire il danno cagionato agli azionisti di minoranza. In tal caso, la fattispecie comune si individua in una deviazione dagli scopi sociali, consistente nella fraudolenta attività della maggioranza, volta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e dei connessi diritti patrimoniali spettanti ai singoli soci. In particolare, sono ricondotte a questa categoria le deliberazioni maggioritarie che modificano la preesistente struttura sociale, incidendo in modo diretto o indiretto sulla posizione dei singoli soci rispetto all'originaria configurazione della società.
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In tema di società, la violazione delle regole generali di buona fede e correttezza, che presiedono anche all'esplicarsi del principio di maggioranza nelle deliberazioni degli organi collegiali, il quale non opera senza limiti intrinseci, dovendo comunque la maggioranza operare nel rispetto dei diritti di tutti i soci, oltre che a fondamento di un'azione di annullamento della deliberazione societaria, ai sensi dell'art. 2377 c.c., può condurre ad eccessi ed abusi di potere da parte del socio di maggioranza (o di chi abbia il relativo diritto di voto), idonei a far sorgere l'obbligo di risarcire il danno cagionato agli azionisti di minoranza. In tal caso, la fattispecie comune si individua in una deviazione dagli scopi sociali, consistente nella fraudolenta attività della maggioranza, volta a provocare la lesione dei diritti di partecipazione e dei connessi diritti patrimoniali spettanti ai singoli soci. In particolare, sono ricondotte a questa categoria le deliberazioni maggioritarie che modificano la preesistente struttura sociale, incidendo in modo diretto o indiretto sulla posizione dei singoli soci rispetto all'originaria configurazione della società.
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ESECUZIONE PENALE
Corte cost., 22 maggio 2020, n. 97 - pubblicato il 27 maggio 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
In tema di ordinamento penitenziario, il divieto di scambiare oggetti di cui all'art. 41-bis, comma 2-quater, lett. f) della L. 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui si applica anche ai detenuti inseriti nel medesimo gruppo di socialità, non risulta né funzionale né congruo rispetto alla finalità tipica ed essenziale del provvedimento di sottoposizione del singolo detenuto al regime differenziato, consistente nell'impedire le sue comunicazioni con l'esterno, atteso che detti detenuti hanno già la possibilità di comunicare in più forme, in diverse occasioni. Pertanto, il divieto di scambiare oggetti prescritto dalla suddetta norma, se applicato necessariamente a detenuti assegnati al medesimo gruppo di socialità, viola gli artt. 3 e 27, comma 3 Cost.; di conseguenza, l'art. 41-bis, comma 2-quater, lett. f) della L. 26 luglio 1975, n. 354 è costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede l'adozione delle necessarie misure di sicurezza volte a garantire che sia assicurata «la assoluta impossibilità di comunicare tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità, scambiare oggetti» anziché «la assoluta impossibilità di comunicare e scambiare oggetti tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità».
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In tema di ordinamento penitenziario, il divieto di scambiare oggetti di cui all'art. 41-bis, comma 2-quater, lett. f) della L. 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui si applica anche ai detenuti inseriti nel medesimo gruppo di socialità, non risulta né funzionale né congruo rispetto alla finalità tipica ed essenziale del provvedimento di sottoposizione del singolo detenuto al regime differenziato, consistente nell'impedire le sue comunicazioni con l'esterno, atteso che detti detenuti hanno già la possibilità di comunicare in più forme, in diverse occasioni. Pertanto, il divieto di scambiare oggetti prescritto dalla suddetta norma, se applicato necessariamente a detenuti assegnati al medesimo gruppo di socialità, viola gli artt. 3 e 27, comma 3 Cost.; di conseguenza, l'art. 41-bis, comma 2-quater, lett. f) della L. 26 luglio 1975, n. 354 è costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede l'adozione delle necessarie misure di sicurezza volte a garantire che sia assicurata «la assoluta impossibilità di comunicare tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità, scambiare oggetti» anziché «la assoluta impossibilità di comunicare e scambiare oggetti tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità».
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ONERE DELLA PROVA
Cass. civ., Sez. I, 22 maggio 2020, n. 9460 - pubblicato il 26 maggio 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
In tema di distribuzione dell'onere della prova, nei giudizi relativi a contratti d'intermediazione finanziaria, alla stregua del sistema normativo delineato dagli artt. 21 e 23 del D.Lgs. n. 58 del 1998 (TUF) e dal reg. Consob n. 11522 del 1998, la mancata prestazione delle informazioni dovute ai clienti da parte della banca intermediaria ingenera una presunzione di riconducibilità alla stessa della responsabilità della scelta dell'operazione finanziaria, dal momento che l'inosservanza dei doveri informativi da parte dell'intermediario, costituisce di per sé un fattore di disorientamento dell'investitore che condiziona in modo scorretto le sue scelte di investimento. Tale condotta omissiva, pertanto, è normalmente idonea a cagionare il pregiudizio lamentato dall'investitore, il che, tuttavia, non esclude la possibilità di una prova contraria da parte dell'intermediario circa la sussistenza di sopravvenienze che risultino atte a deviare il corso della catena causale derivante dall'asimmetria informativa.
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In tema di distribuzione dell'onere della prova, nei giudizi relativi a contratti d'intermediazione finanziaria, alla stregua del sistema normativo delineato dagli artt. 21 e 23 del D.Lgs. n. 58 del 1998 (TUF) e dal reg. Consob n. 11522 del 1998, la mancata prestazione delle informazioni dovute ai clienti da parte della banca intermediaria ingenera una presunzione di riconducibilità alla stessa della responsabilità della scelta dell'operazione finanziaria, dal momento che l'inosservanza dei doveri informativi da parte dell'intermediario, costituisce di per sé un fattore di disorientamento dell'investitore che condiziona in modo scorretto le sue scelte di investimento. Tale condotta omissiva, pertanto, è normalmente idonea a cagionare il pregiudizio lamentato dall'investitore, il che, tuttavia, non esclude la possibilità di una prova contraria da parte dell'intermediario circa la sussistenza di sopravvenienze che risultino atte a deviare il corso della catena causale derivante dall'asimmetria informativa.
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INTERMEDIAZIONE FINANZIARIA
Cass. civ., Sez. I, Ord., 15 maggio 2020, n. 9018 - pubblicato il 20 maggio 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
In materia di risarcimento del danno per la perdita del capitale investito dovuta all'acquisto di un prodotto finanziario, grava sull'intermediario l'onere di provare, ex art. 23 d.lgs n. 58 del 1998, di aver adempiuto positivamente agli obblighi informativi relativi non solo alle caratteristiche specifiche dell'investimento ma anche al grado effettivo di rischiosità, mentre grava sull'investitore l'onere di provare il nesso causale consistente nell'allegazione specifica del deficit informativo nonché a fornire la prova del pregiudizio patrimoniale dovuto all'investimento eseguito, potendosi fornire la prova presuntiva del nesso causale tra l'inadempimento ed il danno lamentato. Ne consegue che la prova dell'avvenuto puntuale adempimento degli obblighi informativi non può essere ritenuta ininfluente in considerazione dell'elevata propensione al rischio dell'investitore dalla quale desumere che quest'ultimo avrebbe comunque accettato il rischio ad esso connesso dal momento che l'accettazione consapevole di un investimento finanziario non può che fondarsi sulla preventiva conoscenza delle caratteristiche specifiche del prodotto, in relazione a tutti gli indicatori della sua rischiosità.
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In materia di risarcimento del danno per la perdita del capitale investito dovuta all'acquisto di un prodotto finanziario, grava sull'intermediario l'onere di provare, ex art. 23 d.lgs n. 58 del 1998, di aver adempiuto positivamente agli obblighi informativi relativi non solo alle caratteristiche specifiche dell'investimento ma anche al grado effettivo di rischiosità, mentre grava sull'investitore l'onere di provare il nesso causale consistente nell'allegazione specifica del deficit informativo nonché a fornire la prova del pregiudizio patrimoniale dovuto all'investimento eseguito, potendosi fornire la prova presuntiva del nesso causale tra l'inadempimento ed il danno lamentato. Ne consegue che la prova dell'avvenuto puntuale adempimento degli obblighi informativi non può essere ritenuta ininfluente in considerazione dell'elevata propensione al rischio dell'investitore dalla quale desumere che quest'ultimo avrebbe comunque accettato il rischio ad esso connesso dal momento che l'accettazione consapevole di un investimento finanziario non può che fondarsi sulla preventiva conoscenza delle caratteristiche specifiche del prodotto, in relazione a tutti gli indicatori della sua rischiosità.
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OBBLIGAZIONI E CONTRATTI
Cass. civ., Sez. I, 14 maggio 2020, n. 8943 - pubblicato il 20 maggio 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
In tema di diffida ad adempiere, un termine inferiore ai quindici giorni trova fondamento solo in presenza delle condizioni di cui all'art. 1454, comma 2, c.c.; in conseguenza, in presenza dell'assegnazione del termine inferiore, risultano irrilevanti: i precedenti solleciti rivolti al debitore per l'adempimento, in quanto tale circostanza non attiene alla natura del contratto, ma ad un comportamento omissivo del debitore; la mancata contestazione del termine da parte del debitore, sempre che, in base a un accertamento rimesso al giudice del merito, tale mancata contestazione non assuma significato ai fini della conclusione, in forma tacita, dell'accordo in deroga; la mancata indicazione del diverso termine, reputato congruo, da parte del debitore, che presuppone un onere non contemplato dalla norma; il protrarsi dell'inadempienza del debitore oltre il termine assegnato, giacché la diffida illegittimamente intimata per un termine inferiore ai quindici giorni è di per sé inidonea alla produzione di effetti estintivi nei riguardi del rapporto costituito tra le parti.
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In tema di diffida ad adempiere, un termine inferiore ai quindici giorni trova fondamento solo in presenza delle condizioni di cui all'art. 1454, comma 2, c.c.; in conseguenza, in presenza dell'assegnazione del termine inferiore, risultano irrilevanti: i precedenti solleciti rivolti al debitore per l'adempimento, in quanto tale circostanza non attiene alla natura del contratto, ma ad un comportamento omissivo del debitore; la mancata contestazione del termine da parte del debitore, sempre che, in base a un accertamento rimesso al giudice del merito, tale mancata contestazione non assuma significato ai fini della conclusione, in forma tacita, dell'accordo in deroga; la mancata indicazione del diverso termine, reputato congruo, da parte del debitore, che presuppone un onere non contemplato dalla norma; il protrarsi dell'inadempienza del debitore oltre il termine assegnato, giacché la diffida illegittimamente intimata per un termine inferiore ai quindici giorni è di per sé inidonea alla produzione di effetti estintivi nei riguardi del rapporto costituito tra le parti.
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LICENZIAMENTO
Cass. civ., Sez. lavoro, 7 maggio 2020, n. 8621 - pubblicato il 14 maggio 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
In materia di limiti alla discrezionalità del datore di lavoro e con riferimento alla complessiva valutazione della gravità della condotta posta a base del licenziamento, nell'ipotesi di irrogazione di sanzioni disciplinari differenti a più lavoratori responsabili della medesima condotta, che ai fini della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento, qualora risulti accertato che l'inadempimento del lavoratore licenziato sia stato tale da compromettere irrimediabilmente il rapporto fiduciario, è di regola irrilevante che un'analoga inadempienza, commessa da altro dipendente, sia stata diversamente valutata dal datore di lavoro; nondimeno, l'identità delle situazioni riscontrate può essere valorizzata dal giudice per verificare la proporzionalità della sanzione adottata, privando, così, il provvedimento espulsivo della sua base giustificativa.
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In materia di limiti alla discrezionalità del datore di lavoro e con riferimento alla complessiva valutazione della gravità della condotta posta a base del licenziamento, nell'ipotesi di irrogazione di sanzioni disciplinari differenti a più lavoratori responsabili della medesima condotta, che ai fini della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento, qualora risulti accertato che l'inadempimento del lavoratore licenziato sia stato tale da compromettere irrimediabilmente il rapporto fiduciario, è di regola irrilevante che un'analoga inadempienza, commessa da altro dipendente, sia stata diversamente valutata dal datore di lavoro; nondimeno, l'identità delle situazioni riscontrate può essere valorizzata dal giudice per verificare la proporzionalità della sanzione adottata, privando, così, il provvedimento espulsivo della sua base giustificativa.
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LEASING
Cass. civ., Sez. III, 5 maggio 2020, n. 8470 - pubblicato il 13 maggio 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
In tema di leasing traslativo, in caso di risoluzione per inadempimento dell'utilizzatore, la clausola penale che attribuisca al concedente, oltre all'intero importo del finanziamento, anche la proprietà e il possesso del bene è manifestamente eccessiva in quanto attribuisce vantaggi maggiori di quelli conseguibili dalla regolare esecuzione del contratto, dovendo il giudice effettuare, ai fini della sua riducibilità ex art. 1384 c.c., una valutazione comparativa tra il vantaggio che detta clausola assicura al contraente adempiente e il margine di guadagno che il medesimo si riprometteva legittimamente di trarre dalla regolare esecuzione del contratto.
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In tema di leasing traslativo, in caso di risoluzione per inadempimento dell'utilizzatore, la clausola penale che attribuisca al concedente, oltre all'intero importo del finanziamento, anche la proprietà e il possesso del bene è manifestamente eccessiva in quanto attribuisce vantaggi maggiori di quelli conseguibili dalla regolare esecuzione del contratto, dovendo il giudice effettuare, ai fini della sua riducibilità ex art. 1384 c.c., una valutazione comparativa tra il vantaggio che detta clausola assicura al contraente adempiente e il margine di guadagno che il medesimo si riprometteva legittimamente di trarre dalla regolare esecuzione del contratto.
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SEPARAZIONE CONIUGI
Cass. civ., Sez. I, 30 aprile 2020, n. 8432 - pubblicato il 7 maggio 2020
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Foro di Nocera Inferiore
I provvedimenti di cui all'art. 708, comma 3, c.p.c. mirano a regolare, per il tempo necessario allo svolgimento del giudizio di merito, quegli aspetti della vita della prole e dei coniugi che troveranno un assetto definitivo nella sentenza emessa a conclusione del giudizio, e ciò al fine di evitare che per effetto della durata del processo i componenti del nucleo familiare vedano pregiudicati i propri diritti. L'introduzione, ad opera dell'art. 2, comma, della legge n. 54 del 2006, del terzo comma dell'art. 708, che consente di proporre reclamo avverso i provvedimenti in esame, ha indotto poi ad accostare, pur con le dovute differenze, la relativa disciplina a quella dei provvedimenti cautelari, evidenziando che gli artt. 669-septies, comma 2, e 669-octies, comma 7, c.p.c. impongono di provvedere sulle spese del procedimento cautelare soltanto se la domanda venga proposta ante causam, sia in caso di accoglimento che in caso di rigetto o dichiarazione d'incompetenza, mentre nulla dispongono in ordine ai procedimenti promossi in corso di causa, per i quali deve quindi intendersi che il regolamento delle spese debba aver luogo all'esito del giudizio di merito.
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I provvedimenti di cui all'art. 708, comma 3, c.p.c. mirano a regolare, per il tempo necessario allo svolgimento del giudizio di merito, quegli aspetti della vita della prole e dei coniugi che troveranno un assetto definitivo nella sentenza emessa a conclusione del giudizio, e ciò al fine di evitare che per effetto della durata del processo i componenti del nucleo familiare vedano pregiudicati i propri diritti. L'introduzione, ad opera dell'art. 2, comma, della legge n. 54 del 2006, del terzo comma dell'art. 708, che consente di proporre reclamo avverso i provvedimenti in esame, ha indotto poi ad accostare, pur con le dovute differenze, la relativa disciplina a quella dei provvedimenti cautelari, evidenziando che gli artt. 669-septies, comma 2, e 669-octies, comma 7, c.p.c. impongono di provvedere sulle spese del procedimento cautelare soltanto se la domanda venga proposta ante causam, sia in caso di accoglimento che in caso di rigetto o dichiarazione d'incompetenza, mentre nulla dispongono in ordine ai procedimenti promossi in corso di causa, per i quali deve quindi intendersi che il regolamento delle spese debba aver luogo all'esito del giudizio di merito.
