CONCORSO E FAVOREGGIAMENTO IN RAPPORTO ALLA DETENZIONE DI SOSTANZE STUPEFACENTI
NOTA a Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sent. 7 febbraio – 18 settembre 2012, n. 35641 LA MASSIMA L'aiuto prestato "in corso d'opera" rientra nella fattispecie del concorso di persone nel reato, e non del favoreggiamento, purché vi sia la consapevolezza di contribuire anche in minima parte alla realizzazione di una più articolata "fattispecie". Il reato di favoreggiamento non è configurabile, con riferimento al delitto di illecita detenzione di sostanza stupefacente, in costanza di detta detenzione, atteso che nei reati permanenti qualunque agevolazione del colpevole, prima che la condotta di questi sia cessata, si risolve inevitabilmente in un concorso, quanto meno a carattere morale. LA NOTA Con la pronuncia esaminata i Giudici di legittimità affrontano ancora una volta la problematica relativa alla complessa individuazione di un’univoca linea di discrimine tra concorso nel reato di detenzione di sostanze stupefacenti e favoreggiamento. Si tratta, con tutta evidenza, di una questione di estrema rilevanza in ragione della sua incidenza sulla natura concorsuale o meno della responsabilità del soggetto che si trovi coinvolto in vicende legate alla violazione delle norme dettate dal D.P.R. n. 309/90. Più in generale, la sentenza richiamata offre occasione per un’ulteriore lettura della ben più ampia tematica dei rapporti tra le fattispecie descritte dagli artt. 378 e 379 c.p. e il fenomeno della realizzazione plurisoggettiva del reato. Per chiarire i termini della questione appena esposta, è imprescindibile muovere dalla lettera degli articoli citati, i quali, prevedendo la clausola«fuori dei casi di concorso» nel reato, presentano quale presupposto negativo la mancata compartecipazione in una precedente fattispecie criminosa. L'esplicita menzione si spiega innanzitutto con l'intenzione del Legislatore di ribadire la differenza concettuale tra favoreggiamento e concorso di persone nel reato, nel quadro del processo di consolidamento dell'autonomia della figura de quo. Inoltre, la clausola ha l’ulteriore funzione di evitare qualsiasi dubbio in ordine ai casi in cui un soggetto realizza, dopo la commissione del reato presupposto, una condotta ausiliatrice, ma questa appare collegata con il contributo, morale o materiale, offerto dal medesimo in relazione a tale reato. L'esclusione del favoreggiamento in caso di concorso nel reato presupposto chiarisce, quindi, che non risponde di favoreggiamento personale chi aiuta un complice a sottrarsi alle indagini (è evidente che aiutando quest'ultimo l'apparente favoreggiatore aiuta indirettamente se stesso) o chi svia le indagini sul reato presupposto coprendo altri concorrenti, in tal caso legandosi l'esclusione all'irrilevanza del cosiddetto autofavoreggiamento. Ma la clausola di esclusione rimuove altresì ogni dubbio sul fatto che integra concorso nel reato, e non mero favoreggiamento, prestare aiuto dopo la consumazione del reato ma in esecuzione di unprecedente accordo: la compartecipazione può, infatti, anche esaurirsi nella semplice prestazione di tale aiuto e se pure l'attività materiale si esplica dopo il momento consumativo del delitto, è indubbia la possibilità di ravvisare un contributo morale al medesimo nella promessa di aiuto post delictum, in quanto la consapevolezza di poter contare su tale ausilio è in grado di rafforzare quanto meno il proposito criminoso degli autori del reato, aumentando le loro aspettative di impunità (ex multis Cass. pen., sez. I, 26 giugno 2001, n. 33450). Da quanto detto emerge con chiarezza l'inutilizzabilità del puro criterio temporale per la distinzione tra concorso di persone e favoreggiamento: non è tanto importante stabilire se l'aiuto sia stato prestato durante