JUS SEPULCHRI IURE SUCCESSIONIS
Nota a Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 15 maggio - 27 settembre 2012, n. 16430 LA MASSIMA “Nella cerchia dei familiari del fondatore, aventi diritto alla sepoltura nella tomba di famiglia, devono farsi rientrare, stante il significato semantico della parola "famiglia", purché non risulti una espressa contraria volontà del fondatore stesso, tutti coloro che - come anche i collaterali - sono a lui legati da vincoli di sangue, determinandosi, tra i vari titolari, una comunione indivisibile con la conseguenza che resta escluso ogni potere di disposizione del diritto da parte di taluni soltanto di essi ed anche dello stesso fondatore, così come il potere di alcuno dei titolari di vietare, consentire o condizionare l'esercizio dello jus inferendi in sepulchrum spettante agli altri contitolari”. La Nota Con la sentenza in commento i giudici di Piazza Cavour prestano attenzione alla tematica dello jus sepulchri e alla quaestio concernente l’individuazione dei destinatari del diritto di sepoltura. Al riguardo il famoso giurista latino Eneo Domizio Ulpiano (Tiro, 170 – Roma, 228) era solito dichiarare che il “sepulchrum est ubi corpus ossave hominis condita sunt”, ovverosia il sepolcro rappresenta il luogo in cui sono ubicati i resti di una persona in quanto diretto sia alla conservazione che al rispetto delle spoglie mortali. La vicenda processuale che ha determinato la pronuncia in esame trae origine da un ricorso proposto dalla Sig.ra C.V., la quale sosteneva di essere, per effetto di un atto di divisione notarile, proprietaria esclusiva di una cappella funeraria, destinata dal proprio genitore, il Sig. C.L., al seppellimento proprio e dei suoi discendenti legittimi. Sulla base di tali considerazioni, riteneva che potesse qualificarsi come abusiva l’occupazione del mausoleo compiuta dai collaterali C.T., F., G. e M., Ca. Fr., Ro. e Vi., giacché avevano provveduto alla sepoltura dei resti di A.C. e di A.R., genitori dei Ca., conservandone anche le chiavi. Il Tribunale prima, e la Corte d’Appello poi, rigettavano il ricorso della Sig.ra C.V., volto al conseguimento del rilascio della cappella, previa rimozione delle succitate salme, sia perché risultava palesemente la volontà del fondatore del manufatto sepolcrale di adibirla a luogo di sepoltura dell’intero gruppo familiare sia perché la parte attrice non aveva prodotto univoche prove testimoniali volte alla dimostrazione del contrario. Alla luce delle posizioni evidenziate, la ricorrente decideva di rivolgersi ai giudici del Palazzaccio per poter tutelare i suoi diritti. Per poter comprendere appieno le motivazioni esposte dalla Suprema Corte nella pronuncia in esame, è però opportuno soffermarsi, preliminarmente, sulla nozione di sepolcro. Con questo termine si intende il manufatto sotterraneo (tumulo) o elevato e collocato sopra terra (sarcofago, loculo, nicchia) in cui è riposto il cadavere. I cimiteri, i quali rappresentano luoghi adibiti alla sepoltura dei resti mortali, sono aree demaniali ex art. 824, comma 2, c.c. destinate dalla legge a tale scopo, in quanto ai sensi dell’art. 340 T.U. delle leggi sanitarie (Regio Decreto 27 Luglio 1934, n. 1265) vige il divieto di seppellire i resti mortali in luoghi diversi. Le suddette aree devono rispettare le limitazioni previste dal T.U. delle leggi sanitarie e dal regolamento di polizia mortuaria circa la loro ubicazione, costruzione, distanza dai centri abitati. È pur vero, tuttavia, che talvolta i cadaveri possono essere seppelliti al di fuori dei cimiteri comunali come nel caso di sepolcro in favore di chi in vita sia stato insignito di speciali benemerenze, oppure nell’eventualità di cappelle private o gentilizie. Nei camposanti vengono concesse a privati determinate aree in uso temporaneo, affinché vi costruiscano sepolture individuali o familiari o collettive. Da tali concessioni deriva al concessionario un diritto soggettivo perfetto, opponibile iure privatorum agli altri privati, atteso che lo stesso nasce da una concessione amministrativa con natura traslativa (Cass. civ., sez. II, 30 maggio 2003, n. 8804). Tale diritto soggettivo, di natura reale (Cass. civ., sez. II, 18 gennaio 2008, n. 1009) assimilabile al diritto di superficie, suscettibile di trasmissione inter vivos o di successione mortis causa, è alienabile, prescrittibile, espropriabile (solo per il sepolcro individuale), usucapibile, salve le particolari limitazioni previste dai regolamenti comunali, ed è tutelabile avanti l'autorità giudiziaria ordinaria con le azioni petitorie e possessorie (ex multis Cass. civ., sez. II, 5 ottobre 1993, n. 9838; Cass. civ., sez. II, 20 settembre 1991, n. 9837; Cass. civ., 30 maggio 1984, n. 3311; Cass. civ., 25 maggio 1983, n. 3607; Cass. civ., 21 febbraio 1981, n. 1052; Cass. civ., 25 luglio 1964, n. 2063; Cass. civ., 28 dicembre 1961, n. 2835; Cass. civ., 2 aprile 1959, n. 974). Il diritto di sepolcro si distingue in diritto primario, cioè il diritto ad essere seppellito (jus sepulchri) o di seppellire altri in un dato sepolcro (jus inferendi mortuum in sepulchrum) tutelabile in via possessoria in quanto diritto patrimoniale di natura reale, e in diritto secondario, ovvero una situazione giuridica di natura personale, che si esplica nella facoltà, per i discendenti del seppellito, di accedere al mausoleo e di proporre opposizione ad ogni trasformazione che determini il formarsi di un