SEMILIBERTA'
Corte cost., 24 aprile 2020, n. 74 - pubblicato il 29 aprile 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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Deve dichiararsi l'illegittimità costituzionale dell'art. 50, comma 6, della legge 26 luglio 1975, n. 354, "Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà", nella parte in cui non consente al magistrato di sorveglianza di applicare in via provvisoria la semilibertà, ai sensi dell'art. 47, comma 4, ordin. penit., in quanto compatibile, anche nell'ipotesi prevista dal terzo periodo del comma 2 dello stesso art. 50. Si ritiene infatti che, una volta che il legislatore abbia ritenuto, nella sua discrezionalità, di dover omologare semilibertà e affidamento in prova riguardo al quantum di pena che permette di fruire della misura, non v'è più alcuna ragione per lasciare (contraddittoriamente) disallineato in peius il beneficio "minore", quanto alla possibilità di accesso anticipato e provvisorio al beneficio in presenza di un pericolo di grave pregiudizio, tramite provvedimento dell'organo monocratico. La mancata estensione della procedura prevista dall'art. 47, comma 4, ordin. penit. alla semilibertà "surrogatoria" aveva una giustificazione con riferimento alla precedente disciplina recata dalla disposizione anzidetta la quale attribuiva al magistrato di sorveglianza il potere di disporre tout court la sospensione dell'esecuzione della pena e la messa in libertà del condannato, nelle more della decisione del tribunale di sorveglianza: meccanismo che appariva inopportuno estendere a soggetti privi dei requisiti di affidabilità richiesti per l'accesso all'affidamento in prova e condannati a una pena che, per la sua entità, non poteva dirsi sicuramente indicativa di una ridotta pericolosità. Analoga giustificazione non è più rinvenibile, per converso, in relazione alla procedura di applicazione provvisoria della misura, in presenza di situazioni di urgenza e sulla base di un filtro di merito del magistrato di sorveglianza, introdotta dal D.L. n. 146 del 2013.
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Deve dichiararsi l'illegittimità costituzionale dell'art. 50, comma 6, della legge 26 luglio 1975, n. 354, "Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà", nella parte in cui non consente al magistrato di sorveglianza di applicare in via provvisoria la semilibertà, ai sensi dell'art. 47, comma 4, ordin. penit., in quanto compatibile, anche nell'ipotesi prevista dal terzo periodo del comma 2 dello stesso art. 50. Si ritiene infatti che, una volta che il legislatore abbia ritenuto, nella sua discrezionalità, di dover omologare semilibertà e affidamento in prova riguardo al quantum di pena che permette di fruire della misura, non v'è più alcuna ragione per lasciare (contraddittoriamente) disallineato in peius il beneficio "minore", quanto alla possibilità di accesso anticipato e provvisorio al beneficio in presenza di un pericolo di grave pregiudizio, tramite provvedimento dell'organo monocratico. La mancata estensione della procedura prevista dall'art. 47, comma 4, ordin. penit. alla semilibertà "surrogatoria" aveva una giustificazione con riferimento alla precedente disciplina recata dalla disposizione anzidetta la quale attribuiva al magistrato di sorveglianza il potere di disporre tout court la sospensione dell'esecuzione della pena e la messa in libertà del condannato, nelle more della decisione del tribunale di sorveglianza: meccanismo che appariva inopportuno estendere a soggetti privi dei requisiti di affidabilità richiesti per l'accesso all'affidamento in prova e condannati a una pena che, per la sua entità, non poteva dirsi sicuramente indicativa di una ridotta pericolosità. Analoga giustificazione non è più rinvenibile, per converso, in relazione alla procedura di applicazione provvisoria della misura, in presenza di situazioni di urgenza e sulla base di un filtro di merito del magistrato di sorveglianza, introdotta dal D.L. n. 146 del 2013.
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ISTRUZIONE PUBBLICA
Cass. civ., Sez. lavoro, Ord., 6 aprile 2020, n. 7705 - pubblicato il 10 aprile 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
In ambito scolastico, al fine di raggiungere un equilibrio tra i legittimi interessi dei lavoratori a tempo determinato e quelli dei lavoratori a tempo indeterminato e di evitare discriminazioni alla rovescia è consentito, nel rispetto del principio del pro rata temporis, tener conto dei periodi di servizio prestati in misura non integrale, fermo però restando che al momento dell'assunzione come dipendente pubblico di ruolo deve essere valorizzata ai fini dell'anzianità anche la carriera pregressa del lavoratore a tempo determinato. Il ricorso al principio del pro rata temporis trova giustificazione nella ritenuta necessità di dover rispettare le differenze tra l'esperienza acquisita dai docenti assunti mediante concorso e quella acquisita dai docenti assunti in base ai titoli, a motivo della diversità delle materie, delle condizioni e degli orari in cui questi ultimi devono intervenire, in particolare nell'ambito di incarichi di sostituzione di altri docenti.
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In ambito scolastico, al fine di raggiungere un equilibrio tra i legittimi interessi dei lavoratori a tempo determinato e quelli dei lavoratori a tempo indeterminato e di evitare discriminazioni alla rovescia è consentito, nel rispetto del principio del pro rata temporis, tener conto dei periodi di servizio prestati in misura non integrale, fermo però restando che al momento dell'assunzione come dipendente pubblico di ruolo deve essere valorizzata ai fini dell'anzianità anche la carriera pregressa del lavoratore a tempo determinato. Il ricorso al principio del pro rata temporis trova giustificazione nella ritenuta necessità di dover rispettare le differenze tra l'esperienza acquisita dai docenti assunti mediante concorso e quella acquisita dai docenti assunti in base ai titoli, a motivo della diversità delle materie, delle condizioni e degli orari in cui questi ultimi devono intervenire, in particolare nell'ambito di incarichi di sostituzione di altri docenti.
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APPALTO PUBBLICO
Cons. Stato, Ad. Plen., 2 aprile 2020, n. 8 - pubblicato il 7 aprile 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
I principi della certezza del diritto, della parità di trattamento e di trasparenza, quali contemplati nella direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, secondo la quale la mancata indicazione separata dei costi della manodopera, in un'offerta economica presentata nell'ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta l'esclusione della medesima offerta senza possibilità di soccorso istruttorio, anche nell'ipotesi in cui l'obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non fosse specificato nella documentazione della gara d'appalto, sempreché tale condizione e tale possibilità di esclusione siano chiaramente previste dalla normativa nazionale relativa alle procedure di appalti pubblici espressamente richiamata in detta documentazione. Tuttavia, se le disposizioni della gara d'appalto non consentono agli offerenti di indicare i costi in questione nelle loro offerte economiche, i principi di trasparenza e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi non ostano alla possibilità di consentire agli offerenti di sanare la loro situazione e di ottemperare agli obblighi previsti dalla normativa nazionale in materia entro un termine stabilito dall'amministrazione aggiudicatrice.
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I principi della certezza del diritto, della parità di trattamento e di trasparenza, quali contemplati nella direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, secondo la quale la mancata indicazione separata dei costi della manodopera, in un'offerta economica presentata nell'ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta l'esclusione della medesima offerta senza possibilità di soccorso istruttorio, anche nell'ipotesi in cui l'obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non fosse specificato nella documentazione della gara d'appalto, sempreché tale condizione e tale possibilità di esclusione siano chiaramente previste dalla normativa nazionale relativa alle procedure di appalti pubblici espressamente richiamata in detta documentazione. Tuttavia, se le disposizioni della gara d'appalto non consentono agli offerenti di indicare i costi in questione nelle loro offerte economiche, i principi di trasparenza e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi non ostano alla possibilità di consentire agli offerenti di sanare la loro situazione e di ottemperare agli obblighi previsti dalla normativa nazionale in materia entro un termine stabilito dall'amministrazione aggiudicatrice.
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LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA
Cass. civ., Sez. lavoro, 27 marzo 2020, n. 7566 - pubblicato il 3 aprile 2020
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Foro di Nocera Inferiore
Il lavoratore assente per malattia non ha incondizionata facoltà di sostituire alla malattia la fruizione delle ferie, maturate e non godute, quale titolo della sua assenza, allo scopo di interrompere il decorso del periodo di comporto. Il datore di lavoro, di fronte ad una richiesta del lavoratore di conversione dell'assenza per malattie in ferie, nell'esercitare il potere, conferitogli dalla legge (art. 2109, 2 comma, c.c.), di stabilire la collocazione temporale delle ferie nell'ambito annuale armonizzando le esigenze dell'impresa con gli interessi del lavoratore, è tenuto ad una considerazione e ad una valutazione adeguate alla posizione del lavoratore in quanto esposto, appunto, alla perdita del posto di lavoro con la scadenza del comporto. Tuttavia, un tale obbligo del datore di lavoro non è ragionevolmente configurabile allorquando il lavoratore abbia la possibilità di fruire e beneficiare di regolamentazioni legali o contrattuali che gli consentano di evitare la risoluzione del rapporto per superamento del periodo di comporto ed in particolare quando le parti sociali abbiano convenuto e previsto, a tal fine, il collocamento in aspettativa, pur non retribuita.
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Il lavoratore assente per malattia non ha incondizionata facoltà di sostituire alla malattia la fruizione delle ferie, maturate e non godute, quale titolo della sua assenza, allo scopo di interrompere il decorso del periodo di comporto. Il datore di lavoro, di fronte ad una richiesta del lavoratore di conversione dell'assenza per malattie in ferie, nell'esercitare il potere, conferitogli dalla legge (art. 2109, 2 comma, c.c.), di stabilire la collocazione temporale delle ferie nell'ambito annuale armonizzando le esigenze dell'impresa con gli interessi del lavoratore, è tenuto ad una considerazione e ad una valutazione adeguate alla posizione del lavoratore in quanto esposto, appunto, alla perdita del posto di lavoro con la scadenza del comporto. Tuttavia, un tale obbligo del datore di lavoro non è ragionevolmente configurabile allorquando il lavoratore abbia la possibilità di fruire e beneficiare di regolamentazioni legali o contrattuali che gli consentano di evitare la risoluzione del rapporto per superamento del periodo di comporto ed in particolare quando le parti sociali abbiano convenuto e previsto, a tal fine, il collocamento in aspettativa, pur non retribuita.
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SPESE GIUDIZIALI
Cass. civ., Sez. VI, Ord., 24 marzo 2020, n. 7489 - pubblicato il 27 marzo 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
In materia di spese giudiziali, in forza del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, comma 2, come modificato dal D.Lgs. n. 156 del 2015, art. 9, comma 1, applicabile a decorrere dal primo gennaio 2016, le spese di giudizio possono essere compensate in presenza di "gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate. Pertanto, in caso di soccombenza totale, non è corretta la compensazione delle spese processuali del giudice tributario (nella fattispecie con sentenza successiva al 2016) su presupposti inintelligibili, che abbia omesso di dovere motivare la compensazione ed errando nel ritenere non applicabile la disciplina appena ricordata.
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In materia di spese giudiziali, in forza del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, comma 2, come modificato dal D.Lgs. n. 156 del 2015, art. 9, comma 1, applicabile a decorrere dal primo gennaio 2016, le spese di giudizio possono essere compensate in presenza di "gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate. Pertanto, in caso di soccombenza totale, non è corretta la compensazione delle spese processuali del giudice tributario (nella fattispecie con sentenza successiva al 2016) su presupposti inintelligibili, che abbia omesso di dovere motivare la compensazione ed errando nel ritenere non applicabile la disciplina appena ricordata.
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RIUNIONE DEI RICORSI
Cass. civ., Sez. V, Ord., 17 marzo 2020, n. 7328 - pubblicato il 20 marzo 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
I ricorsi per cassazione, proposti, rispettivamente, contro la decisione della Corte d'appello e contro quella che decide l'impugnazione per revocazione avverso la prima, debbono, in caso di contemporanea pendenza in sede di legittimità, essere riuniti in applicazione (analogica, trattandosi di gravami avverso distinti provvedimenti) della norma dell'art. 335 c.p.c., che impone la trattazione in un unico giudizio di tutte le impugnazioni proposte contro la stessa sentenza. Infatti, la riunione di detti ricorsi, pur non essendo espressamente prevista dalla norma citata, discende dalla connessione esistente tra le due pronunce, atteso che sul ricorso per cassazione proposto contro la sentenza rese in sede di appello può risultare determinante la pronuncia di cassazione riguardante la sentenza resa in sede di revocazione. II carattere pregiudiziale delle questioni inerenti alla revocazione, comporta che il loro esame abbia la precedenza su quello del ricorso contro la sentenza d'appello.
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I ricorsi per cassazione, proposti, rispettivamente, contro la decisione della Corte d'appello e contro quella che decide l'impugnazione per revocazione avverso la prima, debbono, in caso di contemporanea pendenza in sede di legittimità, essere riuniti in applicazione (analogica, trattandosi di gravami avverso distinti provvedimenti) della norma dell'art. 335 c.p.c., che impone la trattazione in un unico giudizio di tutte le impugnazioni proposte contro la stessa sentenza. Infatti, la riunione di detti ricorsi, pur non essendo espressamente prevista dalla norma citata, discende dalla connessione esistente tra le due pronunce, atteso che sul ricorso per cassazione proposto contro la sentenza rese in sede di appello può risultare determinante la pronuncia di cassazione riguardante la sentenza resa in sede di revocazione. II carattere pregiudiziale delle questioni inerenti alla revocazione, comporta che il loro esame abbia la precedenza su quello del ricorso contro la sentenza d'appello.
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TRATTAMENTO ECONOMICO DOCENTI
Cass. civ., Sez. lavoro, Ord., 16 marzo 2020, n. 7309 - pubblicato il 19 marzo 2020
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In tema di insegnamento, al fine di raggiungere un equilibrio tra i legittimi interessi dei lavoratori a tempo determinato e quelli dei lavoratori a tempo indeterminato è consentito, nel rispetto del principio del "pro rata temporis", tener conto dei periodi di servizio prestati in misura non integrale, fermo però restando che al momento dell'assunzione come dipendente pubblico di ruolo deve essere valorizzata, ai fini dell'anzianità, anche la carriera pregressa del lavoratore a tempo determinato. In particolare, il ricorso al principio del "pro rata temporis" trova giustificazione nella ritenuta necessità di rispecchiare le differenze tra l'esperienza acquisita dai docenti assunti mediante concorso e quella acquisita dai docenti assunti in base ai titoli, a motivo della diversità delle materie, delle condizioni e degli orari in cui questi ultimi devono intervenire, in particolare nell'ambito di incarichi di sostituzione di altri docenti.
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In tema di insegnamento, al fine di raggiungere un equilibrio tra i legittimi interessi dei lavoratori a tempo determinato e quelli dei lavoratori a tempo indeterminato è consentito, nel rispetto del principio del "pro rata temporis", tener conto dei periodi di servizio prestati in misura non integrale, fermo però restando che al momento dell'assunzione come dipendente pubblico di ruolo deve essere valorizzata, ai fini dell'anzianità, anche la carriera pregressa del lavoratore a tempo determinato. In particolare, il ricorso al principio del "pro rata temporis" trova giustificazione nella ritenuta necessità di rispecchiare le differenze tra l'esperienza acquisita dai docenti assunti mediante concorso e quella acquisita dai docenti assunti in base ai titoli, a motivo della diversità delle materie, delle condizioni e degli orari in cui questi ultimi devono intervenire, in particolare nell'ambito di incarichi di sostituzione di altri docenti.
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OBBLIGAZIONI E CONTRATTI
Cass. civ., Sez. Unite, 6 marzo 2020, n. 6459 - pubblicato l'11 marzo 2020
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Foro di Nocera Inferiore
In tema di patto fiduciario con oggetto immobiliare che s'innesta su un acquisto effettuato dal fiduciario per conto del fiduciante, non è richiesta la forma scritta ad substantiam; ne consegue che tale accordo, una volta provato in giudizio, è idoneo a giustificare l'accoglimento della domanda di esecuzione specifica dell'obbligo di ritrasferimento gravante sul fiduciario. La dichiarazione unilaterale scritta del fiduciario, ricognitiva dell'intestazione fiduciaria dell'immobile e promissiva del suo ritrasferimento al fiduciante, non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma, rappresentando una promessa di pagamento, ha soltanto effetto confermativo del preesistente rapporto nascente dal patto fiduciario, realizzando, ai sensi dell'art. 1988 c.c., un'astrazione processuale della causa, con conseguente esonero a favore del fiduciante, destinatario della contra se pronuntiatio, dell'onere della prova del rapporto fondamentale, che si presume fino a prova contraria.
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In tema di patto fiduciario con oggetto immobiliare che s'innesta su un acquisto effettuato dal fiduciario per conto del fiduciante, non è richiesta la forma scritta ad substantiam; ne consegue che tale accordo, una volta provato in giudizio, è idoneo a giustificare l'accoglimento della domanda di esecuzione specifica dell'obbligo di ritrasferimento gravante sul fiduciario. La dichiarazione unilaterale scritta del fiduciario, ricognitiva dell'intestazione fiduciaria dell'immobile e promissiva del suo ritrasferimento al fiduciante, non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma, rappresentando una promessa di pagamento, ha soltanto effetto confermativo del preesistente rapporto nascente dal patto fiduciario, realizzando, ai sensi dell'art. 1988 c.c., un'astrazione processuale della causa, con conseguente esonero a favore del fiduciante, destinatario della contra se pronuntiatio, dell'onere della prova del rapporto fondamentale, che si presume fino a prova contraria.