o dopo la commissione del precedente reato, quanto ricostruire come tale aiuto si colloca nell'elaborazione del piano criminoso e/o nella sua attuazione. Il criterio distintivo non appare, dunque, quello puramente cronologico, che consentirebbe di definire attività di compartecipazione l'aiuto prestato prima o durante il reato e favoreggiamento l'aiuto realizzato posteriormente, ciò che è decisivo è l'accertamento in concreto, al di fuori di qualsiasi schema presuntivo, del peso che l'aiuto o la promessa di aiuto ha avuto nell'economia del reato. In altri termini, se si dimostrasse che l'anticipata promessa di aiuto non ha svolto alcun ruolo di determinazione/istigazione al reato, la successiva attività ausiliatrice dovrebbe essere valutata esclusivamente nel quadro della fattispecie di favoreggiamento. L'insufficienza del mero parametro cronologico consente una miglior comprensione dei rapporti tra favoreggiamento e reato permanente, quale deve considerarsi l’illecita detenzione di sostanze stupefacenti. Infatti, in tale ipotesi il discrimen tra condotta che costituisce concorso nel reato e condotta che si risolve nell’agevolazione di colui che ha commesso il delitto di cui all’art. 73 D.P.R. 309/90 rispetto alle ricerche e alle investigazioni dell’autorità giudiziaria (favoreggiamento personale) ovvero nell’assicurazione allo stesso del profitto, del prodotto o del prezzo del reato (favoreggiamento reale), incontra sul piano della realtà processuale numerose difficoltà che la giurisprudenza prevalente ha tentato di risolvere facendo riferimento a due criteri, costituiti rispettivamente dall’elemento psicologico dell’agente e dall’elemento temporale. Per quanto attiene al primo parametro discretivo, secondo un orientamento ormai costante, occorre valutare in concreto se l’aiuto prestato consapevolmente dall’agente ad altro soggetto, che ponga in essere la condotta criminosa costitutiva del reato permanente, sia l’espressione di una partecipazione al reato oppure nasca dall’intenzione, manifestatasi attraverso individuabili modalità pratiche, di realizzare una facilitazione alla cessazione del reato (in tal senso numerose pronunce, tra quali Cass. pen., sez. IV, 29 marzo 2007, n. 12793; Cass. pen., sez. IV, 12 aprile 2006, n. 12915; Cass. pen., sez. VI, 16 luglio 1998; Cass. pen., sez. VI, 6 giugno 1995, n. 9079; Cass. pen., sez. VI, 7 aprile 1994; Cass. pen., sez. I, 11 agosto 1986; Cass. pen., sez. II, 22 ottobre 1984;Cass. pen., sez. II, 17 gennaio 1984). È ravvisabile, perciò, il concorso nel reato presupposto se l’agente non si limiti ad aiutare taluno ad eludere le investigazioni dell’autorità o ad assicurare il prodotto o il profitto o il prezzo del reato stesso, ma partecipi con animus socii all’attività concorsuale della fattispecie delittuosa, adoperandosi in funzione essenziale, o comunque apprezzabile, in rapporto di causalità con l’evento (Cass. pen., sez. VI, 9 aprile 1998, n. 1325), apportando un sostegno o incoraggiando la prosecuzione della condotta criminosa da parte del beneficiario (Cass. pen., sez. I, 11 novembre 2003, n. 6905). Per quanto riguarda invece il profilo temporale, la giurisprudenza maggioritaria ritiene che in caso di reati di natura permanente, caratterizzati, com’è noto, da una protrazione della condotta offensiva per volontà dell’agente, non è configurabile il delitto di favoreggiamento qualora l’aiuto sia prestato “in corso d’opera”, in quanto qualunque agevolazione del colpevole, posta in essere in tali circostanze, si risolve inevitabilmente in un concorso, quanto meno a carattere morale (Cass. pen., sez. III, 1 marzo 2011, n. 7974; Cass. pen., sez. VI, 29 aprile 2009, n. 17889; Cass. pen., sez. IV, 12 aprile 2006, n. 12915). Tali principi di diritto vengono recepiti integralmente nella sentenza in