pregiudizio, una violazione o un oltraggio alla tomba. Inoltre, il sepolcro può essere individuale o collettivo. Nel sepolcro individuale il diritto ad essere ivi sotterrato compete a colui che sul sepolcro medesimo vanti un diritto di natura reale. Invece, con l’espressione sepolcro collettivo ci si riferisce a quelle strutture destinate a raccogliere i corpi esanimi di più persone. La natura strettamente personale del diritto che compete ai titolari del sepolcro collettivo impedisce, infatti, che dell'oggetto di quel diritto possano beneficiare terzi estranei, con la conseguenza che il sepolcro viene a presentare un carattere di incommerciabilità. Solitamente si distinguono due tipi di sepolcro collettivo: “ereditario” e “familiare o gentilizio”. Lo jus sepulchri, nel sepolcro ereditario si trasmette nei modi ordinari per atto inter vivos o mortis causa dall’originario titolare come qualsiasi altro bene, anche a persone non facenti parte della famiglia (Cass. civ., sez. II, 8 maggio 2012, n. 7000), mentre, nel sepolcro gentilizio o familiare (carattere quest’ultimo, da presumersi in caso di silenzio o anche se vi sono dubbi al riguardo) è attribuito in base alla volontà del testatore in stretto riferimento alla cerchia dei familiari presi in considerazione come destinatari del sepolcro stesso (Cass. civ., sez. II, 29 gennaio 2007, n. 1789), acquistandosi dal singolo iure proprio sin dal momento della nascita, per il solo fatto di trovarsi con il fondatore in quel determinato rapporto previsto nell’atto di fondazione o desunto dalle regole consuetudinarie, in ogni caso iure sanguinis e non iure successionis, e dando luogo ad una particolare forma di comunione fra contitolari, senza poter essere trasmesso per atto tra vivi né per successione mortis causa, né perdendosi per prescrizione o rinuncia. Detto diritto si trasforma da familiare in ereditario solo con la morte dell’ultimo superstite della cerchia dei familiari designati dal fondatore, rimanendo soggetto per l’ulteriore trasferimento alle ordinarie regole della successione mortis causa (Cass. civ., sez. II, 29 maggio 1990, n. 5015). Per distinguere lo jus sepulchri iure sanguinis da quello iure successionis è necessario procedere ad un’interpretazione della volontà del fondatore del sepolcro al momento della stessa edificazione della tomba, dal momento che risultano essere irrilevanti le successive vicende relative alla proprietà dell'edificio nella sua materialità. In mancanza di disposizione contraria, sarà lecito considerare la volontà di destinazione del sepolcro come sibi familaeque suae. Una volta constatato questo carattere, il familiare acquista, iure proprio, il diritto al sepolcro, imprescrittibile ed irrinunciabile, fin dal momento della nascita e non può trasmetterlo né per atto inter vivos, né mortis causa; quindi si costituisce tra i contitolari una particolare forma di comunione, destinata a durare sino al venir meno degli aventi diritto, dopo di che lo jus sepulchri si trasforma da familiare in ereditario (Cass. civ., sez. II, 29 settembre 2000, n. 12957). In relazione al sepolcro familiare, sorge la difficoltà nell’individuare i soggetti destinatari del relativo diritto di sepoltura. Gli Ermellini, ribadendo un orientamento consolidato, con sentenza n. 16430 del 27 settembre 2012, hanno affermato che nella cerchia dei familiari del fondatore, aventi diritto alla sepoltura nella tomba di famiglia, devono farsi rientrare, stante il significato semantico della parola "famiglia", purché non risulti una espressa contraria volontà del fondatore stesso, tutti coloro che - come anche i collaterali - sono a lui legati da vincoli di sangue, determinandosi, tra i vari titolari, una comunione indivisibile (Cass. civ., 21 ottobre 1955, n. 3394; Trib. Trani, 30 aprile 1965) con la conseguenza che resta escluso ogni potere di disposizione del diritto da parte di taluni soltanto di essi ed anche dello stesso fondatore, così come il potere di alcuno dei titolari di vietare, consentire o condizionare l'esercizio dello jus inferendi in sepulchrum spettante agli altri contitolari (in tal senso anche Cass. civ., sez. II, 29 maggio 1990, n. 5015; Cass. civ., sez. I, 27 gennaio 1986, n. 519; Cass. civ., sez. II, 8 gennaio 1982, n. 78; Cass. civ., sez. II, 4 maggio 1982, n. 2736). La Suprema Corte confermando quanto declinato dalla Corte d’Appello di Napoli ritiene che nel caso de quo si sia chiaramente in presenza di un sepolcro familiare sulla base del comportamento posto in essere dal fondatore della cappella funeraria, consistente nell’intenzione di ricomprendervi le spoglie dei collaterali, derivante sia dalla consegna delle chiavi della tomba ai fratelli, sia dall’inumazione nella stessa della sorella e del cognato, sia dalle documentazioni presentate al Comune volte ad ottenere la concessione demaniale. In conclusione, l’identificazione dei soggetti titolari del diritto primario di sepolcro rappresenta apprezzamento di mero fatto non suscettibile di sindacato in sede di legittimità, allorché sorretto da motivazione sufficiente e immune da vizi logico — giuridici (Cass. civ., sez. II, 29 gennaio 2007, n. 1789; Cass. civ., sez. II, 24 gennaio 1979, n. 532; Cass. civ., sez. II, 18 febbraio 1977, n. 727). Per quanto innanzi esposto, appare comprensibile il rigetto del ricorso da parte dell’organo di nomofilachia. Gaetano Riccio |
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