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MANTENIMENTO MOGLIE E FIGLI
Cass. civ., Sez. I, Ord., 28 febbraio 2020, n. 5604 - pubblicato il 4 marzo 2020
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Foro di Nocera Inferiore
L'art. 156, VI comma, c.c., nell’attribuire al giudice, in caso di inadempimento dell'obbligo di corrispondere l’assegno di mantenimento, il potere di ordinare ai terzi tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di denaro al coniuge obbligato, che una parte di esse venga versata direttamente agli aventi diritto, postula una valutazione di opportunità che implica esclusivamente un apprezzamento in ordine all'idoneità del comportamento dell'obbligato a suscitare dubbi circa l'esattezza e la regolarità del futuro adempimento e, quindi, a frustrare le finalità proprie dell'assegno di mantenimento. La relativa valutazione resta affidata in via esclusiva al giudice di merito e, se adeguatamente motivata, non è sindacabile in sede di legittimità.
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L'art. 156, VI comma, c.c., nell’attribuire al giudice, in caso di inadempimento dell'obbligo di corrispondere l’assegno di mantenimento, il potere di ordinare ai terzi tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di denaro al coniuge obbligato, che una parte di esse venga versata direttamente agli aventi diritto, postula una valutazione di opportunità che implica esclusivamente un apprezzamento in ordine all'idoneità del comportamento dell'obbligato a suscitare dubbi circa l'esattezza e la regolarità del futuro adempimento e, quindi, a frustrare le finalità proprie dell'assegno di mantenimento. La relativa valutazione resta affidata in via esclusiva al giudice di merito e, se adeguatamente motivata, non è sindacabile in sede di legittimità.
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PERMESSO PREMIO
Corte cost., 26 febbraio 2020, n. 32 - pubblicato il 3 marzo 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
È costituzionalmente illegittimo, per contrasto con gli artt. 3, 27, comma 3, Cost., l'art. 1, comma 6, lett. b), della legge n. 3 del 2019, nella parte in cui non prevede che il beneficio del permesso premio possa essere concesso ai condannati che, prima dell'entrata in vigore della medesima legge, abbiano già raggiunto, in concreto, un grado di rieducazione adeguato alla concessione del beneficio stesso. Ed infatti, negare a chi si trovi nella posizione di quel condannato, la concessione del beneficio equivarrebbe a disconoscere la funzione pedagogico-propulsiva del permesso premio, quale strumento idoneo a consentirne un suo iniziale reinserimento nella società, in vista dell'eventuale concessione di misure alternative alla detenzione, in assenza di gravi comportamenti che dimostrino la non meritevolezza del beneficio nel caso concreto.
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È costituzionalmente illegittimo, per contrasto con gli artt. 3, 27, comma 3, Cost., l'art. 1, comma 6, lett. b), della legge n. 3 del 2019, nella parte in cui non prevede che il beneficio del permesso premio possa essere concesso ai condannati che, prima dell'entrata in vigore della medesima legge, abbiano già raggiunto, in concreto, un grado di rieducazione adeguato alla concessione del beneficio stesso. Ed infatti, negare a chi si trovi nella posizione di quel condannato, la concessione del beneficio equivarrebbe a disconoscere la funzione pedagogico-propulsiva del permesso premio, quale strumento idoneo a consentirne un suo iniziale reinserimento nella società, in vista dell'eventuale concessione di misure alternative alla detenzione, in assenza di gravi comportamenti che dimostrino la non meritevolezza del beneficio nel caso concreto.
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MISURE DI SICUREZZA - REVOCA PATENTE
Corte cost., 20 febbraio 2020, n. 24 - pubblicato il 26 febbraio 2020
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In tema di libertà vigilata, la sorveglianza deve essere esercitata in modo da agevolare, mediante il lavoro, il riadattamento della persona alla vita sociale e, comunque, in modo da non rendere difficoltosa alla persona che vi è sottoposta la ricerca di un lavoro e da consentirle di attendervi con la necessaria tranquillità. La finalità di tutela di siffatte esigenze personali, familiari e lavorative, perseguita dal legislatore anche nei confronti dei soggetti sottoposti a misure di sicurezza, rischierebbe di rimanere frustrata dall'applicazione "automatica" della revoca della patente di guida da parte del prefetto, a fronte della irrogazione di ogni e qualsiasi misura di sicurezza personale al suo titolare, senza una valutazione "caso per caso" delle condizioni che rendano coerente, o meno, la revoca del titolo abilitativo alla funzione rieducativa della misura irrogata. Pertanto, è costituzionalmente illegittimo l'art. 120, comma 2 del D.Lgs. 30 aprile 1992 n. 285, nella parte in cui dispone che il prefetto "provvede", invece che "può provvedere", alla revoca della patente nei confronti di coloro che sono sottoposti a misure di sicurezza personali.
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a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
In tema di libertà vigilata, la sorveglianza deve essere esercitata in modo da agevolare, mediante il lavoro, il riadattamento della persona alla vita sociale e, comunque, in modo da non rendere difficoltosa alla persona che vi è sottoposta la ricerca di un lavoro e da consentirle di attendervi con la necessaria tranquillità. La finalità di tutela di siffatte esigenze personali, familiari e lavorative, perseguita dal legislatore anche nei confronti dei soggetti sottoposti a misure di sicurezza, rischierebbe di rimanere frustrata dall'applicazione "automatica" della revoca della patente di guida da parte del prefetto, a fronte della irrogazione di ogni e qualsiasi misura di sicurezza personale al suo titolare, senza una valutazione "caso per caso" delle condizioni che rendano coerente, o meno, la revoca del titolo abilitativo alla funzione rieducativa della misura irrogata. Pertanto, è costituzionalmente illegittimo l'art. 120, comma 2 del D.Lgs. 30 aprile 1992 n. 285, nella parte in cui dispone che il prefetto "provvede", invece che "può provvedere", alla revoca della patente nei confronti di coloro che sono sottoposti a misure di sicurezza personali.
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LA CONDOTTA COLPOSA IN RIFERIMENTO AL MINORE
Cass. civ., Sez. III, Ord., 19 febbraio 2020, n. 4178 - pubblicato il 21 febbraio 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
Dal punto di vista civilistico, una condotta di tipo colposo può essere riferita ai minore o all'incapace a prescindere dalla condotta tenuta da chi è preposto alla sua sorveglianza e dalla sua non imputabilità sotto il profilo giuridico. Difatti, se la vittima di un fatto illecito ha concorso, con la propria materiale condotta, alla produzione del danno, l'obbligo risarcitorio del responsabile si riduce proporzionalmente ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c., con valutazione ex officio, anche nel caso in cui la vittima, minore di età, sia incapace di intendere e di volere al tempo del fatto. Ciò in quanto l'espressione "fatto colposo" che compare nel citato art. 1227 c.c. non va intesa come riferita all'elemento psicologico della colpa, che ha rilevanza esclusivamente ai fini di una affermazione di responsabilità, la quale presuppone l'imputabilità, ma deve intendersi come sinonimo di comportamento oggettivamente in contrasto con una regola di condotta, stabilita da norme positive e/o dettata dalla comune prudenza, in grado di incidere sul nesso causale.
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Dal punto di vista civilistico, una condotta di tipo colposo può essere riferita ai minore o all'incapace a prescindere dalla condotta tenuta da chi è preposto alla sua sorveglianza e dalla sua non imputabilità sotto il profilo giuridico. Difatti, se la vittima di un fatto illecito ha concorso, con la propria materiale condotta, alla produzione del danno, l'obbligo risarcitorio del responsabile si riduce proporzionalmente ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c., con valutazione ex officio, anche nel caso in cui la vittima, minore di età, sia incapace di intendere e di volere al tempo del fatto. Ciò in quanto l'espressione "fatto colposo" che compare nel citato art. 1227 c.c. non va intesa come riferita all'elemento psicologico della colpa, che ha rilevanza esclusivamente ai fini di una affermazione di responsabilità, la quale presuppone l'imputabilità, ma deve intendersi come sinonimo di comportamento oggettivamente in contrasto con una regola di condotta, stabilita da norme positive e/o dettata dalla comune prudenza, in grado di incidere sul nesso causale.
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INDENNITà SOSTITUTIVA DI FERIE NON GODUTE
Cass. civ., Sez. I, 10 febbraio 2020, n. 3021 - pubblicato il 13 febbraio 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
In tema di indennità sostitutiva delle ferie non godute, stante la natura mista dell'indennità medesima - ovvero sia risarcitoria che retributiva - ai fini della prescrizione, deve ritenersi prevalente il carattere risarcitorio volto a compensare il danno derivante dalla perdita del diritto al riposo per cui trova applicazione il termine prescrizionale decennale e non quello quinquennale dell'art. 2948 c.c. Mentre, la natura retributiva di tale indennità viene in rilievo, allorché ne debba essere valutata l'incidenza sul trattamento di fine rapporto, ai fini del calcolo degli accessori o dell'assoggettamento a contribuzione.
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In tema di indennità sostitutiva delle ferie non godute, stante la natura mista dell'indennità medesima - ovvero sia risarcitoria che retributiva - ai fini della prescrizione, deve ritenersi prevalente il carattere risarcitorio volto a compensare il danno derivante dalla perdita del diritto al riposo per cui trova applicazione il termine prescrizionale decennale e non quello quinquennale dell'art. 2948 c.c. Mentre, la natura retributiva di tale indennità viene in rilievo, allorché ne debba essere valutata l'incidenza sul trattamento di fine rapporto, ai fini del calcolo degli accessori o dell'assoggettamento a contribuzione.
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ONORARI AVVOCATO
Cass. civ., Sez. II, Ord., 7 febbraio 2020, n. 2923 - pubblicato il 13 febbraio 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
In tema di onorario al difensore d'ufficio, a norma degli artt. 116 e 117, D.P.R. n. 115/2002, l'inutile esperimento delle procedure di recupero del credito professionale non condiziona la liquidazione dell'onorario al predetto difensore a carico dell'erario quando sussista I'irreperibilità dell'assistito, irreperibilità da intendere anche come mera situazione di fatto, a prescindere, quindi, dalla declaratoria formale ex artt. 159 e 160 c.p.p., poiché la fattuale impossibilita di rintracciare il debitore nel momento in cui la pretesa creditoria diventa azionabile impedisce al patrono di attivare qualunque procedura di recupero del credito professionale.
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In tema di onorario al difensore d'ufficio, a norma degli artt. 116 e 117, D.P.R. n. 115/2002, l'inutile esperimento delle procedure di recupero del credito professionale non condiziona la liquidazione dell'onorario al predetto difensore a carico dell'erario quando sussista I'irreperibilità dell'assistito, irreperibilità da intendere anche come mera situazione di fatto, a prescindere, quindi, dalla declaratoria formale ex artt. 159 e 160 c.p.p., poiché la fattuale impossibilita di rintracciare il debitore nel momento in cui la pretesa creditoria diventa azionabile impedisce al patrono di attivare qualunque procedura di recupero del credito professionale.
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LIQUIDAZIONE SPESE GIUDIZIALI
Cass. civ., Sez. VI, Ord., 5 febbraio 2020, n. 2588 - pubblicato il 10 febbraio 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
L'art. 152-bis disp. att. c.p.c., nella parte in cui prevede la liquidazione delle spese processuali in favore delle pubbliche amministrazioni, assistite in giudizio da propri dipendenti, in misura pari al compenso spettante agli avvocati ridotto del 20%, si applica non soltanto alle controversie relative ai rapporti di lavoro ex art. 417–bis c.p.c., ma anche ai giudizi per prestazioni assistenziali in cui l'Inps si avvalga della difesa diretta ex art. 10, comma 6, del D.L. n. 203 del 2005. Si è infatti precisato che le due disposizioni sono accomunate dalla finalità di migliorare il coordinamento e la gestione del contenzioso da parte delle amministrazioni nei gradi di merito, affidando l'attività di difesa nei giudizi in modo sistematico a propri dipendenti; questi principi valgono anche per il procedimento di a.t.p.o., in mancanza di un'espressa deroga rispetto al regime della liquidazione delle spese processuali nelle cause assistenziali.
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L'art. 152-bis disp. att. c.p.c., nella parte in cui prevede la liquidazione delle spese processuali in favore delle pubbliche amministrazioni, assistite in giudizio da propri dipendenti, in misura pari al compenso spettante agli avvocati ridotto del 20%, si applica non soltanto alle controversie relative ai rapporti di lavoro ex art. 417–bis c.p.c., ma anche ai giudizi per prestazioni assistenziali in cui l'Inps si avvalga della difesa diretta ex art. 10, comma 6, del D.L. n. 203 del 2005. Si è infatti precisato che le due disposizioni sono accomunate dalla finalità di migliorare il coordinamento e la gestione del contenzioso da parte delle amministrazioni nei gradi di merito, affidando l'attività di difesa nei giudizi in modo sistematico a propri dipendenti; questi principi valgono anche per il procedimento di a.t.p.o., in mancanza di un'espressa deroga rispetto al regime della liquidazione delle spese processuali nelle cause assistenziali.
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NOTIFICAZIONE
ass. civ., Sez. III, Ord., 3 febbraio 2020, n. 1982 - pubblicato il 31 gennaio 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
A seguito dell'introduzione del domicilio digitale (corrispondente all'indirizzo PEC che ciascun avvocato ha indicato al Consiglio dell'Ordine di appartenenza, previsto dall'art. 16 sexies del D.L. n. 179 del 2012, conv. con modif. in legge n. 221 del 2012, come modificato dal D.L. n. 90 del 2014, conv., con modif., in legge n. 114 del 2014), la notificazione dell'atto di appello va eseguita all'indirizzo PEC del difensore costituito risultante dal ReGlndE, pur non indicato negli atti dal difensore medesimo. È, dunque, nulla la notificazione effettuata (ai sensi dell'art. 82 del R.D. n. 37 del 1934) presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario innanzi al quale pende la lite, anche se il destinatario abbia omesso di eleggere il domicilio nel Comune in cui ha sede quest'ultimo (a meno che, oltre a tale omissione, non ricorra anche la circostanza che l'indirizzo di posta elettronica certificata non sia accessibile per cause imputabili al destinatario).
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a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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A seguito dell'introduzione del domicilio digitale (corrispondente all'indirizzo PEC che ciascun avvocato ha indicato al Consiglio dell'Ordine di appartenenza, previsto dall'art. 16 sexies del D.L. n. 179 del 2012, conv. con modif. in legge n. 221 del 2012, come modificato dal D.L. n. 90 del 2014, conv., con modif., in legge n. 114 del 2014), la notificazione dell'atto di appello va eseguita all'indirizzo PEC del difensore costituito risultante dal ReGlndE, pur non indicato negli atti dal difensore medesimo. È, dunque, nulla la notificazione effettuata (ai sensi dell'art. 82 del R.D. n. 37 del 1934) presso la cancelleria dell'ufficio giudiziario innanzi al quale pende la lite, anche se il destinatario abbia omesso di eleggere il domicilio nel Comune in cui ha sede quest'ultimo (a meno che, oltre a tale omissione, non ricorra anche la circostanza che l'indirizzo di posta elettronica certificata non sia accessibile per cause imputabili al destinatario).
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PATROCINIO GRATUITO
Cass. civ., Sez. II, 27 gennaio 2020, n. 1736 - pubblicato il 29 gennaio 2020
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Foro di Nocera Inferiore
Dal complesso delle disposizioni del D.P.R. n. 115 del 2202 che regolano per tutti i processi l'istituto del patrocinio a spese dello Stato ed, in particolare dall'art. 80 che prevede che "chi è ammesso al patrocinio può nominare un difensore" e dagli artt. 82 e 83 che dispongono la liquidazione dei compensi al difensore, si ricava che l'art. 91 del medesimo D.P.R., pur se collocato all'interno del titolo specificamente dedicato al processo penale, esprime un principio di carattere generale; con la conseguenza che nel processo civile l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato è esclusa se il richiedente è assistito da più di un difensore e, in ogni caso, gli effetti dell'ammissione cessano a partire dal momento in cui la persona alla quale il beneficio è stato concesso nomina un secondo difensore di fiducia.
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Dal complesso delle disposizioni del D.P.R. n. 115 del 2202 che regolano per tutti i processi l'istituto del patrocinio a spese dello Stato ed, in particolare dall'art. 80 che prevede che "chi è ammesso al patrocinio può nominare un difensore" e dagli artt. 82 e 83 che dispongono la liquidazione dei compensi al difensore, si ricava che l'art. 91 del medesimo D.P.R., pur se collocato all'interno del titolo specificamente dedicato al processo penale, esprime un principio di carattere generale; con la conseguenza che nel processo civile l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato è esclusa se il richiedente è assistito da più di un difensore e, in ogni caso, gli effetti dell'ammissione cessano a partire dal momento in cui la persona alla quale il beneficio è stato concesso nomina un secondo difensore di fiducia.