commento che, di fatto, si uniforma ad alcuni noti precedenti giurisprudenziali esplicitamente richiamati. Nel caso di specie, infatti, i Giudici di legittimità chiamati a valutare la responsabilità del coniuge per detenzione di droga nella casa coniugale concludono per la sussistenza di un concorso ex art. 110 c.p., in ragione della condotta tenuta dalla ricorrente al momento dell’intervento della polizia giudiziaria. La donna, invero, all’arrivo delle forze dell’ordine aveva inizialmente nascosto il sacchetto contenente la sostanza stupefacente all’interno del pigiama indossato, aveva poi tentato di andare in bagno, simulando anche un malore per sottrarsi alla perquisizione, e infine si era rimessa a letto per nascondere la droga sotto il cuscino, ove poi era stata ritrovata. La Suprema Corte rileva, nella sua breve ma dettagliata ed esaustiva motivazione, come “la multiforme e protratta condotta dissimulatoria posta in essere dalla donna appariva incompatibile, da un lato, con l’asserita ignoranza del contenuto del sacchetto ove è stata rinvenuta la droga, dall’altro, con un atteggiamento di semplice passiva obbedienza ad un ordine impartitole dall’uomo”. In altri termini, le variegate e ripetute condotte della ricorrente dirette all’occultamento della droga e ad assicurarne il possesso al marito vengono in rilievo, nel caso de quo, come espressione della coscienza e volontà di contribuire alla realizzazione di una fattispecie più articolata, integrando così il dolo generico tipico del reato di cui all’art. 73 D.P.R. n. 309/90. I Giudici di Piazza Cavour evidenziano inoltre come, in conformità alle precedenti sentenze richiamate (Cass. pen., sez. VI, 4 giugno 2008, n. 22394; Cass. pen., sez. IV, 12 aprile 2006, n. 12915; Cass. pen., sez. I, 14 maggio 1997, n. 4243), la natura concorsuale della responsabilità della donna sia giustificata anche dall’arco temporale in cui si è inserito il suo aiuto, prestato in costanza dell’illecita detenzione di sostanze stupefacenti e, pertanto, prima che la condotta criminosa riconducibile al reato di natura permanente potesse ritenersi cessata. La pronuncia in commento, dunque, valutando gli elementi di specificità del caso concreto, riprende un filone interpretativo accolto dalla giurisprudenza prevalente ormai da molti anni, non menzionando nel suo iter argomentativo alcun principio di diritto contrario alla conclusione espressa. Ciò, però, non deve indurre erroneamente a ritenere ormai raggiunto un equilibrio consolidato nei rapporti tra gli artt. 378 e 379 c.p. ed i delitti in materia di sostanze stupefacenti. Infatti, l’orientamento secondo cui il delitto di favoreggiamento è compatibile con un reato permanente, nella specie la detenzione di sostanze stupefacenti, solo nell’ipotesi in cui la permanenza sia cessata è tutt’altro che pacifico. Sul punto si è recentemente delineato un indirizzo dottrinale e giurisprudenziale notevolmente articolato che ha, innanzitutto, messo in discussione il punto di riferimento formale della tesi tradizionale: la formula «delitto commesso» non coincide inevitabilmente con quella di «delitto consumato». Ad essere criticata è l’opinione, sostenuta da parte della dottrina, secondo cui il favoreggiamento commesso durante la permanenza del reato principale integrerebbe sempre e comunque un’ipotesi di concorso criminoso. Per i fautori della compatibilità tra reato permanente in fieri e favoreggiamento, tale assunto, fondato essenzialmente sulla lettera dell’art. 378 c.p. che si riferisce a condotte poste in essere “dopo che fu commesso un delitto”, non è assolutamente condivisibile, in quanto il Legislatore nella descrizione delle fattispecie di cui agli artt. 378 e 379 c.p. ha attribuito rilevanza al momento della “commissione” del reato presupposto, coincidente con la