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ASSEGNO DI DIVORZIO
Cass. civ., Sez. I, 20 gennaio 2020, n. 1119 - pubblicato il 21 gennaio 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
La revisione dell'assegno divorzile di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 9, postula l'accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi idonea a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell'assegno, secondo una valutazione comparativa delle condizioni suddette di entrambe le parti. In particolare, in sede di revisione, il giudice non può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o della entità dell'assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti già compiuta in sede di sentenza divorzile, ma, nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento della attribuzione dell'emolumento, deve limitarsi a verificare se, ed in che misura, le circostanze, sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato l'equilibrio così raggiunto e adeguare l'importo, o lo stesso obbligo della contribuzione, alla nuova situazione patrimoniale-reddituale accertate.
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Foro di Nocera Inferiore
La revisione dell'assegno divorzile di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 9, postula l'accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi idonea a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo dell'assegno, secondo una valutazione comparativa delle condizioni suddette di entrambe le parti. In particolare, in sede di revisione, il giudice non può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o della entità dell'assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti già compiuta in sede di sentenza divorzile, ma, nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento della attribuzione dell'emolumento, deve limitarsi a verificare se, ed in che misura, le circostanze, sopravvenute e provate dalle parti, abbiano alterato l'equilibrio così raggiunto e adeguare l'importo, o lo stesso obbligo della contribuzione, alla nuova situazione patrimoniale-reddituale accertate.
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PREVIDENZA SOCIALE
Cass. civ., Sez. VI Lavoro, Ord., 10 gennaio 2020, n. 318 - pubblicato il 14 gennaio 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
In materia di previdenza, gli avvocati iscritti ad altre forme di previdenza obbligatorie che, svolgendo attività libero professionale priva del carattere dell'abitualità, non hanno(secondo la disciplina vigente ratione temporis antecedente l'introduzione dell'automatismo della iscrizione) l'obbligo di iscrizione alla Cassa Forense, alla quale versano esclusivamente un contributo integrativo di carattere solidaristico in quanto iscritti all'albo professionale, cui non segue la costituzione di alcuna posizione previdenziale a loro beneficio, sono tenuti comunque ad iscriversi alla gestione separata presso l'INPS, in virtù del principio di universalizzazione della copertura assicurativa, cui è funzionale la disposizione di cui all'art. 2, comma 26, della l. n. 335 del 1995, secondo cui l'unico versamento contributivo rilevante ai fini dell'esclusione di detto obbligo di iscrizione è quello suscettibile di costituire in capo al lavoratore autonomo una correlata prestazione previdenziale.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
In materia di previdenza, gli avvocati iscritti ad altre forme di previdenza obbligatorie che, svolgendo attività libero professionale priva del carattere dell'abitualità, non hanno(secondo la disciplina vigente ratione temporis antecedente l'introduzione dell'automatismo della iscrizione) l'obbligo di iscrizione alla Cassa Forense, alla quale versano esclusivamente un contributo integrativo di carattere solidaristico in quanto iscritti all'albo professionale, cui non segue la costituzione di alcuna posizione previdenziale a loro beneficio, sono tenuti comunque ad iscriversi alla gestione separata presso l'INPS, in virtù del principio di universalizzazione della copertura assicurativa, cui è funzionale la disposizione di cui all'art. 2, comma 26, della l. n. 335 del 1995, secondo cui l'unico versamento contributivo rilevante ai fini dell'esclusione di detto obbligo di iscrizione è quello suscettibile di costituire in capo al lavoratore autonomo una correlata prestazione previdenziale.
RESPONSABILITà SANITARIA
Cass. civ, Sez. III, 8 gennaio 2020, n. 122 - pubblicato il 14 gennaio 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
Nel giudizio di responsabilità medica, per superare la presunzione di cui all'art. 1218 c.c., non è sufficiente dimostrare che l'"evento dannoso" per il paziente costituisca una "complicanza", rilevabile pur raramente nella statistica sanitaria, dovendo ritenersi tale generica nozione, priva di rilievo sul piano giuridico della imputazione di responsabilità, nel cui ambito il peggioramento delle condizioni del paziente può solo ricondursi ad un fatto o prevedibile ed evitabile, e dunque ascrivibile a colpa del medico, ovvero non prevedibile o non evitabile, sì da integrare gli estremi della causa non imputabile.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
Nel giudizio di responsabilità medica, per superare la presunzione di cui all'art. 1218 c.c., non è sufficiente dimostrare che l'"evento dannoso" per il paziente costituisca una "complicanza", rilevabile pur raramente nella statistica sanitaria, dovendo ritenersi tale generica nozione, priva di rilievo sul piano giuridico della imputazione di responsabilità, nel cui ambito il peggioramento delle condizioni del paziente può solo ricondursi ad un fatto o prevedibile ed evitabile, e dunque ascrivibile a colpa del medico, ovvero non prevedibile o non evitabile, sì da integrare gli estremi della causa non imputabile.
NOTIFICAZIONE ATTI PROCESSUALI
Cass. civ., Sez. Unite, 10 gennaio 2020, n. 299 - pubblicato il 13 gennaio 2020
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Foro di Nocera Inferiore
In tema di notificazione di atti processuali, posta che nel quadro giuridico novellato dalla direttiva n. 2008/6/CE del Parlamento e del Consiglio del 20 febbraio 2008 è prevista la possibilità per tutti gli operatori postali di notificare atti giudiziari, a meno che lo Stato non evidenzi e dimostri la giustificazione oggettiva ostativa, è nulla e non inesistente la notificazione di atto giudiziario eseguita dall'operatore di posta privata senza relativo titolo abilitativo nel periodo intercorrente fra l'entrata in vigore della suddetta direttiva e il regime introdotto dalla legge n. 124 del 2017. La sanatoria della nullità della notificazione di atto giudiziario, eseguita dall'operatore di poste private per raggiungimento dello scopo dovuto alla costituzione della controparte, non rileva ai fini della tempestività del ricorso, a fronte della mancanza di certezza legale della data di consegna del ricorso medesimo all'operatore, dovuta all'assenza di poteri certificativi dell'operatore, perchè sprovvisto di titolo abilitativo.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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In tema di notificazione di atti processuali, posta che nel quadro giuridico novellato dalla direttiva n. 2008/6/CE del Parlamento e del Consiglio del 20 febbraio 2008 è prevista la possibilità per tutti gli operatori postali di notificare atti giudiziari, a meno che lo Stato non evidenzi e dimostri la giustificazione oggettiva ostativa, è nulla e non inesistente la notificazione di atto giudiziario eseguita dall'operatore di posta privata senza relativo titolo abilitativo nel periodo intercorrente fra l'entrata in vigore della suddetta direttiva e il regime introdotto dalla legge n. 124 del 2017. La sanatoria della nullità della notificazione di atto giudiziario, eseguita dall'operatore di poste private per raggiungimento dello scopo dovuto alla costituzione della controparte, non rileva ai fini della tempestività del ricorso, a fronte della mancanza di certezza legale della data di consegna del ricorso medesimo all'operatore, dovuta all'assenza di poteri certificativi dell'operatore, perchè sprovvisto di titolo abilitativo.
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DELL' aVV. gAETANO RICCIO E DELL' aVV. eLIANA LIBROIA
Il controverso diritto di accesso
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TRADUZIONI LEGALIZZATE
DETERMINAZIONE E LIQUIDAZIONE ONORARI AVVOCATO
Cass. civ. Sez. VI - 2 Ord., 18/11/2019, n. 29822 - pubblicato il 3 dicembre 2019
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Studio Legale Riccio Libroia
Salerno - Nocera Inferiore
Nel caso in cui più avvocati siano incaricati della difesa in un procedimento civile, ciascuno di essi ha diritto all'onorario nei confronti del cliente solo in base all'opera effettivamente prestata, rimanendo tale diritto escluso soltanto se, essendo stato richiesto il pagamento di una sola parcella e non essendo state in essa indicate separatamente le prestazioni di ciascuno degli avvocati, risulta in modo non equivoco una reciproca sostituzione nelle singole prestazioni, poi sommate nella specifica. Di talché, la configurabilità di una limitazione del diritto al compenso in capo a ciascun singolo procuratore, presuppone la prova che lo stesso ha svolto solo in parte l'attività professionale per la quale chiede di essere ricompensato.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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Salerno - Nocera Inferiore
Nel caso in cui più avvocati siano incaricati della difesa in un procedimento civile, ciascuno di essi ha diritto all'onorario nei confronti del cliente solo in base all'opera effettivamente prestata, rimanendo tale diritto escluso soltanto se, essendo stato richiesto il pagamento di una sola parcella e non essendo state in essa indicate separatamente le prestazioni di ciascuno degli avvocati, risulta in modo non equivoco una reciproca sostituzione nelle singole prestazioni, poi sommate nella specifica. Di talché, la configurabilità di una limitazione del diritto al compenso in capo a ciascun singolo procuratore, presuppone la prova che lo stesso ha svolto solo in parte l'attività professionale per la quale chiede di essere ricompensato.
ONORARI AVVOCATO
Cass. civ., Sez. Unite, 27 novembre 2019, n. 31030 - pubblicato il 2 dicembre 2019
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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Salerno - Nocera Inferiore
L'art. 4, comma 2 del D.M. 10 marzo 2014 n. 55, che prevede la liquidazione di un unico compenso nel caso in cui l'avvocato assista più soggetti aventi la stessa posizione processuale o una sola parte contro più soggetti, con possibilità di un suo aumento percentuale per ogni soggetto oltre il primo, presuppone, secondo la formula della norma in esame, le ipotesi dell'unicità della causa o di una pluralità di cause riunite e non è, pertanto, operante nella diversa ipotesi di assistenza e difesa di più persone aventi la stessa posizione processuale o di un unico soggetto contro più soggetti, in procedimenti separatamente promossi e non riuniti, ancorché aventi ad oggetto le medesime questioni di fatto e di diritto.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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L'art. 4, comma 2 del D.M. 10 marzo 2014 n. 55, che prevede la liquidazione di un unico compenso nel caso in cui l'avvocato assista più soggetti aventi la stessa posizione processuale o una sola parte contro più soggetti, con possibilità di un suo aumento percentuale per ogni soggetto oltre il primo, presuppone, secondo la formula della norma in esame, le ipotesi dell'unicità della causa o di una pluralità di cause riunite e non è, pertanto, operante nella diversa ipotesi di assistenza e difesa di più persone aventi la stessa posizione processuale o di un unico soggetto contro più soggetti, in procedimenti separatamente promossi e non riuniti, ancorché aventi ad oggetto le medesime questioni di fatto e di diritto.
INTERPRETAZIONE DEL CONTRATTO
Cass. civ., Sez. lavoro, Ord., 25 novembre 2019, n. 30664 - pubblicato il 2 dicembre 2019
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Nell'interpretazione del contratto, attività riservata ai giudice di merito censurabile in sede di legittimità solo per violazione dei canoni ermeneutici o vizio di motivazione, il carattere prioritario dell'elemento letterale non va inteso in senso assoluto in quanto il richiamo contenuto nell'art. 1362 c.c. alla comune intenzione delle parti impone di estendere l'indagine ai criteri logici, teleologici e sistematici laddove si registri, pur nella chiarezza del testo dell'accordo, una incoerenza con indici esterni che rivelino una diversa volontà dei contraenti. In tal caso assume valore rilevante anche il criterio logico-sistematico di cui all'art. 1363 c.c., che impone di desumere la volontà manifestata dai contraenti da un esame complessivo delle diverse clausole aventi attinenza alla materia in contesa, tenendosi conto, se del caso, anche del comportamento successivo delle parti.
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Nell'interpretazione del contratto, attività riservata ai giudice di merito censurabile in sede di legittimità solo per violazione dei canoni ermeneutici o vizio di motivazione, il carattere prioritario dell'elemento letterale non va inteso in senso assoluto in quanto il richiamo contenuto nell'art. 1362 c.c. alla comune intenzione delle parti impone di estendere l'indagine ai criteri logici, teleologici e sistematici laddove si registri, pur nella chiarezza del testo dell'accordo, una incoerenza con indici esterni che rivelino una diversa volontà dei contraenti. In tal caso assume valore rilevante anche il criterio logico-sistematico di cui all'art. 1363 c.c., che impone di desumere la volontà manifestata dai contraenti da un esame complessivo delle diverse clausole aventi attinenza alla materia in contesa, tenendosi conto, se del caso, anche del comportamento successivo delle parti.
MISURE CAUTELARI PERSONALI - ESTRADIZIONE
Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 30-10-2019) 04-11-2019, n. 44733 - pubblicato il 12 novembre 2019
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Va infatti rimarcato che nei confronti della Bulgaria la Corte di Straburgo ha pronunciato una sentenza c.d. pilota (Neshkov contro Bulgaria del 27/01/2015), con la quale ha assegnato un termine di diciotto mesi per l'adozione di misure volte a risolvere il problema strutturale degli istituti carcerari, derivante da sovraffollamento e indisponibilità di spazio vitale e inadeguatezza delle condizioni igieniche e di vivibilità. D'altro canto, dopo che una prima analisi degli organi competenti non aveva condotto ad un giudizio soddisfacente, anche il rapporto riguardante l'esito della più recente verifica effettuata dal Comitato per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani e degradanti (Cpt) nei mesi di settembre e ottobre 2017 (pubblicato il 04/05/2018), pur constatando leggeri miglioramenti, segnala la permanenza di condizioni di degrado, cosicchè non si dispone, allo stato, di fonti conoscitive rassicuranti.
La giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato, in relazione alla consegna verso Stati, come la Bulgaria, le cui condizioni carcerarie risultino - sulla base di elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati - affette da gravi carenze sistemiche o generalizzate, che è necessario accertare la sussistenza di un rischio concreto di trattamento inumano e degradante in ordine al regime carcerario riservato alla persona richiesta in consegna (tra le tante, Sez. 6, n. 47891 del 11/10/2017, Enache, Rv. 271513; Sez. 6, n. 23277 del 01/06/2016, Barbu, Rv. 267296). Come ha chiarito la Corte di Giustizia dell'Unione Europea (sent. 05/04/2016, Aranyosi e Caldàraru, C-404/15 e C-659/15 PPU, p. 95 e ss.), tale accertamento supplementare, che va condotto richiedendo con urgenza allo Stato membro emittente ogni necessaria informazione, deve avere carattere "concreto e preciso", nel senso che deve riguardare le specifiche condizioni di detenzione previste per l'interessato.
Nel caso di specie le Autorità bulgare, nonostante le reiterate richieste avanzate tramite il Ministero della Giustizia, hanno fornito informazioni insufficienti a consentire la verifica delle future condizioni di detenzione del ricorrente nello Stato di emissione. Non risulta infatti individuato con certezza l'istituto di destinazione, nè il regime di detenzione (si indica genericamente la modulazione da un regime chiuso della durata di almeno 6 mesi ad un regime "più leggero" in relazione al buon comportamento del detenuto).
A tale stregua, posto che condizioni carcerarie inadeguate danno luogo a trattamenti inumani o degradanti e costituiscono dunque potenziale motivo di rifiuto della consegna, occorre che lo Stato che ha emesso il M.A.E. indichi lo specifico trattamento penitenziario cui sottoporrà il consegnando, assicurando il necessario spazio vitale e idonee condizioni di vivibilità, da valutarsi in relazione al complessivo regime penitenziario previsto, fermo restando che le dimensioni della cella devono assicurare quanto specificamente previsto nella recente sentenza della Corte di Strasburgo, Mursic contro Croazia del 20/10/2016 (Sez. 6, n. 931 del 11/01/2018, non mass.).
Ne consegue che è necessario effettuare, prima di abbandonare la procedura di consegna (nello spirito della salvaguardia dello strumento di cooperazione giudiziaria invocato dalla Corte di Giustizia nella citata pronuncia), un ulteriore accertamento che definisca in termini puntuali il concreto regime che lo Stato bulgaro intende riservare al ricorrente, anche alla luce dei principi affermati dalla Grande Camera della Corte EDU nella sentenza sopra citata.
Dalle considerazioni che precedono consegue che la sentenza impugnata debba essere annullata con rinvio, per nuovo esame sulle condizioni di detenzione presso lo Stato di esecuzione, affinchè venga accertato, alla luce dei principi sopra richiamati, se sussistono motivi seri e comprovati per ritenere che il ricorrente, a causa delle condizioni di detenzione nello Stato membro di esecuzione, corra un rischio concreto di trattamento inumano o degradante, in caso di consegna al suddetto Stato.
#STUDIOLEGALERICCIOLIBROIA #avvgaetanoriccio #avvelianalibroia #CASSAZIONE #DIRITTO #NOCERAINFERIORE #AVVRICCIO #AVVLIBROIA #SALERNO #CAMPANIA #GIURISPRUDENZA #ITALIA #ROMA #NAPOLI #DOMICILIAZIONI #TRADUZIONI #TRADUZIONILEGALIZZATE #ASSEVERAZIONI #DIRITTOPENALE #DIRITTOCIVILE
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Va infatti rimarcato che nei confronti della Bulgaria la Corte di Straburgo ha pronunciato una sentenza c.d. pilota (Neshkov contro Bulgaria del 27/01/2015), con la quale ha assegnato un termine di diciotto mesi per l'adozione di misure volte a risolvere il problema strutturale degli istituti carcerari, derivante da sovraffollamento e indisponibilità di spazio vitale e inadeguatezza delle condizioni igieniche e di vivibilità. D'altro canto, dopo che una prima analisi degli organi competenti non aveva condotto ad un giudizio soddisfacente, anche il rapporto riguardante l'esito della più recente verifica effettuata dal Comitato per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani e degradanti (Cpt) nei mesi di settembre e ottobre 2017 (pubblicato il 04/05/2018), pur constatando leggeri miglioramenti, segnala la permanenza di condizioni di degrado, cosicchè non si dispone, allo stato, di fonti conoscitive rassicuranti.
La giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato, in relazione alla consegna verso Stati, come la Bulgaria, le cui condizioni carcerarie risultino - sulla base di elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati - affette da gravi carenze sistemiche o generalizzate, che è necessario accertare la sussistenza di un rischio concreto di trattamento inumano e degradante in ordine al regime carcerario riservato alla persona richiesta in consegna (tra le tante, Sez. 6, n. 47891 del 11/10/2017, Enache, Rv. 271513; Sez. 6, n. 23277 del 01/06/2016, Barbu, Rv. 267296). Come ha chiarito la Corte di Giustizia dell'Unione Europea (sent. 05/04/2016, Aranyosi e Caldàraru, C-404/15 e C-659/15 PPU, p. 95 e ss.), tale accertamento supplementare, che va condotto richiedendo con urgenza allo Stato membro emittente ogni necessaria informazione, deve avere carattere "concreto e preciso", nel senso che deve riguardare le specifiche condizioni di detenzione previste per l'interessato.
Nel caso di specie le Autorità bulgare, nonostante le reiterate richieste avanzate tramite il Ministero della Giustizia, hanno fornito informazioni insufficienti a consentire la verifica delle future condizioni di detenzione del ricorrente nello Stato di emissione. Non risulta infatti individuato con certezza l'istituto di destinazione, nè il regime di detenzione (si indica genericamente la modulazione da un regime chiuso della durata di almeno 6 mesi ad un regime "più leggero" in relazione al buon comportamento del detenuto).
A tale stregua, posto che condizioni carcerarie inadeguate danno luogo a trattamenti inumani o degradanti e costituiscono dunque potenziale motivo di rifiuto della consegna, occorre che lo Stato che ha emesso il M.A.E. indichi lo specifico trattamento penitenziario cui sottoporrà il consegnando, assicurando il necessario spazio vitale e idonee condizioni di vivibilità, da valutarsi in relazione al complessivo regime penitenziario previsto, fermo restando che le dimensioni della cella devono assicurare quanto specificamente previsto nella recente sentenza della Corte di Strasburgo, Mursic contro Croazia del 20/10/2016 (Sez. 6, n. 931 del 11/01/2018, non mass.).
Ne consegue che è necessario effettuare, prima di abbandonare la procedura di consegna (nello spirito della salvaguardia dello strumento di cooperazione giudiziaria invocato dalla Corte di Giustizia nella citata pronuncia), un ulteriore accertamento che definisca in termini puntuali il concreto regime che lo Stato bulgaro intende riservare al ricorrente, anche alla luce dei principi affermati dalla Grande Camera della Corte EDU nella sentenza sopra citata.
Dalle considerazioni che precedono consegue che la sentenza impugnata debba essere annullata con rinvio, per nuovo esame sulle condizioni di detenzione presso lo Stato di esecuzione, affinchè venga accertato, alla luce dei principi sopra richiamati, se sussistono motivi seri e comprovati per ritenere che il ricorrente, a causa delle condizioni di detenzione nello Stato membro di esecuzione, corra un rischio concreto di trattamento inumano o degradante, in caso di consegna al suddetto Stato.
#STUDIOLEGALERICCIOLIBROIA #avvgaetanoriccio #avvelianalibroia #CASSAZIONE #DIRITTO #NOCERAINFERIORE #AVVRICCIO #AVVLIBROIA #SALERNO #CAMPANIA #GIURISPRUDENZA #ITALIA #ROMA #NAPOLI #DOMICILIAZIONI #TRADUZIONI #TRADUZIONILEGALIZZATE #ASSEVERAZIONI #DIRITTOPENALE #DIRITTOCIVILE
responsabilità contrattuale del notaio
Cass. civ., Sez. III, Ord., 29 ottobre 2019, n. 27614 - pubblicato il 5 novembre 2019
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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In tema di responsabilità contrattuale del notaio, nel caso in cui quest'ultimo abbia rogato un atto di trasferimento di un immobile il cui venditore sia stato in precedenza dichiarato fallito, l'atto è, per tale ragione, privo di effetti verso i creditori. L'acquirente in tale eventualità ha diritto al risarcimento del danno patito, il cui ammontare è pari ai valore monetario dell'immobile al momento dell'effettivo rilascio, detratto l'importo corrispondente all'eventuale vantaggio economico tratto nel periodo in cui l'acquirente ne ha avuto il godimento quale proprietario.
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In tema di responsabilità contrattuale del notaio, nel caso in cui quest'ultimo abbia rogato un atto di trasferimento di un immobile il cui venditore sia stato in precedenza dichiarato fallito, l'atto è, per tale ragione, privo di effetti verso i creditori. L'acquirente in tale eventualità ha diritto al risarcimento del danno patito, il cui ammontare è pari ai valore monetario dell'immobile al momento dell'effettivo rilascio, detratto l'importo corrispondente all'eventuale vantaggio economico tratto nel periodo in cui l'acquirente ne ha avuto il godimento quale proprietario.
CONTRATTI BANCARI
Cass. civ., Sez. VI - 1, Ord., 30 ottobre 2019, n. 27769 - pubblicato il 31 ottobre 2019
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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L'art. 119 comma 4 TUB riconosce ai cliente il diritto di ottenere "copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni". Questa norma riconosce al cliente della banca il diritto di ottenere la documentazione inerente a tutte le operazioni del periodo a cui il richiedente sia in concreto interessato, nel rispetto del limite di tempo decennale previso, essendo sufficiente che l'interessato fornisca alla banca gli elementi minimi indispensabili per consentirle l'individuazione dei documenti richiesti. Ne consegue che il correntista ha il diritto di chiedere alla banca sia la documentazione sia il rendiconto relativo a un rapporto contrattuale la cui esistenza non sia controversa, atteso che il procedimento di rendiconto di cui agli artt. 263 e ss. c.p.c. è fondato sul presupposto dell'esistenza dell'obbligo legale o negoziale di una delle parti, di rendere il conto all'altra, facendo conoscere il risultato della propria attività.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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L'art. 119 comma 4 TUB riconosce ai cliente il diritto di ottenere "copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni". Questa norma riconosce al cliente della banca il diritto di ottenere la documentazione inerente a tutte le operazioni del periodo a cui il richiedente sia in concreto interessato, nel rispetto del limite di tempo decennale previso, essendo sufficiente che l'interessato fornisca alla banca gli elementi minimi indispensabili per consentirle l'individuazione dei documenti richiesti. Ne consegue che il correntista ha il diritto di chiedere alla banca sia la documentazione sia il rendiconto relativo a un rapporto contrattuale la cui esistenza non sia controversa, atteso che il procedimento di rendiconto di cui agli artt. 263 e ss. c.p.c. è fondato sul presupposto dell'esistenza dell'obbligo legale o negoziale di una delle parti, di rendere il conto all'altra, facendo conoscere il risultato della propria attività.
INSEMINAZIONE ARTIFICIALE
Corte cost., 23 ottobre 2019, n. 221 - pubblicato il 25 ottobre 2019
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Sono infondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 5 e 12, commi 2, 9 e 10, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 31, comma 2, 32, comma 1, e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. Non può considerarsi, infatti, irrazionale e ingiustificata, in termini generali, la preoccupazione legislativa di garantire, a fronte delle nuove tecniche procreative, il rispetto delle condizioni ritenute migliori per lo sviluppo della personalità del nuovo nato. Nell'esigere, in particolare, per l'accesso alla PMA, la diversità di sesso dei componenti della coppia – condizione peraltro chiaramente presupposta dalla disciplina costituzionale della famiglia – il legislatore ha tenuto conto, d'altronde, anche del grado di accettazione del fenomeno della cd. "omogenitorialità" nell'ambito della comunità sociale, ritenendo che, all'epoca del varo della legge, non potesse registrarsi un sufficiente consenso sul punto. Quanto detto non è neppure inficiato dai più recenti orientamenti della giurisprudenza comune sui temi dell'adozione di minori da parte di coppie omosessuali e del riconoscimento in Italia di atti formati all'estero, dichiarativi del rapporto di filiazione in confronto a genitori dello stesso sesso, dato la differenza tra l'adozione che mira a dare una famiglia al minore che ne è privo e la PMA che, di contro, serve a dare un figlio non ancora venuto ad esistenza a una coppia (o a un singolo), realizzandone le aspirazioni genitoriali. Non è violato l'art. 31, comma 2, Cost., che riguarda la maternità e non l'aspirazione a diventare genitore; né l'art. 32, comma 1, Cost., dato che la tutela costituzionale della "salute" non può essere estesa fino ad imporre la soddisfazione di qualsiasi aspirazione soggettiva o bisogno che una coppia (o anche un individuo) reputi essenziale, così da rendere incompatibile con l'evocato parametro ogni ostacolo normativo frapposto alla sua realizzazione.
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Sono infondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 5 e 12, commi 2, 9 e 10, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 31, comma 2, 32, comma 1, e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. Non può considerarsi, infatti, irrazionale e ingiustificata, in termini generali, la preoccupazione legislativa di garantire, a fronte delle nuove tecniche procreative, il rispetto delle condizioni ritenute migliori per lo sviluppo della personalità del nuovo nato. Nell'esigere, in particolare, per l'accesso alla PMA, la diversità di sesso dei componenti della coppia – condizione peraltro chiaramente presupposta dalla disciplina costituzionale della famiglia – il legislatore ha tenuto conto, d'altronde, anche del grado di accettazione del fenomeno della cd. "omogenitorialità" nell'ambito della comunità sociale, ritenendo che, all'epoca del varo della legge, non potesse registrarsi un sufficiente consenso sul punto. Quanto detto non è neppure inficiato dai più recenti orientamenti della giurisprudenza comune sui temi dell'adozione di minori da parte di coppie omosessuali e del riconoscimento in Italia di atti formati all'estero, dichiarativi del rapporto di filiazione in confronto a genitori dello stesso sesso, dato la differenza tra l'adozione che mira a dare una famiglia al minore che ne è privo e la PMA che, di contro, serve a dare un figlio non ancora venuto ad esistenza a una coppia (o a un singolo), realizzandone le aspirazioni genitoriali. Non è violato l'art. 31, comma 2, Cost., che riguarda la maternità e non l'aspirazione a diventare genitore; né l'art. 32, comma 1, Cost., dato che la tutela costituzionale della "salute" non può essere estesa fino ad imporre la soddisfazione di qualsiasi aspirazione soggettiva o bisogno che una coppia (o anche un individuo) reputi essenziale, così da rendere incompatibile con l'evocato parametro ogni ostacolo normativo frapposto alla sua realizzazione.
VIOLAZIONI DEONTOLOGICHE E RILEVANZA DEL
NOMEN JURIS NELLA PIÙ RECENTE GIURISPRUDENZA DELLA
CORTE DI CASSAZIONE
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IVA
Cass. civ., Sez. V, Ord., 8 ottobre 2019, n. 25093 - pubblicato l'11 ottobre 2019
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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In materia di IVA, il prestatore di un servizio può chiedere all'Amministrazione finanziaria il rimborso dell'imposta indebitamente versata dopo il decorso del termine di decadenza previsto dall'art. 21, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992, sebbene esclusivamente per quell'imposta che egli abbia effettivamente rimborsato al committente in esecuzione di un provvedimento coattivo, poiché, secondo quanto affermato dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea nella sentenza del 15 dicembre 2011 nel procedimento C-427/10, il principio di effettività del diritto comunitario, pur non ostando ad una normativa nazionale in materia di ripetizione dell'indebito che preveda un termine di prescrizione per il committente più lungo di quello di decadenza per il prestatore del servizio, non è soddisfatto quando l'applicazione di tale disciplina abbia la conseguenza di privare completamente il soggetto passivo del diritto di ottenere dall'Amministrazione finanziaria il rimborso dell'IVA non dovuta.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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In materia di IVA, il prestatore di un servizio può chiedere all'Amministrazione finanziaria il rimborso dell'imposta indebitamente versata dopo il decorso del termine di decadenza previsto dall'art. 21, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992, sebbene esclusivamente per quell'imposta che egli abbia effettivamente rimborsato al committente in esecuzione di un provvedimento coattivo, poiché, secondo quanto affermato dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea nella sentenza del 15 dicembre 2011 nel procedimento C-427/10, il principio di effettività del diritto comunitario, pur non ostando ad una normativa nazionale in materia di ripetizione dell'indebito che preveda un termine di prescrizione per il committente più lungo di quello di decadenza per il prestatore del servizio, non è soddisfatto quando l'applicazione di tale disciplina abbia la conseguenza di privare completamente il soggetto passivo del diritto di ottenere dall'Amministrazione finanziaria il rimborso dell'IVA non dovuta.
responsabilità civile
per i danni causati dai cani randagi
Cass. civ., Sez. III, Ord., 10 settembre 2019, n. 22522 - pubblicato il 13 settembre 2019
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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La responsabilità civile per i danni causati dai cani randagi deve ricadere sull'ente o sugli enti cui è attribuito dalla legge (ed in particolare dalle singole leggi regionali attuative della legge quadro nazionale n. 281 del 1991) il dovere di prevenire il pericolo specifico per l'incolumità della popolazione, ossia il compito della cattura e della custodia dei cani vaganti o randagi, mentre non può ritenersi sufficiente, a tal fine, l'attribuzione di generici compiti di prevenzione del randagismo, quale è il controllo delle nascite della popolazione canina e felina, avendo quest'ultimo ad oggetto il mero controllo numerico degli animali, a fini di igiene e profilassi, e, al più, una solo generica ed indiretta prevenzione dei vari inconvenienti legati al randagismo.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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La responsabilità civile per i danni causati dai cani randagi deve ricadere sull'ente o sugli enti cui è attribuito dalla legge (ed in particolare dalle singole leggi regionali attuative della legge quadro nazionale n. 281 del 1991) il dovere di prevenire il pericolo specifico per l'incolumità della popolazione, ossia il compito della cattura e della custodia dei cani vaganti o randagi, mentre non può ritenersi sufficiente, a tal fine, l'attribuzione di generici compiti di prevenzione del randagismo, quale è il controllo delle nascite della popolazione canina e felina, avendo quest'ultimo ad oggetto il mero controllo numerico degli animali, a fini di igiene e profilassi, e, al più, una solo generica ed indiretta prevenzione dei vari inconvenienti legati al randagismo.
PATROCINIO GRATUITO
Cass. civ., Sez. II, 9 settembre 2019, n. 22448 - pubblicato il 13 settembre 2019
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L'art. 83, comma 3 bis, D.P.R. n. 115 del 2002 (T.U. spese giustizia), che ha previsto che il decreto di pagamento debba essere emesso dal giudice contestualmente alla pronuncia del provvedimento che chiude la fase cui si riferisce la relativa richiesta, relativamente ai compensi richiesti dal difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, non prevede alcuna decadenza a carico del professionista che abbia depositato la relativa istanza dopo la pronuncia del detto provvedimento, nè impedisce al giudice di potersi pronunciare sulla richiesta dopo che si sia pronunciato definitivamente sul merito. Detta previsione ha, in realtà, la finalità in chiave acceleratoria, di raccomandare che la pronuncia del decreto di pagamento avvenga contestualmente alla pronuncia del provvedimento che chiude il giudizio.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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L'art. 83, comma 3 bis, D.P.R. n. 115 del 2002 (T.U. spese giustizia), che ha previsto che il decreto di pagamento debba essere emesso dal giudice contestualmente alla pronuncia del provvedimento che chiude la fase cui si riferisce la relativa richiesta, relativamente ai compensi richiesti dal difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, non prevede alcuna decadenza a carico del professionista che abbia depositato la relativa istanza dopo la pronuncia del detto provvedimento, nè impedisce al giudice di potersi pronunciare sulla richiesta dopo che si sia pronunciato definitivamente sul merito. Detta previsione ha, in realtà, la finalità in chiave acceleratoria, di raccomandare che la pronuncia del decreto di pagamento avvenga contestualmente alla pronuncia del provvedimento che chiude il giudizio.