lesione del bene giuridico protetto, piuttosto che alla sua consumazione. A favore di quest’ultima tesi, è stata inoltre sottolineata la solo apparente differenza tra l'attuale art. 378 c.p. e l’art. 225 del codice penale Zanardelli, il quale poneva quale condizione negativa, oltre al «concerto anteriore al delitto» presupposto, il non aver contribuito a portare il precedente reato «a conseguenze ulteriori»: formula che appare chiaramente allusiva alla partecipazione criminosa in un reato permanente. Una conferma che non qualsiasi aiuto prestato in costanza della permanenza debba considerarsi necessariamente una forma di compartecipazione criminosa nel reato permanente viene tratta anche da altre due figure delittuose, quali l’assistenza ai partecipi di bande armate o di associazioni per delinquere, rispettivamente previste dagli artt. 307 e 418 c.p. Tale richiamo ci consente di osservare che, sul piano penale, è indubbiamente diverso il significato dell'aiuto prestato all'autore di un reato permanente rispetto al peso del contributo offerto alla protrazione dello stato antigiuridico da quest'ultimo realizzato. D'altronde, se ogni forma di aiuto fosse di per sé costitutiva di una condotta di partecipazione, gli artt. 307 e 418 c.p. diverrebbero inapplicabili, data la clausola di riserva in essi contenuta. Aderendo all’orientamento appena esposto, una recente pronuncia della Corte di Cassazione ha ritenuto ammissibile il favoreggiamento anche in costanza della permanenza del reato, valorizzando l’elemento soggettivo come criterio discretivo tra il favoreggiamento e il concorso nella detenzione di sostanze stupefacenti (Cass. pen., sez. III, 12 ottobre 2011, n. 36814). Nel caso di specie, infatti, i Giudici di legittimità chiamati a valutare l’aiuto prestato in corso d’opera dal ricorrente, pur condividendo l’indirizzo espresso dalla sentenza in commento, pongono una significativa distinzione in rapporto ad un reato permanente ancora in divenire. In particolare, l’aiuto prestato nell’interesse esclusivo dell’autore del reato principale è ricondotto alla fattispecie di favoreggiamento, mentre, qualora l’aiuto prestato sia rivolto al perseguimento, esclusivo o meno, di un interesse del favoreggiatore potrà affermarsi la responsabilità di quest’ultimo a titolo di concorrente nel reato presupposto. Quest’ultima sentenza, propugnando un’attenta valutazione del profilo soggettivo piuttosto che di quello temporale, dimostra come il contrasto giurisprudenziale in materia non possa considerarsi affatto sopito, non potendo aprioristicamente sostenere che nei reati permanenti qualunque agevolazione del colpevole, prima che la condotta di questi sia cessata, debba risolversi inevitabilmente in una responsabilità concorsuale. Tenuto conto della significativa differenza delle due diverse opzioni interpretative emerse sul punto, appare auspicabile una pronuncia chiarificatrice delle Sezioni Unite o quanto meno il consolidarsi di una progressiva giurisprudenza in materia, considerato che tali oscillazioni ermeneutiche finiscono per incidere sulla graduazione della responsabilità del soggetto coinvolto in vicende connesse alla violazione delle norme sugli stupefacenti. Si pone, pertanto, la necessità di individuare e definire, con maggiore precisione rispetto ad un passato, anche recente, i parametri giuridici e fattuali che consentono di considerare un soggetto come intraneus al sodalizio concorsuale instauratosi ex art. 110 c.p., e non come favoreggiatore, irrogando in tal modo una sanzione che, anche in ossequio al principio di ragionevolezza della pena, rispetti in maniera rigorosa criteri di adeguatezza e proporzionalità riguardo alla condotta tenuta e all’apporto psicologico dell’agente. Eliana Libroia |
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