OBBLIGAZIONI RISARCITORIE
Cass. civ., Sez. III, Ord., 28 agosto 2019, n. 21764 - pubblicato il 3 settembre 2019
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Nelle obbligazioni risarcitorie, il creditore deve essere risarcito, mediante la corresponsione degli interessi compensativi, del danno che si presume essergli derivato dall'impossibilità di disporre tempestivamente della somma dovuta e di impiegarla in maniera remunerativa. Ne deriva che la liquidazione del danno da ritardato adempimento, ove il debitore abbia pagato un acconto prima della quantificazione definitiva, deve avvenire: a) devalutando l'acconto ed il credito alla data dell'illecito; b) detraendo l'acconto dal credito; c) calcolando gli interessi compensativi mediante l'individuazione di un saggio scelto in via equitativa, da applicare prima sull'intero capitale, rivalutato anno per anno, per il periodo intercorso dalla data dell'illecito al pagamento dell'acconto, e poi sulla somma che residua dopo la detrazione dell'acconto, rivalutata annualmente, per il periodo che va da quel pagamento fino alla liquidazione definitiva. In ogni caso, resta fermo il principio secondo il quale la somma da pagare eventualmente in restituzione a seguito del nuovo conteggio, dovrà essere maggiorata dei soli interessi dalla data dei pagamenti ricevuti.
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Nelle obbligazioni risarcitorie, il creditore deve essere risarcito, mediante la corresponsione degli interessi compensativi, del danno che si presume essergli derivato dall'impossibilità di disporre tempestivamente della somma dovuta e di impiegarla in maniera remunerativa. Ne deriva che la liquidazione del danno da ritardato adempimento, ove il debitore abbia pagato un acconto prima della quantificazione definitiva, deve avvenire: a) devalutando l'acconto ed il credito alla data dell'illecito; b) detraendo l'acconto dal credito; c) calcolando gli interessi compensativi mediante l'individuazione di un saggio scelto in via equitativa, da applicare prima sull'intero capitale, rivalutato anno per anno, per il periodo intercorso dalla data dell'illecito al pagamento dell'acconto, e poi sulla somma che residua dopo la detrazione dell'acconto, rivalutata annualmente, per il periodo che va da quel pagamento fino alla liquidazione definitiva. In ogni caso, resta fermo il principio secondo il quale la somma da pagare eventualmente in restituzione a seguito del nuovo conteggio, dovrà essere maggiorata dei soli interessi dalla data dei pagamenti ricevuti.
ATTUALITA' DEL PERICOLO
Cass. pen., Sez. II, 16 luglio 2019, n. 36522 - pubblicato il 2 settembre 2019
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Il requisito dell'attualità del pericolo, pur non costituendo una mera ripetizione di quello di concretezza, richiama necessariamente l'esigenza di elevata probabilità del suo verificarsi rispetto non all'occasione del delinquere, ma alla sua occasionalità. In tal senso, pertanto, deve ritenersi che il pericolo non sia attuale se la condotta criminosa si appalesa del tutto sporadica ed occasionale, mentre sussiste laddove l'illecito possa ripetersi in ragione delle modalità del suo estrinsecarsi, della personalità del soggetto, indipendentemente dalla imminenza di sua verificazione. Il requisito dell'attualità del periculum libertatis può, dunque, individuarsi a prescindere dalla positiva ricognizione di effettive ed immediate opportunità di ricadute a portata di mano dell'inquisito.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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Il requisito dell'attualità del pericolo, pur non costituendo una mera ripetizione di quello di concretezza, richiama necessariamente l'esigenza di elevata probabilità del suo verificarsi rispetto non all'occasione del delinquere, ma alla sua occasionalità. In tal senso, pertanto, deve ritenersi che il pericolo non sia attuale se la condotta criminosa si appalesa del tutto sporadica ed occasionale, mentre sussiste laddove l'illecito possa ripetersi in ragione delle modalità del suo estrinsecarsi, della personalità del soggetto, indipendentemente dalla imminenza di sua verificazione. Il requisito dell'attualità del periculum libertatis può, dunque, individuarsi a prescindere dalla positiva ricognizione di effettive ed immediate opportunità di ricadute a portata di mano dell'inquisito.
DEMANSIONAMENTO
Cass. civ., Sez. lavoro, Ord., 23 luglio 2019, n. 19923 - pubblicato il 29 luglio 2019
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Nell'ambito del rapporto di lavoro subordinato in caso di accertato demansionamento professionale del lavoratore, in violazione dell'art. 2103 c.c., il giudice del merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione, se adeguatamente motivato, può desumere l'esistenza del relativo danno, avente natura patrimoniale e il cui onere di allegazione incombe sul lavoratore, e determinarne l'entità, anche in via equitativa, con processo logico - giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità dell'esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all'esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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Nell'ambito del rapporto di lavoro subordinato in caso di accertato demansionamento professionale del lavoratore, in violazione dell'art. 2103 c.c., il giudice del merito, con apprezzamento di fatto incensurabile in cassazione, se adeguatamente motivato, può desumere l'esistenza del relativo danno, avente natura patrimoniale e il cui onere di allegazione incombe sul lavoratore, e determinarne l'entità, anche in via equitativa, con processo logico - giuridico attinente alla formazione della prova, anche presuntiva, in base agli elementi di fatto relativi alla qualità e quantità dell'esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all'esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto.
TRASPORTO MARITTIMO ED AEREO
Cass. civ, Sez. Unite, Ord., 8 luglio 2019, n. 18257 - pubblicato il 12 luglio 2019
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Nel contratto di trasporto aereo internazionale, avente ad oggetto esclusivo l'acquisto di titolo di viaggio, intercorso tra una compagnia aerea extraeuropea e due cittadini italiani, domiciliati in Italia, in relazione all'azione risarcitoria proposta dai viaggiatori, per inadempimento contrattuale produttivo di danni a cose, ai sensi dell'art. 33, comma l della Convenzione di Montreal del 28 Maggio 1999, ratificata in Italia con L. 10 gennaio 2004, n. 12, laddove la contrattazione e l'acquisto siano avvenuti interamente "on line", la giurisdizione può essere radicata nel domicilio dell'acquirente, cosi dovendosi interpretare il criterio di determinazione della competenza giurisdizionale, individuato nello stabilimento a cura del quale il contratto è stato concluso, trattandosi di criterio concorrente con quello di destinazione del viaggio e del domicilio del vettore aereo.
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Nel contratto di trasporto aereo internazionale, avente ad oggetto esclusivo l'acquisto di titolo di viaggio, intercorso tra una compagnia aerea extraeuropea e due cittadini italiani, domiciliati in Italia, in relazione all'azione risarcitoria proposta dai viaggiatori, per inadempimento contrattuale produttivo di danni a cose, ai sensi dell'art. 33, comma l della Convenzione di Montreal del 28 Maggio 1999, ratificata in Italia con L. 10 gennaio 2004, n. 12, laddove la contrattazione e l'acquisto siano avvenuti interamente "on line", la giurisdizione può essere radicata nel domicilio dell'acquirente, cosi dovendosi interpretare il criterio di determinazione della competenza giurisdizionale, individuato nello stabilimento a cura del quale il contratto è stato concluso, trattandosi di criterio concorrente con quello di destinazione del viaggio e del domicilio del vettore aereo.
IMPOSTA SULLE DONAZIONI
Cass. civ., Sez. V, 21 giugno 2019, n. 16701 - pubblicato il 26 giugno 2019
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La costituzione del vincolo di destinazione di cui all'art. 2, comma 47 della L. 24 novembre 2006 n. 286, di conversione del D.L. 3 ottobre 2006 n. 262, non integra autonomo e sufficiente presupposto di una nuova imposta, in aggiunta a quella di successione e di donazione. Per l'applicazione dell'imposta di donazione, così come di quella proporzionale di registro ed ipocatastale, è necessario che si realizzi un trasferimento effettivo di ricchezza mediante attribuzione patrimoniale stabile e non meramente strumentale. Ne consegue che, nel trust di cui alla L. 16 ottobre 1989 n. 364, un trasferimento così imponibile non è riscontrabile né nell'atto istitutivo né nell'atto di dotazione patrimoniale tra disponente e trustee, in quanto meramente strumentali ed attuativi degli scopi di segregazione e di apposizione del vincolo di destinazione, ma soltanto in quello di eventuale attribuzione finale del bene al beneficiario, a compimento e realizzazione del trust medesimo.
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La costituzione del vincolo di destinazione di cui all'art. 2, comma 47 della L. 24 novembre 2006 n. 286, di conversione del D.L. 3 ottobre 2006 n. 262, non integra autonomo e sufficiente presupposto di una nuova imposta, in aggiunta a quella di successione e di donazione. Per l'applicazione dell'imposta di donazione, così come di quella proporzionale di registro ed ipocatastale, è necessario che si realizzi un trasferimento effettivo di ricchezza mediante attribuzione patrimoniale stabile e non meramente strumentale. Ne consegue che, nel trust di cui alla L. 16 ottobre 1989 n. 364, un trasferimento così imponibile non è riscontrabile né nell'atto istitutivo né nell'atto di dotazione patrimoniale tra disponente e trustee, in quanto meramente strumentali ed attuativi degli scopi di segregazione e di apposizione del vincolo di destinazione, ma soltanto in quello di eventuale attribuzione finale del bene al beneficiario, a compimento e realizzazione del trust medesimo.
DANNO CATASTROFALE
Cass. civ., Sez. III, Ord., 20 giugno 2019, n. 16592 - pubblicato il 22 giugno 2019
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Il danno catastrofale, se pure temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità, tanto che la lesione alla salute è così elevata da non essere suscettibile di recupero ed esitare nella morte. Ai fini della relativa liquidazione, pertanto, è necessario tenere conto di fattori di personalizzazione di una simile· sofferenza, escludendo che la liquidazione possa essere effettuata attraverso la meccanica applicazione di criteri contenuti in tabelle che, per quanto dettagliate, nella generalità dei casi sono predisposte per la liquidazione del danno biologico o delle invalidità, temporanee o permanenti, di soggetti che sopravvivono all'evento dannoso.
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Il danno catastrofale, se pure temporaneo, è massimo nella sua entità ed intensità, tanto che la lesione alla salute è così elevata da non essere suscettibile di recupero ed esitare nella morte. Ai fini della relativa liquidazione, pertanto, è necessario tenere conto di fattori di personalizzazione di una simile· sofferenza, escludendo che la liquidazione possa essere effettuata attraverso la meccanica applicazione di criteri contenuti in tabelle che, per quanto dettagliate, nella generalità dei casi sono predisposte per la liquidazione del danno biologico o delle invalidità, temporanee o permanenti, di soggetti che sopravvivono all'evento dannoso.
PREVIDENZA FORENSE
Cass. civ., Sez. lavoro, 19 giugno 2019, n. 16415 - pubblicato il 20 giugno 2019
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In materia di previdenza forense, in assenza di specifica norma che consenta alla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense - ente con personalità di diritto privato - di rettificare senza limiti di tempo la misura della pensione da essa liquidata (a differenza di quanto è previsto dall'art. 52 della legge n. 88 del 1989 in riferimento alle gestioni previdenziali affidate all'INPS), siffatto potere può essere esercitato nei limiti della prescrizione decennale, secondo quanto è dato desumere dall'art. 20 della legge n. 576 del 1980, che prevede la facoltà dell'ente previdenziale di controllare, all'atto della domanda di pensione, la corrispondenza tra le dichiarazioni annuali dei redditi e le comunicazioni annualmente inviate dallo stesso iscritto, limitatamente agli ultimi dieci anni, così da far prevalere l'esigenza di certezza dei rapporti giuridici rispetto all'esigenza di far valere, senza limiti temporali, l'esatta corrispondenza della posizione contributiva previdenziale delle regole disciplinanti la sua configurazione.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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In materia di previdenza forense, in assenza di specifica norma che consenta alla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense - ente con personalità di diritto privato - di rettificare senza limiti di tempo la misura della pensione da essa liquidata (a differenza di quanto è previsto dall'art. 52 della legge n. 88 del 1989 in riferimento alle gestioni previdenziali affidate all'INPS), siffatto potere può essere esercitato nei limiti della prescrizione decennale, secondo quanto è dato desumere dall'art. 20 della legge n. 576 del 1980, che prevede la facoltà dell'ente previdenziale di controllare, all'atto della domanda di pensione, la corrispondenza tra le dichiarazioni annuali dei redditi e le comunicazioni annualmente inviate dallo stesso iscritto, limitatamente agli ultimi dieci anni, così da far prevalere l'esigenza di certezza dei rapporti giuridici rispetto all'esigenza di far valere, senza limiti temporali, l'esatta corrispondenza della posizione contributiva previdenziale delle regole disciplinanti la sua configurazione.
COSA SUCCEDE SE UN LEGALE
ACCUSA UN GIUDICE DI IGNORANZA GIURIDICA?
Cass. pen., Sez. V, 9 maggio 2019, n. 19960 - pubblicato il 4 giugno 2019
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In tema di diritto di critica giudiziaria secondo il quale il diritto di critica dei provvedimenti giudiziari e dei comportamenti dei magistrati deve essere riconosciuto nel modo più ampio possibile, non solo perchè la cronaca e la critica possono essere tanto più larghe e penetranti, quanto più alta è la posizione dell'uomo pubblico oggetto di censura e più incisivi sono i provvedimenti che può adottare, ma anche perchè la critica è l'unico reale ed efficace strumento di controllo democratico dell'esercizio di una rilevante attività istituzionale che viene esercitata - è bene ricordarlo - in nome del popolo italiano da persone che, a garanzia della fondamentale libertà della decisione, godono giustamente di ampia autonomia ed indipendenza.
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In tema di diritto di critica giudiziaria secondo il quale il diritto di critica dei provvedimenti giudiziari e dei comportamenti dei magistrati deve essere riconosciuto nel modo più ampio possibile, non solo perchè la cronaca e la critica possono essere tanto più larghe e penetranti, quanto più alta è la posizione dell'uomo pubblico oggetto di censura e più incisivi sono i provvedimenti che può adottare, ma anche perchè la critica è l'unico reale ed efficace strumento di controllo democratico dell'esercizio di una rilevante attività istituzionale che viene esercitata - è bene ricordarlo - in nome del popolo italiano da persone che, a garanzia della fondamentale libertà della decisione, godono giustamente di ampia autonomia ed indipendenza.
SPESE GIUDIZIALI
Cass. civ., Sez. VI, 28 maggio 2019, n. 14474 - pubblicato il 3 giugno 2019
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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In materia di disciplina delle spese processuali, nel caso di azione o di impugnazione promossa dal difensore senza effettivo conferimento della procura da parte del soggetto nel cui nome egli dichiari di agire nel giudizio o nella fase di giudizio di che trattasi, l'attività del difensore non riverbera alcun effetto sulla parte e resta attività processuale di cui il legale assume esclusivamente la responsabilità e, conseguentemente, è ammissibile la sua condanna a pagare le spese del giudizio; diversamente, invece, nel caso di invalidità o sopravvenuta inefficacia della procura ad litem, non è ammissibile la condanna del difensore alle spese del giudizio, in quanto l'attività processuale è provvisoriamente efficace e la procura, benché sia nulla o invalida, è tuttavia idonea a determinare l'instaurazione di un rapporto processuale con la parte rappresentata, che assume la veste di potenziale destinataria delle situazioni derivanti dal processo.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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In materia di disciplina delle spese processuali, nel caso di azione o di impugnazione promossa dal difensore senza effettivo conferimento della procura da parte del soggetto nel cui nome egli dichiari di agire nel giudizio o nella fase di giudizio di che trattasi, l'attività del difensore non riverbera alcun effetto sulla parte e resta attività processuale di cui il legale assume esclusivamente la responsabilità e, conseguentemente, è ammissibile la sua condanna a pagare le spese del giudizio; diversamente, invece, nel caso di invalidità o sopravvenuta inefficacia della procura ad litem, non è ammissibile la condanna del difensore alle spese del giudizio, in quanto l'attività processuale è provvisoriamente efficace e la procura, benché sia nulla o invalida, è tuttavia idonea a determinare l'instaurazione di un rapporto processuale con la parte rappresentata, che assume la veste di potenziale destinataria delle situazioni derivanti dal processo.
RAPPORTO TRA IL GIUDIZIO CIVILE ED IL GIUDIZIO PENALE
Cass. civ., Sez. Unite, 21 maggio 2019, n. 13661 - pubblicato il 24 maggio 2019
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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In tema di rapporto tra giudizio penale e giudizio civile, i casi di sospensione necessaria previsti dall'art. 75, comma 3, c.p.p., che rispondono a finalità diverse da quella di preservare l'uniformità dei giudicati, e richiedono che la sentenza che definisca il processo penale influente sia destinata a produrre in quello civile il vincolo rispettivamente previsto dagli artt. 651, 651-bis, 652 e 654 c.p.p., vanno interpretati restrittivamente, di modo che la sospensione non si applica qualora il danneggiato proponga azione di danno nei confronti del danneggiante e dell'impresa assicuratrice della responsabilità civile dopo la pronuncia di primo grado nel processo penale nel quale il danneggiante sia imputato.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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In tema di rapporto tra giudizio penale e giudizio civile, i casi di sospensione necessaria previsti dall'art. 75, comma 3, c.p.p., che rispondono a finalità diverse da quella di preservare l'uniformità dei giudicati, e richiedono che la sentenza che definisca il processo penale influente sia destinata a produrre in quello civile il vincolo rispettivamente previsto dagli artt. 651, 651-bis, 652 e 654 c.p.p., vanno interpretati restrittivamente, di modo che la sospensione non si applica qualora il danneggiato proponga azione di danno nei confronti del danneggiante e dell'impresa assicuratrice della responsabilità civile dopo la pronuncia di primo grado nel processo penale nel quale il danneggiante sia imputato.
AMMISSIONE AL PASSIVO
Cass. civ., Sez. VI, Ord., 17 maggio 2019, n. 13317 - pubblicato il 24 maggio 2019
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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La domanda di insinuazione al passivo fallimentare proposta da uno studio associato fa presumere l'esclusione della personalità del rapporto d'opera professionale da cui quel credito è derivato e, dunque, la insussistenza dei presupposti per il riconoscimento del privilegio ex art. 2751 bis, n. 2, c.c.. Resta salva l'ipotesi in cui l'istante dimostri che il credito si riferisce ad una prestazione svolta personalmente dal professionista, in via esclusiva o prevalente, e sia di pertinenza dello stesso professionista, pur se formalmente richiesta dall'associazione. Il giudice del merito è, pertanto, tenuto a valutare il concreto espletamento della prestazione professionale, tenendo conto altresì della dimensione dell'associazione professionale.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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La domanda di insinuazione al passivo fallimentare proposta da uno studio associato fa presumere l'esclusione della personalità del rapporto d'opera professionale da cui quel credito è derivato e, dunque, la insussistenza dei presupposti per il riconoscimento del privilegio ex art. 2751 bis, n. 2, c.c.. Resta salva l'ipotesi in cui l'istante dimostri che il credito si riferisce ad una prestazione svolta personalmente dal professionista, in via esclusiva o prevalente, e sia di pertinenza dello stesso professionista, pur se formalmente richiesta dall'associazione. Il giudice del merito è, pertanto, tenuto a valutare il concreto espletamento della prestazione professionale, tenendo conto altresì della dimensione dell'associazione professionale.
PUBBLICATO IL NUOVO ARTICOLO
DELL' AVV. GAETANO RICCIO E DELL' AVV. ELIANA lIBROIA
Il nuovo art. 560 c.p.c. alla luce della legge 11 febbraio 2019, n. 12
PUOI LEGGERLO GRATUITAMENTE CLICCANDO SUL TITOLO
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illegittimità costituzionale
dell'art. 47-ter, comma 1-ter,
della legge 26 luglio 1975, n. 354
Corte cost., 19 aprile 2019, n. 99 - pubblicato il 29 aprile 2019
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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Va dichiarata la illegittimità costituzionale dell'art. 47-ter, comma 1-ter, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui non prevede che, nell'ipotesi di grave infermità psichica sopravvenuta, il tribunale di sorveglianza possa disporre l'applicazione al condannato della detenzione domiciliare anche in deroga ai limiti di cui al comma 1 del medesimo art. 47-ter. L'assenza di ogni alternativa al carcere, che impedisce al giudice di disporre che la pena sia eseguita fuori dagli istituti di detenzione, anche qualora, a seguito di tutti i necessari accertamenti medici, sia stata riscontrata una malattia mentale che provochi una sofferenza talmente grave che, cumulata con l'ordinaria afflittività del carcere, dia luogo a un supplemento di pena contrario al senso di umanità, contrasta, invero, con i principi costituzionali di cui agli artt. 2, 3, 27, terzo comma, 32 e 117, primo comma, Cost.
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Va dichiarata la illegittimità costituzionale dell'art. 47-ter, comma 1-ter, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui non prevede che, nell'ipotesi di grave infermità psichica sopravvenuta, il tribunale di sorveglianza possa disporre l'applicazione al condannato della detenzione domiciliare anche in deroga ai limiti di cui al comma 1 del medesimo art. 47-ter. L'assenza di ogni alternativa al carcere, che impedisce al giudice di disporre che la pena sia eseguita fuori dagli istituti di detenzione, anche qualora, a seguito di tutti i necessari accertamenti medici, sia stata riscontrata una malattia mentale che provochi una sofferenza talmente grave che, cumulata con l'ordinaria afflittività del carcere, dia luogo a un supplemento di pena contrario al senso di umanità, contrasta, invero, con i principi costituzionali di cui agli artt. 2, 3, 27, terzo comma, 32 e 117, primo comma, Cost.
IRRILEVANZA DEL FATTO COMPIUTO DAL MINORE
Cass. pen. Sez. IV, 26 marzo 2019, n. 13094 - pubblicato il 19 aprile 2019
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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Come emerge anche dai cenni al proscioglimento per irrilevanza del fatto contenuti nella relazione al progetto preliminare delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni, il legislatore delegato, in attuazione del criterio generale enunciato nell'alinea della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81, art. 3, ha ritenuto corrispondente alle esigenze dell'educazione del minore una disciplina che privilegiasse la sua rapida fuoruscita dal processo, non oltre il primo contatto con il giudice successivo all'esercizio dell'azione penale. Questa impostazione è stata sostanzialmente confermata dal legislatore del 1992, che, nel reintrodurre la disposizione che preclude in via generale di fare applicazione dell'istituto in dibattimento, ha previsto quali uniche eccezioni il giudizio direttissimo e il giudizio immediato, ipotesi caratterizzate entrambe dalla mancanza dell'udienza preliminare. La scelta così operata sembra peraltro porsi in contraddizione con la peculiare natura del proscioglimento per irrilevanza del fatto e con la funzione di favore svolta da tale pronuncia rispetto ad altre formule di proscioglimento tipiche del procedimento minorile. In primo luogo, i presupposti sostanziali dell'istituto (tenuità del fatto e occasionalità del comportamento), variamente definito come causa oggettiva di esclusione della pena o causa di esclusione della punibilità (si veda, in particolare, la sentenza Corte Cost. n. 250 del 1991, ove l'irrilevanza del fatto, di cui è affermata la pertinenza al diritto sostanziale, è qualificata come causa di non punibilità), e l'esigenza di assicurarne le più ampie possibilità di accertamento rendono priva di ragionevole giustificazione una disciplina che ne limita l'operatività alle fasi iniziali del procedimento. D'altro canto, alla luce dell'art. 31 Cost., comma 2, e dei principi enunciati nelle Convenzioni, nelle Regole e nelle Raccomandazioni internazionali in materia, a cui la Corte costituzionale si è ripetutamente richiamata (ex multis, sentenze n. 195 del 2002, n. 433 del 1997, n. 250 del 1991), la tutela del preminente interesse del minore non può essere fatta meccanicisticamente coincidere con la sua immediata fuoruscita dal procedimento, ma richiede che l'estromissione, "la più possibile sollecita" (sentenza n. 250 del 1991), dal circuito processuale non sacrifichi l'esigenza di "garantire al minore le più complete opportunità difensive connesse alla formazione della prova in dibattimento" (sentenza n. 195 del 2002, che a sua volta richiama la sentenza n. 77 del 1993). L'obiettivo di una rapida fuoruscita del minorenne dal circuito processuale non esclude cioè che debba comunque essere adottata la decisione a lui più favorevole, ponendolo nelle condizioni di ottenere, ove ne sussistano i presupposti, la formula di proscioglimento più adeguata alla natura del fatto contestato e ai profili soggettivi del suo comportamento. Ciò premesso, la Corte costituzionale, nella sentenza 149/2003, rilevava come la disciplina censurata non contemperasse tali esigenze, posto che, se gli elementi di fatto e le circostanze idonei a dimostrare la tenuità del fatto e l'occasionalità del comportamento emergono solo in dibattimento, o se l'imputato non ha potuto beneficiare del proscioglimento per irrilevanza del fatto nell'udienza preliminare, l'unica alternativa alla pronuncia di una sentenza di condanna è, come dimostrava la vicenda oggetto del giudizio di rimessione alla Corte, il proscioglimento dibattimentale per concessione del perdono giudiziale. Il giudice delle leggi correttamente rilevava come tale esito - presupponente un'affermazione di colpevolezza - realizza un livello di tutela dell'imputato minorenne certamente inferiore rispetto a quello assicurato dal proscioglimento per irrilevanza del fatto, i cui effetti processuali e sostanziali sono di gran lunga più favorevoli. Sulla scorta delle anzidette premesse, dichiarava, per contrasto con l'art. 3 Cost. e art. 31 Cost., comma 2, l'illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 448 del 1988, art. 27, comma 4, nella parte in cui prevedeva che la sentenza di proscioglimento per irrilevanza del fatto potesse essere pronunciata solo nell'udienza preliminare, nel giudizio immediato e nel giudizio direttissimo.
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Come emerge anche dai cenni al proscioglimento per irrilevanza del fatto contenuti nella relazione al progetto preliminare delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni, il legislatore delegato, in attuazione del criterio generale enunciato nell'alinea della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81, art. 3, ha ritenuto corrispondente alle esigenze dell'educazione del minore una disciplina che privilegiasse la sua rapida fuoruscita dal processo, non oltre il primo contatto con il giudice successivo all'esercizio dell'azione penale. Questa impostazione è stata sostanzialmente confermata dal legislatore del 1992, che, nel reintrodurre la disposizione che preclude in via generale di fare applicazione dell'istituto in dibattimento, ha previsto quali uniche eccezioni il giudizio direttissimo e il giudizio immediato, ipotesi caratterizzate entrambe dalla mancanza dell'udienza preliminare. La scelta così operata sembra peraltro porsi in contraddizione con la peculiare natura del proscioglimento per irrilevanza del fatto e con la funzione di favore svolta da tale pronuncia rispetto ad altre formule di proscioglimento tipiche del procedimento minorile. In primo luogo, i presupposti sostanziali dell'istituto (tenuità del fatto e occasionalità del comportamento), variamente definito come causa oggettiva di esclusione della pena o causa di esclusione della punibilità (si veda, in particolare, la sentenza Corte Cost. n. 250 del 1991, ove l'irrilevanza del fatto, di cui è affermata la pertinenza al diritto sostanziale, è qualificata come causa di non punibilità), e l'esigenza di assicurarne le più ampie possibilità di accertamento rendono priva di ragionevole giustificazione una disciplina che ne limita l'operatività alle fasi iniziali del procedimento. D'altro canto, alla luce dell'art. 31 Cost., comma 2, e dei principi enunciati nelle Convenzioni, nelle Regole e nelle Raccomandazioni internazionali in materia, a cui la Corte costituzionale si è ripetutamente richiamata (ex multis, sentenze n. 195 del 2002, n. 433 del 1997, n. 250 del 1991), la tutela del preminente interesse del minore non può essere fatta meccanicisticamente coincidere con la sua immediata fuoruscita dal procedimento, ma richiede che l'estromissione, "la più possibile sollecita" (sentenza n. 250 del 1991), dal circuito processuale non sacrifichi l'esigenza di "garantire al minore le più complete opportunità difensive connesse alla formazione della prova in dibattimento" (sentenza n. 195 del 2002, che a sua volta richiama la sentenza n. 77 del 1993). L'obiettivo di una rapida fuoruscita del minorenne dal circuito processuale non esclude cioè che debba comunque essere adottata la decisione a lui più favorevole, ponendolo nelle condizioni di ottenere, ove ne sussistano i presupposti, la formula di proscioglimento più adeguata alla natura del fatto contestato e ai profili soggettivi del suo comportamento. Ciò premesso, la Corte costituzionale, nella sentenza 149/2003, rilevava come la disciplina censurata non contemperasse tali esigenze, posto che, se gli elementi di fatto e le circostanze idonei a dimostrare la tenuità del fatto e l'occasionalità del comportamento emergono solo in dibattimento, o se l'imputato non ha potuto beneficiare del proscioglimento per irrilevanza del fatto nell'udienza preliminare, l'unica alternativa alla pronuncia di una sentenza di condanna è, come dimostrava la vicenda oggetto del giudizio di rimessione alla Corte, il proscioglimento dibattimentale per concessione del perdono giudiziale. Il giudice delle leggi correttamente rilevava come tale esito - presupponente un'affermazione di colpevolezza - realizza un livello di tutela dell'imputato minorenne certamente inferiore rispetto a quello assicurato dal proscioglimento per irrilevanza del fatto, i cui effetti processuali e sostanziali sono di gran lunga più favorevoli. Sulla scorta delle anzidette premesse, dichiarava, per contrasto con l'art. 3 Cost. e art. 31 Cost., comma 2, l'illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 448 del 1988, art. 27, comma 4, nella parte in cui prevedeva che la sentenza di proscioglimento per irrilevanza del fatto potesse essere pronunciata solo nell'udienza preliminare, nel giudizio immediato e nel giudizio direttissimo.
NOTIFICAZIONI
Corte cost., 9 aprile 2019, n. 75 - pubblicato il 15 aprile 2019
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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Va dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 16-septies del D.L. n. 179 del 2012 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del paese), convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2012, n. 221, inserito dall'art. 45 bis, comma 2, lettera b), D.L. n. 90 del 2014 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, nella legge n. 114 del 2014, nella parte in cui prevede che la notifica eseguita con modalità telematiche la cui ricevuta di accettazione è generata dopo le ore 21 ed entro le ore 24 si perfeziona per il notificante alle ore 7 del giorno successivo, anziché al momento di generazione della predetta ricevuta. Il divieto di notifica per via telematica oltre le ore 21 risulta, invero, introdotto allo scopo di tutelare il destinatario, per salvaguardarne, cioè, il diritto al riposo in una fascia oraria (dalle 21 alle 24) in cui egli sarebbe, altrimenti, costretto a continuare a controllare la propria casella di posta elettronica. Ciò giustifica la fictio iuris, contenuta nella seconda parte della norma, per cui il perfezionamento della notifica è differito, per il destinatario, alle ore 7 del giorno successivo, ma non giustifica la corrispondente limitazione nel tempo degli effetti giuridici della notifica nei riguardi del mittente, al quale – senza che ciò sia funzionale alla tutela del diritto al riposo del destinatario e nonostante che il mezzo tecnologico lo consenta – viene, invece, impedito di utilizzare appieno il termine utile per approntare la propria difesa: termine che l'art. 155 c.p.c. computa a giorni e che, nel caso di impugnazione, scade, appunto, allo spirare della mezzanotte dell'ultimo giorno.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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Va dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 16-septies del D.L. n. 179 del 2012 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del paese), convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2012, n. 221, inserito dall'art. 45 bis, comma 2, lettera b), D.L. n. 90 del 2014 (Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, nella legge n. 114 del 2014, nella parte in cui prevede che la notifica eseguita con modalità telematiche la cui ricevuta di accettazione è generata dopo le ore 21 ed entro le ore 24 si perfeziona per il notificante alle ore 7 del giorno successivo, anziché al momento di generazione della predetta ricevuta. Il divieto di notifica per via telematica oltre le ore 21 risulta, invero, introdotto allo scopo di tutelare il destinatario, per salvaguardarne, cioè, il diritto al riposo in una fascia oraria (dalle 21 alle 24) in cui egli sarebbe, altrimenti, costretto a continuare a controllare la propria casella di posta elettronica. Ciò giustifica la fictio iuris, contenuta nella seconda parte della norma, per cui il perfezionamento della notifica è differito, per il destinatario, alle ore 7 del giorno successivo, ma non giustifica la corrispondente limitazione nel tempo degli effetti giuridici della notifica nei riguardi del mittente, al quale – senza che ciò sia funzionale alla tutela del diritto al riposo del destinatario e nonostante che il mezzo tecnologico lo consenta – viene, invece, impedito di utilizzare appieno il termine utile per approntare la propria difesa: termine che l'art. 155 c.p.c. computa a giorni e che, nel caso di impugnazione, scade, appunto, allo spirare della mezzanotte dell'ultimo giorno.
SEPARAZIONE DEI CONIUGI
Cass. civ., Sez. I, Ord., 8 aprile 2019, n. 9764 - pubblicato il 10 aprile 2019
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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Nell'interesse superiore del minore, va assicurato il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, nel dovere dei primi di cooperare nell'assistenza, educazione ed istruzione.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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Nell'interesse superiore del minore, va assicurato il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, nel dovere dei primi di cooperare nell'assistenza, educazione ed istruzione.
PROFESSIONI INTELLETTUALI
Cass. civ., Sez. II, 28 marzo 2019, n. 8683 - pubblicato il 2 aprile 2019
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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L'esecuzione di una prestazione d'opera professionale di natura intellettuale effettuata da chi non sia iscritto nell'apposito albo previsto dalla legge dà luogo, ai sensi degli artt. 1418 e 2231 c.c., a nullità assoluta del rapporto tra professionista e cliente, privando il contratto di qualsiasi effetto, con la conseguenza che il professionista non iscritto all'albo o che non sia munito nemmeno della prescritta qualifica professionale per appartenere a categoria del tutto differente, non ha alcuna azione per il pagamento della retribuzione, nemmeno quella sussidiaria di arricchimento senza causa, sempreché la prestazione espletata dal professionista rientri in quelle attività che sono riservate in via esclusiva ad una determinata categoria professionale, essendo l'esercizio della professione subordinato per legge all'iscrizione in apposito albo o ad abilitazione. Al di fuori di tali attività vige, infatti, il principio generale di libertà di lavoro autonomo o di libertà di impresa di servizi, a seconda del contenuto delle prestazioni e della relativa organizzazione, salvi gli oneri amministrativi o tributari.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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L'esecuzione di una prestazione d'opera professionale di natura intellettuale effettuata da chi non sia iscritto nell'apposito albo previsto dalla legge dà luogo, ai sensi degli artt. 1418 e 2231 c.c., a nullità assoluta del rapporto tra professionista e cliente, privando il contratto di qualsiasi effetto, con la conseguenza che il professionista non iscritto all'albo o che non sia munito nemmeno della prescritta qualifica professionale per appartenere a categoria del tutto differente, non ha alcuna azione per il pagamento della retribuzione, nemmeno quella sussidiaria di arricchimento senza causa, sempreché la prestazione espletata dal professionista rientri in quelle attività che sono riservate in via esclusiva ad una determinata categoria professionale, essendo l'esercizio della professione subordinato per legge all'iscrizione in apposito albo o ad abilitazione. Al di fuori di tali attività vige, infatti, il principio generale di libertà di lavoro autonomo o di libertà di impresa di servizi, a seconda del contenuto delle prestazioni e della relativa organizzazione, salvi gli oneri amministrativi o tributari.
FONDO PATRIMONIALE
Cass. civ., Sez. I, Ord., 15 marzo 2019, n. 7497 - pubblicato il 26 marzo 2019
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Nocera Inferiore - Salerno
L'art. 170 c.c., nel disciplinare le condizioni di ammissibilità dell'esecuzione sui beni costituiti nel fondo patrimoniale, detta una regola applicabile anche all'iscrizione di ipoteca non volontaria, ivi compresa quella di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 77, sicché l'esattore può iscrivere ipoteca su beni appartenenti al coniuge o al terzo, conferiti nel fondo, se il debito sia stato da loro contratto per uno scopo non estraneo ai bisogni familiari, ovvero, nell'ipotesi contraria, purché il titolare del credito, per il quale l'esattore procede alla riscossione, non fosse a conoscenza di tale estraneità, dovendosi ritenere, diversamente, illegittima l'eventuale iscrizione comunque effettuata.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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L'art. 170 c.c., nel disciplinare le condizioni di ammissibilità dell'esecuzione sui beni costituiti nel fondo patrimoniale, detta una regola applicabile anche all'iscrizione di ipoteca non volontaria, ivi compresa quella di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 77, sicché l'esattore può iscrivere ipoteca su beni appartenenti al coniuge o al terzo, conferiti nel fondo, se il debito sia stato da loro contratto per uno scopo non estraneo ai bisogni familiari, ovvero, nell'ipotesi contraria, purché il titolare del credito, per il quale l'esattore procede alla riscossione, non fosse a conoscenza di tale estraneità, dovendosi ritenere, diversamente, illegittima l'eventuale iscrizione comunque effettuata.
MOBBING
T.A.R. Lazio Roma, Sez. I bis, 18 marzo 2019, n. 3587 - pubblicato il 26 marzo 2019
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
Nocera Inferiore - Salerno
Nell'ambito dei rapporti di pubblico impiego e della conseguente responsabilità datoriale ex art. 2087 c.c., il mobbing si sostanzia in una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del dipendente nell'ambiente di lavoro, che si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto all'ordinaria gestione del rapporto, espressivi di un disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del medesimo dipendente, tale da provocare un effetto lesivo della sua salute psicofisica.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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Nell'ambito dei rapporti di pubblico impiego e della conseguente responsabilità datoriale ex art. 2087 c.c., il mobbing si sostanzia in una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del dipendente nell'ambiente di lavoro, che si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto all'ordinaria gestione del rapporto, espressivi di un disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del medesimo dipendente, tale da provocare un effetto lesivo della sua salute psicofisica.
Bilanci e conti consuntivi
degli enti pubblici
Cass. civ., Sez. I, Ord., 11 marzo 2019, n. 6919 - pubblicato il 15 marzo 2019
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L'art. 191 T.U.E.L. (D.Lgs. n. 267 del 2000), nell'imporre l'indicazione dell'ammontare delle spese e dei mezzi per farvi fronte, a pena di nullità delle relative deliberazioni adottate in violazione di legge, tutelano, con tutta evidenza, il preminente interesse pubblico all'equilibrio economico-finanziario delle Amministrazioni locali in un quadro di certezza della spesa secondo le previsioni di bilancio e di trasparenza dell'azione amministrativa. La delibera comunale di conferimento di incarico ad un professionista deve, dunque, indicare l'ammontare della spesa, mediante l'identificazione e la distinzione delle diverse voci che la compongono (spese generali, tecniche, per compensi professionali, ecc.), ed i mezzi per farvi fronte, ugualmente identificati e distinti analiticamente, così da creare un doppio e congiunto (non alternativo) indice di riferimento che vincola l'operato dell'ente locale in relazione alle spese stabilite anticipatamente, in ragione dell'interesse pubblico all'equilibrio economico e finanziario e, quindi, al buon andamento della P.A.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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L'art. 191 T.U.E.L. (D.Lgs. n. 267 del 2000), nell'imporre l'indicazione dell'ammontare delle spese e dei mezzi per farvi fronte, a pena di nullità delle relative deliberazioni adottate in violazione di legge, tutelano, con tutta evidenza, il preminente interesse pubblico all'equilibrio economico-finanziario delle Amministrazioni locali in un quadro di certezza della spesa secondo le previsioni di bilancio e di trasparenza dell'azione amministrativa. La delibera comunale di conferimento di incarico ad un professionista deve, dunque, indicare l'ammontare della spesa, mediante l'identificazione e la distinzione delle diverse voci che la compongono (spese generali, tecniche, per compensi professionali, ecc.), ed i mezzi per farvi fronte, ugualmente identificati e distinti analiticamente, così da creare un doppio e congiunto (non alternativo) indice di riferimento che vincola l'operato dell'ente locale in relazione alle spese stabilite anticipatamente, in ragione dell'interesse pubblico all'equilibrio economico e finanziario e, quindi, al buon andamento della P.A.
STUPEFACENTI
Corte cost., 8 marzo 2019, n. 40 - pubblicato il 13 marzo 2019
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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È costituzionalmente illegittimo l'art. 73, comma 1, D.P.R. n. 309 del 1990 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), per contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost., nella parte in cui prevede la pena minima edittale della reclusione nella misura di otto anni anziché di sei anni. Tale declaratoria di illegittimità deriva dunque dalla violazione dei principi di cui agli artt. 3 e 27 Cost., in quanto la pena comminata non risulta proporzionata alla gravità del fatto, sì da porsi come ostacolo alla funzione rieducativa della pena stessa. La pena di sei anni è stata ripetutamente indicata dal legislatore come misura adeguata ai fatti "di confine", che nell'articolato e complesso sistema punitivo dei reati connessi al traffico di stupefacenti, si pongono al margine inferiore delle categorie di reati più gravi o a quello superiore della categoria dei reati meno gravi. In tale contesto, è, dunque, appropriata la richiesta di ridurre a sei anni di reclusione la pena minima per i fatti di non lieve entità di cui al comma 1 dell'art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990, al fine di porre rimedio ai vizi di illegittimità costituzionale denunciati. In tal modo, si individua una previsione sanzionatoria già rinvenibile nell'ordinamento che, trasposta all'interno della norma censurata, si situa coerentemente lungo la dorsale sanzionatoria prevista dai vari commi dell'art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990 e rispetta la logica della disciplina voluta dal legislatore.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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È costituzionalmente illegittimo l'art. 73, comma 1, D.P.R. n. 309 del 1990 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), per contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost., nella parte in cui prevede la pena minima edittale della reclusione nella misura di otto anni anziché di sei anni. Tale declaratoria di illegittimità deriva dunque dalla violazione dei principi di cui agli artt. 3 e 27 Cost., in quanto la pena comminata non risulta proporzionata alla gravità del fatto, sì da porsi come ostacolo alla funzione rieducativa della pena stessa. La pena di sei anni è stata ripetutamente indicata dal legislatore come misura adeguata ai fatti "di confine", che nell'articolato e complesso sistema punitivo dei reati connessi al traffico di stupefacenti, si pongono al margine inferiore delle categorie di reati più gravi o a quello superiore della categoria dei reati meno gravi. In tale contesto, è, dunque, appropriata la richiesta di ridurre a sei anni di reclusione la pena minima per i fatti di non lieve entità di cui al comma 1 dell'art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990, al fine di porre rimedio ai vizi di illegittimità costituzionale denunciati. In tal modo, si individua una previsione sanzionatoria già rinvenibile nell'ordinamento che, trasposta all'interno della norma censurata, si situa coerentemente lungo la dorsale sanzionatoria prevista dai vari commi dell'art. 73 del D.P.R. n. 309 del 1990 e rispetta la logica della disciplina voluta dal legislatore.
NOTIFICAZIONE DELLA SENTENZA
Cass. civ., Sez. Unite, 4 marzo 2019, n. 6278 - pubblicato il 7 marzo 2019
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In tema di notificazione della sentenza ai sensi dell'art. 326 c.p.c., il termine breve di impugnazione di cui al precedente art. 325 c.p.c., decorre, anche per il notificante, dalla data in cui la notifica viene eseguita nei confronti del destinatario, in quanto gli effetti del procedimento notificatorio, quale la decorrenza del termine predetto, vanno unitariamente ricollegati al suo perfezionamento e, proprio perché interni al rapporto processuale, sono necessariamente comuni ai soggetti che ne sono parti.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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In tema di notificazione della sentenza ai sensi dell'art. 326 c.p.c., il termine breve di impugnazione di cui al precedente art. 325 c.p.c., decorre, anche per il notificante, dalla data in cui la notifica viene eseguita nei confronti del destinatario, in quanto gli effetti del procedimento notificatorio, quale la decorrenza del termine predetto, vanno unitariamente ricollegati al suo perfezionamento e, proprio perché interni al rapporto processuale, sono necessariamente comuni ai soggetti che ne sono parti.
s.r.l.
Cass. civ. Sez. V Ord., 01/03/2019, n. 6104 - pubblicato il 6 marzo 2019
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In tema di finanziamento soci in s.r.l., l'art. 2467 c.c. detta una regola di interpretazione (quella per cui sono finanziamenti le erogazioni effettuate dal socio in un momento di squilibrio patrimoniale della società) e una regola di giudizio (quella per cui i soci finanziatori sono postergati ai creditori estranei alla società nella restituzione di quanto erogato). Non vi è nella norma alcun riferimento a una forma legale imposta per detti finanziamenti. Ne consegue che, in tema di valutazione della qualificazione della natura di una erogazione di denaro dal socio alla società, occorre applicare i criteri generali valevoli per il diritto societario. E' quindi necessario considerare che il criterio principale di qualificazione di una destinazione da parte della società di una somma di denaro, comunque ricevuta nel corso dell'esercizio, è data dall'esame delle risultanze del relativo bilancio. Invero il bilancio di esercizio è proprio il documento contabile fondamentale che la società è obbligata a redigere per dar conto dell'attività svolta nel relativo esercizio sociale e gli amministratori, nel redigere il bilancio, si assumono la responsabilità della qualificazione che attribuiscono alle relative poste. Dunque, può affermarsi che il bilancio, stante il rilievo anche pubblicistico che assume con la pubblicazione nel registro delle imprese, è il documenta principale da cui dover partire per qualificare la natura di un'entrata patrimoniale per la società.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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In tema di finanziamento soci in s.r.l., l'art. 2467 c.c. detta una regola di interpretazione (quella per cui sono finanziamenti le erogazioni effettuate dal socio in un momento di squilibrio patrimoniale della società) e una regola di giudizio (quella per cui i soci finanziatori sono postergati ai creditori estranei alla società nella restituzione di quanto erogato). Non vi è nella norma alcun riferimento a una forma legale imposta per detti finanziamenti. Ne consegue che, in tema di valutazione della qualificazione della natura di una erogazione di denaro dal socio alla società, occorre applicare i criteri generali valevoli per il diritto societario. E' quindi necessario considerare che il criterio principale di qualificazione di una destinazione da parte della società di una somma di denaro, comunque ricevuta nel corso dell'esercizio, è data dall'esame delle risultanze del relativo bilancio. Invero il bilancio di esercizio è proprio il documento contabile fondamentale che la società è obbligata a redigere per dar conto dell'attività svolta nel relativo esercizio sociale e gli amministratori, nel redigere il bilancio, si assumono la responsabilità della qualificazione che attribuiscono alle relative poste. Dunque, può affermarsi che il bilancio, stante il rilievo anche pubblicistico che assume con la pubblicazione nel registro delle imprese, è il documenta principale da cui dover partire per qualificare la natura di un'entrata patrimoniale per la società.
REATI TRIBUTARI
Cass. pen., Sez. III, 23 gennaio 2019, n. 8704 - pubblicato il 1° marzo 2019
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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Il reato di indebita compensazione di crediti non spettanti o inesistenti di cui all'art. 10-quater, D.Lgs. n. 74 del 2000, è configurabile sia nel caso di compensazione verticale (ossia riguardante crediti e debiti afferenti la medesima imposta), sia in caso di compensazione orizzontale (dunque riguardante crediti e debiti di imposta di natura diversa). La disposizione di cui all'art. 17, D.Lgs. n. 241 del 1997, richiamata dalla fattispecie penale, invero, ha ampliato le ipotesi compensazione già previste dalle norme tributarie, estendendo la facoltà di compensazione anche a crediti e debiti di natura diversa, nonché alle somme dovute agli enti previdenziali. Peraltro, l'applicabilità della sanzione penale non è condizionata dalla natura verticale o orizzontale della compensazione, bensì dalla circostanza, ritenuta determinante, che venga opposta nel modello unico, ossia nel cosiddetto modello F24, che viene presentato in occasione della dichiarazione unica ai fini delle imposte sul reddito, dell'IVA e dell'IRAP.
a cura dell'Avv. Gaetano Riccio - Avv. Eliana Libroia
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Il reato di indebita compensazione di crediti non spettanti o inesistenti di cui all'art. 10-quater, D.Lgs. n. 74 del 2000, è configurabile sia nel caso di compensazione verticale (ossia riguardante crediti e debiti afferenti la medesima imposta), sia in caso di compensazione orizzontale (dunque riguardante crediti e debiti di imposta di natura diversa). La disposizione di cui all'art. 17, D.Lgs. n. 241 del 1997, richiamata dalla fattispecie penale, invero, ha ampliato le ipotesi compensazione già previste dalle norme tributarie, estendendo la facoltà di compensazione anche a crediti e debiti di natura diversa, nonché alle somme dovute agli enti previdenziali. Peraltro, l'applicabilità della sanzione penale non è condizionata dalla natura verticale o orizzontale della compensazione, bensì dalla circostanza, ritenuta determinante, che venga opposta nel modello unico, ossia nel cosiddetto modello F24, che viene presentato in occasione della dichiarazione unica ai fini delle imposte sul reddito, dell'IVA e dell'IRAP.